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n. 4/2008 - © copyright

ARCANGELO MONACILIUNI
(Magistrato del T.A.R. Campania - Napoli)

Valutazione delle prove di concorso, orizzonti di attesa
e miraggi nella conquista del posto di lavoro

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1- L’oggetto delle presenti meditazioni.

Occupandosi della vexata quaestio in ordine alla sufficienza o meno della valutazione in forma numerica delle prove dei concorsi pubblici, accreditata dottrina ha parlato “di fuoco che cova sotto la cenere e di periodici ritorni di fiamma [1] ed ha suggerito la remissione della questione (non più alla Corte Costituzionale che vi si è ripetutamente sottratta) all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato.

 Nel mentre non si ha notizia di remissioni alla Plenaria, il dibattito dottrinario ha avuto una recrudescenza sull’onda di recenti pronunce della giurisprudenza [2] e di recenti fatti di cronaca.

Vengo immediatamente a chiarire di essere stato indotto ad intervenire nel dibattito non tanto, anche se evidentemente lo farò, per prender posizione rispetto all’uno o all’altro dei tre ben noti filoni classici (il voto numerico è sufficiente tout court; non lo è mai; lo è se integrato a monte da criteri di massima dettagliati o da altri elementi), nelle loro diverse possibili variazioni interne e/o trasversali, sostanziali e/o processuali, ma più ancora per soffermarmi sulle interconnesioni fra profili giuridici ed etici.

Solo, infatti, ove sia dato ed enucleato un quadro di valori generalmente condiviso a monte, ovvero solo ove rintracciabile un unico e sicuro “orizzonte di attesa [3] in ordine agli esiti delle operazioni interpretative dello ius positum (della lex), le vie della giurisprudenza potranno raccordarsi.

Ciò non significa negare l’esistenza di casi critici o borderline, la cui peculiarità inevitabilmente incide sulla ricerca e sulla determinazione della regola da applicarsi in concreto, ma (significa) riconoscere che una regola sarà più o meno maggiormente condivisa, un quadro normativo più o meno uniformemente interpretato, quanto più o meno omogeneo sarà il quadro di valori che vi fa da cornice.

Quello che può apparire come l’arbitrio degli interpreti e l’incertezza del diritto non dipendono affatto, fondamentalmente, da una o dall’altra concezione dell’interpretazione del diritto, ma da molte più profonde condizioni nelle quali il diritto è chiamato ad operare……” sicchè la problematica coesistenza tra i vari aspetti costitutivi del diritto (diritti, giustizia, legge) e l’adeguatezza tra casi e regole richiedono un particolare atteggiamento spirituale da parte di chi opera giuridicamente ……che si denomina ragionevolezza ….” [4].

 Or dunque, appare potersi convenire sulla necessità che l’orizzonte di attesa con il quale ci si deve misurare è quello di garantire che non sia un miraggio non solo e non tanto l’aspirare a superare una procedura concorsuale o solo idoneativa, ma l’avere certezza che se ciò non è avvenuto occorre solo impegnarsi di più e riprovare, perché il traguardo è possibile raggiungere in virtù delle capacità possedute. Se cioè si potesse esser certi della trasparenza delle procedure, dell’assenza di brogli, manipolazioni, procedimenti di cooptazioni et similia, meno amara sarebbe l’esclusione e più motivati ad insistere nello studio senza sentirsi frustrati.

2- Oportet ut scandala eveniant, sed …..

Non esito a confessare di essere rimasto colpito dalla casistica di scandali operata in una delle recenti pubblicazioni, dalla quale traspare tutto lo sconforto dell’Autore, che peraltro esercita, come chi scrive, la funzione di amministrare giustizia [5].

Colpito non perché ignorassi l’esistenza di tale e tanto variegata diffusione di comportamenti: taluni illeciti, taluni illegittimi, tutti, (se pur) apparentemente, privi di trasparenza, chè di certo su questo pianeta vivo, ma dalla loro cruda e dettagliata elencazione in una pubblicazione scientifica. Il che non vuol significare che non fosse quella la sedes materiae; tutt’altro, in quanto funzionale alla tesi dell’Autore di esser necessaria una maggiore trasparenza, un mutamento nell’orientamento della prevalente giurisprudenza in tema di sufficienza della motivazione attraverso il mero voto numerico, in un quadro in cui viene anche auspicato “che, dall’altra parte, i candidati abbiano il coraggio di chiedere accesso agli atti, di contestarli, di far valere i propri diritti, di mandare gli atti alla Procura, e non, sommessamente, abbassare il capo con dinamiche che ricordano sin troppo la viltà di chi paga il pizzo alla criminalità organizzata (la quale, come è noto, trova la propria forza proprio su tali vili comportamenti) …” [6].

