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Articoli e note

n. 11/2006

LAURA MARZANO

Comportamenti e riparto di giurisdizione:
la parola torna alla Corte costituzionale (
*).

(note a margine di Corte cost., 11 maggio 2006, n. 191)

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1.- Le contrastanti posizioni giurisprudenziali dopo Corte cost. 204/04.

Con la sentenza 11 maggio 2006, n. 191 la Corte costituzionale torna ad interessarsi di vicende di occupazione appropriativa questa volta intervenendo sull’art. 53, comma 1, del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità) nella parte in cui devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi per oggetto oltre gli atti, i provvedimenti e gli accordi anche i comportamenti delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti ad esse equiparati, conseguenti alla applicazione delle disposizioni del testo unico.

E’ noto come la sentenza 6 luglio 2004, n.204 [1] del giudice delle leggi, che per prima si era occupata dell’estensione della giurisdizione esclusiva ai comportamenti in materia edilizia e urbanistica contenuta nella previsione dell’art.34 D. Lgs. 31 marzo 1998, n.80 come sostituito dall’art.7 L. 21 luglio 2000, n.205, abbia aperto una querelle interpretativa in cui si fronteggiano su posizioni opposte Cassazione e Consiglio di Stato.

Il problema ruota intorno alla nozione di “comportamenti” della pubblica amministrazione cui, i due plessi giurisdizionali, attribuiscono differenti accezioni.

Secondo l’orientamento della Corte di Cassazione nell’ipotesi di annullamento [2] della dichiarazione di pubblica utilità ovvero di successiva inefficacia per scadenza del termine finale [3] le relative controversie sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario essendosi in presenza di atti affetti da carenza di potere in concreto non idonei ad affievolire il diritto soggettivo del proprietario del fondo trasformato in modo irreversibile.

Di diverso avviso il Consiglio di Stato secondo cui tanto in ipotesi di annullamento [4] quanto di sopravvenuta inefficacia [5] della dichiarazione di pubblica utilità, la giurisdizione spetterebbe al giudice amministrativo, anche dopo la sentenza n. 204/04 della Corte costituzionale. Tale pronuncia infatti, lungi dal costituire un ritorno al passato [6], rappresenterebbe una conferma di quella giurisprudenza che ha ricondotto alla giurisdizione amministrativa tutti i comportamenti lesivi di diritti soggettivi posti in essere dall’amministrazione in veste di autorità.

Opinando dalla titolarità in astratto del potere in capo all’amministrazione, in punto di giurisdizione sarebbe rispettato il limite esterno quante volte l’occupazione sine titulo venga riguardata come una forma di uso del territorio e quindi fatta rientrare nella giurisdizione esclusiva ai sensi dell’art. 34 del D. Lgs. 80/98.

Sul versante del limite interno alla giurisdizione, questa sussisterebbe in via esclusiva non solo nel caso di congiunta proposizione dell’impugnativa dell’atto degradatorio e della pretesa risarcitoria relativa a diritti soggettivi, ma anche nel caso di inefficacia retroattiva ex lege che investe l’atto degradatorio applicativo del vincolo preordinato all’esproprio, per l’assoluta somiglianza delle due fattispecie. In entrambe, infatti, si è in presenza di comportamenti che sono esecuzione di provvedimenti autoritativi degradatori, venuti meno per annullamento o per sopravvenuta inefficacia.

Solo i comportamenti che non siano riconducibili sul piano eziologico all’esplicazione di un pubblico potere debbono ritenersi devoluti alla giurisdizione del giudice ordinario. Ne consegue che l’occupazione appropriativa deve farsi rientrare, secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato, nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

Anche in dottrina si sono fronteggiate posizioni apertamente contrastanti in merito agli effetti della pronuncia di incostituzionalità parziale dell’art.34 D. Lgs 80/98 contenuta nella sentenza 204/04, registrandosi opinioni apertamente favorevoli alla riconduzione dell’occupazione appropriativa nell’alveo della giurisdizione ordinaria e tesi schierate per una lettura elastica della sentenza in senso confermativo della giurisdizione amministrativa [7].

In sede di disamina puntuale del caos applicativo determinatosi in seguito alla sentenza della Consulta, attenta dottrina ha ravvisato le ragioni di detto contrasto, tra l’altro, in una “strana inversione dei termini logici del problema” che, a fronte dell’unico dato positivo fondamentale, consistente nella dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 34 (e 33) del D. Lgs. 80/98, ha indotto a ricercare nella motivazione uno strumento di compressione della portata rescindente della pronuncia [8].

2.- I dubbi sulla sopravvivenza dell’art. 53 t.u. espropriazione e le ordinanze di rimessione.

Per le controversie relative ad occupazioni appropriative od usurpative e sananti successive all’entrata in vigore del T.U. espropriazioni, si è posto il dubbio in ordine alla sopravvivenza dell’art. 53 del medesimo T.U. che mantiene ferma la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo anche in ordine ai comportamenti in materia espropriativa ricadenti ratione temporis sotto la disciplina del testo unico.

Sulla legittimità della norma si confrontano due posizioni.

Secondo un primo orientamento la citata sentenza della Corte è destinata a travolgere anche la disposizione di cui all’art. 53 del T.U. n. 327 del 2001 in tema di espropriazioni, laddove tale norma fa riferimento anche ai comportamenti delle Amministrazioni pubbliche oltre che agli atti, provvedimenti ed accordi [9].

Altro orientamento ritiene, invece, che re melius perpensa, l’affermazione secondo cui l’art. 53 t.u. sarebbe stato implicitamente travolto, in parte qua, dalla declaratoria di incostituzionalità dell’art. 34 cit. non può trovare conferma, giacché l’ordinamento non riconosce la possibilità di declaratorie di incostituzionalità “implicite”, ma prevede espressamente (art. 27 della legge n. 87/1953) che "la Corte costituzionale, quando accoglie una istanza o un ricorso relativo a questioni di legittimità costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge, dichiara, nei limiti dell'impugnazione, quali sono le disposizioni legislative illegittime. Essa dichiara altresì, quali sono le altre disposizioni legislative, la cui illegittimità deriva come conseguenza dalla decisione adottata". Di una simile “estensione” consequenziale non si trova traccia nella decisione della Consulta n. 204/2004, per cui l’art. 53 del D.Lg.vo n. 325/2001 è da ritenersi pienamente vigente [10].

