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Articoli e note

n. 12/2003  - © copyright

LUIGI MAZZEI (*)

Glossa minima a Cons. Stato, Sez. IV, 27 ottobre 2003, n. 6666

 

Con una recente pronunzia (n. 6666 del 27 ottobre 2003, in questa Rivista con nota di G. Virga) la IV Sez. del Consiglio di Stato è intervenuta su due questioni assai rilevanti.

La prima relativa agli effetti che l’annullamento degli atti dei procedimenti per la formazione della volontà contrattuale della P.A., e/o per la scelta del contraente, ha sul contratto già stipulato.

La seconda in tema di risarcimento del danno in favore di chi ha subito l’illegittimità perdendo, così, injure, il diritto all’affidamento del contratto, in particolare per l’esecuzione di lavori pubblici.

La sentenza dà conto dei contrasti giurisprudenziali sul primo aspetto, nonché dei vari indirizzi e delle ragioni esposte a supporto del tipo di invalidità che si riflette sul contratto.

Tutte le decisioni sono basate su argomentate indagini di teoria generale e le (diverse) conclusioni sono conseguenti ai risultati di tali indagini, ovviamente riprovando come l’interpretazione che consentono i principi giustifichi così divergenti decisioni.

Su tale punto – che meriterebbe più approfondita ed autorevole analisi – si vogliono solo, incidenter, esporre alcune perplessità.

La Sezione ha ritenuto, preferibile, la tesi che assume – in caso di annullamento di atti della fase della formazione della volontà contrattuale della p.a. – la mancanza del requisito della legittimazione a contrarre.

La tesi è riferita a tutti gli atti e/o procedimenti di tale fase (delibera a contrattare, bando, aggiudicazione).

Non par dubbio, però, che la serie procedimentale relativa alla formazione della volontà della p.a. si ponga – in ordine alle conseguenze della sua invalidità – in posizione diversa rispetto agli atti relativi alla scelta del contraente.

Mentre per quanto attiene alla c.d. delibera a contrattare sembra pertinente il riferimento alla capacità della parte (1425 c.c.), che è alla base dell’indirizzo maggioritario della Suprema Corte richiamato nella sentenza - in quanto non può dirsi completo l’iter formativo della volontà della P.A. - il mancato rispetto della lex specialis, pur comportando la violazione di precetti con valenza formale superiore (comunitaria), non sembra riguardare la formazione della volontà della p.a., perché, anzi, ne presuppone la validità.

Nei casi, infatti, che la scelta del contraente avvenga con il criterio dell’asta pubblica, la celebrazione ha valore (di norma) di contratto.

Il che presuppone una valida volontà della P.A. committente, tanto più evidente quando a celebrare l’asta è un agente che non ha il potere di esprimere la volontà della P.A.

Che la fase procedimentale per la scelta del contraente (bando – aggiudicazione) si ponga (v. sentenza annotata) quale requisito di legittimazione a contrarre, con incidenza sull’efficacia del contratto stipulato, evoca posizioni dottrinarie non recenti, che avevano inquadrato il contratto, stipulato in base ad un illegittimo procedimento riguardante la delibera a contrarre, nella fattispecie del contratto stipulato dal falsus procurator.

La disciplina, in tale ipotesi, si ricava dagli artt. 1398 e 1399 cod. civ. e la categoria di riferimento è quella dell’efficacia.

Anche in tale ipotesi, però, gli inconvenienti rilevati sul piano dell’effettività della tutela del contrinteressato, non sono diversi da quelli collegati alla ipotesi dell’annullabilità. E’ sempre e solo l’Amm.ne che assume la veste dell’”interessato” (art. 1399 cod. civ.) che decide se il contratto debba o meno avere effetti ed – indubbiamente – per il contrinteressato cambia poco se l’Amm.ne debba impugnare dinnanzi al G.O. il contratto per farne valere l’invalidità o debba ratificarlo (anche se sono essenziali le differenze di classificazione giuridica ed i correlati incombenti per dare attuazione alle due ipotesi).