E dunque colpito perché viene in drammatica evidenza:

- la diffusione del fenomeno che, sia pur in diverse proporzioni, appare coinvolgere ogni settore dell’apparato pubblico;

- e, di poi, al suo interno -sempre ed ancora- l’amara constatazione che soprattutto i potenti sembrano far breccia, non trascurando di percorrere ogni via e ricorrere ad ogni mezzo per conseguire un risultato non meritato sul campo;

- ed ancora, l’immunità di cui il perverso sistema si nutre: a fronte della sua diffusione endemica, sono ben pochi i casi risoltisi con condanne penali e/o rimozioni dei soggetti pubblici, in essi compresi magistrati, che hanno posto in essere condotte illecite. Ed invero, gli scandala oportet eveniant non già perché la pubblica opinione ne sia informata e poi vi si acclimati, ma perché se ne traggano i rimedi ad evitare il loro reiterarsi.  E fra i rimedi, di certo, vi sono tutti quelli che spazzino via perversioni normative e processuali che contribuiscono a normalizzare il sistema garantendo una sostanziale immunità, che come tale è chiaramente percepita all’esterno e che non è oltre tollerabile. Distinguo, presunzioni di innocenza mal intese, sbavature del sistema nel caso accompagnate da elaborate costruzioni dottrinarie e quant’altro non possono condurre a consentire che pubblici funzionari, e addirittura magistrati, continuino ad esercitare un ufficio del quale non si sono rivelati degni, essendo ciò destinato a menare scandalo ancor più della notizia del loro coinvolgimento in attività illecite.

Del resto, tutto ciò si colloca in un ancor più vasto sistema malato (recte: corrotto) a seguito e per effetto delle c. dette privatizzazioni; sistema quale attuato, perverso, avendo consentito in nome di malintese efficienze privatistiche -di certo non applicabili in un quadro che di privato non ha nemmeno la facciata e che vede connubi incestuosi fra controllati e controllanti, il cui fine ultimo, nella migliore delle ipotesi, è l’acquisizione del consenso- di collocare direttamente ed immediatamente in posizioni di responsabilità soggetti privi delle necessarie competenze, ma non delle necessarie appartenenze politiche o comunque di cordata, senza arretrare nemmeno di fronte alla tutela della salute pubblica, come posto in luce da cronache giudiziarie, recenti e meno recenti, che si aggiungono a quelle già indicate nella sopraccennata pubblicazione. E sistema che non ha coinvolto solo posizioni di vertice, ma anche di base, consentendo di collocare nelle (c. dette) società miste pubblico - private o consorzi e via dicendo, i propri elettori o quant’altri,  bypassando la regola costituzionale dell’accesso usuale ai pubblici impieghi mediante concorso, visto che immancabilmente ne consegue l’assorbimento nei ranghi pieni della pubblica amministrazione, se del caso, quando proprio non se ne può fare a meno, con la copertura della foglia di fico del colloquio et similia.

3- Gli interventi normativi de iure condito e de iure condendo.

Riannodando le fila, in siffatta situazione a chi è chiamato a giudicare è richiesto di dar prova che vi è un giudice a Berlino. Ed evidentemente, tanto più la funzione giudicante sarà ritenuta efficace quanto più essa stessa si appaleserà in grado di essere e mostrarsi imparziale. Il che, come suggerito dalla dottrina sopra richiamata, rende opportuno un intervento della Plenaria, capace di indicare alla giurisdizione una via maestra, o anche solo una serie di percorsi, fra Scilla (l’assicurare giustizia) e Cariddi (non sostituendosi all’amministrazione).