 Afferma il Tar calabrese che, nell’art. 53 del D.Lg.vo n. 325/2001, il riferimento ai “comportamenti”, non implica, malgrado l’apparente simmetria con l’art. 34 del D.Lg.vo n. 80/98, lo sconfinamento della giurisdizione amministrativa esclusiva dai limiti delineati dalla Corte con la sentenza 204/2004, ma al contrario ne rappresenta una sua coerente declinazione, poiché le previsioni dell’art. 53, cit., riguardano, come si evince dalla sua parte finale, i comportamenti “conseguenti all’applicazione delle disposizioni del testo unico”, espressione anch’essi di funzioni ontologicamente riconducibili al potere ablatorio, quale configurato dalla legge [11].

Di diverso avviso il Tar Calabria – Catanzaro che ha sollevato, con ordinanza n. 104 del 22 ottobre 2004, in riferimento agli artt. 25 e 102, comma secondo, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 53, comma 1, del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità – Testo A), e con ordinanza n. 23 del 5 maggio 2005, in riferimento all'art. 103 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 53, comma 1, del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 325 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di espropriazione per pubblica utilità – Testo B), disposizione trasfusa nell'art. 53, comma 1, del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, innanzi menzionato, nella parte in cui devolvono alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi per oggetto i «comportamenti» delle pubbliche amministrazioni, e dei soggetti ad esse equiparati, in materia di espropriazione per pubblica utilità.

Sulle indicate ordinanze di rimessione è intervenuta la sentenza della Corte costituzionale n. 191 dell’11 maggio 2006 [12].

E’ opportuno ripercorrere l’iter motivazionale seguito dal Tar calabrese nelle citate ordinanze prima di analizzare la risposta singolare data dalla Consulta.

Il giudice calabrese si è ritrovato all’esame due fattispecie di occupazione appropriativa in cui la dichiarazione di pubblica utilità era stata emessa in epoca anteriore all’entrata in vigore del testo unico (30 giugno 2003); unica differenza nelle due fattispecie è la data di proposizione della domanda essendo stata la seconda causa incardinata in epoca successiva alla indicata data di inizio vigenza del testo unico, con le conseguenze che si vanno ad esaminare.

Entrambe le ordinanze – emesse nel corso di giudizi nei quali era stata proposta domanda di risarcimento dei danni per avere subìto, il fondo di proprietà dei ricorrenti, radicali trasformazioni durante il periodo di occupazione disposta per la realizzazione di un'opera pubblica senza che fosse intervenuto il decreto di esproprio – osservano che l'art. 53, comma 1, prevede la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo delle controversie aventi ad oggetto (anche) «i comportamenti» delle pubbliche amministrazioni, e cioè la medesima ipotesi che la Corte costituzionale – con la sentenza n. 204 del 2004 – ha espunto, ritenendola costituzionalmente illegittima, dall'art. 34, comma 1, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80, come sostituito dall'art. 7, comma 1, lettera b), della legge 21 luglio 2000, n. 205.

L'ordinanza n. 104/04 precisa che il dubbio circa la conformità a Costituzione della norma de qua non avrebbe ragion d'essere ove la dichiarazione di pubblica utilità ed urgenza fosse stata pronunciata dopo l'entrata in vigore del D.P.R. n. 327 del 2001 (e cioè dopo il 30 giugno 2003: art. 1 del decreto legislativo n. 302 del 2002), dal momento che in tal caso opererebbe (ex art. 57 del D.P.R. n. 327, come modificato dal citato art. 1 del decreto legislativo n. 302 del 2002) anche l'art. 43 del medesimo D.P.R., il quale attribuisce alla pubblica amministrazione il potere (certamente sindacabile dal giudice amministrativo) di acquisire l'immobile, «modificato in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità», al patrimonio indisponibile con «condanna al risarcimento del danno e con esclusione della restituzione del bene senza limiti di tempo».

Poiché nel caso sottoposto al suo esame la dichiarazione di pubblica utilità è intervenuta «ben prima del 30 giugno 2003», la previsione di diritto sostanziale dell'art. 43 non potrebbe operare e, pertanto, ci si troverebbe in una situazione perfettamente analoga a quella che era disciplinata dall'art. 34 (dichiarato incostituzionale dalla sentenza n. 204 del 2004), del quale l'art. 53, comma 1, riproduce il contenuto aggiungendovi soltanto «gli accordi».

Il giudice rimettente rileva come la giurisprudenza, nell'affrontare le problematiche di diritto transitorio connesse all'entrata in vigore del testo unico sulle espropriazioni, abbia distinto tra norme di carattere sostanziale e norme di carattere processuale, ritenendo queste ultime, e quindi anche l'art. 53, applicabili a tutti i giudizi pendenti, pur se introdotti prima dell'entrata in vigore del testo unico stesso. Ritiene peraltro il rimettente che la predetta norma si saldi, ad essi sostituendosi, con l'art. 34, comma 1, del d.lgs.31 marzo 1998, n. 80 e con l'art. 7, lettera b), della l. 21 luglio 2000, n. 205 che già attribuivano tali controversie al giudice amministrativo. L'applicazione del primo comma dell'art. 53 comporta, pertanto, secondo il Tar calabrese, che la cognizione della controversia dedotta in giudizio – che «verte in ordine alla domanda di riparazione del pregiudizio subito dal privato in conseguenza di un comportamento materiale dell'amministrazione qualificabile come illecito» – spetta al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva.

