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n. 9/2008 - ©
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UGO MONTELLA
(Vice
Procuratore Generale presso la Corte dei Conti)
Analisi del ruolo degli organi nelle gestioni
privatistiche svolte dagli enti economici e dalle società pubbliche,
ai fini dell’individuazione della condotta antidoverosa e della imputabilità del
danno erariale
1. Brevi considerazioni sui margini esterni della giurisdizione di responsabilità della Corte dei conti.
Sono passati appena 3 anni da quando è stata emanata la famosa ordinanza n. 19667 del 2003, con la quale è stata riconosciuta la giurisdizione della Corte dei Conti sui dipendenti ed amministratori di enti pubblici economici, eppure nel frattempo la giurisprudenza della Cassazione è andata ben oltre le iniziali aspettative.
Non si sarebbe mai potuto immaginare che la Cassazione fosse così rapida nel recepire orientamenti che erano del tutto minoritari ed aspirazioni giurisdizionali che erano di origine interna alla stessa Corte dei Conti.
Va rammentato la vicenda da cui ha avuto origine la questione che poi ha portato all’ordinanza del 2003 era relativa agli amministratori di un consorzio acquedottistico. Oggi si discute di S.p.A. ed addirittura di privati cittadini che vengono coinvolti nella gestione funzionale di pubbliche risorse.
L’ordinanza del 2003 allora non è tanto importante perché riconosce alla Corte dei Conti la giurisdizione sugli enti pubblici economici, ma perché rappresenta il momento di svolta nel ragionamento che la Cassazione fa per radicare quella giurisdizione: la Suprema Corte infatti dimostra di comprendere il mutamento subito dalla P.A. e dal suo modus operandi: dal provvedimento amministrativo espressione di potestà autoritativa si è passati ad un’amministrazione condivisa per accordi.
Radicare la giurisdizione solo su un concetto di funzione pubblica espressione di poteri autoritativi non aveva allora più senso. La Cassazione ne ha preso atto spostando quindi l’attenzione dalla potestà pubblica al fine pubblico: è funzione pubblica oggi l’attività esplicata nell’esercizio di una capacità di agire (anche di diritto privato) attribuita nell’interesse della collettività.
Il “rapporto di servizio” allora si ha non solo laddove un soggetto viene inserito nell’ambito di una struttura amministrativa avente potestà pubbliche di tipo autoritativo o certificativo, bensì anche tutte le volte in cui tale soggetto viene coinvolto nel perseguimento di pubbliche finalità mediante l’utilizzo di risorse pubbliche divenendo così agente dell’amministrazione.
È proprio la combinazione dei due elementi che costituisce oggi la cartina di tornasole della giurisdizione contabile: il fine pubblico e la pubblicità delle risorse.
La recente sentenza n. 4511/2006 è da questo punto di vista illuminante: nel riconoscere la giurisdizione della Corte dei conti nei confronti di un soggetto privato destinatario di pubblici finanziamenti la Cassazione ha totalmente sganciato il proprio ragionamento dal concetto di rapporto di impiego (considerandolo come solo uno dei possibili titoli in base ai quali vengono gestite le risorse pubbliche) e lo ha fondato sulla gestione stessa del pubblico denaro ritenendo sufficiente quest’ultima a radicare la giurisdizione della Corte indipendentemente dal titolo, che può quindi essere il rapporto d’impiego, di servizio, un provvedimento amministrativo di tipo concessorio o anche un contratto.
Ecco che allora anche il privato, ex contracto, viene ad inserirsi nell’azione amministrativa e diviene strumento per il perseguimento di finalità pubbliche mediante il conferimento allo stesso di pubbliche risorse.
Tutto ciò è la dimostrazione di come la risalente concezione della funzione pubblica come esercizio di atti autoritativi fosse una diga che, una volta abbattuta, ha consentito all’intero fiume di tracimare. Da una questione di giurisdizione relativa ad un consorzio acquedottistico, (della cui natura pubblica oggettivamente c’era poco da dubitare anche secondo le logiche precedenti) si è arrivati alla giurisdizione sui privati (non in quanto tali ma quali strumenti per il perseguimento di finalità pubbliche).
Il recente consolidato orientamento della Suprema Corte non deve però comportare che gli amministratori e dipendenti di enti pubblici economici o di S.p.A. debbano temere il controllo giurisdizionale sulla propria attività per opera delle Procure regionali della Corte dei conti come una spada di “Damocle” pronta a calare di fronte ad ogni attività posta in essere.