Del resto, l’intervento del supremo consesso della giustizia amministrativa ben potrà indirizzare il legislatore: de iure condendo, in aggiunta ai recenti interventi settoriali avutisi. Il riferimento evidente è all’art. 11 della l. 24 aprile 2006, n. 166 che, trattando dei concorsi notarili, ha statuito che “il giudizio di non idoneità è motivato” e che “nel giudizio di idoneità il punteggio vale motivazione”, ed all’art. 1 del d.l.vo 5 aprile 2006, n. 160 (recante la riforma dell’ordinamento giudiziario) che ha disposto che, nei concorsi per l’accesso alla magistratura ordinaria, “il giudizio in ciascuna delle prove scritte e orali è motivato con l’indicazione del solo punteggio numerico, mentre l’insufficienza è motivata con la sola formula “non idoneo”.

Sulla portata di siffatte novelle si è aperto il dibattito, in particolare riferimento alla loro applicabilità in via analogica ad altre procedure [7], ovvero ai concorsi, sempre di notai, ancora in itinere [8]. E dunque, come era facilmente intuibile, le scelte settoriali hanno posto altri problemi, senza peraltro offrire soluzioni definitive sia pur all’interno degli specifici settori, caratterizzati da un numero abnorme di partecipanti in connessione con la necessità di previsione di più prove per un utile selezione per l’accesso a funzioni di sicura rilevanza.

Senza girarvi intorno, è avviso di chi scrive che un intervento auspicabile sarebbe di certo quello di por mano alla predefinizione, a livello normativo primario, di criteri base di massima a monte, ripartiti a seconda delle singole procedure-tipo: criteri certi, chiari e resi a tutti noti, se pur dotati di quella elasticità ineliminabile per non precludere ogni spazio a valle alle amministrazioni che procedono in concreto. Criteri che rendano più agevole l’individuazione della soglia valutativa che, per quanto più rileva ai fini in discorso, segna (deve segnare) da spartiacque soprattutto fra una valutazione di sufficienza e quella di insufficienza.

5- I criteri.

Certo, si è ben consapevoli che nelle procedure di cui si sta discutendo non si è in presenza di scelte comparative legate all'acquisizione di beni e/o di servizi in cui gli specifici elementi in evidenza (quali qualità, caratteristiche tecniche, estetiche, funzionali, merito tecnico, assistenza, termini di consegna o di esecuzione e prezzo) ben possono, come in effetti avviene, essere specificati dal legislatore, comunitario e nazionale, che ne impone (ha imposto) l'indicazione nei bandi fissandone anche l’ordine d'importanza  (art. 19 del d.l.vo n. 358 del 1992 ed art. 23 del d.l.vo n. 157 del 1995), nè si è in presenza di valutazione di offerte per opere pubbliche, disciplinate dalla peculiare normativa di settore.

Qui, invece, devono esser selezionati i soggetti idonei e più meritevoli ad accedere agli impieghi pubblici in procedure che rilevano non solo ex latere dell’amministrazione (art. 97 Cost.), ma anche con riferimento al diritto al lavoro dei partecipanti, anch’esso coperto da tutela costituzionale (art. 51), sì che le prove cui essi son (vanno) sottoposti sono solo strumentali al conseguimento dei fini e non esse stesse loro oggetto diretto, come invece avviene per le offerte di beni e servizi in cui, dati (dalla legge e dal bando) i requisiti soggettivi, i criteri di aggiudicazione vanno riferiti direttamente ed esclusivamente all’offerta della prestazione che forma oggetto specifico dell’appalto e non già alla qualificazione e capacità degli offerenti.

E dunque, nelle fattispecie di cui ci si sta occupando, la discrezionalità delle commissioni esaminatrici non può che essere più ampia e trovare limite esterno nella compiutezza e ragionevolezza dei criteri, ovvero nella loro idoneità a conseguire il (più prossimo) fine di selezionare, in maniera imparziale, gli elaborati idonei ad esser ammessi alla fase successiva, e, di poi, i candidati più idonei.

Ma ciò non preclude affatto la prefissazione dei criteri; al contrario.

 Del resto, è anche in ragione della loro necessitata esistenza e quindi dei diversi orientamenti della giurisprudenza che il giudice delle leggi si è sempre rifiutato di definire in astratto la questione, a risolversi quindi di volta in volta in concreto [9], avendo riguardo ad una serie di aspetti, tra cui soprattutto la tipologia dei criteri di massima fissati dalla Commissione, risultando sufficiente il voto numerico soltanto ove i criteri siano rigidamente predeterminati e insufficienti nel caso in cui si risolvano in espressioni generiche, come richiesto dal notorio indirizzo intermedio, che chi scrive condivide.