Va rilevato che mentre l’ordinanza n. 23 del 2005 vede nella dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 53, comma 1, una sorta di completamento di quanto, ex art. 27 della legge n. 87 del 1953, già con la sentenza n. 204 del 2004 la Corte costituzionale avrebbe potuto fare; l'altra (n. 104 del 2004) osserva che il mancato utilizzo da parte della Corte dello strumento della dichiarazione consequenziale di illegittimità costituzionale si giustificherebbe per il collegamento, sopra ricordato, della previsione di cui all'art. 53, comma 1, con quella di cui all'art. 43: sicché, ove tale collegamento ratione temporis non operi, il riferimento ai “comportamenti” dovrebbe essere cassato come lo fu quello contenuto nell'art. 34 del d.lgs. n. 80 del 1998.

Ne discende che il petitum delle due ordinanze diverge sul punto che l'una (n. 23/05) sollecita una pronuncia che definitivamente espunga dalla norma censurata la locuzione “i comportamenti”, mentre l'altra (n. 104/04) chiede che la Corte ciò faccia relativamente ai giudizi nei quali non potrebbe trovare applicazione la norma di diritto sostanziale di cui all’art. 43, che, sola, giustifica la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in quanto contempla un potere della pubblica amministrazione sindacabile da parte di quel giudice.

Senonché, in punto di non manifesta infondatezza, il Tar calabrese, richiamando l’operazione di espunzione dei comportamenti dall’art.34 del d.lgs. 80/1998, come sostituito dall'art. 7, l. 205/2000, operato dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 204 del 2004, ritiene che le argomentazioni afferenti alla mancanza, nell’attività comportamentale, dell’esercizio neanche in forma mediata del pubblico potere, che hanno indotto il giudice delle leggi alla declaratoria di incostituzionalità parziale dell’art. 34 cit. si presterebbero ad operare con riferimento alla devoluzione al giudice amministrativo dei comportamenti della pubblica amministrazione in materia espropriativa [13], a meno che essi non riguardino progetti in relazione ai quali la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza sia stata pronunziata dopo l'entrata in vigore del d.P.R. n. 327 del 2001. Ciò in quanto, in tal caso ben potrebbe l'amministrazione avvalersi del disposto dell'art. 43, comma 1, per il quale «valutati gli interessi in conflitto, l'autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre che esso vada acquisito al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario vadano risarciti i danni».

Secondo il giudice rimettente la previsione di un siffatto potere di dichiarazione «postuma» di pubblica utilità dell'opera, connotato da evidenti profili di discrezionalità, consentirebbe infatti – nella prospettiva adottata dalla Corte costituzionale con riguardo all'ipotesi di uso, da parte della pubblica amministrazione, di strumenti intrinsecamente privatistici, in quanto forma di esercizio «mediato» del potere pubblico – di ritenere giustificata l'attribuzione della materia al giudice amministrativo.

3- La risposta della Corte costituzionale:

3.1.- La parte interpretativa.

Sulle osservazioni del giudice rimettente fin qui ricostruite, la Corte costituzionale è approdata alla declaratoria di incostituzionalità parziale dell’art.53 t.u. espropriazioni e precisamente nella parte in cui, devolvendo alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative a «i comportamenti delle pubbliche amministrazioni e dei soggetti ad esse equiparati», non esclude i comportamenti non riconducibili, nemmeno mediatamente, all'esercizio di un pubblico potere, sulla base sostanzialmente di due ampi crinali motivazionali che si vanno ad esaminare[14].

Sul primo versante la Corte delle leggi si sofferma diffusamente, al punto 3. del considerato in diritto, su una dissertazione interpretativa della precedente sentenza n.204/2004 a firma del medesimo relatore.

Osserva la Corte che la sentenza n. 204 del 2004, ha investito la legittimità costituzionale degli artt.33 (relativo ai pubblici servizi) e 34 (relativo all'edilizia ed urbanistica) del d.lgs. n. 80 del 1998, come modificati dall'art. 7 (lettere a e b) della legge n. 205 del 2000, in quanto con tali norme il legislatore aveva «sostituito al criterio di riparto della giurisdizione fissato in Costituzione, e costituito dalla dicotomia diritti soggettivi-interessi legittimi, il diverso criterio dei “blocchi di materie”». In sede di scrutinio la Corte aveva ritenuto che l’art. 103, primo comma, Cost., non ha conferito al legislatore ordinario una assoluta ed incondizionata discrezionalità nell'attribuzione al giudice amministrativo di materie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, ma gli ha conferito il potere di indicare “particolari materie” nelle quali “la tutela nei confronti della pubblica amministrazione” investe “anche” diritti soggettivi». Per cui le “materie” assoggettabili alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo devono partecipare della medesima natura delle materie devolute alla giurisdizione di legittimità, che è contrassegnata dalla circostanza che la pubblica amministrazione agisce come autorità, nei confronti della quale è accordata tutela al cittadino davanti al giudice amministrativo», sicché, «da un lato, è escluso che la mera partecipazione della pubblica amministrazione al giudizio sia sufficiente perché si radichi la giurisdizione del giudice amministrativo […] e, dall'altro lato, è escluso che sia sufficiente il generico coinvolgimento di un pubblico interesse nella controversia perché questa possa essere devoluta al giudice amministrativo».

Sulla base di tali premesse, la sentenza 204/04 – dopo aver distinto nell'ambito dell'art. 33 le ipotesi in cui la materia dei servizi pubblici era legittimamente devoluta al giudice amministrativo in quanto «la pubblica amministrazione agisce esercitando il suo potere autoritativo» da quelle prive di tale connotato - ha osservato che «analoghi rilievi investono la nuova formulazione dell'art. 34», la quale «si pone in contrasto con la Costituzione nella parte in cui, comprendendo nella giurisdizione esclusiva – oltre “gli atti e i provvedimenti” attraverso i quali le pubbliche amministrazioni […] svolgono le loro funzioni pubblicistiche in materia urbanistica ed edilizia – anche “i comportamenti”, la estende a controversie nelle quali la pubblica amministrazione non esercita – nemmeno mediatamente, e cioè avvalendosi della facoltà di adottare strumenti intrinsecamente privatistici – alcun pubblico potere».