L’affermata competenza giurisdizionale va sempre inquadrata nei principi generali e nelle regole poste dalla legge 14 gennaio 1994 n. 20, tra le quali acquista particolare rilevanza quella dell’insindacabilità delle scelte discrezionali, in linea con il principio di separazione dei poteri. Di conseguenza le scelte operate dagli amministratori dell’ente nell’ambito del corretto esercizio dell’attività d’impresa, per la migliore allocazione dei fattori della produzione, al fine del perseguimento dell’interesse generale di cui sono portatori, rientrano, analogamente alle scelte effettuate da qualunque altro soggetto pubblico, nella sfera della discrezionalità insindacabile.
Andrà pertanto certamente esclusa la giurisdizione di responsabilità tutte le volte in cui l’oggetto dell’accertamento richiesto al giudice contabile sia l’esistenza di un danno derivante da una perdita d’esercizio quale rischio–conseguenza insito in qualunque attività imprenditoriale, e non perché in astratto la Corte non avrebbe la competenza a conoscerlo, ma perché rientrante nell’ambito delle discrezionalità non sindacabile.
Laddove viceversa, sia individuabile una cattiva gestione da parte degli amministratori (in quanto esercitata in violazione di regole di buon’amministrazione, con un uso distorto dei poteri e delle attribuzioni affidategli), psicologicamente connotata da dolo o colpa grave, doveroso sarà l’intervento dell’organo pubblico titolare del potere d’azione per il risarcimento dei danni erariali.
Quello descritto non può però essere il punto di arrivo definitivo dell’evoluzione giurisprudenziale in materia confini esterni della giurisdizione della Corte dei Conti: l’apertura alle società pubbliche e ai privati non è ancora pienamente soddisfacente ad assicurare pienezza di poteri per la tutela delle ragioni erariali: è maturo il tempo per riconoscere la giurisdizione anche sui progettisti e sugli appaltatori soprattutto alla luce delle novità introdotte dal recente codice dei contratti pubblici (D.L.vo 163/2006).
Sono questi ultimi infatti che, in particolar modo nelle vicende con caratterizzazioni criminali, effettivamente si arricchiscono ai danni dell’A e dai quali, in relazione alla loro maggiore solvibilità, è possibile ottenere un qualche effettivo risarcimento.
Deve farsi strada l’idea che un qualsiasi soggetto, anche privato, allorché entra in contatto con l’Amministrazione anche in qualità di appaltatore come tale gestore e/o destinatario di risorse pubbliche, diviene strumento per il perseguimento di pubblici fini e quindi in “rapporto di servizio” con l’Amministrazione nell’esercizio della sua attività.
La Corte dei conti quale garante dell’integrità dei bilanci e del patrimonio economicamente valutabile della collettività, concetto quest’ultimo suscettibile di una sempre maggiore estensione in una società che si fonda sempre più sull’economicizzazione degli interessi, diviene allora sotto questa ottica il giudice naturale della buona amministrazione sotto il profilo dei suoi riflessi sulla pubblica economia.
2. L’imputabilità del danno erariale nelle gestioni privatistiche.
La giurisdizione sulle gestioni privatistiche della cosa pubblica foriere di danno erariale va inquadrata sotto il profilo della imputabilità.
A questo proposito emerge il ruolo degli organi di dette gestioni privatistiche e la necessità di una individuazione precisa dei soggetti che possono essere convenuti innanzi alla Corte dei Conti.
Bisogna distinguere due ipotesi:
1) l’ipotesi in cui è l’Amministrazione che si fa privato, mediante l’assunzione di forme e strumenti mutuati dal codice civile: costituzione di Società, trasformazione di enti pubblici in SpA, acquisizione di azioni in società sino a qual momento del tutto private, costituzione di Fondazioni, etc.
2) l’ipotesi in cui l’Amministrazione lega a sé un privato per la gestione di fondi pubblici (es.: privato destinatario di contribuzioni pubbliche per il raggiungimento di un certo obiettivo: la coltivazioni di patate piuttosto che di cereali perché ritenuta di maggiore interesse generale; la riforestazione di parti di territorio etc.)
