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n. 12/2005 - ©
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MICHELE MIGUIDI
Normazione regionale ed appalti di lavori pubblici:
indagine sulla costituzionalità
SOMMARIO: 1. Primi passi per lo scardinamento dell’assetto normativo. 2. Sospetti di incostituzionalità. 3. Regime soggettivo. 4. Capitolati, regolamenti e il problema della fonte. 5. La competenza regolamentare. 6. Conclusioni: dubbi sulla utilità della fonte, sulla correttezza costituzionale dell’approccio e sulle strategie di demolizione dell’ordinamento
1. Primi passi per lo scardinamento dell’assetto normativo.
Le regioni a statuto ordinario iniziano a legiferare in materia di appalti di lavori pubblici.
Il Veneto si è dotato di una legge, la n. 27 del 7 novembre 2003, e di numerose fonti ad essa collegate (non ultimo un capitolato generale d’appalto dei lavori pubblici [1]). La Regione Emilia Romagna sta legiferando. Altre regioni stanno alla finestra.
Perché? Chi ha attribuito questa competenza? E’ costituzionalmente legittimo?
Nei suoi primi passi, il legislatore regionale si è qualificato “timido”, così da non palesare la rivoluzione che stava ponendo in atto. Basti guardare all’articolo 1, comma 2, della L.R. Veneto n. 27/2003, ove è previsto che, in assenza di una diversa disciplina [2], la “normativa statale vigente in materia di lavori pubblici” rimane applicabile. Ed ancora: nella relazione di accompagnamento della stessa fonte, si esprime l’intenzione di conservare numerose disposizioni della Legge n. 109/1994 e di non approvare un Regolamento attuativo per non “turbare ulteriormente il settore con ulteriori radicali innovazioni”.
Peccato che la scelta poi operata sia stata quella di dotarsi di un capitolato generale analitico, integrato con norme originariamente contenute nel proprio regolamento attuativo (DPR 21 dicembre 1999, n. 554), “che per la loro valenza nei riguardi del rapporto contrattuale d’appalto si è ritenuto utile inserire nel testo del nuovo Capitolato generale” [3].
La timidezza ha quindi lasciato subito il posto ad interventismo capillare, che fa comprendere come la terapia normativa abbia tutta l’intenzione di essere invasiva.
Il tutto tra riforme costituzionali che, “federalizzate” le norme e sanciti futuri paradigmi di intangibilità dello Stato, non hanno posto gendarmi a tutela della povera Carta? I suoi ufficiali tutori posson parlare solo se la questione viene proposta loro. Ma chi la proporrà? A chi converrà sollevarla nei giudizi?
Intendiamoci: l’oggetto dell’indagine non è sulla qualità delle norme, per la quale ci si propone un separato esame[4], ma sulla loro ammissibilità e opportunità nel quadro normativo.
Il proverbiale elefante nella stanza dei cristalli preoccupa. Già la Commissione europea [5] ha avuto modo di evidenziare l’“importanza capitale che riveste un assetto normativo stabile per il buon funzionamento degli appalti pubblici e per salvaguardare la fiducia di tutti i soggetti attivi dell’efficacia del sistema”. Ma l’eccessivo proliferare di fonti cognitive, che ha indotto il legislatore comunitario ad adottare la direttiva 2004/18/CE, di prossimo “recepimento” [6], non ha intimorito la signoria normativa regionale, con la certezza di chi può dir di più e meglio.
2. Sospetti di incostituzionalità.
La fonte legislativa regionale si è inserita in un panorama normativo complesso ed articolato, evidenziando problematiche connesse alla propria “forza” e costituzionalità. In merito a tale ultimo aspetto, infatti, è tutt’altro che pacifica la correttezza dell’approccio del legislatore regionale, che ha ritenuto di assumere il proprio compito normativo in ragione di una supposta competenza legislativa esclusiva, in ragione del fatto che la materia degli appalti non sarebbe stata indicata dall’articolo 117 della Costituzione né fra le materie di competenza esclusiva statale né in quelle di competenza concorrente.
Sennonché, la Corte Costituzionale ha già avuto modo di chiarire che i lavori pubblici non possono essere intesi come “materia” [7] ascrivibile alla casistica di cui all’articolo 117 della Costituzione, comprendendo essi aspetti di diversa rilevanza, da quella della concorrenza a quella del governo del territorio, riconducibile a diverse “materie” fra quelle enumerate nella disposizione costituzionale [8].