La ricostruzione dell’iter argomentativo seguito nella sentenza del 2004 è utilizzata dalla Corte per porre in rilievo la non correttezza della premessa da cui muovono i giudici rimettenti in entrambe le ordinanze, secondo cui l’espunzione dei comportamenti dall’art.34 d. lgs. 80/98 avrebbe come inevitabile conseguenza l’espunzione dei comportamenti dall’art. 53 t.u. espropriazione.

Osserva la Corte che tale tesi considera solo il dispositivo della sentenza n. 204 del 2004 trascurando del tutto non soltanto la motivazione che è alla base di quel dispositivo, ma anche, e soprattutto, la valenza che la locuzione espunta aveva, specie in relazione alla questione di legittimità costituzionale allora sottoposta alla Corte, nella disposizione dell'art. 34 del d.lgs. n. 80 del 1998 [15]. Precisa il giudice costituzionale che nell’affrontare la questione del se fosse costituzionalmente legittimo devolvere alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo “blocchi di materie” ed in particolare l'intera “materia urbanistica ed edilizia” (comprensiva, la prima, di “tutti gli aspetti dell'uso del territorio” [16]), la Corte ha ravvisato – come risulta dalla motivazione della sentenza – nella locuzione “i comportamenti” lo strumento utilizzato dal legislatore per operare l'indiscriminata devoluzione che si andava a censurare: sicché l'espunzione di tale locuzione, per la funzione “di chiusura” assegnatale dal legislatore nell'art. 34, valeva a ribadire che la “materia edilizia ed urbanistica” non poteva essere devoluta “in blocco” alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ma poteva esserlo nei limiti precisati nella motivazione.

Osserva, invece, la Consulta che la questione di legittimità costituzionale della quale la Corte è ora investita con le ordinanze del Tar calabrese involge (non più la pretesa del legislatore ordinario di attribuire alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo “in blocco” la materia edilizia ed urbanistica, ma) specificamente la conformità a Costituzione della norma che, in tema di espropriazione per pubblica utilità, devolve «alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi per oggetto», oltre che «gli atti, i provvedimenti, gli accordi», anche «i comportamenti delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti ad esse equiparati»; questione che, stando alla ricostruzione interpretativa della Corte non può essere risolta attraverso la semplice e meccanica estensione a questa disposizione dell'espunzione, solo perché, allora, operata, della locuzione de qua dall'art. 34 del d.lgs. n. 80 del 1998.

Fin qui la parte interpretativa.

3.2.- La parte rescindente.

Nella parte centrale della motivazione la Corte, nel perimetrare l’ambito normativo oggetto di scrutinio, circoscrivendolo alla parte dell’art.53 attributiva della giurisdizione al giudice amministrativo – senza intaccare la parte che presuppone la sindacabilità, da parte del g.a., dell’esercizio del potere spettante alla p.a. di acquisire al patrimonio indisponibile l’immobile modificato – precisa che la rilevanza della questione nei giudizi a quibus risiede nel potenziale esito con pronunce declinatorie della giurisdizione ove la Corte pervenisse ad una dichiarazione di incostituzionalità parziale come era avvenuto con la 204: entrambi i giudizi, infatti, precisa la Corte, hanno ad oggetto fattispecie di occupazione appropriativa e pendono dinanzi al giudice amministrativo munito ex novo di giurisdizione in forza dell’art.53 censurato.

Individuate le fattispecie processuali su cui il giudizio costituzionale andrà ad incidere, la Corte non tralascia, attraverso (ancora una volta) una rilettura della precedente sentenza n.204/2004, di sconfessare la valenza di obiter dictum della statuizione sulla competenza risarcitoria come strumento di tutela ulteriore contenuta nell’autorevole precedente.

Sulla base di tali premesse la Consulta approda ad una asserzione piuttosto impegnativa in punto di tecnica di riparto di giurisdizione, affermando che “ai fini del riparto di giurisdizione, è irrilevante la circostanza che la pretesa risarcitoria abbia – come si ritiene da alcuni –, o non abbia, intrinseca natura di diritto soggettivo”, così sconfinando per un momento dal suo ruolo di giudice delle leggi, per assumere quello, istituzionalmente ad essa non affidato, di giudice regolatore della giurisdizione [17].

Non a caso, attenta dottrina ha osservato “che l’art.111 Cost. riserva ad altri il compito di giudice della giurisdizione. Le considerazioni svolte dalla Corte costituzionale riguardano solo le condizioni ‘minime’ perché il legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità, possa introdurre un’ipotesi di giurisdizione esclusiva. Una volta rispettate queste condizioni, l’ultima parola in materia di giurisdizione spetta alla Cassazione” [18].

In forza di detta singolare operazione la Corte conclude affermando che la previsione dell’art.53, comma1, t.u. espropriazioni, “è costituzionalmente illegittima là dove la locuzione, prescindendo da ogni qualificazione di tali “comportamenti”, attribuisce alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo controversie nelle quali sia parte − e per ciò solo che essa è parte − la pubblica amministrazione, e cioè fa del giudice amministrativo il giudice dell'amministrazione piuttosto che l'organo di garanzia della giustizia nell'amministrazione (art. 100 Cost.).      Viceversa, nelle ipotesi in cui i “comportamenti” causativi di danno ingiusto – e cioè, nella specie, la realizzazione dell'opera – costituiscono esecuzione di atti o provvedimenti amministrativi (dichiarazione di pubblica utilità e/o di indifferibilità e urgenza) e sono quindi riconducibili all'esercizio del pubblico potere dell'amministrazione, la norma si sottrae alla censura di illegittimità costituzionale, costituendo anche tali “comportamenti” esercizio, ancorché viziato da illegittimità, della funzione pubblica della pubblica amministrazione”.