3. Prima ipotesi. Le gestioni privatistiche: Amministrazione che assume forme di diritto privato.
Nel caso in cui è l’Amministrazione che si fa privato, mediante l’assunzione di forme e strumenti mutuati dal codice civile, vanno immaginate due possibili alternative:
A) organismo di diritto pubblico: l’amministrazione si trasforma per la soddisfazione di esigenze generali non aventi carattere industriale o commerciale: ente pubblico trasformato in società: in tal caso il radicamento della giurisdzione è semplice in ragione dello stesso fine dell’ente solo formalmente privato.
B) impresa pubblica: l’amministrazione assume un’attività d’impresa. In tale ipotesi al fine del radicamento della giurisdizione è decisiva la dimostrazione della soggettività pubblica: e quindi la dimostrazione che dietro il soggetto in questione, se pur privato e gestore di attività d’impresa, in realtà vi è l’amministrazione pubblica e pubblicità di risorse: bisogna in sostanza guardare la reale composizione azionaria, e la capacità di controllo dell’ente pubblico di riferimento sulla società.
Impresa pubblica ai sensi dell’art. art. 3 comma 28 del codice dei contratti pubblici (163/2006) è quella sui cui le amministrazioni aggiudicatici possono esercitare una influenza dominante in quanto:
- detengono la maggioranza del capitale
- controllano la maggioranza dei voti
- hanno il diritto di nominare più della metà dei membri del CdA
In entrambi i casi vi è spazio oggi per la giurisdizione della Corte dei conti
Ebbene, in tale ipotesi in cui è l’Amministrazione ad assumere veste privatistica, il danno erariale può assumere due forme:
1) la prima forma a sua volta è costituita da un duplice pregiudizio:
- quello che i dipendenti ed amministratori arrecano direttamente all’ente di diritto privato cui sono legati
- quello che arrecano di riflesso all’ente pubblico di riferimento quale socio che è ente diverso da quello di appartenenza. Una cattiva gestione produttrice di perdite di esercizio o comunque di minori ricavi è infatti perdita sia per l’ente privato, sia – pro-quota – per i singoli proprietari delle quote societarie di una società (tra i quali gli enti pubblici).
2) La seconda forma si atteggia come danno diretto all’ente pubblico di riferimento (Ministero, ente territoriale, agenzia etc.) sotto forma di inutilità dei finanziamenti erogati o di inutilità della partecipazione stessa, di danno da disservizio, di danno all’immagine del servizio pubblico. Si pensi ad esempio al caso di calciopoli in cui è tutto il mondo sportivo calcistico nazionale ad aver subito un danno d’immagine e non solo e non tanto la Federazione Gioco calcio (associazione di diritto privato)
4. Seconda ipotesi. Privato che viene legato all’Amministrazione nella gestione di risorse pubbliche.
Nella seconda ipotesi, laddove è il privato che viene legato all’amministrazione nella gestione di risorse pubbliche per il raggiungimento di un fine anch’esso pubblico (a prescindere dal titolo che può essere il contratto, il provvedimento etc), soggetto alla giurisdizione della Corte dei conti è lo stesso privato nella forma giuridica con cui si presenta (persona fisica o giuridica).
Laddove quindi una società privata risulti destinataria di pubbliche risorse, convenuta sarà la società stessa e non i dipendenti o amministratori che al suo interno hanno agito.
In tal caso agente pubblico non è il dipendente dell’ente bensì l’ente privato in sé considerato. All’amministratore e al dipendente si deve aver riguardo solo per la caratterizzazione della condotta dell’ente convenuto in giudizio, il quale naturalmente agisce per il tramite dei propri organi persone fisiche. Questi ultimi quindi non sono soggetti alla giurisdizione della Corte dei conti tranne nell’ipotesi di società di persone ove gli amministratori rispondono in solido con la società per le obbligazioni da questa assunte.
Per individuare il ruolo degli organi nelle gestioni privatistiche (e cioè quelle in cui è l’Amministrazione ad assumere forme di diritto privato – la prima ipotesi sopra esposta) cui ricondurre eventuali condotte produttive di danno erariale, bisogna guardare all’organizzazione aziendale i cui punti di riferimento sono:
- per l’ente pubblico economico, l’organismo di diritto pubblico etc.: la legge istitutiva e lo statuto;
- per le società pubbliche, il codice civile e lo statuto.