Peraltro, gli inconvenienti collegati alla tesi dell’annullabilità sono alla base anche della scelta operata – in argomento – dalla VI Sezione con decisione 2332 del 5.5.03 che ritiene che la validità della serie procedimentale sia (semplificando) un’implicita condicio juris per l’efficacia del contratto.

Senza voler ripercorrere il dibattito di teoria generale degli atti e dei procedimenti di carattere autoritativi e di quelli negoziali emessi dalla P.A. per concludere un contratto – rinviando sul punto a quanto si legge nella sentenza in parola - le brevi osservazioni che seguono si riferiscono alla loro regolamentazione positiva limitatamente agli aspetti che rilevano ai fini della presente nota.

Il riferimento non può che riguardare le norme comunitarie in materia.

Nella direttiva 89/665/CEE, è previsto (art. 2, parag. 1 lett. a), b), c) la sospensione della procedura di aggiudicazione, l’annullamento delle decisioni illegittime, il risarcimento del danno.

Per quanto più rileva ai fini del presente esame al paragrafo 6 è detto “...gli effetti dell’esercizio dei poteri di cui al paragrato 1 sul contratto stipulato in seguito all’aggiudicazione dell’appalto sono determinati dal diritto nazionale”.

Ed al comma 2 la disposizione prosegue aggiungendo “...i poteri dell’organo responsabile delle procedure di ricorso si limitino alla concessione di un risarcimento danni ....”.

Il rinvio agli ordinamenti nazionali, per determinare gli effetti dello annullamento dell’aggiudicazione sui contratti stipulati, esclude che l’affidamento del contratto sia oggetto diretto della tutela prevista dalle norme comunitarie.

Peraltro, una diversa disposizione sarebbe stata, comunque, armonizzata con quanto previsto dall’art. 2058 cod. civ., dal quale, in sostanza, non si discosta la decisione IV, 14.6.2001, n° 3169 (cit. in sentenza), che assume la reintegra in forma specifica prevista nel processo amministrativo, come un istituto speciale di quella branca processuale.

Il legislatore – come è noto e come ricorda la decisione in commento – ha escluso la reintegra in forma specifica nei casi di contratti riguardanti le infrastrutture e gli insediamenti produttivi strategici (art. 14 d.lgs. 190/02).

A contrario, negli altri casi relativi a contratti per l’esecuzione di lavori pubblici, non rientranti nell’ipotesi della c.d. legge obiettivo, la reintegra è normalmente prevista con le limitazioni di cui all’art. 2058 cod. civ. e/o art. 7 l. 205/00.

Quello che va aggiunto è che la diversità del risarcimento del danno prevista per i contratti per gli interventi strategici (art. 14 d. lgs 190/02), così come le limitazioni di cui al 2058 c.c., non si riflettono sulla natura di tali contratti né sulle categorie della loro validità ed efficacia, che sono le stesse degli altri contratti della P.A. e sono quelle fissate dal codice civile.

Da questa disciplina ne consegue che l’annullamento della fase dell’aggiudicazione non elide la validità del contratto stipulato, mentre l’efficacia dello stesso dipende dall’accoglimento o meno della domanda di reintegra in forma specifica del contrinteressato. Infatti, in caso di rigetto di tale domanda, il contratto stipulato sulla base di un’aggiudicazione dichiarata illegittima continua a vincolare le parti ed a produrre i suoi effetti.

Ed è appena il caso di aggiungere che ciò non sarebbe possibile se l’annullamento dell’aggiudicazione comportasse ex lege l’invalidità del contratto o la sua inefficacia (simul stabunt, simul cadent).

Peraltro, neppure l’inefficacia (che è l’aspetto rilevante non solo per la sentenza impugnata, ma anche, per come ricordato da VI, 2332 del 5.5.03) viene meno automaticamente per effetto del collegamento funzionale fra la serie procedimentale e quella negoziale, ma solo per effetto eventuale della decisione concreta del Giudice al quale è rimessa la valutazione comparativa degli interessi coinvolti dall’annullamento dei provvedimenti.