La sentenza pone in rilievo la distinzione fra comportamenti contrapponendo quelli non riconducibili all’esercizio di un pubblico potere a comportamenti riconducibili ‘mediatamente’ all’esercizio di un potere, sottraendo alla giurisdizione esclusiva la prima delle due categorie nell’alveo della quale la Corte fa rientrare i comportamenti posti in essere in carenza di potere o in via di mero fatto.

Al contrario, i comportamenti che siano esecuzione di atti o provvedimenti amministrativi e dunque riconducibili all’esercizio del pubblico potere, anche se illegittimo, vanno secondo la Corte correttamente devoluti alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

Esportando l’enunciazione teorica sul piano applicativo, non può non inferirsene che, con riferimento alle occupazioni sine titulo, lo sbarramento alla giurisdizione esclusiva si ponga per le sole occupazioni usurpative laddove le occupazioni appropriative restano definitivamente sottratte al giudice ordinario titolare di una giurisdizione meramente residuale.

La Corte, tuttavia, non è così lapidaria sulla enunciata bipartizione piuttosto rilevando che la distinzione tra le due fattispecie di occupazione senza titolo non è sempre agevole.

In altri termini la Corte sembra voler porre fine al dibattito dottrinale fiorito in seguito alla sentenza 204 e risolvere d’autorità l’aperto contrasto tra i due plessi giurisdizionali: il riferimento ai comportamenti come il veicolo attraverso il quale il legislatore aveva esteso la giurisdizione esclusiva “a controversie nelle quali la pubblica amministrazione non esercita – nemmeno mediatamente e cioè avvalendosi della facoltà di adottare strumenti intrinsecamente privatistici – alcun pubblico potere” che, nella sentenza del 2004, era stato un passaggio esplicativo della incostituzionalità della devoluzione al giudice amministrativo di interi blocchi di materie, assurge, nella pronuncia del maggio 2006, a linea di demarcazione, peraltro sottile ed incerta per espressa ammissione della stessa corte, tra una sempre più corposa giurisdizione amministrativa ed una residuale ed impoverita giurisdizione ordinaria.

Mentre nella 204 il comportamento, alla luce della lapidarietà del dispositivo ma anche del tessuto motivazionale, era una figura sintomatica della carenza di potere, nella 191 il comportamento assurge alla dignità di espressione tipizzata dell’esercizio del potere, ancorché illegittimo, con l’unica marginale esclusione dei comportamenti posti in essere in “carenza di potere” o “in via di mero fatto”.

4- Considerazioni conclusive.

         La Corte, in definitiva, sembra aderire alla tesi unanimemente recepita dalla giurisprudenza amministrativa [19], secondo cui, in materia espropriativa, i giudizi aventi ad oggetto vicende di occupazione appropriativa restano, anche dopo la sentenza n.204/2004, devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, essendo affidate al giudice ordinario, in via residuale, solo le vicende c.d. usurpative [20].

La Corte, addentrandosi in una sorta di interpretazione autentica del precedente pronunciamento [21], elabora una nozione di comportamenti che sembra avere una fisionomia del tutto diversa e configgente con quella ricavata dalla Corte di Cassazione con riferimento alla sentenza 6 luglio 2004, n.204 [22].

Siffatta opzione autointerpretativa della corte suscita qualche perplessità alla luce del principio di stabilità del giudicato costituzionale, ricavabile dall’art.137, comma terzo, della costituzione [23], che statuisce la non impugnabilità delle sentenze della Corte, e dalla lettura che la stessa Corte costituzionale ha dato della norma.

In una sentenza di esemplare chiarezza la Corte ha chiarito che “l’espressa esclusione di qualsiasi impugnazione, in coerenza con la natura della Corte costituzionale e con il carattere delle sue pronunce, pone una regola generale, priva di eccezioni, che non si limita ad interdire gravami devoluti ad altri giudici, giacché non è configurabile un giudizio superiore rispetto a quello dell’unico organo di giurisdizione costituzionale, ma impedisce il ricorso alla stessa Corte contro le decisioni che essa ha emesso” [24].

Ha osservato autorevole dottrina che per un verso la Corte, ponendo l’accento sulla “natura” di tale organo, ha inteso sottolineare la finalità, insita nell’art.137 della Costituzione, di salvaguardare l’indipendenza della corte costituzionale; per altro verso, richiamando il “carattere” delle sue pronunce ha inteso dare risalto alla finalità di tutela della stabilità delle sue decisioni nei confronti di chiunque e, in particolare, del contenuto di esse. Contenuto che, una volta “perfezionato”, non è disponibile neppure da parte dello stesso Giudice costituzionale [25].

Tale principio di indisponibilità, ad avviso di chi scrive estensibile anche all’attività che si è definita autointerpretativa, è desumibile peraltro anche dal principio processuale generale, non codificato nel nostro ordinamento ma ritenuto vigente, in forza del quale ogni giudice, indipendentemente dal passaggio in giudicato, è vincolato dalle sentenze che esso stesso ha pronunciato [26].

Se così è, detto principio deve valere a fortiori per le pronunce del Giudice delle leggi che costituiscono ”il punto di non ritorno e di chiusura dell’ordinamento” [27].

Tuttavia, al di là della condivisibilità o meno di una simile opzione ermeneutica, non si può non osservare come, in punto di correttezza formale, la sentenza in commento, sembri sconfinare nel vizio di ultrapetizione.

Non va dimenticato, infatti, che il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, in quanto principio generale concernente le pronunce giurisdizionali, va applicato anche al giudizio costituzionale in relazione all’ordinanza di rimessione nel giudizio incidentale[28].

L’oggetto del giudizio costituzionale, tendenzialmente, è delimitato dall’oggetto del giudizio a quo come delineato nell’ordinanza di rimessione [29], poiché ai sensi dell’art. 27 l. 11 marzo 1953 n. 87, la Corte accoglie l’istanza o il ricorso relativo a questione di legittimità costituzionale, “nei limiti dell’impugnazione” [30].