Si pone chiaramente, quindi, un problema di costituzionalità di numerose norme della legge regionale (a titolo esemplificativo, tutte le disposizioni che trattano della materia della gara e, a maggior ragione, quelle che introducono fattispecie di trattativa privata, in quanto incidenti direttamente sulla materia della concorrenza, riconducibile alla competenza esclusiva Statale [9]).
Vi è inoltre un problema di “incostituzionalità derivata” dalla incompatibilità con l’ordinamento comunitario, tanto che ciò ha indotto la Regione Veneto ad attivare un processo di adeguamento. C’è da chiedersi: l’ultimo baluardo in difesa della nostra Costituzione è forse l’Unione Europea?
3. Regime soggettivo.
Il lettore poco avveduto penserà di esser immune dal pericolo; sarà anche certo che il pericolo paventato sia solo frutto di esagerazione; propugnerà una inadeguatezza delle fonti nazionali tale da giustificare ogni forzatura. Nel caso in cui la quantità (di invasività) possa essere anche indicatore della qualità (della forzatura delle competenze), vale allora la pena di segnalare che la nuova fonte non è applicabile solo alla Regione, bensì anche agli altri enti pubblici, “autonomie” locali comprese. L’attuale formulazione della “Legge veneta” definisce sotto il profilo soggettivo i lavori pubblici di interesse regionale, ai quali si applicano le disposizioni della stessa legge nelle seguenti categorie:
“a) lavori pubblici di competenza regionale, la cui programmazione, approvazione ed affidamento spetta ad uno dei seguenti soggetti:
1) alla Regione, attraverso le strutture regionali specificamente interessate;
2) alle unità locali socio - sanitarie, alle aziende ospedaliere e agli enti di gestione delle residenze sanitarie assistenziali per anziani e disabili [10];
3) a enti dipendenti dalla Regione;
4) alle autorità d’ambito territoriale ottimale individuate dalla legge regionale 27 marzo 1998, n. 5 “Disposizioni in materia di risorse idriche, istituzione del servizio idrico integrato ed individuazione degli ambiti territoriali ottimali, in attuazione della legge 5 gennaio 1994, n. 36” [11];
5) ai consorzi di bonifica[12], qualora realizzino opere fruenti, in tutto o in parte, di contributo regionale, statale o comunitario;
b) lavori pubblici di competenza di altri soggetti pubblici diversi da quelli di cui alla lett. a), la cui programmazione, approvazione ed affidamento spetti ad uno dei seguenti soggetti:
1) agli enti locali;
2) agli altri enti pubblici, compresi quelli economici;
3) agli organismi di diritto pubblico;
4) ai soggetti di cui alla lettera b) del comma 2 dell’articolo 2 della legge 11 febbraio 1994, n. 109 “Legge quadro in materia di lavori pubblici”;
c) i lavori realizzati da privati e assistiti, almeno con il venti per cento, dal contributo finanziario dei soggetti di cui alle lettere a) e b);
d) i lavori realizzati da privati e strumentali alle attività esercitate sul mercato a prezzi o tariffe amministrati, contrattati, predeterminati nonché i lavori realizzati da società di capitali a partecipazione pubblica della Regione”.
4. Capitolati, regolamenti e il problema della fonte.
La legge regionale veneta, si è detto, ha attribuito alla Giunta regionale il compito di approvare il capitolato generale (in “sostituzione” del D.M. n. 145/2000). Si è evidenziato anche che esso si applica a tutti i lavori di interesse regionale, il che val quanto dire che si applica a tutte le amministrazioni menzionate all’articolo 2 della legge n. 27/2003 (cfr. par. 3). La valenza delle disposizioni è certamente generale ed astratta e sostanzialmente il contenuto è certamente normativo. Ciò potrebbe far ascrivere l’atto fra le fonti regolamentari. A seguito di un dibattito dottrinale (le tesi in campo erano quelle di A.M. Sandulli, per la natura regolamentare e M.S. Giannini per quella negoziale [13]), con riferimento al D.P.R. n. 1063 del 1962 (capitolato generale per le opere dello Stato, ora abrogato), la giurisprudenza ha asserito la “natura normativa di regolamento di organizzazione per i contratti dello Stato” [14].
