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Articoli e note

n. 11/2003  - © copyright

FEDERICO MONNI

Gli accordi tra le pubbliche amministrazioni,

con particolare riguardo all’ordinamento degli enti locali

Premessa.

         Il presente lavoro si propone di fornire una ricostruzione dei principali istituti di diritto positivo in tema di accordi tra pubbliche amministrazioni, con una attenzione particolare all’ordinamento degli enti locali e alla gestione dei servizi pubblici.

         L’analisi prenderà le mosse da una ricognizione analitica della vigente normativa afferente ciascuna tipologia di accordo fornita di specifica disciplina legislativa, relativamente alle fasi della formazione, della esecuzione e dello svolgimento del rapporto connesso da ciascuna fattispecie, per, poi, addivenire alla ricostruzione delle relative categorie prescrittive. Tale ricostruzione intende essere scevra da concettualismi e qualificazioni descrittive e ancorarsi saldamente ai dati offerti dal diritto positivo, fondandosi sul concreto regime giuridico caratterizzante ciascun istituto.

        Si tenterà, poi, di evidenziare eventuali identità, analogie o diversità tra tali istituti tra loro e rispetto ai tradizionali moduli di esercizio autoritativo e/o unilaterale dell’attività amministrativa, per verificare la possibilità di fornirne una ricostruzione, nella sua completezza, della disciplina di riferimento, al fine di derivarne eventuali implicazioni di regime ossia di individuare eventuali principi e disposizioni specifiche capaci di integrare la disciplina giuridica positivamente posta relativamente a ciascuna figura.

CAPITOLO I

Gli accordi ex articolo 15 della legge n. 241/90 [1].

1.1. Quadro di riferimento normativo.

            L’articolo 15 della legge n. 241/90 – di seguito denominata legge - è collocato nell’ambito del Capo IV della legge n. 241/90, rubricato “Semplificazione dell’azione amministrativa”. Esso abilita le amministrazioni pubbliche a concludere tra loro, anche al di fuori delle ipotesi nelle quali è prevista l’indizione di una conferenza di servizi a norma del precedente articolo 14, “accordi”, aventi ad oggetto la disciplina afferente lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune.

         La norma in commento pone, pertanto, una disciplina generica ed essenziale, non precisando né le procedure attraverso le quali addivenire a tali accordi né i soggetti abilitati a concluderli né l’oggetto specifico degli stessi, ma limitandosi ad assoggettare tale figura di accordi alle disposizioni previste dall’articolo 11, commi 2, 3 e 5 della legge, dettate in tema di accordi determinativi del contenuto discrezionale del provvedimento finale ovvero di accordi sostitutivi di provvedimento, limitando, peraltro, la cogenza e la piena vigenza delle stesse alla condizione che esse siano applicabili alla fattispecie de qua.

         L’articolo 15 non provvede a dettare una disciplina specifica ovvero speciale relativamente agli accordi de quibus, se non appunto rinviando a parte della disciplina dettata da altra disposizione relativamente ad altra fattispecie – appunto, quella degli accordi integrativi e sostitutivi tra amministrazione e privati.

         Una prima condizione alla possibilità di concludere accordi del genere di quelli di cui al presente paragrafo è quella che possono essere parti di siffatti accordi esclusivamente amministrazioni pubbliche che abbiano un interesse allo svolgimento dell’attività per la cui disciplina si inducono ad addivenire alla conclusione di tali accordi e, quindi, che abbiano titolo a svolgere tale attività.

         Ulteriore considerazione deve avere riguardo al termine “attività” contenuto nella disposizione in commento senza ulteriori specificazioni. Per “attività” si intende generalmente qualsiasi tipo di attività giuridica, sia essa amministrativa di diritto pubblico sia essa amministrativa di diritto privato, cioè attività funzionalizzata, in quanto immediatamente intesa al perseguimento di interessi pubblici, sia essa, infine, attività di diritto comune, relativamente ai rapporti patrimoniali e alle acquisizioni di beni e di servizi strumentali allo svolgimento delle attività finali della amministrazione, nonché attività materiale (prestazioni). Pertanto, prescindendo per il momento da ogni considerazioni di ordine sistematico e limitandoci al piano del mero lessico giuridico come consolidatosi nel tempo ad opera delle elaborazioni dottrinali e giurisprudenziali, parrebbe possibile concludere accordi sia per lo svolgimento di funzioni amministrative striato sensu, cioè di attività amministrative costituenti esercizio di potestà amministrative, che di attività che esercizio di potestà amministrative non sono (attività connessa alla prestazione di servizi pubblici ovvero attività attinenti alla gestione patrimoniale o alla acquisizione di beni e servizi).

         Peraltro, il rinvio a parte della disciplina di cui all’articolo 11 – dedicata agli accordi integrativi e sostitutivi di provvedimenti tra amministrazione e privati -, operato dall’articolo 15, sembra voler significare che gli accordi de quibus si inseriscano in una fase procedimentale già avviata al fine di determinare il contenuto discrezionale di provvedimenti ovvero per sostituirli e, pertanto, che gli stessi siano conclusi esclusivamente nell’esercizio di potestà amministrative [2]. In altri termini gli accordi ex articolo 15 si configurerebbero come accordi procedimentali prodromici al provvedimento o ai provvedimenti finali ovvero sostitutivi di questi ultimi.

         Invero, lo schema generale degli accordi in esame, desumibile dal richiamo contenuto nell’articolo 15, comma 2, ai commi 2, 3 e 5 dell’articolo 11 citato e dalla clausola “anche al di fuori delle ipotesi previste dall’articolo 14”, sembra ruotare attorno al trapianto in tale sedes materiae della duplice tipologia di accordi – integrativi e sostitutivi di provvedimenti e non di atti endoprocedimentali che si collocano all’interno della dinamica procedimentale, quali intese, concerti, nulla osta o assensi comunque denominati di amministrazioni pubbliche – riconosciuta nei rapporti tra amministrazione e privati collocatisi all’interno di un procedimento già avviato. Tale modello non appare estensibile agli atti della fase pubblicistica che precede la fase negoziale relativa alla attività di diritto comune (ad evidenza pubblica) dell’amministrazione; in altri termini, l’accordo ex articolo 15 non può predeterminare il contenuto discrezionale ovvero sostituire gli atti e i provvedimenti che intervengono nella fase che precede la stipulazione dei contratti di diritto comune (ad evidenza pubblica) e che non solo non sono espressione di potestà pubblicistica, ma neanche rientrano nell’ambito della nozione di attività amministrativa, che propriamente è attività funzionalizzata, cioè immediatamente diretta al perseguimento dell’interesse pubblico.

         Gli accordi de quibus, si è detto, soggiacciono a parte della disciplina, peraltro, in quanto applicabile, prevista dall’articolo 11 con riferimento agli accordi integrativi e sostitutivi del provvedimento. In particolare, risulta richiamato il comma 2 che prevede la forma scritta ad substantiam di stipulazione degli accordi come regola generale, derogabile dalla legge in casi specifici, nonché l’applicabilità dei principi dettati dal codice civile in materia di obbligazioni e contratti alla duplice condizione che non vi sia una diversa disciplina e che tali principi siano compatibili con la natura degli accordi in esame, il comma 3 che assoggetta ai medesimi controlli previsti con riguardo ai provvedimenti amministrativi gli accordi sostitutivi di questi ultimi e, infine, il comma 5, che devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in materia di formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi. Non risulta, invece, richiamato il comma 4, che prevede il recesso unilaterale dall’accordo da parte dell’amministrazione in caso di sopravvenuti motivi di pubblico interesse con contestuale obbligo di liquidazione di un indennizzo alla controparte in relazione agli eventuali pregiudizi dannosi dalla stessa subiti.

1.2. Qualificazione della fattispecie. Il dibattito dottrinale e giurisprudenziale.

Occorre ora verificare il grado di autonomia della figura in esame: e, cioè, se essa sia da intendersi come una figura autonoma rispetto alle altre fattispecie cui si farà cenno nei successici capitoli oggetto di specifica separata disciplina ovvero se essa debba intendersi quale una disciplina generale, in quanto tale integrativa di quelle specifiche dettate con riguardo alle predette fattispecie, rispetto alle quali essa sarebbe priva di qualsiasi autonomia quanto agli aspetti dalla stessa non contemplati [3]. L’adesione alla prima ipotesi ricostruttiva impone che ci si soffermi sui possibili percorsi ricostruttivi che consentano di individuare una regolamentazione integrativa della fattispecie in esame, disciplinata in modo affatto generico dalla specifica disposizione che la riguarda.

         In particolare, occorre chiedersi se la figura di cui all’articolo 15 della legge ricomprenda la somma delle altre tipologie di accordo che si avrà modo di analizzare nei successivi paragrafi – che si porrebbero rispetto alla stessa in rapporto di genere a specie - e trovi, pertanto, di volta in volta, a seconda del suo concreto atteggiarsi e dei contenuti che assume il rapporto giuridico dalla stessa scaturente, nelle disposizioni che disciplinano quella tra tali tipologie nella quale essa dovesse prendere corpo e alla quale fosse riconducibile in concreto la propria disciplina integrativa ovvero se essa sia da accomunare solo ad alcune di esse, alla cui struttura dovrebbe conformarsi e alla cui disciplina, pertanto, sarà dato attingere in via esclusiva ovvero, infine, se essa sia in grado di vivere di vita autonoma e, quindi, sia in grado di funzionare anche in assenza di più dettagliate e specifiche discipline normative.

Secondo una sistematica [4], gli accordi in esame sono inquadrabili nell’ambito degli accordi di collaborazione, a loro volta collocati, unitamente agli accordi di coordinamento, nell’ambito dei procedimenti di concertazione, che, unitamente ai procedimenti concessori e ai procedimenti contrattuali costituiscono la tipologia - con valore principalmente descrittivo - dei procedimenti di tipo consensuale.

In particolare, i procedimenti di concertazione rientrano nell’ambito della tipologia – avente anch’essa un valore principalmente classificatorio – dei procedimenti finali, cioè dei procedimenti intesi al raggiungimento dei fini affidati alla cura della amministrazione pubblica e improntati alla produzione di effetti esterni, incidenti nella sfera giuridica dei destinatari. Secondo tale sistematica, gli accordi de quibus risponderebbero all’esigenza di collaborazione tra amministrazioni per la gestione di attività di interesse comune e sarebbero accomunati, in tale loro funzione, alle convenzioni di cui all’articolo 30 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, recante “Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali” – di seguito denominato decreto [5] - mentre si distinguerebbero dall’altro genus dagli accordi di coordinamento tra amministrazioni pubbliche, costituiti dagli accordi di programma di cui all’articolo 34, del decreto [6] e dalle varie forme di accordi di cui all’articolo 2, commi 203 e 204, della legge 23 dicembre 1996, n. 662. A tale impostazione pare ispirarsi anche quella dottrina [7] che qualifica gli accordi ex articolo 15 della legge quali atti giuridici finali e non già metodi di azione amministrativa. Infatti, anche tale dottrina distingue, come due ipotesi convenzionali diverse, gli accordi di programma di cui all’articolo 34 del decreto dagli accordi de quibus, al fine, tuttavia, di derivarne la inapplicabilità ai primi del regime dettato dall’articolo 11, commi 3 e 5, della legge e applicabile, per effetto del richiamo contenuto nell’articolo 15, comma 2, della legge, ai secondi [8].

Questi ultimi, in particolare, sostituirebbero provvedimenti amministrativi di competenza delle singole amministrazioni partecipanti e non servirebbero, invece, a disciplinare e coordinare l’adozione di questi. Gli accordi ex articolo 15 rispondono alla esigenza di collaborazione per la migliore gestione di pubblici servizi. Invece, l’accordo di programma individua i “comportamenti giuridici” che ciascuna amministrazione aderente si impegna a porre in essere secondo i contenuti, i tempi e le modalità di esercizio concordate. A ben vedere, il richiamo contenuto nell’articolo 15, comma 2, della legge al precedente articolo 11, comma 3, sembra avvalorare la configurazione degli accordi di cui all’articolo 15 come accordi che tengono luogo di atti assunti singolarmente da ciascuna amministrazione. Dalla rilevata differenza tra gli istituti appena analizzati dovrebbe evincersi la impossibilità tout court di rinvenire nell’articolo 34 citato e nelle connesse disposizioni la disciplina integrativa della fattispecie in esame.

Comunque, a prescindere dalle considerazioni appena esposte, è necessario rilevare come agli accordi in esame si applichino, per espressa disposizione legislativa, in mancanza di diversa disciplina normativa, i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti, ancorché subordinatamente alla accertata ricorrenza della condizione della loro compatibilità rispetto alla fattispecie in commento. La disciplina giuridica, relativamente alla definizione dell’accordo, alla sua interpretazione e alla esecuzione del relativo rapporto giuridico, è costituita dai principi civilistici. La clausola di compatibilità potrebbe essere interpretata come avente riguardo a quegli aspetti degli accordi in considerazione che divergono più marcatamente dal fenomeno del contratti di diritto comune (ad evidenza pubblica) e che riguardano, soprattutto, l’(eventuale) assenza del carattere della patrimonialità del rapporto giuridico originato da tali accordi.

         L’applicabilità agli accordi in commento dei principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti, salva la clausola di compatibilità, unitamente alla mancata espressa previsione del recesso unilaterale dell’amministrazione dall’accordo per sopravvenuti motivi di pubblico interesse, salvo indennizzo della controparte, non consente di fornire una risposta inequivoca e certa circa la natura delle posizioni giuridiche soggettive scaturenti dall’accordo e relativamente alla connessa questione della configurabilità in capo a ciascuna amministrazione della possibilità di sottrarsi alla esecuzione dell’accordo (c.d. ius poenitendi) e alla sua qualificazione giuridica (potestà amministrativa o diritto potestativo civilistico).

         A tal riguardo, non paiono convincenti quelle ricostruzioni che, per dare risposta a tali quesiti, prendono le mosse da una aprioristica qualificazione - non supportata, cioè, da precisi riferimenti di diritto positivo - degli accordi in esame in termini di precostituite categorie giuridiche, quali ad esempio quella del contratto di diritto pubblico[9], qualificazione dalla quale deriverebbero, ancorché, giova ripeterlo, in assenza di precisi indici rinvenibili nel diritto positivo, rilevanti implicazioni in ordine al regime giuridico applicabile, quali appunto il riconoscimento in capo all’amministrazione aderente dello ius poenitendi in presenza di dimostrate esigenze di pubblico interesse, oltre alla configurazione di una responsabilità contrattuale per inadempimento in tutti gli altri casi e al riconoscimento di forme di indennizzo analoghe a quelle proprie della responsabilità precontrattuale, alla sussistenza di posizioni sia di diritto soggettivo/obbligo, sia di interesse legittimo/potere e al riconoscimento del codice civile quale diritto applicabile a condizione che le sue disposizioni siano compatibili con le peculiarità delle singole fattispecie.

Piuttosto, sembra necessario, ai fini della corretta soluzione alla questione del riconoscimento dello ius poenitendi in capo alle amministrazioni aderenti, analizzare la rilevanza, alla stregua di precisi indici ricavabili dalla disciplina normativa vigente in materia, dell’aspetto della funzionalizzazione dell’attività della pubblica amministrazione con precipuo riferimento agli accordi in esame.