Non va dimenticato che il giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale rappresenta nel processo, che resta unico, uno iato provocato dall’ordinanza di rimessione. Sono pertanto ravvisabili due monconi del medesimo processo: da un lato l’instaurazione del giudizio finalizzata a tutelare l’interesse, al contempo generale e particolare, a non applicare al caso concreto una norma sospetta di contrasto con la Carta fondamentale; dall’altro il giudizio costituzionale nel quale lo scrutinio di legittimità della norma deve essere necessariamente sorretto da una valutazione di rilevanza, nel senso di garantire che il giudizio da cui è sorta la questione abbia una valenza esemplare e che, una volta risolta la questione di costituzionalità, possa tornare utile alla definizione della vicenda concreta su cui si controverte nel giudizio a quo.

In altri termini, quando la Corte modifica il thema decidendum, non è da escludere che essa decida una questione del tutto diversa da quella di cui si discute nel giudizio che le ha dato origine, con la conseguenza che quella questione perde la sua connotazione di caso esemplare, in aperto contrasto con il carattere incidentale del sindacato di costituzionalità [31].

Non operando il principio dispositivo, la maggiore flessibilità ascrivibile al giudizio incidentale va circoscritta nei limiti in cui il caso concreto del giudizio di provenienza conservi il suo carattere “emblematico” [32].

Nella sentenza 11 maggio 2006, n. 191 invece la Corte sposta l’oggetto dello scrutinio di legittimità oltre il caso ad essa sottoposto dai giudici rimettenti, che è, in entrambi i giudizi a quibus, di occupazione appropriativa, come la Corte stessa specifica, concludendo con una formula rescindente della norma censurata più propriamente riferibile a fattispecie di occupazione usurpativa e, di conseguenza, non utilizzabile nel prosieguo dei giudizi di merito dai giudici rimettenti [33].

Autorevole dottrina ritiene infatti, condivisibilmente, che “rispetto ai due giudizi di merito pendenti avanti al Tar Calabria la dichiarazione di illegittimità costituzionale dovrebbe risultare del tutto irrilevante” [34].

La finalità perseguita dalla Corte e resa palese dal tessuto motivazionale avrebbe forse più opportunamente consigliato l’adozione di una sentenza interpretativa di rigetto [35] che, restando aderente alle fattispecie, di occupazione appropriativa, sottoposte al giudizio costituzionale dai giudici rimettenti, avrebbe chiarito il pensiero del Giudice delle leggi pur nel rispetto del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato [36].

E’ facile prevedere che la recentissima sentenza della Corte costituzionale, fin qui tratteggiata, sia destinata a dare adito ad un dibattito in dottrina anche con riferimento a profili di possibile “sconfinamento” delle attribuzioni dei diversi poteri dello Stato e, verosimilmente, a “scontri” giurisprudenziali, ben più ampi e più aspri di quanto non si sia registrato a seguito del non remoto precedente del luglio 2004, sul quale i contrasti non sono ancora sopiti, essendo ben lontano l’opus giurisprudenziale dal raggiungimento di una, pur auspicabile, unanimità di vedute.

             

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(*) Il presente commento è pubblicato in versione sintetica su F. CARINGELLA, Manuale di diritto amministrativo, Giuffré, 2006, 829 ss.

[1] La sentenza è pubblicata in Foro it., 2004, I, 2594 con commenti di S. BENINI, A. TRAVI e F. FRACCHIA.

[2] Da ultimo in tal senso Cass. SU, 25 gennaio 2006, n.1373, Foro it., 2006, I, 1053.

[3] Cass. 3 maggio 2005, n.9173, Foro it., mass., 2005; Cass. SU, 14 gennaio 2005, n.600, id., anche in Danno e Resp., 2005, 1199, con nota di FOFFA. Si vedano anche Cass. S.U. 22 novembre 2004 n. 21944 in Foro Amm. CDS, 2005, 51 e Cass. 31 marzo 2005 n. 6745, id., 2005, 1038.

[4] Cons. Stato, Ad. Plen., 16 novembre 2005, n. 9, Foro it., 2006, III, 212.

[5] Cons. Stato, Ad. Plen. 30 agosto 2005 n. 4, id., 2005, III, 65; anche in Guida al Diritto, 2005, 39, 103, nota di O. FORLENZA.

[6] Così B. SASSANI, Costituzione e giurisdizione esclusiva: impressioni a caldo su una sentenza storica, in www.judicium.it. Non diversamente F. LORENZONI, Commento a prima lettura della sentenza della corte costituzionale n.204 del 5 luglio 2004, in www.federalismi.it, secondo cui la sentenza della Consulta n.204/2004 sembra più “ancorata ad opzioni culturali risalenti” che non attenta “alle problematiche maturate nel paese”.

[7]  Sia consentito rinviare a L. MARZANO, La Corte costituzionale restituisce i comportamenti di cui all’art.34, D. Lg.n,80 del 1998, al giudice ordinario: in tema di occupazione appropriativi una pronuncia inutiliter data?, in Foro amm. CdS, 2004, 2476 ss. e ai richiami ivi contenuti.

[8]   Si legga l’ampia ricognizione del problema proposta da S. BENINI, I comportamenti in materia urbanistica ed edilizia, a cura dell’Ufficio del Massimario e del Ruolo, Corte di Cassazione, in www.cortedicassazione.it

[9]  Così TAR Calabria, Reggio Calabria 9 agosto 2004 n. 607 e TAR Sicilia, Palermo, 29 ottobre 2004 n. 2422, entrambe leggibili per esteso in www.giustizia-amministrativa.it . In particolare sostiene il Tar calabrese che, a seguito della recente sentenza della Corte Costituzionale 6 luglio 2004, n.204 i comportamenti materiali in senso stretto siano ormai banditi dalla giustizia amministrativa. Con inevitabili riflessi che conseguentemente sono destinati a travolgere anche la disposizione di cui all’art.53 del T.U. n.327 del 2001 in tema di espropriazioni, laddove tale norma fa riferimento anche ai comportamenti delle Amministrazioni. Per cui esorbitano dai confini posti alla giurisdizione esclusiva sia le azioni possessorie, sia le controversie, come quella in esame, relative ad atti di occupazione del tutto privi di titolo a seguito dell’erroneo sconfinamento commesso dall’autorità espropriante, sia le controversie meramente risarcitorie collegate al fenomeno dell’occupazione acquisitiva cui è estraneo ogni sindacato sul potere discrezionale della P.A. Ritiene,  invece, il Tar calabrese che restano devolute alla giurisdizione amministrativa le controversie di cui all’art.43 del T.U. n.327 del 2001, in quanto afferenti l’esercizio di un vero e proprio potere amministrativo di carattere ablatorio con oggetto l’acquisizione al patrimonio indisponibile dell’ente dell’immobile utilizzato “per scopi di interesse pubblico”, nonché la determinazione del risarcimento dei danni subiti in favore del proprietario.