6- Il controllo giurisdizionale ed i suoi possibili percorsi.

Quanto poi al tipo di controllo possibile, alla stregua della riserva costituzionale della funzione amministrativa, anche quello intrinseco e di tipo forte, ammesso da parte della dottrina e della giurisprudenza, deve arrestarsi in concreto di fronte al merito amministrativo. In breve, ancorchè il dibattito in atto sia divenuto più acceso in presenza della possibilità di ricorrere (non solo a verificazioni, ma) a consulenze tecniche (anche) in sede di generale giurisdizione di legittimità, il nodo resta sempre e comunque legato all'impossibilità di sostituirsi all'amministrazione, ovvero di sostituire il merito della valutazione sulla quale si controverte con altre valutazioni di merito.

In siffatta condizione, resta impresa difficile operare verifiche in positivo: semplice infatti poter, in negativo, concludere che la presentazione di fogli bianchi (o giù di lì) comporta necessariamente l’insufficienza rispetto all’asserire dovuta la sufficienza, negata dall’amministrazione, cui la legge attribuisce la penetrazione del sapere specialistico ai fini della tutela dell’interesse pubblico nell’apprezzamento del caso concreto.

Non può infatti negarsi il potere dell’amministrazione -intesa come ente che bandisce il concorso e commissione esaminatrice, nel loro dialettico rapporto- di determinare, anche all’interno dei criteri base (nel caso, come auspicato) indicati in via primaria,  il livello minimo di sufficienza che va richiesto, in assoluto e nelle singole prove, per sovvenire alle sue esigenze. Trattasi di esercizio di discrezionalità che impinge nel concreto, non esistendo un modello astratto di idoneità valido indifferenziatamente; una stessa traccia richiede una diversa valutazione ed un diverso minimo sufficiente a seconda della qualificazione dei soggetti che sono chiamati a svolgerla e necessità legate all’organizzazione dell’amministrazione che bandisce il concorso (si pensi a procedure già espletate senza esito positivo, ad impellenze di coperture dei posti, a peculiarità di attività richieste e così di seguito) ben possono, a loro volta, far optare per una diversa collocazione della soglia del minimo.

Ne deriva che per potersi far luogo a sindacato, con o senza assistenza di consulenti, occorre dapprima ricercare e, quindi, conoscere anticipatamente alla formulazione di giudizi, quale sia stato il minimo sufficiente ritenuto necessario, il tertium comparationis cui rapportarsi nella concreta situazione data. E la sua individuazione, per quanto difficile abbia ad essere, non potrà che scaturire da un mix enucleato dai criteri e dalla relativa applicazione operatane in concreto: il che comporta necessariamente un esame degli elaborati che hanno riportato- nella stessa seduta, o via via allargando il campo- come votazione il minimo richiesto per la sufficienza, che sia costituito da un voto numerico o da una locuzione letteraria non rileva più tanto.

Ciò, si intende, esclusivamente per rintracciarvi gli eventuali sintomi dell'eccesso di potere di cui si sta trattando, a denunciarsi con assolvimento dell'onere probatorio pieno in capo all'attore, senza che possa predicarsene un'attenuazione poichè in presenza di un giudizio di legittimità. Ed invero,  il sistema comunemente definito “dispositivo con metodo acquisitivo”, che ha fin qui consentito al ricorrente (nel giudizio di legittimità) di fornire solo un inizio di prova attivando i poteri del giudice, va per qualche verso rimeditato, posto che gli interna corporis dell'amministrazione ben possono oggi esser penetrati dal cittadino a mezzo di ampio ed efficace strumentario, così venendo meno le ragioni che avevano presieduto all'instaurarsi di siffatto sistema speciale rispetto alle regole codicistiche; e tale rimeditazione ben può interessare le fattispecie di cui qui ci si sta occupando nelle quali alcun ostacolo si frappone al preventivo accesso agli atti e, quindi, all'offerta al giudice di una denuncia compiuta, ossia documentata e motivata insieme.