A tal riguardo, secondo una ipotesi ricostruttiva - basata sulla identità tra accordi tra amministrazioni e accordi tra amministrazione e privati -, dal mancato richiamo ad opera dell’articolo 15, comma 2, del comma 1 dell’articolo 11 non può desumersi la inoperatività relativamente agli accordi ex articolo 15 del vincolo di scopo[10], cioè del principio di funzionalizzazione dell’azione amministrativa svolta mediante moduli consensuali, principio ritenuto di valenza istituzionale, che il comma 1 dell’articolo 11 si limiterebbe semplicemente a ribadire; secondo tale tesi, in altri termini, il principio di funzionalizzazione troverebbe applicazione con riguardo all’attività dell’amministrazione svolta mediante il ricorso a strumenti di diritto privato anche in assenza di espresse disposizioni legislative e sarebbe, comunque, espressamente previsto dall’articolo 1, comma 1, della legge, che assoggetta l’”attività amministrativa” all’obbligo del perseguimento dei soli fini determinati dalla legge.

Peraltro, il mancato richiamo del comma 1 dell’articolo 11 sarebbe, secondo tale prospettiva, spiegabile anche sulla base della circostanza che lo stesso, oltre che alla riaffermazione del principio di funzionalizzazione predetto, contiene altre norme destinate, queste sì, a trovare applicazione solo con riferimento agli accordi tra amministrazione e privati. Secondo l’ipotesi ricostruttiva di cui è cenno – ma, qui si torna a quelle prospettive cui si è precedentemente fatto cenno costruite apoditticamente intorno a costruzioni concettualistiche di categorie giuridiche che prescindono da precipui riferimenti a dati di diritto positivo - gli accordi - coinvolgano essi esclusivamente amministrazioni pubbliche ovvero intervengano tra amministrazioni e privati - sarebbero configurabili come negozi di natura sostanzialmente privatistica […] pur contrassegnati da diverse peculiarità e, in particolare, dal c.d. vincolo di scopo, che l’amministrazione può utilizzare in luogo dei tradizionali strumenti unilaterali” [11], con le implicazioni che ne derivano in ordine alla posizione del principio della generale sostituibilità o alternatività tra strumenti di diritto pubblico (atti unilaterali) e strumenti di diritto comune (atti consensuali) dell’azione amministrativa e del principio di funzionalizzazione al pubblico interesse anche degli strumenti di diritto comune utilizzati dall’amministrazione ai fini dello svolgimento dell’azione amministrativa.

         L’operatività del vincolo di scopo anche con riguardo all’azione amministrativa svolta mediante il ricorso a strumenti di diritto comune costituirebbe un limite esterno rispetto alla esplicazione dell’autonomia negoziale delle pubbliche amministrazioni [12], non rientrando nello schema causale dell’accordo, non entrando, cioè, a far parte della struttura di quest’ultimo; la violazione di tale vincolo sarebbe sanzionabile attraverso la nullità dell’accordo stesso per violazione di norme imperative, che, appunto, sarebbero quelle che stabiliscono i fini da perseguire [13]; tale vincolo verrebbe in rilievo non esclusivamente nel momento genetico del sorgere del rapporto ma condizionandolo, altresì, nel corso del suo svolgimento, della sua esecuzione, valendo tale principio a fondare lo ius poenitendi delle amministrazioni coinvolte nell’accordo, peraltro sancito espressamente esclusivamente con riguardo agli accordi ex articolo 11, con una specifica disposizione (il comma 4), che non viene richiamata dall’articolo 15 [14].

D’altra parte, tale potere, ove legislativamente sancito, varrebbe a differenziare gli accordi con riguardo ai quali esso fosse riconosciuto dai contratti di diritto comune (ad evidenza pubblica) stipulati dalle pubbliche amministrazioni e che non varrebbe, comunque, a pregiudicare la qualificazione privatistica degli accordi medesimi, in quanto un potere di recesso unilaterale dall’accordo sarebbe sancito legislativamente anche per numerose tipologie contrattuali interamente ricadenti nell’orbita del diritto comune, disciplinate dal codice civile e da alcune leggi speciali. In altri termini, gli accordi ex articolo 15 costituirebbero una tipologia contrattuale dotata di propria peculiarità rispetto alla nozione generale di contratto, in cui gli effetti del potere di recesso coinvolgerebbero posizioni rispettivamente di diritto potestativo e di soggezione; tale potere, cioè, non sarebbe configurabile in termini di autotutela e, quindi, di ricostruibilità delle posizioni coinvolte dal potere stesso in termini di potestà/interessi legittimi. Anche il diritto all’indennizzo, riconosciuto a fronte dell’esercizio del potere di recesso unilaterale, sarebbe ricostruibile secondo i tradizionali schemi privatistici. Il mancato richiamo con riguardo agli accordi tra amministrazioni pubbliche non manca di suscitare un qualche disagio nei fautori di tale teoria, i quali lo imputano ad un peccato di ottimismo del legislatore, che avrebbe confidato nella capacità delle amministrazioni contraenti di pervenire ad una risoluzione consensuale del rapporto in presenza di sopravvenienze, circostanza, tuttavia, poco credibile nel mutato contesto di riferimento istituzionale attualmente vigente che, rotta la concezione unitaria dell’interesse pubblico, appare improntato al riconoscimento della sussistenza di una molteplicità ed eterogeneità di interessi pubblici affidati alle cure delle diverse amministrazioni.

         Sempre secondo l’ipotesi ricostruttiva in esame, le posizioni soggettive originate dall’accordo sarebbero configurabili in termini di veri e propri diritti soggettivi, come, peraltro, sarebbe dato ricavare dalla previsione del diritto di indennizzo nell’ipotesi di recesso unilaterale dell’amministrazione dall’accordo, che, al momento dell’entrata in vigore della legge, sarebbe stata difficilmente sostenibile ove le posizioni soggettive sacrificate fossero state qualificate come di interesse legittimo, stante l’allora unanimemente riconosciuto principio dell’irrisarcibilità dell’interesse legittimo.

         Peraltro, secondo tale posizione, la natura contrattuale della figura in commento comporta l’applicabilità alla stessa di tutte le disposizioni del codice civile in materia di obbligazioni e contratti, superando, per tale via, la mera esegesi letterale del disposto normativo e imporrebbe una lettura riduttiva della clausola di compatibilità prevista nel secondo comma dell’articolo 11, alla cui stregua si rileverebbe incompatibile con la natura della figura in commento quasi esclusivamente la norma di cui al secondo comma dell’articolo 1372 c.c., che sancisce l’inefficacia del contratto nei confronti dei terzi.

         Conclusivamente, è possibile affermare sulla base delle considerazioni innanzi espresse e alla stregua degli elementi offerti dal diritto positivo, che la disciplina degli accordi di cui all’articolo 15 della legge è costituita dal regime giuridico tipico dell’azione amministrativa, integrato, per gli aspetti non espressamente dallo stesso disciplinati, dai principi civilistici in materia di obbligazioni e contratti con esso non incompatibili. Tale disciplina deve intendersi propriamente come lo Statuto tipico dell’azione amministrativa svolta mediante moduli consensuali concretante il quadro di riferimento normativo generale per tutte le altre figure di accordo specificamente disciplinate nell’ambito dell’ordinamento degli enti locali, salvo ben inteso espressa deroga rinvenibile nelle discipline di settore. In questa prospettiva l’articolo 15 della legge si pone quale disciplina generale integrativa rispetto a quelle specifiche concernenti le diverse tipologie di accordo tra enti locali e tra enti locali ed altre amministrazioni pubbliche, che contengono principalmente norme intese a regolamentare i profili della soggettività, della competenza e delle procedure.

CAPITOLO II

Le convenzioni ex articolo 30 del D.Lgs. n. 267/00

2.1. Ricognizione della disciplina normativa: oggetto, finalità e contenuti.

         L’articolo 30 del decreto è collocato all’interno del Capo V afferente le forme associative.

         Le convenzioni in esame hanno ad oggetto [15] lo svolgimento in modo coordinato di funzioni e servizi determinati, laddove per svolgimento si intendono le attività, giuridiche o meno, provvedimentali o meno, che attengono all’esercizio di una o più funzione ovvero all’erogazione di uno o più servizi [16]. Pertanto, oggetto delle convenzioni è propriamente l’esercizio unitario di funzioni proprie di ciascuno degli enti coinvolti e relativo a settori di competenza comuni. Il fine è quello di ottimizzare i risultati connessi allo svolgimento di funzioni o alla gestione di servizi [17], sì da garantire un esercizio più efficace ed economico dell’azione amministrativa rispetto a quello che sarebbe dato raggiungere ove l’azione amministrativa fosse svolta separatamente da ciascuna amministrazione [18].

La figura in esame e la relativa disciplina appaiono ispirarsi ai principi di cui all’articolo 97 della Costituzione, come attuati dall’articolo 1 della legge, che assoggetta l’attività amministrativa ai criteri di economicità ed efficacia. Oggetto delle convenzioni è la “disciplina delle funzioni concordate” dagli enti convenzionati [19], che consenta, attraverso lo svolgimento coordinato delle funzioni e dei servizi rientranti nell’ambito delle rispettive attribuzioni, il raggiungimento di fini aggiuntivi e ulteriori rispetto a quelli che ciascun ente è, comunque, tenuto a perseguire con la propria azione. In questo senso, le convenzioni assolverebbero, secondo taluni, prevalentemente ad una funzione di carattere organizzatorio [20], che, tuttavia, deve mantenersi rispettosa della disciplina normativa che presiede allo svolgimento delle funzioni ovvero alla erogazione dei servizi singolarmente da parte di ciascuna amministrazione coinvolta [21].

         Le convenzioni hanno un contenuto obbligatorio: esse devono indicare i fini, la durata, le forme di consultazione degli enti stipulanti, i reciproci obblighi, anche di natura finanziaria, e garanzie. Oltre a questi elementi, le convenzioni possono recare anche previsioni ulteriori ed aggiuntive, quali la definizione delle modalità di prestazione del servizio, la costituzione di uffici comuni, cui destinare personale in distacco proveniente dagli enti convenzionati [22]. A tali uffici viene affidato l’esercizio delle funzioni pubbliche in luogo degli enti partecipanti all’accordo. Resta inteso che tali uffici non assumono la veste di organi o di enti dotati di propria personalità giuridica distinta da quella propria degli enti convenzionati, derivando il proprio titolo ad agire da quelli di cui sono attributari i corrispondenti uffici degli enti convenzionati, che, con la convenzione si associano, formando un ufficio comune, gli effetti giuridici della cui attività devono imputarsi in capo alle diverse amministrazioni coinvolte per il segmento di funzione o di servizio che a ciascuna competerebbe ove agisse singolarmente. Le convenzioni possono prevedere, altresì, la possibilità per gli enti stipulanti la convenzione di delegare l’esercizio delle funzioni ad uno di essi che opererebbe “in luogo e per conto degli enti deleganti”.

         Relativamente alle convenzioni per lo svolgimento coordinato di servizi determinati, si rinvia a quanto si avrà modo di esporre nel capitolo successivo con riguardo alla forma di gestione dei servizi mediante consorzio.

         Sotto il profilo soggettivo, la disposizione in commento si riferisce genericamente agli “enti locali”, la cui nozione è contenuta nell’articolo 2, comma 1, del decreto; essa ha riguardo ai Comuni, alle Province, alle Città Metropolitane, alle Comunità Montane, alle Comunità isolane e alle unioni di Comuni[23].

2.2. L’ordine legale delle competenze.

         Per quanto attiene al profilo afferente l’ordine delle competenze, l’articolo 42, comma 2, lett. c), del decreto attribuisce all’organo assembleare elettivo dell’ente locale la competenza, ex coeteris, in ordine alle “convenzioni tra i Comuni e […] tra i Comuni e Provincia” oltre che relativamente alla “costituzione e modificazione di forme associative”. Pertanto, gli enti locali che intendono ricorrere a tale forma associativa debbono preliminarmente adottare apposita deliberazione del Consiglio che approvi lo schema di convenzione, che sarà, poi, stipulata dai legali rappresentanti degli enti, non avendo tali atti natura gestionale ed esulando, pertanto, dalla sfera di competenze dei dirigenti.

         Si noti come con la stipula della convenzione gli enti convenzionati non vengono privati delle proprie attribuzioni in ordine alle funzioni e ai servizi oggetto di convenzionamento; questi ultimi, infatti, continuano a far capo a ciascuno di tali enti, che deve provvedere ad essi con gli stessi caratteri di doverosità e irrinunciabilità che caratterizzano il loro esercizio in forma singola [24], rappresentandone la convenzione esclusivamente una modalità di esercizio mediante uno specifico modulo operativo. Ne consegue che la convenzione non crea nuovi soggetti dotati di propria personalità giuridica, né nuovi organi e non istituisce nuove funzioni o nuovi servizi diversi da quelli che istituzionalmente competono agli enti aderenti alla convenzione stessa [25]. La circostanza che il ricorso al modulo convenzionale non determini la creazione di entità nuove e distinte dagli enti convenzionati, in quanto dotate di personalità giuridica vale a distinguere la forma associativa in commento da quella consortile di cui all’articolo 31 del decreto, che sarà oggetto di disamina nel capitolo successivo. In tal senso, la convenzione appare uno strumento che si caratterizza per la sua estrema flessibilità e che si distingue per tale via dalla forma associativa del consorzio, e che presuppone, al contrario, la creazione di una entità dotata di propria soggettività giuridica destinata allo svolgimento in maniera stabile di funzione e servizi con imputazione delle fattispecie e degli effetti giuridici derivanti dall’esercizio della propria attività giuridica direttamente in capo a tale entità [26].     

         La convenzione di cui all’articolo in commento costituisce un istituto riconducibile agli accordi analizzati nel capitolo precedente [27], la cui disciplina, quanto sia a modalità di costituzione sia a regime sostanziale applicabile, risulta, pertanto, pienamente estensibile all’istituto disciplinato dall’articolo 30 in esame, salvo diversa specifica disciplina derogatoria che, di volta in volta, dovesse integrare la disciplina da quest’ultimo recata.

         Il ricorso alla convenzione non subisce limitazioni per effetto della natura delle funzioni interessate[28]. Tuttavia, secondo parte della dottrina, vanno escluse le funzioni delegate agli Enti locali dallo Stato e dalla Regione, a meno che non vi sia a ciò espresso consenso da parte del soggetto delegante[29].

         La convenzione non può essere utilizzata per fondare una prestazione di attività di un ente a favore di un altro, né può alterare l’ordine legale delle attribuzioni tra i diversi enti coinvolti[30].

2.3. Le diverse figure di convenzione nella disciplina di settore.

La legislazione prevede ipotesi specifiche riconducibili allo schema generale di cui all’articolo 30 del decreto: così, la previsione di cui all’articolo 5 del DPR 902/86 [31], che consente l’attività extraterritoriale dell’azienda speciale di un comune a favore di altro comune, previa intesa del primo con quest’ultimo [32]. Altra ipotesi legislativamente prevista è quella di cui all’articolo 9, comma 3, della legge 5 gennaio 1994, n. 36, che individua espressamente tra le possibili forme di cooperazione tra gli enti locali ricadenti nel medesimo ambito ottimale per la organizzazione del servizio idrico integrato quello della convenzione de qua [33].

Ancora, v’è l’ipotesi di cui all’articolo 10 del DPR n. 465/97, relativo alle convenzioni tra i comuni di minore dimensione per la costituzione di uffici comuni di segreteria nell’ambito di un più ampio processo di integrazione nell’esercizio associato di funzioni [34].