Di converso, si potrebbe evidenziare che tanto il DM n. 145/2000, che il nuovo capitolato generale regionale dispongono, nelle norme iniziali, un “sospetto” obbligo di richiamare il capitolato nel contratto, cosicché si potrebbe far riferimento a quella corrente giurisprudenziale che afferma che “il rinvio, contenuto nel contratto stipulato dalla P.A., ad un capitolato generale di natura normativa ed alla clausola compromissoria in esso contenuta, fa sì che quest'ultima - per effetto della relatio - venga recepita all'interno del contratto, e muti la propria natura da normativa in negoziale” [15].
Tale elemento, tuttavia, non pare sufficiente, ed anzi semmai conferma, la natura regolamentare della fonte, a prescindere dagli effetti del suo richiamo. Va infatti ricordato che l’articolo 1 del DM n. 145/2000, espressamente qualifica le proprie disposizioni come regolamentari, e vi è anzi dubbio sulla opportunità stessa di conservare una fonte ulteriore a fronte di una normazione legislativa e regolamentare particolarmente invasiva [16].
A seconda della tesi per la quale si propende, risulta rilevante il dibattito insorto a seguito dell’intervento della Corte costituzionale, che con sentenza n. 313 del 13 ottobre 2003, ha affrontato la questione della spettanza a livello di organi regionali del potere regolamentare, chiarendo la portata della disposizione di cui all’articolo 121, comma 4, della Costituzione, tanto che la Regione è immediatamente corsa ai ripari con l’approvazione della legge regionale 26 novembre 2004, n. 23.
Nella relazione illustrativa dell’intervento normativo si legge: “Come noto la nuova formulazione dell’articolo 121 della Costituzione prevede, da un lato, che "il Consiglio regionale eserciti le potestà legislative attribuite alla regione" e dall’altro, che "il Presidente della Giunta ... promulghi le leggi ed emani i regolamenti regionali". La disposizione, nella formulazione previgente, stabiliva invece che il Consiglio esercitasse "le potestà legislative e regolamentari attribuite alla Regione".
All’indomani dell’entrata in vigore della legge costituzionale n. 1/1999 si pose un problema interpretativo in ordine agli effetti più immediati sulle fonti del sistema regionale, stante il fatto che l’attribuzione costituzionale della potestà regolamentare ai Consigli regionali prevista dall’originario articolo 121 era stata ripresa e fissata in quasi tutti gli Statuti delle regioni a statuto ordinario.
La tesi prevalente si orientò verso l’interpretazione che l’innovazione introdotta dalla novella costituzionale fosse direttamente attributiva alla Giunta regionale del potere regolamentare già del Consiglio regionale. Tale impianto interpretativo venne condiviso a livello governativo e formalizzato in una direttiva ai Commissari del Governo da parte del Dipartimento affari regionali della Presidenza del Consiglio dei ministri in data 17 marzo 2000, con conseguente rinvio di leggi regionali attributive del potere regolamentare al Consiglio regionale”.
Con la pronuncia richiamata la Corte costituzionale conclude nel senso che spetta allo Statuto disciplinare il potere regolamentare e, poiché la competenza regolamentare attualmente attribuita generalmente dagli Statuti (ivi compreso quello della regione Veneto) ai Consigli regionali non risulta incompatibile con il nuovo articolo 121 della Costituzione, spetta solo al Consiglio regionale la competenza in materia di regolamenti. Cosicché, con la citata legge regionale n. 23/2004, il Consiglio è andato a “convalidare” regolamenti giuntali medio tempore approvati ed a riqualificare il riferimento alle fonti regolamentari.
Nel caso in cui il capitolato generale sia qualificabile – così come si ritiene - quale regolamento, la deliberazione approvativa della Giunta regionale Veneto risulta violativa del precetto costituzionale [17].