Certo, si è consapevoli che la via processuale indicata non è, in concreto, di agevole percorso; peraltro, occorrerà anche districarsi fra resistenze delle amministrazioni (ma nella descritta prospettiva nulla vieta l’accesso agli elaborati corretti ed ancora coperti da anonimato, tale a restare anche nella sede giudiziaria) e termini di decadenza, ma resta nondimeno percorribile e si appalesa idonea a sovvenire alle esigenze di giustizia anche in relazione alla necessità della sua percepibilità esterna e, quindi, all’orizzonte di attesa cui si è innanzi fatto cenno. E il connesso filtro delle azioni giudiziarie per effetto della consapevolezza (e qui, nel caso, potrà il docente universitario essere d’ausilio: al candidato prima ancora che al giudice) di aver svolto delle prove di qualità tale da potersi ragionevolmente ipotizzare “il loro superamento del minimo sufficiente datosi dalla commissione, sì da potersi, sempre ragionevolmente, presumere che emerga il vizio [10] consente anche di ridurre il numero del contenzioso temerario.

Sarà l’Amministrazione poi a doversi difendere, nell’ambito della dialettica processuale, ma in concreto senza formule astratte, di rito, con mere invocazioni cioè all’esercizio della discrezionalità e/o alla barriera del merito: formule a questo punto vuote e non più attendibili posto che nella costruzione processuale soprariportata le eventuali affermazioni del perito di parte non si sostituiscono alle valutazioni della commissione; al contrario queste ultime contestano avendo a riferimento i binari dalla stessa (e dalle previsioni a monte) tracciati.

Tale via peraltro, come già accennato, appare utile anche a stemperare la discussione se siano sufficiente o meno i voti numerici che “ in astratto prestabiliti, non costituiscono un quid vacuum, ma riflettono una serie di valori e disfavori attribuibili ai singoli elaborati, di talchè  ciascun voto corrisponde, nell’astratta loro previsione, a gradazioni diverse di idoneità ed inidoneità [11] o necessiti un più articolato giudizio, che, nel permanente difetto di ancoraggi, non farebbe altro che aprire la stura ad un diverso vaso di Pandora, dal quale si librerebbero in volo variegate denunce.    

6- Altre procedure a raffronto.

Si è (ovviamente) consapevoli che quanto fin qui detto, pur in presenza delle pacifiche differenziazioni qualitative e quindi di metodo, riecheggia percorsi (improponibili, è ben chiaro) di valutazioni comparative, che richiamano per certi versi quelle operate per il reclutamento degli stessi docenti universitari, od anche per l’avanzamento degli alti gradi militari.

Per quanto attiene ai primi, è noto che “nel sistema di scelta concorsuale per l’assegnazione di cattedre universitarie esiste un ampio margine di discrezionalità nella valutazione della commissione giudicatrice, che è costituita di norma dai maggiori esperti dello specifico settore. Tale giudizio, essendo essenzialmente un giudizio qualitativo sulle esperienze e sulla preparazione scientifica dei candidati ed attenendo all'ampia sfera della discrezionalità tecnica è censurabile unicamente sul piano della legittimità, per evidente superficialità, incompletezza, incongruenza, manifesta disparità, emergente dalla stessa documentazione, tale da configurare un evidente eccesso di potere, senza con ciò entrare nel merito della valutazione della commissione. La presenza, infine, di un elevato tasso di discrezionalità, nel senso dell'ineliminabilità di una variabilità di apprezzamenti nel formulare i giudizi che richiedono conoscenze ad elevato livello di complesse discipline cognitive esclude che si possa applicare l'intero "corpus" delle regole tipiche dei concorsi per l'assunzione nel pubblico impiego e, in genere, delle procedure valutative complesse a carattere comparativo. Quindi, in conclusione, è consentito soltanto verificare l'esistenza di un coerente sviluppo fra le fasi procedurali del concorso, nel senso che la scelta finale della commissione non appaia in illogica contraddizione con gli elementi globalmente emergenti dalle varie fasi in cui si è articolato il procedimento selettivo; di tal che la valutazione della commissione giudicatrice, in quanto inerente ad un "giudizio qualitativo" sulle esperienze e sulla preparazione scientifica dei candidati, può essere dichiarata illegittima solo ove si riscontrino macroscopiche carenze nella motivazione o nei prestabiliti criteri di valutazione ovvero nei contenuti di ragionevolezza e proporzionalità della decisione”  [12].