Inoltre, la legge n. 537/93, nella parte dedicata alla contrattualistica pubblica, prevede la facoltà per gli enti locali di istituire uffici comuni per l’espletamento delle procedure di acquisto di beni e servizi allo scopo di ottenere condizioni contrattuali più favorevoli ed economie di spesa e procedimentali. Inoltre, la legge n. 109/94 prevede la possibilità di costituire uffici tecnici “consortili” per la redazione di progetti di opere pubbliche e per la direzione dei lavori, in caso di carenza di idonee strutture all’interno degli enti interessati.

Peraltro, è previsto che i compiti di direzione dei lavori possono essere affidati, con priorità rispetto al ricorso a professionalità esterne, ad altra pubblica amministrazione tramite convenzione; anche il D.Lgs. n. 446/97 prevede la facoltà di gestire l’accertamento delle entrate tributarie in forma associata, mentre il D.Lgs. n. 165/01 prevede la possibilità di ricorrere a convenzioni per la costituzione di uffici comuni per la gestione del contenzioso del lavoro. Inoltre, la legge n. 127/97 prevede la facoltà dei Comuni di favorire, mediante intese e convenzioni, la trasmissione di dati o documenti tra gli archivi dello Stato civile, le altre pubbliche amministrazioni e gli esercenti di pubblici servizi. Infine, l’articolo 108 del decreto consente la nomina del direttore generale nei Comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti esclusivamente previa stipulazione di apposita convenzione tra Comuni le cui popolazioni raggiungano complessivamente tale soglia demografica.

Tali ipotesi, tuttavia, non esauriscono i casi in cui è ammesso il ricorso all’istituto della convenzione, dato il carattere generale dell’articolo 30 in commento, il quale attribuisce una facoltà generale agli enti ai quali si indirizza, ai quali compete individuare ulteriori funzioni e servizi da svolgere in modo coordinato attraverso il modulo organizzatorio della convenzione.

CAPITOLO III

I Consorzi ex articolo 31 del decreto

3.1. Descrizione della cornice normativa

         Anche l’articolo 31 è collocato all’interno del Capo V, dedicato alle forme associative; esso prevede, come fine del consorzio, “la gestione associata di uno o più servizi e l’esercizio associato di funzioni”. Peraltro, il comma 8 della disposizione in commento prevede espressamente la tipologia di consorzi gerenti taluna delle attività di cui all’articolo 113-bis, vale a dire dei servizi pubblici locali privi di rilevanza industriale, tra i quali il comma 3 della medesima disposizione da ultimo citata annovera precipuamente i servizi culturali e del tempo libero.

         Coordinando la previsione di cui al comma 1 della disposizione in commento con quella di cui al comma 6, in forza della quale tra gli stessi enti locali non può essere costituito più di un consorzio, si ricava che possono essere costituiti sia consorzi per l’erogazione in forma associata di più servizi, sia consorzi per l’esercizio associato di più funzioni (servizi plurifunzionali).

         Sotto il profilo soggettivo, anche la disposizione in esame si riferisce genericamente agli “enti locali”, per i quali valgono le considerazioni espresse al paragrafo 2.1 relativamente alle convenzioni. Tuttavia, l’ultimo periodo del comma 1 dell’articolo 31, prevede la possibilità per “altri enti pubblici” di partecipare ai consorzi costituiti dagli enti locali, purché siano a ciò autorizzati alla stregua della disciplina legislativa a questi ultimi applicabile.

         Inoltre, è prevista l’applicazione, per quanto attiene alla costituzione di consorzi, salvo espressa clausola di compatibilità, delle norme dettate in tema di aziende speciali dall’articolo 114 del decreto. Inoltre, è prevista l’applicazione delle norme previste per le aziende speciali relativamente ai consorzi che gestiscono servizi pubblici locali privi di rilevanza industriale[35] (articolo 31, comma 8). Peraltro, l’articolo 2, comma 2, del decreto prevede in via generale l’applicazione delle norme sugli enti locali ai consorzi cui partecipano enti locali, con esclusione di quelli che gestiscono attività aventi rilevanza economica ed imprenditoriale e, ma solo ove previsto dallo Statuto, di quelli che gestiscono servizi sociali.

         A tale norma faceva da contraltare, in vigenza della precedente versione del testo dell’art. 31, comma 8, del decreto (prima della sua sostituzione ad opera dell’art. 35, comma 12, della legge 28 dicembre 2001, n. 448), la previsione dei consorzi per la gestione di attività aventi rilevanza economica ed imprenditoriale oltre che di consorzi per la gestione di servizi sociali. Ora, come si è già rilevato, per effetto delle modifiche summenzionate, tale ultima previsione è stata sostituita dalla previsione di consorzi per la gestione dei servizi di cui all’art. 113-bis del decreto, mentre è rimasta, per un difetto di coordinamento, quella di cui all’art. 2, comma 2, del decreto medesimo. Su tale profilo occorre ora brevemente soffermarsi.

3.2. Il consorzio quale forma di gestione associata dei servizi pubblici locali.

A tal riguardo, occorre precisare che l’articolo 35 della legge n. 448/01, prima, e l’articolo 14 del decreto legge n. 289/03, poi, hanno ridisegnato la disciplina afferente i servizi pubblici locali di rilevanza economica [36] contenuta nell’articolo 113 del decreto, prevedendo che la gestione di tali servizi debba avvenire previo conferimento della titolarità dei servizi medesimi a

1) a società di capitali individuate attraverso l’espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica;

2) a società di capitale misto pubblico privato nelle quali il socio privato venga scelto attraverso l’espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica che abbiano dato garanzia di rispetto delle norme interne e comunitarie in materia di concorrenza secondo le linee di indirizzo emanate dalle autorità competenti attraverso provvedimenti o circolari specifiche;

3) a società a capitale interamente pubblico a condizione che l’ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che la controllano [37].

Dalla erogazione del servizio è distinta la proprietà degli impianti, delle reti e delle altre dotazioni destinati all’esercizio del servizio medesimo, che deve rimanere degli enti locali e non può essere ceduta, salvo che gli enti locali stessi, anche in forma associata – necessariamente sub specie di convenzione -, ai sensi del comma 13, dell’articolo 113, così come sostituito dal comma 1, dell’articolo 35 citato e a condizione che ciò non sia vietato dalle normative di settore, conferiscano tale proprietà a società a capitale interamente pubblico, incedibile, del pacchetto azionario. Si noti che, ove la proprietà delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali strumentali alla erogazione dei relativi servizi sia di proprietà di soggetti diversi dagli enti locali, questi possono essere autorizzati a gestire i servizi o loro segmenti, a condizione che siano rispettati gli standard qualitativi, quantitativi, ambientali, di equa distribuzione sul territorio e di sicurezza, definiti dalla competente autorità di settore, ove istituita, ovvero in mancanza di questa, dagli enti locali, e siano praticate tariffe non superiori alla media regionale [38].

Relativamente, poi, alla gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali, essa può essere separata, ad opera della disciplina di settore, dalla attività di erogazione del servizio; in tal caso, gli enti locali, anche in forma associata – anche qui, mediante il ricorso allo strumento della convenzione -, possono avvalersi di

a) di soggetti allo scopo costituiti, nella forma di società di capitali con la partecipazione totalitaria di capitale pubblico, cui può essere affidata direttamente tale attività, a condizione che gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che la controllano;

b) di imprese idonee, da individuare mediante procedure ad evidenza pubblica.

Pertanto, alla luce del quadro ricostruttivo testé evidenziato, agli enti locali rimane la proprietà degli impianti, delle reti e delle altre dotazioni patrimoniali destinati alla erogazione dei servizi pubblici locali aventi rilevanza economica e, ove previsto dalle rispettive discipline di settore, la gestione di tali impianti, reti e dotazioni; gli enti locali possono, poi, anche ricorrendo alla forma associativa della convenzione, conferire la proprietà delle reti, degli impianti e delle dotazioni a società miste a capitale interamente pubblico e, relativamente alla gestione di tali reti, impianti e dotazioni, anche qui con possibilità di ricorrere al modulo convenzionale, possono avvalersi dei soggetti indicati nelle precedenti lettere a) e b). Al contrario, l’erogazione stricto sensu del servizio compete a società di capitali individuate mediante gare ovvero a società di capitolo misto pubblico-privato ovvero ancora a società a capitale interamente pubblico, cui è conferita la titolarità del servizio medesimo.

         Come è agevole rilevare, pertanto, il ricorso allo strumento del consorzio è stata relegata dal legislatore a forma associativa per la sola gestione dei servizi pubblici locali privi di rilevanza economica, mostrando di considerarlo inidoneo ai fini della gestione di quelli di rilievo economico (quali i servizi idrici integrati, il trasporto pubblico locale, il servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani, il servizio di distribuzione del gas), per i quali ha preferito la forma gestionale della società di capitale. Il consorzio si aggiunge, quale forma di gestione dei servizi pubblici locali privi di rilevanza economica, a quelle specificamente contemplate nell’elenco di cui all’art. 113-bis del decreto, che, pertanto, deve considerarsi sotto tale profilo non tassativo e precipuamente afferente i modi di gestione singola dei servizi de quibus da parte di ciascun ente locale.

         Sotto diversa angolatura, è possibile, altresì, considerare quella del consorzio quale forma gestionale riconducibile alla previsione di cui alla lettera b) dell’articolo in commento, concernente le “aziende speciali, anche consortili” [39]. Analogamente l’elenco di cui è cenno va integrato, altresì, con la previsione di cui all’art. 30 del decreto, analizzata al paragrafo precedente, relativa allo strumento della convenzione, che deve ritenersi quale forma associativa di gestione in economia di uno o più servizi pubblici, cui è possibile ricorrere allorquando, a cagione delle modeste dimensioni o per le caratteristiche intrinseche del servizio, non sembri opportuno ricorrere alle altre forme di gestione previste dal comma 1 dell’art. 113-bis.

3.3. Procedure, contenuti e struttura.

Relativamente all’iter procedimentale previsto per la costituzione di consorzi, il comma 2 dell’articolo in commento prevede l’approvazione, da parte dei rispettivi consigli, a maggioranza assoluta dei relativi componenti, di una convenzione ai sensi dell’articolo 30, unitamente allo Statuto del consorzio. Peraltro, tale espressa disposizione rappresenta una specificazione della previsione di cui all’articolo 42, comma 2, lett. c), del decreto, che rimette alla competenza del consiglio dell’ente locale la “costituzione e modificazione di forme associative”.

         La disposizione in esame ripartisce tra questi due strumenti i contenuti disciplinatori della vita dei consorzi: alla convenzione spetta disciplinare le nomine e le competenze degli organi consortili nel rispetto dell’ordine legale delle competenze interne a ciascun ente locale definito dalle corrispondenti disposizioni del decreto, oltreché le modalità di trasmissione agli enti consorziati degli atti fondamentali del consorzio; mentre, allo statuto spetta, in conformità alla convenzione disciplinare “l’organizzazione, la nomina e le funzioni degli organi consortili”. Relativamente a questi ultimi, il comma 4 della disposizione in commento individua l’assemblea del consorzio come quella composta, salvo diversa previsione da parte della convenzione e dello Statuto per i consorzi ai quali partecipino anche enti diversi dagli enti locali, dai “rappresentanti degli enti associati nella persona del Sindaco, del Presidente o di un loro delegato” ciascuno dei quali è dotato di una responsabilità “pari alla quota di partecipazione fissata dalla convenzione e dalla Statuto”. Mentre, ai sensi del successivo comma 5, è previsto il consiglio di amministrazione del consorzio eletto dall’assemblea, che ne approva gli atti fondamentali previsti dallo Statuto.

         Ai fini dell’individuazione degli atti fondamentali, con precipuo riferimento ai consorzi per la gestione dei servizi pubblici, occorre fa riferimento all’art. 111, comma 8, del decreto, in considerazione del rinvio operato a tale articolo dall’art. 31, comma 8, del decreto. Sono, pertanto, atti fondamentali il piano-programma – comprendente un contratto di servizio che disciplina i rapporti tra enti locali e consorzio -, il bilancio economico di previsione pluriennale ed annuale, il conto consuntivo e il bilancio di esercizio.

         Anche ai fini della costituzione di un consorzio è necessaria apposita deliberazione del Consiglio di ciascuno degli enti locali interessati, presa a maggioranza, si ritiene, dei consiglieri in carica, in assenza di specifica previsione che riferisca tale quorum ai consiglieri assegnati[40]. Con la deliberazione in esame ciascun ente approva gli schemi di convenzione e di statuto del costituendo consorzio.

         Gli organi del consorzio di gestione di servizi sono gli stessi previsti per le aziende speciali. Essi si distinguono in rappresentativi e esecutivi-gestionali: i primi sono costituiti dall’assemblea e dal suo presidente, i secondi dal consiglio di amministrazione e suo presidente e dal direttore. In particolare, l’assemblea è costituita di rappresentanti degli enti consorziati, individuati nel Sindaco o nei presidenti delle province o loro delegati e nei legali rappresentanti degli altri enti pubblici consorziati. Con precipuo riguardo agli enti locali e in riferimento alla figura del delegato dell’organo monocratico di governo dell’ente, si potrebbe ritenere che, in considerazione del ruolo e dei compiti dell’assemblea consortile, esso debba essere un assessore o un consigliere, ancorché, tenuto conto del uovo operato dalla disposizione in esame alle disposizioni afferenti la nomina di rappresentanti degli enti locali presso enti, aziende e istituzioni, nonché all’art. 50, commi 8, 9 e 10, del decreto, non pare potersi escludere che possano essere delegati anche terzi estranei all’amministrazione [41]; mentre, per quanto riguarda la eleggibilità di dipendenti dell’amministrazione di appartenenza dell’organo delegante, sembra che ogni scelta debba essere rimessa alle scelte regolamentari di ciascun ente conformemente, peraltro, alla disciplina normativa in materia di incompatibilità con la status di dipendenti pubblici.

         L’assemblea è organo a carattere permanete, di durata coincidente con quella del consorzio, non soggetto a scadenze periodiche, ma alle sole sostituzioni dei componenti interessati dalla scadenza dei propri mandati all’interno degli enti consorziati [42].

         I componenti del consiglio di amministrazione del consorzio sono nominati, per espressa disposizione di legge – inderogabile da parte della convenzione consortile -, dall’assemblea, previa eventuale designazione degli stessi ad opera degli organi competenti degli enti consorziati, ove ciò sia previsto nella convenzione istitutiva [43]. Possono essere nominati consiglieri del consorzio sia membri dell’assemblea sia estranei. Non è dato escludersi che la convenzione possa far coincidere la carica di presidente del consiglio di amministrazione con quella di presidente dell’assemblea e possa prevedere la nomina di un amministratore delegato [44].

         Il consorzio si fonda su una apposita convenzione stipulata dagli enti interessati alla gestione associata di funzioni e servizi, che assume una funzione propedeutica e servente rispetto alla costituzione del consorzio stesso [45].