[10] TAR Calabria, Reggio Calabria 20 aprile 2005, n. 358, in www.giustizia-amministrativa.it.

[11] La pronuncia richiama T.A.R. Veneto, I, 7 marzo 2005, n. 816, in www.giustizia-amministrativa.it .

[12] Il testo integrale della sentenza è consultabile in www.cortecostituzionale.it . La corte costituzionale non ha, invece, preso in considerazione un’altra ordinanza di rimessione proveniente dal Tar Abruzzo – Pescara, precisamente la n. 868 del 21 ottobre 2004 con cui il Tar abruzzese osserva che sebbene con la sentenza n. 204/2004 la corte costituzionale abbia espunto dall’ordinamento giuridico (fra l’altro) la previsione della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sulle controversie aventi per oggetto i comportamenti delle pubbliche amministrazioni nella materia urbanistica, nella quale è da ritenere (per interpretazione giurisprudenziale) compresa anche la materia delle espropriazioni, tuttavia tale intervento “correttivo” non è sufficiente per far escludere la persistenza della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sulle controversie aventi ad oggetto i comportamenti delle amministrazioni pubbliche in materia “espropriativa”, non avendo la citata sentenza della Corte Costituzionale interessato l’art. 53, comma 1, del D.Lgs. n. 325 del 2001 e del D.P.R. n. 327 del 2001. Ad avviso del Tar abruzzese, però, le argomentazioni che hanno indotto la Corte Costituzionale a dichiarare l’illegittimità parziale dell’art. 34, comma 1, del D.Lgs. n. 80 del 1998, come sostituito dall’art. 7, lett. b), della legge n. 205 del 2000, s’appalesano ben riferibili anche al succitato art. 53, comma 1, del D.Lgs. n. 325 del 2001, nella parte in cui prevede che sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi per oggetto i comportamenti delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti ad esse equiparati, conseguenti all’applicazione delle disposizioni del testo unico in materia di espropriazione per pubblica utilità.

[13] Evidenzia altresì il giudice calabrese come anche il dato della “mera partecipazione della pubblica amministrazione al giudizio” non è sufficiente «perché si radichi la giurisdizione del giudice amministrativo (il quale davvero assumerebbe le sembianze di giudice “della” pubblica amministrazione, con violazione degli artt. 25 e 102, secondo comma, della Costituzione».

[14] La sentenza è pubblicata su Foro it., 2006, I, 1625, con nota di richiami e note di A TRAVI e G. DE MARZO, nonché massimata Id., 2006, I, 2277, con nota di L. MARZANO.

[15] La Corte sembra sconfessare apertamente la tesi dottrinale che, muovendo dalla considerazione della portata normativa delle sentenze costituzionali, dubita che la lettura della sentenza 204 autorizzi una distinzione tra i comportamenti, secondo quanto la motivazione della sentenza suggerirebbe, con il risultato di limitare la dichiarazione d’incostituzionalità dell’art. 34 a quelli che non costituiscano esercizio di alcun potere, o se invece l’espulsione dei comportamenti quale modo di manifestarsi della pubblica amministrazione, dall’ambito della giurisdizione esclusiva, sia da intendere in modo assoluto, come si dovrebbe cogliere senza alcuna incertezza dal dispositivo della sentenza (così S. BENINI, I comportamenti in materia urbanistica e edilizia, cit., 3). Il dubbio dottrinario innanzi riportato è ripreso da R. PROSPERI, Alla ricerca del comportamento materiale e del suo giudice, in www.giustizia-amministrativa.it , il quale, riprendendo alla lettera la definizione data dalla richiamata dottrina, ritiene “che la chiarezza lapidaria del dispositivo della sentenza n. 204 non può ammettere interpretazioni secondo il noto brocardo”; il riferimento è chiaramente al brocardo in claris non fit interpretatio. L’autore osserva infatti che “se si dovesse ritenere il dispositivo alla stregua della comune norma giuridica, non residuerebbe allora spazio alcuno per la motivazione, la quale avrebbe il peso che hanno i lavori preparatori nell’interpretazione delle leggi; però, a prescindere in fondo da questi problemi classificatori, non si è mai escluso in dottrina che dette sentenze dovessero seguire i classici canoni di interpretazione degli atti giurisdizionali, quindi una considerazione in un corpo unico della motivazione e del dispositivo, la prima utile nel chiarire la semplicità necessaria del secondo”.

[16] Il riferimento è alla interpretazione panurbanistica data da Cass. 18 gennaio 2000, n.494, in Foro it., 2001, I, 2475 con nota di S. BENINI-L.GILI.

[17] Significativo, a tale proposito, che nei primi commenti a caldo sulla sentenza de qua si registrino opinioni tese ad attribuire alla Corte il merito di far “luce” sul contrasto giurisprudenziale in punto di riparto di giurisdizione delineatosi in seguito alla sentenza 204/2004 tra Cassazione e Consiglio di Stato, cui si è fatto cenno, affermando la inaccettabilità “della tesi che vorrebbe invece riservare al giudice ordinario le azioni tese all’ottenimento della mera tutela risarcitoria, con ciò sottraendo una parte della tutela “rimediale” al “giudice naturale della legittimità dell’esercizio della funzione pubblica” (competente a giudicare della pretesa sostanziale), in spregio al principio di effettività e celerità della tutela giurisdizionale garantiti dall’art.24 Cost.” : in tal senso M.A. SANDULLI, Riparto di giurisdizione atto secondo: la corte costituzionale fa chiarezza sugli effetti della sentenza 204 in tema di comportamenti “acquisitivi”, in www.federalismi.it , 11/2006, 5. Si tende, in altri termini, ad avallare il ruolo di giudice regolatore della giurisdizione che la corte costituzionale, giudice delle leggi, ha insolitamente assunto nella pronuncia in commento.