Per i secondi, avanzamento degli ufficiali in ispecie di alto grado, ben noto che per unanime orientamento del giudice amministrativo oltre che della Corte di Cassazione l’eccesso di potere in senso assoluto è di dubbia configurabilità [13], per verificarsi se il punteggio a ciascuno assegnato sia o meno adeguato ai titoli “occorre conoscere quale metro di valutazione sia stato in concreto adottato” dalla Commissione di avanzamento [14] fermo, quanto all’eccesso di potere in senso relativo, che esso è sindacabile come rottura dell’uniformità del criterio di coerenza generale delle valutazioni contestualmente espresse nei confronti dei parigrado candidati nel medesimo avanzamento a scelta, sia pur nei limiti in cui esso sia possibile in base al raffronto a posteriori, fra loro, dei punteggi attribuiti a ciascuno, in riferimento agli elementi di giudizio, ovvero alla documentazione caratteristica, concretamente presi in considerazione [15].

Anche qui, cioè, i margini di intervento giurisdizionale restano esigui, come peraltro si trae dalla pronuncia della Corte costituzionale 7 aprile 1988, n. 409 che ebbe a ritenere, per le distinte ragioni ivi esposte, non fondata la questione di illegittimità costituzionale dell’art. 26 della legge 12 novembre 1955, n. 1137 sollevata, in riferimento agli artt. 3, 52, 97 e 113 Cost., dal giudice amministrativo; nondimeno -come confermato dal giudice delle leggi che (solo) sulla scorta dell’ammissione dell’esistenza di margini di sindacabilità, negati dai Tribunali remittenti, potè concludere nei sensi cennati, il sindacato possibile, nel senso di costituzionalmente dovuto, non può esser negato. Anche lì “il coacervo fra criteri dettati in sede ministeriale e loro applicazione in concreto dovrà, per dettato di legge, consentire di poter risalire alle motivazioni sia pur nella sola misura necessaria a permettere di  escludere incoerenze nel generale metro valutativo in concreto adoperato”, con la conseguenza che, rispetto sempre all’eccesso di potere in senso relativo, la preclusione per il giudice di sostituirsi all’amministrazione procedendo egli ad esami comparativi e/o a verifiche dei singoli punteggi attribuiti non significa anche che ci si possa “per tale via rifiutare sostanzialmente di esaminare le doglianze attoree (ove e) per quanto tese, nell’insieme delle singole particolari denunce e per quanto elevato abbia ad esserne il numero, a comprovare la sussistenza di siffatto contestato eccesso di potere, ossia di indizi di macroscopici contrasti di giudizio capaci di dimostrare, con chiaro ed univoco significato, l'esistenza di vizi di incoerenza e di illogicità di portata tale da non lasciare dubbi sul travalicamento. Ove a detti fini rivolto, il raffronto, per quanto analitico abbia ad essere, operato con alcuni o tutti i restanti scrutinandi, non potrà che ammettersi non essendo dato comprendere in quale altro modo un ufficiale possa comprovare di aver subito la lesione predicata se non offrendo alla valutazione del giudice tutti quegli elementi di raffronto a posteriori, fra loro, dei punteggi attribuiti a ciascuno, in relazione agli elementi di giudizio (documentazione caratteristica) concretamente presi in considerazione dalla CSA, di cui si è già detto sopra per costituire il perimetro del sindacato possibile, e quindi dovuto, secondo il giudice delle leggi e lo stesso giudice amministrativo ……Generale verifica della logicità e dei criteri seguiti in sede di scrutinio”,  “vizio della valutazione che trasmoda in eccesso di potere  per manifesta irrazionalità da cui traspare il cattivo esercizio del potere amministrativo” e similari locuzioni riferite all’eccesso di potere in senso relativo in tanto hanno significato in quanto consentano di sindacare la funzione per quanto essa, nella prospettazione offertane dall’attore, abbia deviato dai canoni. La sussistenza o meno di “abnormità ed incoerenza” non potrà che costituire il punto di arrivo di una serie di valutazioni a monte: poche o tante che siano, ma nella misura necessaria a dare risposta giudiziaria alla domanda attorea (alle domande attoree). 