         La disciplina assunta ai fini della formazione del nuovo organismo, in quanto compatibile, è quella afferente le aziende speciali di cui all’articolo 114 del decreto. La predetta clausola di compatibilità allude alla differente tipologia di consorzi, che possono avere ad oggetto sia servizi pubblici locali privi di rilevanza economica, che funzioni. Nel primo caso – c.d. “consorzi-azienda “- le norme sulle aziende speciali in tema di istituzione dei consorzi si applicano in toto, mentre nel secondo caso – c.d. “consorzi-enti amministrativi” -, esse devono conciliarsi con le norme sugli enti locali [46]. Quanto, poi, alla disciplina afferente il funzionamento dei consorzi, l’articolo 31, comma 8, del decreto dispone che i consorzi-azienda sono assoggettati alla medesima disciplina che riguarda le aziende speciali, mentre i consorzi-enti amministrativi risultano ex articolo 2, comma 2, del decreto legislativo da ultimo citato sottoposti in via generale alle norme sugli enti locali,

         Il consorzio rappresenta un nuovo soggetto dotato di propria personalità giuridica [47]; esso risponde degli interessi affidati alle sue cure sia nei confronti degli enti consorziati, sia nei confronti dei terzi.

         Le ragioni che possono essere poste a fondamento della scelta di tale forma associativa ai fini della gestione di un servizio pubblico sono molteplici e in parte analoghe a quelle alla base del ricorso alla stipula di convenzioni ai sensi dell’art. 30: esse possono consistere nella volontà di realizzare una forma di gestione del servizio più efficiente ed economica di quella che potrebbe assicurare dalla sua erogazione singolarmente ad opera di ciascun ente. Ancora, la costituzione di consorzi può giustificarsi alla stregua della natura del servizio che potrebbe sostanziarsi in attività eccedenti l’ambito territoriale di un singolo ente (es. un Comune). Il consorzio può provvedere direttamente alla gestione del servizio ovvero demandarla ad altri soggetti quali istituzioni, aziende speciali ovvero a società di capitali costituite o partecipate dagli enti locali [48]. In tal caso, i rapporti tra tali soggetti ed il consorzio dovranno essere disciplinati in un apposito contratto di servizio approvato dal consorzio stesso.

3.4. Problematiche specifiche.

         Il fatto che la normativa sull’ordinamento degli enti locali preveda e disciplini espressamente esclusivamente la forma consortile di cui all’articolo 31 in esame è sicuro indice del fatto che con la convenzione di cui al comma 2 di tale articolo non si possa procedere alla costituzione di consorzi privati ai sensi degli articoli 2602 e ss. del c.c. [49]. Infatti, questi ultimi, pur potendo rispondere a generiche esigenze organizzative e rispondere a finalità di analogo contenuto ai fini del perseguimento di livelli prestazionali più efficienti e di economie di spesa relativamente ai costi di produzione – elemento che può determinare una combinazione di discipline tra i due istituti per quanto attiene agli aspetti e agli elementi organizzatori -, appaiono ispirati al raggiungimento di obiettivi concreti affatto diversi rispetto ai consorzi tra enti pubblici, quali l’esigenza di fronteggiare e dominare la concorrenza. Inoltre, i consorzi privati tendono alla massimizzazione del lucro attraverso la realizzazione di economie di spesa, mentre non risultano soggetti alla medesima disciplina cui sottostanno i consorzi pubblici, relativamente alle modalità e ai contenuti delle prestazioni che questi ultimi sono tenuti a rendere in termini di obbligatorietà, adeguatezza riguardo al fabbisogno collettivo, continuità e contenimento delle tariffe compatibilmente all’esigenza di assicurare il pareggio del bilancio. Invero, i consorzi privati sono soggetti a vigilanza governativa esclusivamente in ordine alla circostanza che la loro attività risulti conforme agli scopi per i quali sono stati istituiti [50].

         Quanto alla scelta tra la forma associativa in esame e quella della convenzione è espressione non già di autonomia negoziale, bensì di discrezionalità amministrativa [51], in considerazione del fatto che, ai sensi del combinato disposto di cui agli articoli 31, comma 2 e 42, comma 2, lettera c), del decreto, la determinazione circa il ricorso ad una di tali forme è oggetto di apposito provvedimento amministrativo, ancorché sfornito di autoritarietà ed imperatività. Ciò significa che la scelta di che trattasi appare sindacabile sotto il profilo della sua congruità rispetto agli interessi pubblici sottesi allo svolgimento di determinati servizi e funzioni.

CAPITOLO IV

Gli accordi di programma ex articolo 34 del decreto

4.1. La disciplina di cui all’articolo 34 del decreto: gli aspetti procedimentali, organizzativi e contenutistici.

            L’articolo 34, anch’esso collocato all’interno del Capo V, concernente le forme associative tra enti locali, contempla e disciplina in maniera abbastanza dettagliata l’istituto dell’accordo di programma, il cui fine è quello di definire e attuare opere, interventi o programmi di intervento che “richiedono, per la loro completa realizzazione, l’azione integrata e coordinata di Comuni, di Province e Regioni, di amministrazioni statali e di altri soggetti pubblici, o comunque di due o più dei soggetti predetti”.

         Fine precipuo dell’accordi di programma è quello di “assicurare il coordinamento delle azioni e […] determinarne i tempi, le modalità, il finanziamento ed ogni altro connesso adempimento”. Tali elementi rappresentano il contenuto obbligatorio dell’accordo di programma, che può, poi, avere un contenuto facoltativo, ulteriore, potendo esso prevedere eventuali procedimenti di arbitrato, nonché interventi sostitutivi in caso di inadempienze dei soggetti aderenti all’accordo medesimo.

         La disposizione in commento, a differenza delle altre sinora analizzate, contiene una disciplina dettagliata del procedimento di conclusione dell’accordo di programma, alla stregua della quale compete all’organo monocratico di vertice dell’amministrazione dotata della “competenza primaria o prevalente sull’opera e sugli interventi o sui programmi di intervento” (Presidente della Regione, Presidente della Provincia o Sindaco) la promozione della conclusione di un accordo di programma, anche su richiesta di uno o più degli altri soggetti interessati al medesimo. L’organo monocratico promotore è tenuto a convocare preliminarmente una “conferenza tra i rappresentanti di tutte le amministrazioni interessate”, al fine di verificare i margini di negoziabilità ai fini di una conclusione positiva dell’accordo di programma.

         L’accordo consiste, a norma del comma 4, nel “consenso unanime” degli organi monocratici di vertice degli enti territoriali e locali coinvolti da un lato, e delle altre amministrazioni interessate, dall’altro[52]. Tale previsione è da mettere in relazione alla disposizione di cui all’articolo 42, comma 2, lettera c), del decreto che assegna al consiglio dell’ente locale la competenza limitatamente alla “costituzione e modificazione di forme associative”. A ben vedere, tale ultima disposizione ricomprende, altresì, gli accordi di programma de quibus, imponendo per tale via che la determinazione di ricorrere all’istituto in commento sia rimessa all’organo assembleare dell’ente locale.

         E’ prevista, poi, l’approvazione dell’accordo raggiunto con “atto formale” del medesimo organo promotore dell’accordo, nonché la sua pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione, quale fase integrativa dell’efficacia del medesimo.

         Sono previsti, infine, taluni effetti ricollegati ope legis all’accordo: così, l’accordo, ove sia adottato con decreto del Presidente della Regione, produce gli effetti dell’intesa di cui all’articolo 81 del D.P.R. n. 616/77, determinando le eventuali conseguenti variazioni degli strumenti urbanistici e sostituendo le concessioni edilizie, a condizione che vi sia l’assenso del Comune interessato, sub specie di adesione del Sindaco all’accordo medesimo e successiva ratifica del Consiglio comunale entro trenta giorni a pena di decadenza; così ancora l’atto di approvazione dell’accordo di programma, avente ad oggetto progetti di opere pubbliche comprese nei programmi dell’amministrazione e per le quali siano immediatamente utilizzabili i relativi finanziamenti, comporta la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza delle medesime opere (comma 6).

         E’ prevista la vigilanza in ordine alla esecuzione dell’accordo di programma, nonché l’esperibilità di interventi sostitutivi ad opera di un apposito collegio presieduto dall’organo monocratico dell’amministrazione promotrice e composto da rappresentanti degli enti locali interessati.

         L’oggetto della tipologia di accordi in commento appare ictu oculi caratterizzarsi per la sua ampiezza ed elasticità [53], non prestandosi, per un verso, a limitazioni di sorta relativamente ai settori di intervento e potendo afferire, per altro verso, alla intera attività di realizzazione di una specifica opera pubblica o a più opere pubbliche ovvero ad una sua determinata fase procedimentale della stessa (istruttoria, localizzativa o esecutiva) o, ancora, ad uno o più interventi [54] o ad uno o più programmi di intervento, anche a prescindere dalla loro natura di strumenti di attuazione di presupposti atti di programmazione [55]. L’individuazione dello specifico oggetto dell’accordo di programma è rimesso alla scelta discrezionale delle parti [56]. La previsione, nell’ambito dei possibili contenuti dell’accordo, dei “programmi di intervento” sembra alludere alla possibile configurabilità di accordi che, lungi dall’essere sostitutivi di provvedimenti, si pongano quali prodromici rispetto alla successiva adozione di provvedimenti attuativi degli accordi stessi [57], con valenza programmatoria.

         Il fine prevalente sotteso alla stipulazione di accordi di programma è quello di favorire i raccordi tra le amministrazioni, imprimendo una accelerazione dei tempi dei procedimenti amministrativi e di migliorare così la qualità delle prestazioni pubbliche [58]. Il senso è quello di ricomporre il decomposto, frammentario e confuso quadro di attribuzioni e competenze scaturito dal processo di attuazione del principio del pluralismo istituzionale, nel segno della ricerca di modalità operative che, nel rispetto delle diverse provviste funzionali interferenti su un medesimo ambito settoriale e di attività, ovvero ai fini della realizzazione di un medesimo obiettivo,consentano di raggiungere più elevati livelli di efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa [59].

4.2. Le parti dell’accordo.

         Quanto più specificamente alle parti dell’accordo, è bene precisare che potrebbe non esserci coincidenza tra le amministrazione invitate a partecipare alla conferenza di servizi preliminare e quelle che, a seguito del confronto in tale sede, esprimeranno il consenso; da ciò consegue che l’oggetto originariamente predisposto potrebbe subire delle modificazioni e non coincidere con quello definito nell’accordo definitivo [60]. Risulta indubitabile che gli enti dotati di attribuzioni di amministrazione attiva funzionali al raggiungimento degli obiettivi dedotti nell’accordo abbiano il diritto/dovere di partecipare all’accordo [61]. La partecipazione all’accordo deve essere esteso, altresì, a quelle amministrazioni portatrici di interessi comunque coinvolti dall’oggetto dell’accordo, ancorché non siano prive di competenze di amministrazione attiva in quanto non fatte oggetto di espressa menzione ad opera della disciplina legislativa[62]. Appare, altresì, utile estendere tale partecipazione anche a quelle amministrazioni deputate al rilascio di autorizzazioni, nulla-osta, etc., sì da garantire effettività all’accordo[63].

4.3. Aspetti procedimentali e funzionali specifici: in particolare, l’ordine legale delle competenze

         Quanto alla fase della iniziativa, occorre precisare che è possibile distinguere due sotto-fasi: quella eventuale della pre-iniziativa e quella della iniziativa vera e propria [64]. Quanto alla prima, si badi come l’eventuale diniego di promuovere la conclusione dell’accordo debba essere sorretto da una congrua motivazione [65]. La circostanza che l’iniziativa sia assunta da soggetto diverso rispetto a quello astrattamente competente alla stregua dei criteri normativamente posti [66], ma quest’ultimo abbia aderito all’accordo, non pare configurare alcuna ipotesi di invalidità dell’accordo [67]. Anche nel caso specificamente preso in considerazione dall’articolo 34, comma 4 – secondo cui, ove l’accordo sia adottato dal presidente della Regione, esso produce gli effetti dell’intesa di cui all’articolo 81 del DPR n. 616/77, determinando le eventuali e conseguenti variazioni degli strumenti urbanistici e sostituendo le concessioni edilizie, a condizione che il comune interessato abbia prestato il proprio assenso -, si ritiene che l’accordo implicante variazione degli strumenti urbanistici non debba essere necessariamente promosso dal presidente della Regione, ossia dallo stesso soggetto competente ad approvare l’accordo [68].

         L’articolo 34 non ha introdotto una modifica dell’ordine legale delle competenze degli organi di ciascun ente coinvolto relativamente all’opera, all’intervento o al programma di interventi da realizzare [69]. Tuttavia, in taluni casi, la giurisprudenza ha ritenuto necessario che l’iniziativa dell’organo monocratico fosse preceduta da una deliberazione di indirizzo dell’organo consiliare competente in ordine allo specifico oggetto dell’accordo che fuoriuscisse dall’ambito proprio delle competenze di quello [70].

         Tuttavia, pare preferibile ritenere che l’ordine legale delle competenze rilevi non nella fase dell’iniziativa, bensì in quella decisoria della conclusione dell’accordo di programma [71]. In particolare, l’articolo 34, comma 4, distingue tra livelli di governo coinvolti e, cioè, tra enti territoriali e locali, da un lato – per i quali reca una espressa disposizione afferente il profilo della competenza –, e le altre amministrazioni interessate, dall’altro. A tal riguardo, non pare condivisibile la posizione di quanti ritengono che la formula utilizzata dal legislatore valga a fondare in capo agli organi monocratici di governo di comuni, province e regioni - in continuità, peraltro, con il recente processo di riforma che ha attribuito loro ruolo e competenze sempre più rilevanti nell’ambito dei rispettivi enti – una competenza esclusiva in materia di accordi di programma [72]. Una siffatta deroga rispetto all’ordinario assetto delle competenze definito dalla legge dovrebbe fondarsi, infatti, su una previsione legislativa espressa e in equivoca del legislatore in tal senso, nell’ambito delle disposizioni che disegnano l’assetto ordinario delle provviste funzionali relativamente a ciascun ente [73], previsione che nel caso in esame manca [74].

              La formula di cui all’articolo 34, comma 4 pare, piuttosto, doversi interpretare come individuante l’organo chiamato a partecipare verrebbe da dire fisicamente, in qualità di rappresentante legale dell’ente, all’accordo e ad esternare manifestazioni di volontà che restano, tuttavia, assoggettate all’ordine legale delle competenze con riguardo ai diversi oggetti di volta in volta coinvolti dall’accordo [75]. Secondo tale prospettiva, la norma di cui all’articolo 34, comma 5 è da intendersi propriamente come confermativa di quanto anzidetto; semmai, essa varrebbe a consentire l’intervento dell’organo ordinariamente competente ex post rispetto alla adesione all’accordo da parte dell’organo chiamato a manifestarla e non, come dovrebbe accadere nelle altre ipotesi, prima che tale adesione venga prestata.

         Per quanto attiene all’aspetto della partecipazione dei privati agli accordi di programma, occorre premettere che l’articolo 34 non preveda alcunché in merito. Tuttavia, si deve rilevare come in taluni casi l’obiettivo perseguito dall’accordo di programma può comportare, altresì, l’interevento di tali soggetti. Peraltro, la partecipazione dei privati non pare poter costituire un ostacolo rispetto al perseguimento effettivo degli obiettivi che gli enti si ripromettono di conseguire mediante la conclusione di un accordo di programma e, anzi, appare funzionale proprio alle esigenze di semplificazione e concentrazione dell’azione amministrativa connesse a tale istituto, nonché ai fini di una più approfondita e completa istruttoria. Tuttavia, la partecipazione dei privati sembra più correttamente rilevare nell’ambito degli istituti di cui all’articolo 11 della legge, che potrebbero accostarsi all’accordo di programma, rilevando nella fase attuativa di questo, ove lo stesso abbia ad oggetto esclusivamente la disciplina delle future azioni che dovranno essere intraprese da parte di ciascun ente aderente, ovvero nella medesima fase formativa dello stesso, ove questo assuma anche contenuti integrativi dei successivi provvedimenti di competenza degli enti aderenti o sostitutivi dei medesimi[76]. In tal caso, infatti, rilevano gli istituti della partecipazione procedimentale che informano l’esercizio della funzione amministrativa

Quanto ai contenuti dell’accordo di programma, in considerazione della configurazione di questo quale espressione di discrezionalità amministrativa, al cui regime tipico lo stesso risulta astretto, è necessario che ciascun ente, nell’esercizio di tale discrezionalità, rispetti i vincoli che derivano dalla legge relativamente alle rispettive attribuzioni, ai modi di esercizio di queste e agli effetti giuridici connessi all’esercizio della propria attività giuridica, non potendo l’accordo derogare a tali indicazioni e dovendo esso rispettare il principio di legalità che presiede allo svolgimento dell’attività amministrativa [77].