Vi è così un evidente ribaltamento della situazione derivante – per la tutela del soggetto controinteressato – dall’accoglimento delle tesi dell’annullabilità e della mancanza di legittimazione del falsus procurator.

Ovviamente tale conclusione si discosta anche da quella conseguente all’applicazione degli artt. 23 e 25 cod. civ..

Non è la posizione soggettiva del terzo contraente l’elemento che decide la sopravvivenza del contratto, ma la possibilità di concedere o meno la reintegra in forma specifica al contrinteressato. Il problema del terzo in buona fede avrà rilevanza ove il terzo che avesse stipulato il negozio nelle more dell’annullamento dell’aggiudicazione dovesse ritrovarsi con un contratto inefficace.

Dal breve excursus delle norme positive che regolano la materia sembra si possa affermare che l’annullamento degli atti della fase procedimentale per la scelta del contraente (a differenza di quelli che attengono alla formazione della volontà contrattuale della P.A.) non incide sulla validità degli atti conseguenti di rilevanza negoziale.

L’efficacia di tali ultimi atti può essere invece travolta dall’accoglimento della domanda di risarcimento in forma specifica del contrinterressato e dipende dalla concreta decisione del Giudice, che non riguarda l’illegittimità degli atti (che anzi presuppone) ma, in concreto, il limite del risarcimento riconosciuto.

Vi è da aggiungere una notazione per quanto riguarda il criterio di valutazione dei danni in caso di accoglimento della domanda di annullamento degli atti della fase ad evidenza pubblica e di rigetto della domanda di reintegra.

Assolutamente perspicua nella sentenza annotata l’individuazione dei possibili danni e, saltando a piè pari le questioni attinenti la relativa valutazione, va esaminato come in questo quadro si inserisca (o si può inserire) la previsione di cui all’art. 109 del regolamento 554/99.

La norma riproduce disposizioni della già vigente legge fondamentale in materia di ll.pp (art. 336) ed un pacifico indirizzo giurisprudenziale sul punto.

In proposito va detto che non è concepibile che “il legittimo contraente” abbia diritto al risarcimento del danno per equivalente, pari almeno all’8% della sua offerta (v. sent. 6666/03), nel caso che tale titolo gli derivi dal riconoscimento di una decisione giurisprudenziale, mentre, se la sua posizione derivi dalla legittima conclusione del previsto procedimento avrà titolo – per lo stesso mancato affidamento del contratto – ad un irrisorio indennizzo, peraltro, soggetto (pare) ad un termine decadenziale.

Non si può non aggiungere che se tale valutazione normativa del contenuto del diritto del “legittimo contraente” fosse fondata ne deriverebbe che la sua posizione giuridica soggettiva sarebbe da qualificare, per la rilevanza del suo affievolimento (“indennizzo”) , come un tertium genus rispetto agli interessi legittimi ed i diritti soggettivi, che sono, come è noto, risarcibili. Con ovvia rilevanza (per come detto) nella fase della valutazione del danno in sede giurisdizionale (considerato di ben altra consistenza dalla sentenza annotata).

E poco va cambiato con riferimento all’art. 129 del d.p.r. 554/99, che riproduce l’art. 10 del regol. 350/1895, con limitazioni di responsabilità che appaiono inaccettabili, fuoriuscendo la fattispecie, in modo forzato, e solo formale, dall’ipotesi di recesso dell’art. 345 l. 2248/1865 all. F (sostanzialmente corrispondente, come contenuto, all’art. 1671 c.c.).

A pensarci bene, se queste norme regolamentari continueranno ad essere considerate legittime, il “bene della vita” che si pretende con la proposizione dei ricorsi giurisdizionali per l’annullamento degli atti di scelta del contraente non sarà l’affidamento del contratto ma il risarcimento del danno, solo ed esclusivamente, per equivalente.

 

(*) Avvocato.


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