5. La competenza regolamentare.
L’indagine va completata a fronte di diversa tematica, di opposta rilevanza al fine della attribuzione della competenza normativa, ed afferente le materie di competenza concorrente [18]. L’articolo 117 della Costituzione attribuisce allo Stato la potestà regolamentare in merito alle sole materie di competenza esclusiva. In ogni altro ambito, compreso quello di competenza concorrente (ma anche su delega, in materie di competenza esclusiva statale), la potestà regolamentare fa capo alle Regioni [19]. Va anche ricordato, tuttavia, che la Corte Costituzionale si è in più occasioni pronunciata in ordine alla conservazione delle norme nazionali esistenti sino a quando le Regioni non occupino il proprio spazio normativo, ed in tal senso la Regione Veneto sembrerebbe aver manifestato l’intenzione di non dotarsi di un proprio regolamento di attuazione [20].
6. Conclusioni: dubbi sulla utilità della fonte, sulla correttezza costituzionale dell’approccio e sulle strategie di demolizione dell’ordinamento.
Non si può tacciare di incoerenza chi, criticando il centralismo normativo, intende ergersi a legislatore, cercando di dotarsi di strumenti per la disciplina di istituti complessi e dal delicato equilibrio. L’egocentrismo normativo, tuttavia, deve essere speso negli spazi costituzionalmente convenuti e secondo approcci moderni.
In un momento in cui si dibatte sull’opportunità di deregolamentare ampi spazi del quadro normativo, lasciando campo all’autonomia negoziale, un interventismo “espropriativo” delle prerogative “centrali” sembra, oltre che incostituzionale, inopportuno.
Evidente l’equilibrata difesa della Carta costituzionale da parte della Consulta. Ciò in una guerra che manca di convinti difensori, con ricorsi abbandonati e giudizi promossi senza prospettazione esaustiva delle violazioni.
La sfida in atto non è di poco conto se, come pare, la rigidità della Costituzione si misura con il tempo entro il quale le fonti ad essa contrarie sono “espulse” dall’ordinamento.
[1] Deliberazione della Giunta regionale 2 agosto 2005, n. 2120, pubblicata sul B.U.R. n. 82 del 30 agosto 2005.
[2] Disciplina da rinvenire nella stessa L.R. n. 27/2003 o nei relativi provvedimenti di attuazione.
[3] Cfr. relazione di accompagnamento. Il riferimento della relazione è alle disposizioni in tema di stipulazione ed approvazione del contratto (art. 2 capitolato generale regionale), a quelle riguardanti il corrispettivo dell’appalto e alle penali (artt. 13-15 e art. 39 C.G.G.) e a quelle su risoluzione e recesso dal contratto (artt. 16-21 C.G.G.)”
[4] Cfr. articolo dell’A., di prossima pubblicazione: “Il nuovo capitolato generale d’appalto Veneto sui lavori pubblici: l’intervento in quadro confuso di competenze normative”.
[5] COM 143 dell’ 11 marzo 1998.
[6] L’articolo 80 dispone che “Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 31 gennaio 2006”.
[7] Cfr. sentenza n. 303/2003 della Corte Costituzionale. La sentenza riguarda la questione di legittimità costituzionale per conflitto d’attribuzione, proposta da diverse Regioni sulla legge n. 443/2001, in materia di infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici (cd. “legge obiettivo”). La pronuncia afferma fra l’altro: “…la mancata inclusione dei “lavori pubblici” nella elencazione dell’articolo 117 Cost., diversamente da quanto sostenuto in numerosi ricorsi, non implica che essi siano oggetto di potestà legislativa residuale delle Regioni. Al contrario, si tratta di ambiti di legislazione che non integrano una vera e propria materia, ma si qualificano a seconda dell’oggetto al quale afferiscono e pertanto possono essere ascritti di volta in volta a potestà legislative esclusive dello Stato ovvero a potestà legislative concorrenti.” La Consulta, peraltro, non si limita ad evidenziare la violazione costituzionale ma si fa anche promotrice di una soluzione costituzionalmente orientata, sostenendo che il possibile contrasto tra lo Stato e le Regioni in ordine agli ambiti di competenza legislativa possa essere superato facendo ricorso all’istituto dell’intesa, in quanto “…l’esigenza di esercizio unitario che consente di attrarre [alla competenza statale] la funzione legislativa, può aspirare a superare il vaglio di legittimità costituzionale solo in presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attività concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che devono essere condotte con il principio di lealtà.”