         Quanto agli aspetti procedimentali, nella fase istruttoria della sequenza procedimentale si colloca la conferenza di servizi, nell’ambito della quale si procede alla definizione dell’oggetto dell’accordo , delle azioni coinvolte e del ruolo dei diversi attori. A tale fase possono essere chiamati ad intervenire, a fini collaborativi e funzionali alla corretta ponderazione degli interessi coinvolti e alla completezza dell’istruttoria, anche soggetti che non titolati a partecipare alla successiva fase di adozione dell’accordo [78]. Non pare che la conferenza dei servizi sia la sede necessaria ai fini dell’estrinsecazione dell’accordo, afferendo essa propriamente alla fase istruttoria del procedimento di formazione dell’accordi; pertanto, il consenso può essere espresso da parte delle amministrazioni interessate anche al di fuori di tale sede, magari separatamente da parte di ciascuna, che si curerà di farlo pervenire all’autorità competente ad approvare l’accordo steso [79]. Sembra non condivisibile la posizione di quegli autori che sostengono che, in caso di interruzione dell’istruttoria, il ragionevole affidamento dei partecipanti in ordine alla positiva conclusione dell’accordo possa ricevere tutela alla stregua del principio evincibile dalla disposizione di cui all’articolo 1337 c.c [80], in quanto esso pare incompatibile – per tutto quanto espresso al capitolo I, paragrafo 1.2 - con la natura propria degli accordi in esame.

         L’unanimità dei consensi richiesta ai fini della conclusione degli accordi di programma si pone quale garanzia della autonomia degli enti partecipanti, in quanto esclude che gli stessi possano subire gli effetti di un accordo adottato a maggioranza indipendentemente dalla manifestazione del proprio consenso allo stesso [81].

         Per quanto attiene alla natura dell’atto di approvazione dell’accordo di  programma [82], si ritiene che esso assolva ad una funzione di esternazione dell’accordo [83] rispetto al quale è privo di autonomia [84]; esso si colloca propriamente nella fase integrativa dell’efficacia dell’accordo per i contenuti di questo rilevanti nella sfera giuridica dei terzi, mentre si deve ritenere che l’accordo produca immediatamente i propri effetti tra gli enti aderenti [85]

4.4. La configurazione giuridica degli accordi di programma.

         Alla stregua delle considerazioni innanzi espresse e di quanto rappresentato al paragrafo 1 della presente sezione, la tipologia di accordi in esame è riconducibile nell’ambito degli accordi di cui all’articolo 15 della legge n. 241/90, con tutte le conseguenze che ne conseguono in ordine alla loro natura giuridica e al regime cui sono soggetti[86]. In particolare, deve ritenersi che il regolamento originato dall’accordo di programma sia soggetto alla regola rebus sic e stantibus e non sia impermeabile rispetto al sopravvenire di motivi di interesse pubblico che consentano, previa loro attenta valutazione e ponderazione con gli interessi pubblici sottesi all’accordo di programma, il recesso unilaterale dall’accordo stesso da parte di uno o più degli aderenti.

         Connessa al tema della natura giuridica degli accordi in esame è la questione delle azioni esperibili a tutela delle posizioni giuridiche coinvolte dall’accordo, si ritengono ammissibili le domande dirette all’adempimento degli obblighi dedotti nell’accordo, nonché di quelle dirette all’annullamento di atti contrari a tali obblighi.

         Relativamente alla tutela delle posizioni soggettive dei terzi coinvolte nell’accordo, queste devono qualificarsi in termini di interessi legittimi, la cui lesione fonda la legittimazione al ricorrere avverso l’accordo ovvero gli atti attuativi lo stesso per motivi di legittimità. E’ ammissibile, altresì, il ricorso avverso il silenzio rifiuto dell’amministrazione servato in ordine alla emanazione dei provvedimenti attuativi dell’accordo [87]

CAPITOLO V

Gli accordi ex articolo 203 della legge 23 dicembre 1996, n. 662 [88] (cenni).

            L’articolo 203 della legge n. 662/96 contempla una serie di moduli convenzionali per la definizione unitaria dell’azione pubblica in un determinato settore caratterizzatisi quali moduli organizzativi e negoziali che vanno sotto il nome “programmazione negoziata”. In particolare, l’oggetto della programmazione negoziata consiste nella “attuazione di interventi diversi, riferiti ad un'unica finalità di sviluppo, che richiedono una valutazione complessiva delle attività di competenza”[89], e consiste nella “regolamentazione concordata tra soggetti pubblici o tra il soggetto pubblico competente e la parte o le parti pubbliche o private” [90]. A tal riguardo sono previste diverse fattispecie, ciascuna dotata di proprie specifiche peculiarità: le intese istituzionali di programma, gli accordi di programma quadro, i patti territoriali, i contratti di area e i contratti di programma. I primi quattro sono moduli che si svolgono tutti all’interno dell’ “arena pubblica”, andando ad affollare il panorama organizzativo delle pubbliche amministrazioni, in quanto vanno ad affiancarsi alle strutture amministrative tradizionali e tuttora esistenti.

         In particolare, le intese istituzionali di programma sono accordi di collaborazione tra soggetti pubblici, ciascuno dei quali è dotato di proprie risorse che intende destinare ad una determinata area svantaggiata del Paese. Esse rappresentano una forma di raccordo ad un livello più alto di quello degli enti partecipanti. In particolare, tale modulo consiste nell’accordo con cui le parti – individuate nell’amministrazione centrale, regionale o delle province autonome - “si impegnano a collaborare sulla base di una ricognizione programmatica delle risorse finanziarie disponibili, dei soggetti e delle procedure amministrative occorrenti, per la realizzazione di un piano pluriennale di interventi di interesse comune o funzionalmente collegati” [91].

         L’accordo di programma quadro è l’accordo promosso dalle parti aderenti all’intesa istituzionale di programma in attuazione di quest’ultima “per la definizione di un programma esecutivo di interventi di interesse comune o funzionalmente collegato” [92]. Tale accordo coinvolge, altresì, gli enti locali ed altri soggetti pubblici e privati. Tra i contenuti obbligatori dell’accordo de quo è prevista, oltre all’indicazione delle attività e degli interventi da realizzare, dei tempi e delle modalità di attuazione e dei termini per gli adempimenti procedimentali, dei soggetti responsabili dell’attuazione delle singole attività di interventi, degli impegni di ciascun soggetto, del soggetto cui riconoscere poteri sostitutivi, dei procedimenti di conciliazione o definizione di conflitti tra i soggetti partecipanti all’accordo, delle risorse finanziarie occorrenti per la realizzazione dei diversi interventi, delle procedure e dei soggetti responsabili del monitoraggio e della verifica dei risultati, da effettuarsi ex post, v’è l’eventuale previsione di accordi di programma da concludere ai sensi dell’articolo 34 del decreto, nonché di conferenze di servizi o convenzioni necessarie ai fini dell’attuazione dell’accordo. E’ prevista espressamente la vincolatività dell’accordo di programma quadro per tutti i soggetti che vi aderiscano.

        Inoltre, è prevista, limitatamente alle aree di crisi, alle aree di sviluppo industriale e ai nuclei di industrializzazione, nonchè alle aree industrializzate di cui alla lett. f) dell’articolo 203 in commento, che gli atti esecutivi dell’accordo di programma quadro possano derogare alla normativa vigente in materia di amministrazione e contabilità, salvo il rispetto delle esigenze di concorrenzialità e trasparenza, nonché della normativa comunitaria in materia di appalti, di ambiente e di valutazione di impatto ambientale. Infine, con riferimento alle medesime aree appena citate, “determinazioni congiunte adottate dai soggetti pubblici interessati territorialmente e per competenza istituzionale in materia urbanistica” possono comportare i medesimi effetti di variazione degli strumenti urbanistici di cui all’articolo 34, commi 4 e 5, del decreto, già analizzati nel paragrafo precedente.

 Il patto territoriale è un modulo che trova il proprio fondamento ideologico nella concezione del ruolo importante del partenariato sociale nell’ambito di una ipotesi di sviluppo di un determinato territorio che nasca dal territorio. Il patto territoriale ha ad oggetto una ipotesi di sviluppo coordinato dall’alto, ma originata dal basso. Infatti, a norma dell’articolo 203, lett. d), della legge n. 662/96 il patto territoriale è propriamente un accordo promosso da enti locali, parti sociali ovvero altri soggetti pubblici o privati, avente i contenuti già visti relativamente all’accordo di programma quadro ed avente per oggetto la “attuazione di un programma di interventi caratterizzato da specifici obiettivi di promozione dello sviluppo locale”.

I contratti di area seguono il medesimo modello dei patti territoriali, distinguendosene per il solo fatto di rivolgersi a quelle aree nelle quali sussiste un problema occupazionale legato a fenomeni di deindustrializzazione, di grave crisi di un settore; diversa è, quindi, la finalità dei contratti d’area rispetto a quella dei patti territoriali.

I contratti di programma, infine, definiti dall’articolo 203, lett. e), della legge n. 662/96 quali contratti stipulati “tra l’amministrazione statale competente, grandi imprese, consorzi di medie e piccole imprese e rappresentanze di distretto industriali per la realizzazione di interventi oggetto di programmazione negoziata”, rappresentano un modulo nuovo di rapporti tra il privato e la pubblica amministrazione per intervenire in determinate aree. La peculiarità consiste nel fatto che un gruppo privato propone alla pubblica amministrazione un programma di interventi in un determinato settore produttivo o di servizi o del terziario.

Ciò rappresenta una evidente deroga rispetto alla regola generale della contrattualistica pubblica, imperniata sulla fase preventiva di manifestazione di volontà dell’amministrazione che decide cosa fare, quante risorse impiegare, le modalità di scelta del privato contraente che realizzi l’iniziativa prescelta. Nei contratti di programma, invece, è il privato che presenta il progetto, mentre l’amministrazione pubblica (nella species, il Ministero dell’Economia) istruisce la proposta avanzata dal privato, ne verifica la rispondenza rispetto agli indirizzi assunti dall’amministrazione medesima in materia di iniziative per lo sviluppo, oltre che la solidità dell’imprese e dell’iniziativa e la sua compatibilità finanziaria. Al termine di tali verifiche, infine, l’amministrazione, magari dopo aver rinegoziato la proposta con il privato promotore, ammette o meno l’iniziativa al finanziamento (mediante una proposta indirizzata al CIPE).

Tale strumentario comporta dei problemi di compatibilità con la legislazione vigente.

Inoltre, a differenza della disciplina normativa afferente gli accordi di programma quadro, che qualifica espressamente come vincolanti questi ultimi per tutti i soggetti che vi aderiscano [93], analoga disposizione non esiste con riguardo ai contratti di programma, per i quali va, pertanto, ricostruito il regime di vincolatività dello stesso per le parti.


 

[1] Articolo 15. 1. Anche al di fuori delle ipotesi previste dall’articolo 14, le amministrazioni pubbliche possono sempre concludere tra loro accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune. 2. Per detti accordi si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni previste dall’articolo 11, commi 2, 3 e 5.

[2]  Così, Damonte R, Atti, accordi, convenzioni nella giustizia amministrativa, CEDAM, Padova, 2002, pp. 145 e s.

[3] Per Caringella F., Corso di diritto amministrativo, Giuffrè, Milano, 2001, T. II, p. 1743, la disciplina prevista dall’articolo 15 “opera un’eterointegrazione rispetto all’insieme delle disposizioni dettate dalla normativa sugli enti locali”. In tale senso, cfr., altresì, TAR Liguria, Sez. I, 29 gennaio 2001, n. 52. Per  Damonte R., Atti, accordi, convenzioni, cit., pp. 145 e s., le norme di cui all’articolo 15 troverebbero applicazione, “sempre che non risulti applicabile una disciplina a contenuto più specifico che deroghi o, più probabilmente, si aggiunga alla prima con previsioni di ulteriore dettaglio”. Per l’A., quella di cui all’articolo 15 sarebbe una fattispecie di carattere generale “sebbene suscettibile di ulteriore integrazione e precisazione da parte di normative specifiche, quali quelle, ad esempio, aventi ad oggetto la conferenza di servizi o l’accordo di programma[…] qualsiasi accordo tra enti pubblici, stipulato nell’esplicazione di poteri pubblicistici, rientra all’interno del genus enucleato all’art. 15 L. 7.8.1990, n. 241 ed è, perciò, sottoposto alla correlativa disciplina, fatte salve, ovviamente, le deroghe che si possano desumere dalla peculiare normativa applicabile”. Secondo l’A., i tratti più significativi degli accordi ex articolo 15 “sono destinati a regolamentare in via residuale, anche tutte le altre tipologie di accordo, quantunque trovino una espressa, purché non difforme, disciplina in altre parti della l. 7.8.1990, n. 241 o in altre disposizioni normative”.

[4] Sandulli A., voce Il procedimento, in Trattato di diritto amministrativo, Cassese S. (a cura di), Giuffrè, Milano, 2000, pp. 1170 e ss. e, segnatamente, p. 1196.

[5] Accomuna, altresì, l’istituto di cui all’articolo 15 cit. e quello di cui all’articolo 30 citato nell’ambito delle medesime esigenze di collaborazione, precipuamente al fine della migliore gestione di un pubblico servizio, Pericu G., L’attività consensuale dell’amministrazione pubblica, in Diritto amministrativo, AA.VV. (a cura di), Monduzzi Ed., Bologna, 2001,  T. II, p. 1684. Lo stesso A., inoltre, distingue tra esigenze di coordinamento, da un lato, e forme di collaborazione nella gestione di servizi pubblici, dall’altro.

[6] Per Caringella F., Corso di diritto amministrativo, Giuffrè, Milano, 2001, T. II, p. 1738, “gli accordi di programma, più che essere uno strumento dell’amministrazione consensuale, alternativo rispetto ai tradizionali strumenti dell’amministrazione autoritativa, deve essere considerato quale strumento procedimentale di semplificazione e snellimento  dei raccordi procedimentali tra le diverse amministrazioni, le cui azioni è deputato a coordinare”. Tuttavia, si v., altresì, la successiva nt. 17. Contra, Cerulli Irelli V., Corso di diritto amministrativo, Giappichelli, Torino, 2001, p. 498, che qualifica gli accordi di programma coma la principale figura legislativamente prevista degli accordi di cui all’articolo 15.

[7] Caringella F., Corso di diritto amministrativo, cit., p. 1741.

[8]  Tuttavia,, per Caringella F., Corso di diritto amministrativo, cit., p. 1741, l’articolo 15 finisce con il rappresentare “il genus di tutti gli accordi tra P.A. rispetto al quale l’art. 34 del decreto delinea una species”.