In definitiva, l’esame, ove e per quanto necessario atomistico, dei singoli profili denunciati in forza delle disponibilità processuali che vanno riconosciute ai soggetti ricorrenti nella fattispecie di cui si sta trattando, non significherà (voler) impingere nel merito amministrativo, ma solo dar doverosamente conto del percorso attraverso il quale si perverrà, in una sintesi valutativa finale, a ritenere sussistente o meno il denunciato eccesso di potere nella forma di cui qui si sta trattando [16].

L’essersi soffermati sulle procedure sopradescritte non vuole evidentemente avere significato diverso dall’enucleare soprattutto la comune necessità della predefinizione di criteri idonei a sovvenire agli obblighi di trasparenza che costituiscono denominatore di tutte le procedure concorsuali, idoneative e più ampiamente selettive ed indicare percorsi processuali (sia pur solo per certi versi) similari quanto ad oneri delle parti; non sfuggono infatti le differenze, prima di tutto fattuali, che intercorrono fra le diverse procedure commentate, a partire da quella, ma non di poco rilievo, del numero dei partecipanti alle stesse, con quel che ne consegue, a quella che cattedre universitarie e avanzamenti a scelta non vengono assegnati sottoponendo gli aspiranti a prove, sì che non sono le loro risultanze ad esser rimesse al vaglio del giudice.

7- Conclusioni.

Non è agevole trarre conclusioni assertive con pretesa di definitività; del resto, se ce ne fossero da tempo si sarebbero fatto strada, sia pur in mite coesistenza nell’ambito del possibile pluralismo [17].   Qui si è voluto solo introdurre nel dibattito un elemento sostanziale: la necessità di un ampliamento di orizzonte in una tensione etica nell’ambito di un quadro di valori condiviso, ed uno processuale relativo agli oneri delle parti nel processo: quest’ultimo certo da affinarsi, ma che a chi scrive, e da tempo [18], non appare improponibile.

Napoli, 2 aprile 2008.


 

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[2] - in particolare, Tar Campania, sez. VIII, 20 febbraio 2008, n. 867, che, sulla scorta di perentorie affermazioni di un qualificato esperto ed in presenza di un lievissimo scarto rispetto alla sufficienza, ha ordinato la rinnovazione del giudizio

[3] - secondo la formula di J. Esser, in Precomprensione e scelta del metodo nel processo di individuazione del diritto, ESI, Napoli, 1983, pag. 140

[4]-  Gustavo Zagrebelsky, in Il diritto mite, Einaudi, Torino, 1992, pag. 200

[5]-  Alessio Liberati, La valutazione delle prove di concorso, in LexItalia.it, n. 3 del 2008

[6]  ibidem

[7]-  a favore: Tar Sicilia, Catania, sez. IV, ord. 14 settembre 2006, n. 1446; contra: Tar Campania, sez. VIII, ord. 4 dicembre 2006, n. 3278

[8] - Tar Lazio, sez. 1^ ord. del 6 febbraio 2008, di remissione alla Corte Costituzionale

[9] - C.C, da ultimo,  n. 466 del 2000, n. 233 del 2001, n. 419 del 2005, n. 28 del 2006

[10]-  in tali sensi, già Tar Campania, sezione settima, sentenza  n. 18822 del 10.11.2005

[11]- così Tar Campania, sezione ottava, 10 dicembre 2007, n. 478

[12]-  Cons. Stato, sez. VI, 07 marzo 2007, n. 1063; Tar Campania, sez. seconda, 07 maggio 2007, n. 4807

[13] - Cass. S.U. n. 91 del 1997; Cons. Stato, sez. IV, n. 437 del 2005; Tar Campania, sezione settima, sentenza n. 5268 del 17 maggio 2007; Tar Lazio, Roma, n. 17141 del 2004;

[14] - così, testualmente, Tar Lazio, n. 17141/2004 cit.

[15] - Cfr., per tutte, Cons. Stato, sez. IV, 27 dicembre 2004, n. 8207 cit

[16] così, Tar Campania, sezione settima, sentenza n. 5268 del 17 maggio 2007

[17] cfr. Gustavo Zagrebelsky, nell’opera sopra cit.  Il diritto mite

[18] - cfr. le pronunce innanzi riportate della Settima sezione del Tribunale partenopeo, cui si è dovuto fare necessitatamente  riferimento, ai fini del discorso portato innanzi.


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