[8] Per una sintetica ricostruzione cfr. V. DOMENICHELLI, in AA.VV., La legge sui lavori pubblici della regione Veneto, Corriere del Veneto, coll. Legislazione Veneta, pag. 9.
[9] Si confronti tuttavia Corte Costituzionale, sentenza 29 gennaio 2005 n. 65. Tale pronuncia è intervenuta a seguito dell’impugnazione da parte della Presidenza del Consiglio della Legge della Regione Sardegna 9 agosto 2002, n. 14, avente ad oggetto “Nuove norme in materia di qualificazione delle imprese per la partecipazione agli appalti di lavori pubblici che si svolgono nell'ambito territoriale regionale”. Era stato dedotto che la stessa, nella parte in cui stabilisce che le imprese interessate a partecipare ad un appalto bandito nella stessa Regione debbono osservare particolari procedure di qualificazione, determinerebbe “un'indebita compartimentazione del mercato”. Si lamentava, quindi, la violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera e) della Costituzione, per indebita invasione della sfera di competenza legislativa statale in materia di concorrenza. Era paventata anche la violazione di numerose disposizioni comunitarie in materia di libera concorrenza e libertà di stabilimento. La Corte ha dichiarato l'inammissibilità delle censure formulate avverso la legge della Regione Sardegna n. 14 del 2002, con riferimento all'art. 117 della Costituzione. Va evidenziato, tuttavia, che la Consulta ha espresso la propria posizione in relazione alla mancata valutazione, nel ricorso presentato dalla Presidenza del Consiglio, della questione per la quale lo Statuto speciale della regione prevede espressamente la materia dei lavori pubblici fra quelle di propria competenza legislativa.
[10] E’ allo studio l’introduzione di un inciso che limiti l’applicazione della norma ai soli lavori che riguardino dette residenze.
[11] E’ allo studio l’eliminazione delle autorità d’ambito territoriale ottimale dal novero dei soggetti in relazione ai quali i lavori vengono definiti come di competenza regionale, per inserire gli stessi nell’elenco di cui al punto b) (lavori pubblici di competenza di altri soggetti pubblici).
[12] E’ allo studio l’introduzione del riferimento anche alle aziende territoriali per l’edilizia residenziale (ATER).
[13] Vale la pena di far presente che è presente sul campo anche una tesi nominalistica, per la quale una fonte ha la natura che gli viene assegnata (o “negata”) dalla legge. Basti qui menzionare la proposta di riforma del D. Lgs. n. 267/2000 (TUEL) che, con riferimento all’articolo 82, comma 8, prevede: “La misura delle indennità di funzione e dei gettoni di presenza è determinata (…) con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle finanze sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali nel rispetto dei seguenti criteri: (…)”. L’espressa indicazione della natura regolamentare è frequente nel nostro ordinamento. Più rara la sua negazione, con buona pace del contenuto “formalmente amministrativo ma sostanzialmente normativo”.
[14] Cassazione civile, sez. un., 28 maggio 1998, n. 5289, in Giust. civ. Mass. 1998, 1155.
[15] Cassazione civile, sez. I, 22 ottobre 2003, n. 15783, in dir. e Giust. 2003, f. 42, 39 nota (NATALI).
[16] Per un’ampia ricostruzione del tema cfr. A. SCIUME’ e D. TASSAN MAZZOCCO, Il nuovo capitolato generale d’appalto dei lavori pubblici, Milano, Giuffrè, 2000, pag. 4 ss.
[17] E ciò almeno sino a quando non sarà modificato l’impianto Statutario, in linea con le indicazioni della Consulta.
[18] F. CARINGELLA, in AA.VV., Gli appalti di lavori pubblici, Napoli,2005, pag. 18 s.
[19] Cfr. Corte Costituzionale sentenza n. 303/2003, nella parte in cui ha dichiarato incostituzionali la norma (articolo 1, comma 3, Legge n. 443/2001) di autorizzazione al Governo di modificare ed integrare il DPR n. 554/1999, per adeguarlo ai principi della medesima Legge.
[20] Nella relazione di accompagnamento alla Legge regionale n. 27/2003, si esprime l’intenzione di conservare numerose disposizioni della legge n. 109/1994 e di non approvare un Regolamento attuativo per non “turbare ulteriormente il settore con ulteriori radicali innovazioni”.