[9]Sulla nozione di contratto di diritto pubblico, si v. Bruti Liberati E., Consenso e funzione nei contratti di diritto pubblico tra amministrazioni e privati, Milano, 1996; Falcon G., Le convenzioni pubblicistiche: ammissibilità e caratteri, Milano, 1984; Sticchi Damiani E., Attività amministrativa consensuale e accordi di programma, Milano, 1992; Fracchia F., Accordo sostitutivo. Studio sul consenso disciplinato dal diritto amministrativo in funzione sostitutiva rispetto agli strumenti unilaterali di esercizio del potere, CEDAM, Padova, 1998.

 Secondo la teorica più recente del contratto di diritto pubblico, quest’ultimo sarebbe configurabile quale figura contrattuale dotata di oggetto e disciplina propri e diversi rispetto a quelli caratterizzanti il contratto di diritto comune (ad evidenza pubblica). Oggetto del contratto di diritto pubblico sarebbero beni giuridici sottratti alla disponibilità dei privati e rientranti esclusivamente in quella della pubblica amministrazione. Inoltre, essi sarebbero caratterizzati, in molti casi,  dall’assenza del requisito della patrimonialità previsto dall’articolo 1321 del codice civile e dalla presenza di clausole incompatibili con l’intima essenza della dinamica dei rapporti nell’ambito dei contratti di diritto comune,  che prescindono dalla loro espressa previsione nell’ambito del regolamento contrattuale posto dalle parti, derivando dalla qualificazione stessa della figura presa in considerazione in termini di contratto di diritto pubblico. Così Pericu G., L’attività consensuale della amministrazione pubblica, in Diritto amministrativo, AA.VV. (a cura di), Monduzzi Editore, Bologna, 2001, pp. 1632 e ss. La necessità della configurazione di un’ipotesi consensuale in termine di contratto di diritto pubblico sembra derivare dalla constatazione della irriducibilità di tali ipotesi al modello dell’evidenza pubblica, secondo il quale il contratto ed il rapporto giuridico che ne consegue sono integralmente assoggettati alla disciplina prevista dal regolamento contrattuale creato dalle parti e, relativamente agli aspetti non disponibili pattizziamente, dal codice civile. Secondo l’A. ult. cit., la disciplina civilistica “non pare, di per se, la più propria per regolamentare fattispecie di accordi tra Amministrazioni pubbliche. Se si tiene conto che essa ha origine e mira a regolare rapporti a contenuto patrimoniale secondo il principio della sinallagmaticità. A ben guardare, l’eventuale assenza di contenuti patrimoniali esclude la stessa qualificazione come contratti di tali accordi “ (p. 1632). Ancora, secondo tale A., l’ipotesi ricostruttiva del contratto ad evidenza pubblica – che va generalmente sotto il nome di attività di diritto privato della p.a., quale attività giuridica della p.a. sottoposta ad una disciplina in parte pubblicistica ed in parte privatistica – “non è idonea a fornire una adeguata spiegazione a molti dei fenomeni che[…] si concretano in contratti, accordi tra privati e p.a. e tra Amministrazioni, i quali, evidentemente, debbono trovare una spiegazione per altra via” (p. 1633). Anche laddove il contratto di diritto pubblico, nel quale di norma, per definizione, non è dato rinvenire alcun atto unilaterale della pubblica amministrazione, come invece accade nel modello del contratto accessivo a provvedimento, fosse ricostruito come contratto preceduto da un atto amministrativo autonomo sostanziatesi nella decisione dell’amministrazione di aderire allo stesso, ciò nonostante esso non si confonderebbe con il modello dell’evidenza pubblica, “in quanto il contratto di diritto pubblico, per definizione, è soggetto a una disciplina difforme rispetto a quella dettata per i contratti dal codice civile” (p. 1641). Come precisato da Greco G., Argomenti di diritto amministrativo, Giuffré, Milano, 2000, pp. 180 e ss., la categoria del contratto di diritto pubblico è caratterizzata dalla circostanza che la parte pubblica agisce nell’esercizio di potestà amministrative e non già di autonomia negoziale e ciò anche relativamente alla fase genetica del rapporto, nonchè dal regime giuridico che caratterizza tale categoria coincidente con quello proprio dei provvedimenti amministrativi. La traduzione di diritto positivo di tale categoria sarebbe contenuta nell’articolo 11 della legge n. 241/90, che consentirebbe di equiparare tale categoria a quella degli accordi sostitutivi di provvedimenti. Le peculiarità più rilevanti dei contratti di diritto pubblico rispetto ai contratti di diritto comune (ad evidenza pubblica) attiene alla fase di esecuzione degli stessi ed è codificata dall’articolo 11, comma 4, della legge n. 241/90, che prevede la possibilità per l’amministrazione di recedere unilateralmente dall’accordo per sopravvenuti motivi di interesse pubblico. Tale recesso unilaterale, secondo tale teorica,  sarebbe una tipica manifestazione di potestà amministrativa, appunto di autotutela. In definitiva, la presenza di potestà amministrativa connota la fattispecie in esame, che si configura per tale via come una delle sue forme di manifestazione. Invece, nei contratti di diritto comune (ad evidenza pubblica), l’esercizio  di un diritto potestativo è ammissibile solo ove sia previsto e trovi disciplina nel regolamento contrattuale e sia conforme a questo. Esso non produce effetti in caso di sua difformità rispetto alle pattuizioni intervenute tra le parti. Nel caso del contratto di diritto pubblico, vertendosi in tema di esercizio di potestà amministrative – ancorché parzialmente vincolate dal regolamento pattizio -, ove l’esercizio di ulteriori manifestazioni di potestà amministrativa, questa volta esercitate in via unilaterale nel corso dello svolgimento del rapporto originato dalla stipula del contratto di diritto pubblico, confligga con le previsioni di tale regolamento, esso concreterebbe una ipotesi di invalidità degli atti espressione di tale esercizio che seguirebbe il regime tipico dei provvedimenti amministrativi e, cioè, della quella illegittimità. Tuttavia, la legittimità del provvedimento varrebbe ad escludere la configurabilità  di ipotesi di inadempimento, potendo semmai incidere sul rapporto contrattuale per altra via, quale quella della risoluzione dello stesso per impossibilità sopravvenuta.; Scoca F. G., Autorità e consenso, in Dir. amm., 3/2003, p. 446 dubita della predicabilità della qualificazione degli accordi, sia pure a quelli presi in esame dall’articolo 11, in termini di contratto di diritto pubblico, in quanto non ritiene proponibile la stessa figura di qualificazione ossia disconosce il contratto di diritto pubblico quale categoria giuridica presente nel nostro ordinamento giuridico. L’A. ritiene più corretto distinguere le diverse ipotesi di atti consensuali, tra i quali rientrerebbero, altresì, i contratti di diritto comune (ad evidenza pubblica), a seconda della disciplina loro applicabile. In questa prospettiva, egli qualifica gli accordi sostitutivi di provvedimenti – che, peraltro, configura quali ipotesi affatto diversa dagli accordi integrativi – come “atti consensuali a disciplina codicistica limitata e integrata con fonti diverse”; in altri termini come “accordi di diritto speciale” (p. 447). Per l’A., nel caso degli accordi integrativi, l’Amministrazione conserva con la stipula dell’accordo la propria potestà amministrativa relativamente al quid e non all’an, non essendo essa vincolata ad adottare il provvedimento finale. Per l’A., in particolare con riferimento agli accordi tra amministrazioni, ciascuna parte esercita poteri amministrativi. Più in generale, l’A. sottolinea come il “potere precettivo dell’amministrazione può essere autoritativo[…] e può anche non esserlo. In questo secondo caso,[…] non cessa di essere potere (precettivo) amministrativo; resta, comunque, un potere funzionalizzato ed assoggettato alla disciplina tipica (Statuto) dell’azione precettiva dell’amministrazione” (p. 450). In tutti gli atti consensuali nell’ambito dei quali rientrano, altresì, i contratti di diritto comune (ad evidenza pubblica), adottati dall’amministrazione nell’esercizio di poteri non autoritativi, l’amministrazione esercita pur sempre un potere amministrativo, mai libero, mai qualificante in termini di autonomia negoziale (fatte salve, beninteso, eventuali situazioni normativamente codificate eccezionali, es.: questione dell’impiego privatistico), sempre soggetto allo stesso “statuto giuridico”, che vale ad imprimergli il c.d. vincolo di scopo e a sottoporlo ad una serie di regole, formali e sostanziali (principio formale del procedimento; principio sostanziale del rispetto degli amministrati, sia interessati che terzi, cui fanno capo le regole della imparzialità, proporzionalità, trasparenza, ect.).

La scelta tra l’agire per accordi e l’agire per provvedimenti è propriamente una scelta discrezionale sul quomodo, che va operata secondo il criterio solito dell’interesse pubblico.

[10]  Cfr. Caringella F., Corso di diritto amministrativo, cit., p. 1744, secondo il quale la “circostanza del mancato rinvio al comma 1, ove prevede l’accordo debba essere caratterizzato da un vincolo di scopo rispetto all’interesse pubblico, si spiega con l’inutilità del suddetto rinvio, visto che l’accordo interviene solo tra amministrazioni la cui attività è naturalmente deputata al perseguimento di interessi pubblici. Inoltre, lo stesso art. 15 opera un chiaro richiamo al vincolo di scopo, nell’affermare che lo strumento degli accordi può essere utilizzato dalle amministrazioni evidentemente per le finalità istituzionali”.

[11] Cfr., Manfredi G., Accordi e azione amministrativa, cit., p. 122.

[12] Con precipuo riferimento agli accordi ex articolo 11 della legge, ritengono siano espressione di autonomia negoziale Cons, St., Sez. VI, 15 maggio 2002, n. 2636; Giacchetti S., Gli accordi dell’articolo 11 della legge 241 del 1990 tra realtà virtuale e realtà reale, in www.giust.it.; Manfredi G., Accordi e azione amministrativa, cit., p. 45 e ss.  Secondo tale orientamento, il provvedimento che segue l’accordo integrativo già concluso sarebbe del tutto astretto nei contenuti da quest’ultimo e sarebbe sindacabile in termini di adempimento o inadempimento dell’accordo medesimo e non già alla stregua dei comuni vizi di legittimità che caratterizzano il regime di validità proprio dei provvedimenti amministrativi; in particolare, per Giacchetti S., op. cit., nega che tale provvedimento possa essere sindacato sotto il profilo dell’eccesso di potere. Contra, Cass., Sez. Un., 13 novembre 2000, n. 1174.  Per Greco G., Accordi e contratti della Pubblica amministrazione tra suggestioni interpretative e necessità di sistema, in Dir. amm., 3/2002, p. 426, non è corretto ritenere che “l’attività di diritto privato della Pubblica amministrazione garantisca l’osservanza di un vincolo di scopo in qualche modo paragonabile con la funzionalizzazione del provvedimento amministrativo, tant’è che il legislatore, quando ha voluto assicurasi una analoga funzionalizzazione nella fase di formazione dei contratti di diritto privato, ha dovuto ricorrere alla procedura di evidenza pubblica”. Secondo tale A., (quanto meno) l’accordo integrativo, anzitutto, e, in via derivata, il provvedimento finale sarebbe sindacabile sotto il profilo dell’eccesso di potere (p. 426). Tale A. ritiene che “la forma dell’atto non trasforma la posizione giuridica  dell’Ammistrazione, né fa venir meno il relativo regime: consente solo di arricchire tale regime, aggiungendo ad esso (senza sostituirlo) la disciplina privatistica” limitatamente ai singoli principi, previa veirifca della loro “compatibilità”, locuzione che evocherebbe non la “mera applicabilità “che copre tutto ciò che non è altrimenti disciplinato)”, bensì la “conciliabilità dommatica del singolo principio da applicare” (p. 428). La diversità rispetto ai contratti di diritto comune (ad evidenza pubblica) assume rilevanza soprattutto nella fase di esecuzione del rapporto originato dall’accordo.

[13] Essendo, peraltro, la nullità azionabile da parte di chiunque vi abbia interesse, verrebbe, così, garantito anche ai terzi un’adeguata tutela dei propri interessi eventualmente lesi dall’accordo, similmente a quanto sarebbe loro assicurato dal regime tipico dei provvedimenti amministrativi (cfr. Manfredi G., Accordi e azione amministrativa, cit., p. 45 e ss).

[14] Secondo Damonte R., Atti, accordi, convenzioni, cit., p. 148 “gli enti partecipanti ad un accordo non possono, dopo averlo stipulato, ancorché siano sopravvenuti motivi di interesse pubblico, recedervi unilateralmente”, e ciò in forza del mancato richiamo della disposizione citata nel testo. Analogamente, Sticchi Damiani E., op. cit., . p. 116, il quale rileva il carattere di stabilità del rapporto originato dall’accordo di programma, stabilità che impedirebbe di configurare un potere di revoca da un consenso prestato. Contra, Pioggia, Gli accordi di programma, in Il procedimento amministrativo tra semplificazione partecipativa e pubblica trasparenza, Cavallo (a cura di), Giappichelli, Torino, 2000, p. 174, seconda la quale il mancato richiamo di cui è cenno sarebbe imputabile alla inopportunità della previsione di un indennizzo a fronte dell’esercizio del recesso e alla natura delle parti dell’accordo che, per definizione, non possono restare estranee rispetto alla sopravvenienza di motivo di interesse pubblico. Per Pugliese F., Fondamento e limiti della collaborazione tra enti territoriali, in Procedimenti,cit., pp. 467 e ss, la assenza di una posizione di supremazia in capo a uno degli enti aderenti all’accordo si porrebbe in contrasto con la configurazione di una potestà di recesso unilaterale, pertanto, secondo tale A., per poter recedere unilateralmente dall’accordo, occorre una apposita clausola inserita all’interno dell’accordo stesso.

[15]  Così, Romano E., Le convenzioni, in Commentario al nuovo T.U. degli enti locali, De Marzo G. e 

Tomei R., CEDAM, Padova, 2002, p. 225.

[16] Cfr. Romano E., Le convenzioni, cit., p. 225. L’aggettivo “determinati” associato ai sostantivi “funzione e servizi” nella disposizione in commento allude all’obbligo per gli enti interessati di individuare puntualmente i servizi e le funzioni da svolgere in regime convenzionale, sì da evitare che l’oggetto delle convenzioni resti indeterminato; così, Rolla G., Groppi T., L’ordinamento dei Comuni e delle Province, Giuffrè, Milano, 2000, p. 529. Contra, Vandelli L., Ordinamento delle autonomie locali, Maggioli, Rimini, 2000, p. 537, secondo il quale le convenzioni avrebbero “carattere in via di massima monofunzionale”.

[17] Si v.  Rolla G., Groppi T., op. cit., , p. 526.

[18] Così D. Bezzi, Articolo 30, in Testo Unico degli enti locali, V. Italia (a cura di ), Giuffrè, Milano, 2002, I, p. 367.

[19] Si v Romano E., Le convenzioni, cit., p. 226.

[20] Così, Romano E., Le convenzioni, cit., p. 226, il quale attribuisce alle convenzioni una funzione propriamente regolamentare, la quale per “il lato interno riguarda infatti l’apparato burocratico amministrativo  ed i mezzi per lo svolgimento delle attività, per il alto esterno la eventuale disciplina in senso oggettivo delle attività amministrative collegate all’esercizio delle funzioni ed all’espletamento di servizi soprattutto per i rilevati aspetti modificativi che dovessero conseguire al modo unitario  e coordinato del loro svolgimento”. Accanto a tale funzione, l’A. individua un contenuto propriamente contrattuale, relativamente ai rapporti finanziari e ai reciproci obblighi degli enti convenzionati, contenuti a supporto e servizio della funzione organizzatoria-regolamentare.