[18] Così testualmente A. TRAVI, Principi costituzionali sulla giurisdizione esclusiva ed occupazioni senza titolo dell’amministrazione, nota a Corte cost. 11 maggio 2006, n.191, in Foro it., 2006, I, 1625.

[19] Si veda per tutte la recentissima, Cons. Stato, Ad. Plen., 9 febbraio 2006, n.2, in www.giustizia-amministrativa.it , secondo cui “il venir meno per annullamento giurisdizionale di atti che sono espressione di una posizione di autorità non rende rilevanti soltanto come “comportamenti” gli effetti “medio tempore” prodottisi in loro esecuzione, facendone piuttosto concentrare la cognizione dinanzi allo stesso G.A., chiamato a  verificare istituzionalmente il corretto esercizio del potere”; di rilievo anche Cons. Stato, Ad. Plen., 30 agosto 2005, n.4, in www.giustizia-amministrativa.it , con commento di G. BACOSI, La Plenaria, il diritto “degradato” e ”la degradazione del diritto”.

[20] Si richiama quella dottrina secondo cui così opinando, la sentenza n.204/04, inequivocabilmente dichiarativa di incostituzionalità parziale, apparirebbe inutiliter data, dal momento che le controversie in materia di occupazione usurpativa, già nella vigenza dell’art.34 nel testo comprensivo dei comportamenti, erano ritenute ascritte alla giurisdizione ordinaria (vedi nota 7).

[21] Si tratta, a sommesso avviso di chi scrive, di operazione abbastanza insolita per un giudice istituzionalmente deputato alla interpretazione della norma obiettivata nella disposizione di legge al fine di valutarne la conformità al parametro costituzionale e, pertanto, a fornire una lettura ove possibile costituzionalmente orientata di una norma di legge piuttosto che a spiegare il significato di una precedente pronuncia, che si sottintende essere stato frainteso in parte qua dalla giurisprudenza.

[22] Si ricorda che nel senso della giurisdizione del G.O. sull'occupazione appropriativa, dopo la sentenza n. 204/2004, Corte cost., si è pronunciata Cass. sez. unite 30 maggio 2005, n. 11136, in Guida al diritto, n. 26/2005, 39.

[23] Secondo S. GRASSI, Correzione o interpretazione autentica delle sentenze della Corte costituzionale?, in Giur. Cost., 1973, 1781, la ratio della norma contenuta nell’art.137 cost. è quella di salvaguardare l’indipendenza della corte costituzionale.

[24] Corte cost. 26 febbraio 1998, n.29, Giur. Cost., 1998, 176 ss.. Si veda il commento di R. ROMBOLI, E’ ammissibile un conflitto contro la Corte costituzionale?, in Foro it., 1998, I, 1364 ss..

[25] E’ l’opinione espressa da F. DAL CANTO, Il giudicato costituzionale nel giudizio sulle leggi, Torino, 2002, 100 ss..

[26] In tal senso A. ATTARDI, La cosa giudicata, in Jus, 1959, I, 185 ss..

[27] E’ la definizione data da A. RUGGERI, Fonti, norme, criteri ordinatori, Lezioni, Torino, 2001, 57 ss..

[28] Va, tuttavia precisato che il giudizio costituzionale conosce numerosi casi di non coincidenza tra il thema decidendum individuato dal giudice a quo e l’oggetto effettivo della pronuncia: si pensi ai casi delle illegittimità consequenziali, o dell’ampliamento o riduzione compiuta dal giudice delle leggi sulla base della reale portata della questione.

[29] Va sottolineato che l’obbligatoria pubblicazione degli atti di rimessione (art. 25, primo comma, l. 87/53, confermato dall’art. 3, nono comma, l. 839/84) non può non avere rilevanza ai fini dell’interpretazione della pronuncia costituzionale alla luce dell’oggetto sottoposto al suo giudizio

[30] F. DAL CANTO, Il giudicato costituzionale nel giudizio sulle leggi, cit., 132.

[31] F. SAJA, Significato del divieto di ultrapetizione nel giudizio costituzionale incidentale, in Scritti in memoria di A. De Stefano, Milano, 1990, 143.

[32] F. DAL CANTO, cit., 135.

[33] Del resto la Consulta non è nuova a pronunce che risolvono questioni del tutto diverse da quelle sollecitate nell’ordinanza di rimessione: sul punto cfr. R. ROMBOLI, Il giudice chiama a fiori, ma la Corte risponde a cuori, il giudice richiama a fiori ma la Corte risponde a picche, in Foro it., 1988, I, 1080.

[34]  E’ l’opinione espressa da A. TRAVI, Principi costituzionali sulla giurisdizione esclusiva ed occupazioni senza titolo dell’amministrazione, cit..

[35] In argomento si legga E. LAMARQUE, Gli effetti della pronuncia interpretativa di rigetto della Corte costituzionale nel giudizio a quo. (Un’indagine sul “seguito” delle pronunce costituzionali), in Giur. Cost., 2000, 685 ss..

[36] Per un’ampia rassegna delle tipologie di sentenze della Corte costituzionale, si veda, L.P. COMOGLIO – V. CARNEVALE, Il ruolo della giurisprudenza e i metodi di uniformazione del diritto in Italia, Relazione all’VIII Seminario internazionale su “Sistema giuridico latinoamericano e processo. Unificazione del diritto”, Roma 20-22 maggio 2004, in www.judicium.it


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