Soggetti alla giurisdizione della Corte dei conti potranno allora essere:
1) gli amministratori dell’ente pubblico di riferimento per la scelta operata di costituire la società stessa (o assumere partecipazioni in una società) in relazione alla ragionevolezza della scelta stessa;
2) dirigenti e funzionari dell’ente pubblico di riferimento per omessa vigilanza e/o per la loro attività di indirizzo eventualmente causativa di danno:
3) gli amministratori, dirigenti e dipendenti dell’ente formalmente privato ma sostanzialmente pubblico soggetto al controllo o all’influenza dominante del primo (la società pubblica);
4) Gli organi interni di controllo dell’ente privato.
5a Gli amministratori dell’ente pubblico di riferimento.
La valutazione della responsabilità degli amministratori dell’ente pubblico di riferimento per la scelta operata di costituire la società stessa (o assumere partecipazioni in una società) in relazione alla ragionevolezza della scelta stessa deve essere sempre operata in concreto con un esame dei verbali degli organi all’interno dei quali la decisione è stata assunta ed in relazione al ruolo e all’intervento dei singoli:: proponente, consigliere capogruppo, presidente, relatore, in modo da valutare la consapevolezza di ciascuno in relazione alla scelta adottata.
5b Dirigenti e funzionari dell’ente pubblico di riferimento per omessa vigilanza e/o per la loro attività di indirizzo.
Con riferimento però ai compiti amministrativi di controllo (approvazione bilanci, verifica dei report di gestione) va invece valutata la responsabilità dei dipendenti incardinati negli uffici, esterni al soggetto privato ma interni all’ente pubblico di riferimento e deputati al controllo dell’attività di quello.
Con riferimento invece ai verbali dell’assemblea dei soci e alle dichiarazioni di voto in tale sede rilasciate vanno valutati i comportamenti del rappresentante del socio pubblico di maggioranza nell’assemblea sociale.
Dall’esame del complesso delle disposizioni del codice civile in materia (artt. 2380 e ss. c.c) si desume l’esistenza di un modello di organizzazione aziendale all’interno del quale vanno individuati i soggetti cui riferire eventuali danni erariali in rapporto ai poteri assegnati dallo Statuto e dalla legge e ai comportamenti tenuti.
Tale modello, come noto, prevede che la gestione sia affidata ad un Consiglio di amministrazione il quale a sua volta può delegare alcune funzioni ad un Comitato esecutivo composto di membri scelti al suo interno, oppure, com’è più frequente, ad un Amministratore delegato. Il Presidente oltre a presiedere il C.d.A. ha la legale rappresentanza dell’ente.
Spesso al C.d.A. e all’Amministratore delegato si accompagna anche un Direttore generale con compiti di capo della struttura e coordinatore dell’attività dell’ente nel suo complesso nelle sue singole articolazioni; alla direzione di queste ultime possono essere preposti i dirigenti.
Anche il direttore generale, ai sensi dell’art. 2396 c.c. può essere destinatario dell’azione di responsabilità sociale in relazione ai compiti assegnatigli.
A monte del Consiglio di amministrazione e quale massimo organo di indirizzo politico e gestionale della società si pone, per le società, l’assemblea sociale.
Nel suo ambito particolare ruolo riveste il rappresentante del socio pubblico, il quale, per tutte le società con partecipazione maggioritaria o tale da garantire il controllo, è colui che è in grado di fare la politica della società indirizzandone l’azione.
Agli amministratori indicati vanno aggiunti, ove esistenti, quelli nominati dallo Stato o da altri enti pubblici ai sensi degli artt. 2449 e 2450 c.c. in aggiunta a quellio che lo stato può nominare in ragione della partecipazione azionaria. Per questi ultimi, ai fini della caratterizzazione psicologica della condotta, l’analisi delle azioni od omissioni poste in essere va effettuata con particolare riguardo al fine pubblico di cui sono portatori e che ne ha motivato la nomina.
5d - Gli organi di controllo.
Agli organi di amministrazione si aggiungono poi quelli di controllo: il collegio sindacale ed il revisore contabile o la società di revisione.
Si sottolinea come nelle società private, secondo quanto previsto dal codice civile, il collegio sindacale non nasce con compiti di revisione contabile bensì, come statuisce l’art. 2403 c.c., con compiti di vigilanza sulla “corretta osservanza della legge ed in particolare sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo amministrativo e contabile adottato dalla società e sul suo corretto funzionamento.”
È un controllo di legittimità e di efficacia dell’azione dell’ente esteso, sotto tali profili, anche alla valutazione delle scelte organizzative adottate.