[21] Per Romano E., Le convenzioni, cit., p. 226, lo svolgimento in modo coordinato delle attività collegate all’esercizio di una funzione pubblica o all’espletamento di un servizio pubblico “ripropone l’esigenza che non ne sfugga il riferimento ad eventuali regole legislative proprie delle particolari attività e servizi”.

[22] Sul punto, si v. infra nel testo.

[23] Peraltro, ai sensi del successivo comma 2, è prevista in via generale – salvo diversa previsione – l’applicazione delle norme concernenti gli enti locali contenute nel decreto ai Consorzi cui partecipino enti locali, ad esclusione di quelli che gestiscono attività aventi rilevanza economica ed imprenditoriale e – ove previsto dallo Statuto – dei Consorzi aventi ad oggetto la gestione dei servizi sociali.

[24] Così, Romano E., Le convenzioni, cit., p. 226.

[25] Cfr. Maggiora E., in  Autonomia e ordinamento degli enti locali, V. Italia (con il coordinamento di), Giuffrè, Milano, 1999, p. 156; Romano E., Le convenzioni, cit., pp. 227 e s., secondo il quale, quali che siano i contenuti organizzatori che assume la convenzione, “essa non comporta soppressione di organi o modificazioni di competenze, ma al più, sospensioni di quelle attività che possono interferire sui compiti convenzionati”. L’A. porta ad esempio il caso in cui venga deliberato lo svolgimento in modo coordinato della funzione urbanistica afferente i territori di diversi enti; in tal caso, “la convenzione può stabilire uno studio unitario dei due territori ai fini della pianificazione territoriale. Questo però non significa che in luogo di due piani regolatori se ne possa predisporre uno valevole per entrambi i Comuni. Ogni Comune, infatti, deve dotarsi di un proprio piano regolatore. Tuttavia, mentre non appare precluso che un unico ufficio tecnico possa predisporre due strumenti urbanistici per i diversi Comuni, i vantaggi che ne derivano sono di ordine economico non meno che qualitativo e funzionale. Lo studio unitario dei territori con termini e le diversificate esigenze degli insediati possono, infatti, suggerire una più idonea dislocazione delle infrastrutture collettive, sicché, ad esempio, se nella zona territoriale dei Comuni interessati si avverta l’esigenza di una scuola superiore e di un ospedale, potrà apparire conveniente che non siano assieme previste su entrambi i territori”; analogamente, Vandelli L., op. cit., p. 537, secondo il quale la forma convenzionale risponde ad “esigenze di collaborazione tra enti locali che non presuppongono alcuna struttura giuridica ed organizzativa stabile e dotato di una distinta personalità giuridica: esigenze rispetto alle quali, dunque, forme quali il consorzio si presentano eccessivamente rigide, pesanti e, in definitiva, non funzionali; si v., altresì, Papiano V., L’autonomia locale, Bologna, 1991, p. 268, secondo il quale “non si tratta né di trasferimento o di delega di funzioni e nemmeno di affidamento di servizi a enti di nuova istituzione, bensì di autoregolamentazione circa le forme, le modalità e gli strumenti, con riguardo al fine perseguito”.

[26] Peraltro, anche nel caso del consorzio, la gestione del servizio o lo svolgimento della funzione viene disciplinato con apposita convenzione.

[27] Così Vandelli L., Ordinamento delle autonomie locali, Maggioli, Rimini, 2000, p. 540; si v., altresì, Romano E., Le convenzioni, cit., p. 229, il quale, tuttavia, sulla base dell’assunto di partenza della natura regolamentare delle convenzioni, distingue tra la disciplina relativa alle forme e ai modi di costituzione degli accordi ex articolo 15 della legge  - che ritiene estensibile alle convenzioni de quibus – e la disciplina di cui all’articolo 15, comma 2, della citata legge, nella parte in cui dispone l’applicabilità dei principi in materia di obbligazioni e di contratti, in quanto compatibili, rinviando al precedente articolo 11, comma 2 – della cui mutabilità a favore delle convenzioni dubita, rilevando, peraltro, come la differenza tra convenzioni e contratti riguarda sia l’oggetto che la natura degli interessi coinvolti. Secondo tale ult. A., infatti, il carattere patrimoniale dell’oggetto delle convenzioni può mancare del tutto e, comunque, risulta sfumato, mentre, gli interessi alla base della convenzione non sono contrapposti, ma omogenei e di essi non si tenta di perseguire una composizione, bensì il perseguimento più efficace e soddisfacente degli interessi e degli obiettivi di ciascun ente coinvolto. Ne consegue che “alla differenza dell’oggetto e degli scopi perseguiti  consegue una disciplina diversificata in relazione agli ambiti (pubblico-privato) in cui operano” i due istituti oggetto di attenzione, con la conseguente in operatività, relativamente alle convenzioni, dei principi civilistici della stabilità del regolamento convenzionale e della assenza di efficacia dello stesso nei confronti dei terzi. Ciò significa che, da un lato, gli enti convenzionati avrebbero facoltà di recedere unilateralmente dalla convenzione in caso di sopravvenute esigenze di pubblico interesse, anche ove essa non fosse pattizziamente prevista e disciplinata, mentre, dall’atro, lo ius superveniens inciderebbe sul regolamento contrattuale, anche ove le disposizioni normative sopravvenute nulla disponessero in ordine alla loro retroattività ovvero non contenessero norme imperative  rispondenti a ragioni di ordine e interesse pubblico atte ad incidere sulla sorte del rapporto convenzionale in corso. Inoltre, il contenuto regolamentare delle convenzioni sarebbe opponibile ai terzi e da questi invocabile a loro favore, a seconda dei casi. Invece, il vincolo afferente “i rapporti finanziari ed i reciproci obblighi e garanzie” sarebbe del tutto configurabile come vincolo contrattuale vero e proprio. Su quest’ultimo potrà incidere come fatto sopravvenuto il recesso unilaterale di taluno degli enti convenzionati, che, tuttavia, inciderà direttamente sul contenuto regolamentare della convenzione e indirettamente sul suo contenuto contrattuale, subordinato e servente rispetto al primo, fermo restando che la legittimità di tale recesso dovrà essere valutata alla stregua “della disciplina organizzatoria e di regolamentazione della convenzione e, quindi, secondo l’inerenza o meno alle finalità di interesse pubblico cui essa è subordinata”. In ordine alla differente natura del rapporto sottostante, si v., altresì, Messineo, Convenzione, in Enc. Dir., X, Milano, 1962, p. 511. Circa la differente natura degli interessi coinvolti, cfr., altresì, Falcon G., Convenzioni e accordi amministrativi, I, in Enc. Giur., IX, Roma, 1988, p. 5 e Ferrara R., Intese, convenzioni e accordi amministrativi, in Dig. Pubbl., VIII, Torino, 1993, p. 352.

[28] Per Vandelli L., op. cit., p. 538, la convenzione è utilizzabile per lo svolgimento di qualsiasi funzione, ivi compresa la realizzazione in un opera pubblica.

[29] Cfr. Romano E., Le convenzioni, cit., p. 227. Contra, Bezzi D., Articolo 30, cit., p. 365, secondo il quale le funzioni delegate non potrebbero essere oggetto di convenzionamento esclusivamente nel caso in cui a ciò ostasse una espressa disposizione legislativa.

[30] Cfr. Romano E., Le convenzioni, cit., p. 227, secondo il quale la convenzione non potrebbe “creare confusione sul regime delle separate competenze degli Enti interessati. Competenze che la norma non ha inteso intaccare ponendo la convenzione[…] a loro servizio per le attività amministrative oggetto di coordinamento”.

[31] “Articolo 5- 1. Il Comune può deliberare, con la maggioranza di cui al primo comma dell’art. 2, l’estensione dell’attività della propria azienda di servizi al territorio di altri enti locali, previa intesa con i medesimi, sulla base di preventivi di impianto e d’esercizio formulati dall’azienda stessa. 2. Con lo stesso atto deliberativo è approvato lo schema di convenzione per la disciplina del servizio e per la regolazione dei conseguenti rapporti economico-finanziari, fermo restando che nessun onere aggiuntivo dovrà gravare sull’ente gestore del servizio”.

[32] Cfr., TAR Parma 3 luglio 1998, n. 386; Cons. Stato , Sez. V, 23 aprile 1998, n. 477. Secondo una giurisprudenza, tale forma di gestione dei servizi pubblici locali dovrebbe più opportunamente assumere la veste di attività consortile, sì da evitare vuoti di vigilanza istituzionale sull’attività svolta dall’azienda speciale a favore di un diverso comune (TAR Lombardia, Milano, 4 novembre 1997, n. 1905; Cons. Stato, Sez. V, 3 agosto 1995, n. 1159). Secondo Cons. Stato, Sez. V, 14 novembre 1996, n. 1374, in Cons. St., 1996, I, p. 1738, le convenzioni in commento consentirebbero esclusivamente intese tra enti e non affidamento del servizio da parte di un comune ad azienda di altro comune, chè, a tal fine, occorrerebbe un’idonea procedura concorsuale ad evidenza pubblica; contra, TAR Liguria, Sez. II, 2 febbraio 1994, n. 35, in ITAR, 1994, I,p. 1458; TAR Emilia Romagna, 3 ottobre 2000, n. 8827, ivi, 2000, I, p. 5197.

[33] In tal caso, a mente della citata disposizione, le Regioni “individuano gli enti locali partecipanti, l’ente locale responsabile del coordinamento, gli adempimenti e i termini previsti per la stipulazione delle convenzioni[…]. Dette convenzioni determinano in particolare le procedure che dovranno essere adottate per l’assegnazione della gestione del servizio idrico, le forme di vigilanza e di controllo, nonché gli altri elementi indicati nell’articolo 24, comma 2, della legge 8 giugno 1990, n. 142”.

[34] Si vedano, al riguardo, le linee di indirizzo adottate dalla Agenzia autonoma per la gestione dell’Albo dei Segretari comunali e provinciali, come riassunte in Rolla G., Groppi T., op. cit., p. 528.

[35] Alla luce della nuova disciplina sui servizi pubblici locali contenuta nell’articolo 14 del decreto legge 30 settembre 2003, n. 289, il concetto di “rilevanza industriale” è stato sostituito da quello di “rilevanza economica”.

[36] Cfr. la nota precedente. Precedentemente, l’art. 35 della legge n. 448/01 faceva riferimento ai servizi pubblici locali “di rilevanza industriale” da individuarsi con apposito regolamento, mai emanato. Dovevano, comunque, considerarsi per loro natura tali il servizio idrico integrato, il servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani, il trasporto pubblico locale e il servizio di distribuzione del gas.

[37] Così, l’articolo 113, comma 5, del D.Lgs. n. 267/00, come sostituito dall’articolo 14 del D.L. n. 289/03.

[38] Salvo che le discipline di settore ovvero le relative autorità di regolazione dispongano diversamente (articolo 113, comma 14, del decreto).

[39] Maggiora E., Il diritto degli enti locali, Giuffrè, Milano, 2003, p. 94.

[40] In senso analogo, Maggiora E, Il diritto degli enti locali, cit., p. 98.

[41] Cfr. Maggiora E, op. cit., p. 98.

[42] Cfr. Maggiora E., op. cit., p. 99.

[43] Si v. Maggiora E., op. cit., p. 99.

[44] Si v. Maggiora E., op. cit., p. 99; TAR Piemonte, Sez. II, 9 dicembre 1993, n. 379, in ITAR, 1994, I, p. 572.

[45] Così, Rampolla, Consorzi tra enti locali, in Dig. Pubbl., XII, Torino, 1996, p. 362; si v., altresì, Romano E., Le convenzioni, cit., p. 237.

[46] Così, Rampolla, Consorzi, cit., p. 560.

[47] Cfr. TAR Lombardia, Milano, Sez. III, 4 novembre 1997, n. 1905, in ITAR, 1998, I, p. 74; Maggiora E, op. cit., p. 156.Contra, Manuele, Contributi e riflessioni critiche per una teoria sulla configurazione soggettiva e la nascita dei nuovi consorzi, in Nuova Rass., 1993, pp. 65 e ss. La dottrina maggioritaria ritiene, invece, anche in assenza di una espressa qualificazione in tal senso ad opera della disposizione di cui all’articolo 31, che i consorzi siano dotati di una propria personalità giuridica e, a tal fine, sarebbe sufficiente il citato rinvio operato, relativamente alla loro costituzione, alle norme sulle aziende speciali: così, Rampolla, Consorzi, cit., p. 562; Papiano V., L’autonomia locale, cit., p. 275; Staderini F., Diritto degli enti locali, Padova, Cedam, 1999, p. 278; Romano E., Le convenzioni, cit., p. 239; Bigotti, Forme associative e accordi di programma, in Agenda dei comuni, 2001, p. 333; in terminis, la circolare del Ministero dell’Interno del 7 giugno 1990.

[48] Così Bottino G., op. cit., p. 596.

[49] Cfr. Romano E., Le convenzioni, cit., p. 241.

[50] A tal riguardo, si v. Romano E., Le convenzioni, cit., pp. 241 e s.

[51] Così, Romano E., Le convenzioni, cit., p. 242.

[52] Tale comma riproduce l’analogo comma dell’articolo 27, della legge 8 giugno 1990, n. 142, così come modificato dall’articolo 17, comma  9, della legge 15 maggio 1997, n. 127, che ha operato questa distinzione tra enti territoriali e locali da un lato, e le altre amministrazioni interessate, dall’altro. Relativamente ai primi, infatti, il comma in commento, così come modificato, prevede che il consenso della Regione, della Provincia e del Comune debba essere reso dall’organo monocratico di vertice delle stesse e, cioè, rispettivamente, dal Presidente della Regione, dal Presidente della Provincia e dal Sindaco; mentre relativamente alle altre amministrazioni eventualmente interessate alla conclusione dell’accordo di programma, il comma in commento si astiene dall’individuare l’organo precipuamente competente ad esprimere il consenso de quo. Precedentemente alla modifica citata, il comma 4 dell’articolo 27 citato faceva generico riferimento al “consenso unanime delle amministrazioni interessate”, mostrando di rinviare per quanto attiene alla individuazione degli organi competenti a rendere tale consenso all’ordine legale delle competenze previsto dalle diverse disposizioni legislative relative alle diverse amministrazioni coinvolte.

[53] Secondo Cons. Stato, n. 182/1996, sarebbe ammissibile il ricorso all’accordo di programma ai fini della realizzazione, ad opera di privati, di una opera insistente su aree di proprietà privata e per finalità private.

[54] Intende per interventi quelle “attività non comportanti la realizzazione di un’opera, ma strumentali all’esistenza di essa” Maggiora E, op. cit., p. 103.

[55] Cfr. Greco G., Commento all’art. 27 legge 8 giugno 1990, n. 142, in AA,VV. Le autonomie locali, Giuffré, Milano, 1990, pp. 386 e ss.; Bazzani A., Gli accordi di programma, in Commentario al nuovo Testo unico degli enti locali, De Marzo G., R. Tomei  (a cura di), Cedam, Padova, 2002, p. 258. Ritiene utilizzabile l’accordo di programma anche per la programmazione di attività ulteriori e complementari rispetto alla realizzazione di opere pubbliche, quali interventi a sostegno dell’occupazione Cons. Stato, Sez. VI, 5 gennaio 2001, n. 25, in Cons. St., 2001, I, p. 12.

[56] Così, Bazzani A., Gli accordi di programma, cit., pp. 260 e s., secondo la quale la scelta dell’oggetto e delle amministrazioni da invitare, che incide sullo stesso non può “essere assolutamente discrezionale; appare chiara nella casistica giurisprudenziale che la valutazione in ordine alla partecipazione dev’essere improntata a principi di leale collaborazione (secondo il canone di comportamento additato dall’art. 97 cost.), orientati verso il fine del miglior perseguimento dell’interesse pubblico”.

[57] Così, Bazzani A., Gli accordi di programma, cit., p. 261.

[58] Così, Rolla G, Groppi T., L’ordinamento dei comuni e delle province, cit., p. 564.

[59] Per Rolla G., Groppi T., op. cit., p. 565, gli accordi “finiscono col rappresentare uno strumento che opera la “riduzione della complessità”, in altre parole per ricomporre in qualche modo un quadro istituzionale altrimenti decomposto”.

[60] Si v. Vandelli L., Ordinamento delle autonomie locali. Commento alla legge 8 giugno 1990, n. 142, in Maggioli, Rimini, 1991, p. 259; Bazzani A., Gli accordi di programma, cit., p. 261.

[61] Così, Bazzani A., Gli accordi di programma, cit., p. 261; Sticchi Damiani E., Attività amministrativa consensuale e accordi di programma, cit., p. 188 definisce queste “parti necessarie dell’accordo”; tuttavia, Cons. St., Sez. Vi, 7 febbraio 1996, n. 182, in Cons. St., 1996, I, p. 259, secondo cui il mancato intervento di un’amministrazione che avrebbe dovuto partecipare all’accordo non comporta l’invalidità dell’accordo raggiunto, bensì “la limitazione dell’estensione del suo contenuto”.

[62] Così, Bazzani A., Gli accordi di programma, cit., p. 262; Bassi N., Commento all’art. 34, in AA.VV., Il testo unico degli enti locali, Giuffré, Milano, 2000, I, p. 401, secondo il quale sono tali “quelle amministrazioni che vedano orientare l’oggetto dell’accordo nell’ambito delle materie o dei fasci di interessi pubblici di loro competenza – e che giudichino opportuno assumere a tal riguardo impegni, ad esempio, di finanziamento”.

[63] Così, Greco G., Commento all’art. 27, cit., p. 389; Greco G., Commento all’art. 27 legge 8 giugno 1990, n. 142, cit., p. 189; contra, Bazzani A., Gli accordi di programma, cit., p. 262; Bassi N., Commento all’art. 34, in AA.VV., Il testo unico degli enti locali, Giuffré, Milano, 2000, I, p. 402. Per TAR Liguria, Sez. I., 9 giugno 1995, n. 194, in I TAR, 1995, I, p. 3702, devono avere accesso alla conferenza di servizi preliminare all’accordo di programma “tutte le amministrazioni comunque coinvolte nel procedimento, anche se titolari di poteri di intervento successivo alla definizione del programma”.

[64] Cfr. Bazzani A., Gli accordi di programma, cit., p. 263.

[65] Si v., in termini analoghi, Vipiana P.M., Commento all’art. 27, in Commento alle leggi sulle autonomie locali, Mignone, P. Vipiana e P.M. Vipiana (a cura di), Giappichelli, Torino, 1993, I, p. 250.

[66] L’articolo 34 individua due criteri tra loro alternativi: la competenza “primaria” e la competenza “prevalente”. La ricorrenza di entrambe tali condizione deve essere verificata avendo riguardo, di volta in volta, alla concreta fattispecie in rilievo. In giurisprudenza, si v. TAR Lazio, sez. I, 20 gennaio 1995, n. 62, in I TAR, 1995, I, p. 448; Cons. St., sez. VI, n. 182/1996, cit.; TAR Marche, 5 novembre 1999, n. 1264, in I TAR, 2000, I, p. 251, secondo cui l’iniziativa spetta al presidente della Provincia “quando realizzando coinvolge più comuni, indipendentemente dal fatto che l’eventuale variazione dello strumento urbanistico riguardi uno solo di essi, giacché ciò che rileva è l’opera nel suo complesso e non i singoli adempimenti urbanistici”. In dottrina, cfr. Vipiana P.M., Commento all’art. 27, op. cit., p. 251; Civitarese Matteucci, Accordo di programma, in Enc, giur., III agg., Milano, 1999, p. 15; Sticchi Damiani E., Attività amministrativa consensuale e accordi di programma, op. cit., pp. 183 e s.

[67] Così, Civitarese Matteucci, Accordo di programma, op. cit., p. 15, che ritiene indifferente l’esercizio dell’iniziativa  in ragione della natura concordataria dell’accordo di programma. Per Bazzani A., Gli accordi di programma, cit., p. 263, nel caso in cui il procedimento preliminare alla conclusione di un accordo di programma sia stato avviato da un soggetto diverso da quello che abbia approvato l’accordo stesso, si applica il principio della conservazione degli atti (nt. 111). Secondo tale A., “l’importanza del problema andrebbe ridimensionata, sia in considerazione della possibilità di convalidare gli effetti, qualora il soggetto competente partecipi e condivida l’accordo, sia in relazione al contenuto, variabile ed elastico dello stesso accordo d programma, che si determina attraverso il confronto degli enti interessati”.

[68] Analogamente, Bazzani A., Gli accordi di programma, cit., p. 264, secondo la quale “non si possono porre in essere accordi di programma senza la partecipazione della regione qualora si voglia produrre l’effetto di variante urbanistica, ma[…] l’iniziativa può essere attribuita ad un ente diverso”; contra, Sticchi Damiani E., Attività amministrativa consensuale e accordi di programma, op. cit., p. 182 e Greco G., Commento all’art. 27 legge 8 giugno 1990, n. 142, cit., p. 391. Per Cons. Stato, n. 182/1996, cit., la mancata adozione dell’accordo di programma da parte del presidente della regione preclude gli effetti dell’intesa di cui all’articolo 81 del DPR n. 616/77, ma non incide sull’estensione dell’ambito dell’accordo in materia edilizia nei confronti del sindaco, ove sia quest’ultimo a promuovere e ad approvare l’accordo medesimo.

[69] Così, Civitarese Matteucci, Accordo di programma, op. cit., p. 19. In giurisprudenza, si v. TAR Lazio, sez. I, n. 62/1995, cit.; Cons. St., sez. VI, n. 182/1996; cit.; Cons. Stato, n. 25/2001, cit., secondo cui “in ipotesi di competenze attribuitre ad organi collegiali, la partecipazione all’accordo di diverso organo dello stesso ente non può sostituire decisioni riservate ad altro organo, a meno che tale organo non si sia già espresso in via preventiva o non vi sia un’espressa previsione normativa”. Contra, TAR Lombardia, Milano, 3 maggio 1996, n. 567, in ITAR, 1996, I, p. 2421; Maggiora E., op. cit., pp. 104 e s., il quale ritiene che le competenze rilevino e debbano essere rispettate nella fase di attuazione dell’accordo, all’atto della adozione dei conseguenti provvedimenti.

[70] Cfr. TAR Lombardia, Milano, 24 giugno 1996, n. 847, in I TAR, 1996, I, 3114, intervenuta, tuttavia, in vigenza dell’originario testo dell’articolo 27, comma 4, delle legge n. 142/90 – prima che lo stesso fosse modificato dall’articolo 17, comma 9, delle legge n. 127/97 -, che identificava l’accordo con il “consenso unanime delle amministrazioni interessate”. Per Cons. Stato, sez. VI, 1° agosto 2001, n. 4206, in Giust. it., n. 7/8-2001, secondo cui nel corso della conferenza istruttoria potrebbero scaturire soluzioni diverse rispetto a quelle originariamente prefigurate, che imporrebbero ai rappresentanti degli enti partecipanti di consultare gli organi titolari delle competenze in via ordinaria. Contra, TAR Lombardia, Milano, n. 567/1996, cit.  p. 2421, che ha annullato una previsione statutaria nella parte in cui disponeva che il sindaco fosse specificamente autorizzato dal consiglio comunale a promuovere l’accordo.

[71] Così, Bazzani A., Gli accordi di programma, cit., p. 265, secondo la quale “nella fase dell’iniziativa, anche per esigenze di celerità e semplificazione, non pare che vi sia il rischio di compromissione dell’ordine delle competenze, così come si può arguire dal fatto che il legislatore non ne menzioni la necessità, la richiesta di indirizzi da parte dell’organo monocratico potrà perciò essere frutto di una valutazione di opportunità ai fini dell’effettività dell’azione amministrativa”.

[72] Si v. Bassi N., Commento all’art. 34, op. cit., pp. 408 e s. Contra, Bazzani A., Gli accordi di programma, cit., p. 268; Civitarese Matteucci, Accordo di programma, op. cit., pp. 18 e ss. e, in giurisprudenza, Cons. Stato, n. 25/2001, cit.

[73] Con riguardo agli enti locali, si vedano gli articoli 42, 48 e 50 del decreto.

[74] Analogamente, Bazzani A., Gli accordi di programma, cit., p. 268.

[75] Si v., ancora, Bazzani A., Gli accordi di programma, cit., p. 268.

[76] Cfr. Bassi N., Commento all’art. 34, op. cit., p. 403.

[77] Si v. Bazzani A., Gli accordi di programma, cit., p. 270. In giurisprudenza, si v. Cons. Stato, sez. VI, n. 3654/2001, cit.

[78] Cfr. Bazzani A., Gli accordi di programma, cit., p. 266. In giurisprudenza, si v. Cons. Stato, Sez. VI, 7 febbraio 1996, n. 182, in Cons. St., 1996, I, p. 259; Tar Lazio, n. 62/1995, cit.

[79] Si v. Maggiora E., op. cit., p. 106; Bazzani A., Gli accordi di programma, cit., p. 266. In giurisprudenza, cfr. Cons. Stato, sez. VI, n. 182/1996, cit..

[80] Si v. Civitarese Matteucci, Accordo di programma, op. cit., p. 17.  Per Bazzani A., Gli accordi di programma, cit., p. 266, “la violazione del principio di leale collaborazione[…] permette la contestazione giudiziale  di eventuali provvedimenti di rifiuto o recesso dall’istruttori; nell’ambito di tale giudizio è altresì possibile la valutazione di danni, anche economici, subiti[---]”.

[81] Cfr. TAR Lombardia, n. 417/96, cit.

 

[83] Così, Cons. Stato, sez. VI, n. 25/2001, cit.

[84] In dottrina, si v. Civitarese Matteucci, op. cit., p. 21; Sticchi Damiani, op. cit., pp. 206 e ss.; Vipiana P.M., op. cit., p. 255.

[85] Così, TAR Liguria, sez. I, 29 gennaio 2001, n. 52, in Giust. it., n. 2-2001; in dottrina, si v. Pericu G., L’attività consensuale della pubblica amministrazione, in AA.VV., Diritto amministrativo, Monduzzi, Bologna, 1993, II, p. 1353. Comunque, il termine per l’impugnazione dell’accordo di programma decorre dal decreto di approvazione dello stesso; così, TAR Calabria, Catanzaro, 18 settembre 2000, n. 1121, in ITAR, 2000, I, p.l 4943.

[86] Gli accordi di programma sono qualificati come ipotesi, tra le più rilevanti, di contratto di diritto pubblico da Pericu G. L’attività consensuale, cit., p. 1359, il quale evidenzia come la disciplina di cui all’articolo 34 del decreto risolva in se la disciplina della fattispecie, in forza del principio di specialità.

Evidenziano il loro carattere organizzativo di atti bilaterali non negoziali  riconducibili alla categoria degli accordi organizzativi ex articolo 15 della legge Sticchi Damiani E., Attività amministrativa consensuale e accordi di programma, Giuffré, Milano, 1992, pp. 89 e ss.; Ferrara R., Intese, convenzioni e accordi amministrativi, , in Dig. Pubbl., VIII, 1003, pp. 557 e ss., che, tuttavia,sottolinea la specialità dell’istituto de quo rispetto agli accordi di cui all’articolo 15 della legge; Pioggia, Gli accordi di programma, cit., pp. 172 e ss. Secondo il parere espresso dal Cons. Stato, Ad. gen., 12 febbraio 1997, n. 7, in Foro it., 1988, II, p. 22 – espresso sul testo di quello che sarebbe diventato l’articolo 15 della legge n. 241/90-, “attraverso tali accordi (nella prassi denominati “accordi di programma”) ciascuna amministrazione autolimita [---] la propria discrezionalità in vista di ottenere che la sua competenza si sviluppi in armonia con quelle parallele”. Si v., altresì, Cons. Stato, Sez. VI, n. 25/2001, cit. Attribuisce agli accordi di programma entrambe le predette finalità Bazzani A., Gli accordi di programma, cit., p. 261, la quale rileva la presenza di elementi di specialità nella disciplina di cui all’articolo 34 sia relativamente al procedimento, sia con riguardo all’esecuzione; cfr., op. cit., pp. 398 e ss. Rileva la complementarietà delle discipline delle leggi n. 142/90 e n. 241/90 ai fini della disciplina degli accordi de quibus De Roberto A., La tutela giurisdizionale nei procedimenti e negli accordi, in Procedimenti e accordi nella amministrazione locale, Atti del XLII Convegno di studi di scienza dell’Amministrazione, Milano, 1997, p. 322.

[87] Si v. Cass., Sez. un., n. 105/2001, cit.

[88] Si veda, al riguardo, il D.L. 8 febbraio 1995, n. 32 convertito dalla legge 7 aprile 1995, n. 104, la delibera CIPE del 21 marzo 1997, l’articolo 17, comma 10, della legge 15 maggio 1997, n. 127, l’articolo 7 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, l’articolo 24, comma 5, del D.Lgs. 31 marzo 1998. n. 112, la legge 23 dicembre 1998, n. 449, il DM 1° dicembre 1999, la legge 17 maggio 1999, n. 1444, la delibera CIPE 10 maggio 1995, la delibera CIPE 20 novembre 1995, la delibera CIPE 12 luglio 1996, la delibera 21 marzo 1997, la delibera CIPE 15 febbraio 2000, la delibera CIPE 17 marzo 2000, la delibera CIPE 22 giugno 2000, il DM 31 luglio 2000, n. 320, la delibera CIPE 4 agosto 2000, la delibera CIPE 2 novembre 2000. la legge 24 novembre 2000, n. 340, la delibera CIPE 21 dicembre 2000, la delibera CIPE 4 aprile 2001, la delibera CIPE 3 maggio 2001, l’articolo 124 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, la circolare 15 gennaio 2001, n. 900019, la delibera CIPE 4 aprile 2001, l’accordo della Conferenza Stato-Regioni 22 novembre 2001, n. 1343.

[89] Così l’articolo 203, lett. a), della n. 662/96.

[90] Cfr, nota precedente.

[91] Così l’articolo 203, lett. b), della legge n. 662/96.

[92] Così l’articolo 203, lett. c), della legge n. 662/96.

[93] E che riguarda, altresì, i patti territoriali ed i contratti di area, in ragione del richiamo,  contenuto

nell’articolo 204, alle disposizioni dettate in materia di accordi di programma quadro dichiarate applicabili, altresì, agli “interventi di cui alle lett. d) e f) del comma 203”, ancorché con la clausola della compatibilità.


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