Il controllo contabile, che andrebbe esercitato da un revisore contabile (soggetto diverso dal collegio sindacale), nelle società non iscritte in borsa viene generalmente affidato dallo Statuto al collegio sindacale. Per quelle iscritte al mercato dei capitali invece il controllo contabile è esercitato dalle società di revisione.
Ebbene entrambi questi organi, collegio sindacale e società di revisione, laddove abbiano una qualche responsabilità per omessa vigilanza, nella produzione del danno erariale (ed emerge a questo proposito proprio il ruolo del collegio sindacale in relazione ai compiti allo stesso affidati), possono essere chiamati a risponderne innanzi alla Corte dei conti.
5e - I dirigenti.
Per quel che concerne i dirigenti bisogna tener presente che nelle società private il dirigente non ha generalmente potere di impegnare l’ente verso l’esterno, contrariamente a quanto avviene nel settore pubblico. Solo il dirigente instititore, nei limiti peraltro della delega conferita, ha questo potere.
Nell’individuazione delle responsabilità e dell’apporto causale alla produzione del danno va quindi sempre fatto riferimento alle deleghe ai reali poteri del dirigente.
Alternativo al modello normale di gestione è il sistema dualistico (disciplinato dagli artt. 2409 octies e ss. del codice civile) laddove l’amministrazione ed il controllo sono affidati rispettivamente ad un consiglio di gestione e ad un consiglio di sorveglianza.
Il sistema monistico (disciplinato dagli artt. 2409 sexiesdecies e ss. del codice) rappresenta una ulteriore alternativa organizzativa in cui le funzioni di amministrazione e controllo sono affidate rispettivamente ad un consiglio di amministrazione e ad un comitato per il controllo sulla gestione costituito all’interno del CdA stesso. A tal proposito almeno un terzo dei componenti del CdA devono essere in possesso dei requisiti di indipendenza previsti per l’elezione alla carica di sindaco.
5g – Un esempio alternativo di organizzazione aziendale: le ASL.
Un breve accenno merita una altra organizzazione che, anche se non costituita sotto forma societaria né strettamente privatistica è però denominata azienda e ha organizzazione del tutto atipica rispetto agli standards organizzativi pubblicistici e privatistici oltre ad una contabilità puramente economica: l’Azienda Sanitaria
Ed infatti essa è retta da un direttore Generale - organo monocratico (caso unico di direzione aziendale sia pubblica che privata) - il quale è adiuvato da un Direttore sanitario (per gli aspetti di competenza) e da un Direttore amministrativo (per tutti gli aspetti più squisitamente gestionali).
6. Il rapporto tra azione di responsabilità amministrativo contabile e azione sociale di responsabilità
Nei casi di gestioni privatistiche sotto forma di società pubblica bisogna chiedersi quale sia il rapporto tra l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori e/o dipendenti esercitata dal PM contabile (che agisce sì a tutela dell’erario ma processualmente quale sostituto del socio - ente pubblico) e l’azione sociale di responsabilità che può essere esercitata dai soci ex art. 2393 c.c. nei confronti degli amministratori per i danni arrecati alla società persona giuridica.
Come si è già evidenziato il danno arrecato dai dipendenti ed amministratori di società pubbliche non sempre è lesione solo per l’ente privato di appartenenza in quanto dalle loro azioni può derivare anche un pregiudizio diretto all’ente pubblico di riferimento.
L’azione di responsabilità del Procuratore contabile, che mira a chiedere conto anche di tali ulteriori danni erariali, è allora azione dai margini più ampi, che assorbe e contiene in sé anche l’azione di responsabilità sociale; da altro punto di vista è invece azione dai margini più ristretti per le limitazioni alla caratterizzazione soggettiva della condotta degli autori del danno (colpa grave o dolo) che tale responsabilità amministrativa richiede contrariamente all’azione di responsabilità sociale 8ove è sufficiente la colpa lieve).
Differenti sono altresì i convenuti delle due azioni: se infatti l’azione di responsabilità sociale ha come destinatari solo gli amministratori della società ed il direttore generale, l’azione di responsabilità amministrativo-contabile può colpire anche i dirigenti (anche non investiti di funzioni institorie) e i dipendenti che con il loro comportamento gravemente colposo o doloso abbiano contribuito a procurare il danno.
Nulla si oppone alla compresenza nell’ordinamento della duplicità concorrente delle due azioni, che peraltro, come dimostrato, non sono identiche né sul piano sostanziale né su quello processuale.