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Articoli e note

n. 12/2003  - © copyright

SERGIO SALVATORE MANCA (*)

Conversione del rapporto di lavoro alle dipendenze delle PP.AA. a tempo determinato in indeterminato: brevi note sullo stato attuale della normativa e giurisprudenza in materia

 

La cd. privatizzazione del pubblico impiego ha comportato - come del resto era prevedibile – numerose problematiche applicative riguardo alla relativa normativa di riferimento.

Ciò in quanto l’avvenuta depubblicizzazione del rapporto di lavoro alle dipendenze della Pubblica Amministrazione e la conseguente configurazione di questo quale una prestazione alle dipendenze e sotto la direzione (art. 2094  c.c.) di un dirigente immedesimato organicamente in una determinata Pubblica Amministrazione non poteva  (stante la precedente diversità di regolamentazione dei rapporti di lavoro pubblici e privati) non comportare stravolgimenti per l’interprete.

In particolare, i problemi applicativi sono stati determinati, in prevalenza, dall’impossibilità di procedere ad una mera assoggettazione – sic et simpliciter – del rapporto di lavoro alle dipendenze di un datore di lavoro pubblico alle regole cui, fino al momento antecedente, erano assoggettati tutti i rapporti di lavoro “privati”; la quale, a sua volta, ha determinato la creazione di un tertium genus rappresentato da  una disciplina distinta da quella – che comunque ricalca - del rapporto di lavoro privatistico, così come differente dalla regolamentazione che prima della c.d. privatizzazione disciplinava il rapporto di lavoro pubblico dalla quale, appunto, tale tertium genus si discosta senza però rinnegarla in tutto.

Proprio a questa regolamentazione attuata in modo ibrido (verrebbe da dire, in termini quantitativi oltre che contradditori, privatistico-pubblicistici se si adotta un punto di vista generale, oppure, al contrario, pubblicistico-privatistici nel caso in cui si incentra l’attenzione sull’iter che conduce all’instaurazione e gestione di un rapporto di lavoro pubblico), è da ricondurre una delle querelle cui ha dato luogo la depubblicizzazione, almeno in parte, del pubblico impiego.

Tale querelle ha ad oggetto la possibilità di conversione del rapporto di lavoro a tempo determinato eventualmente intrattenuto alle dipendenze di una Pubblica Amministrazione in indeterminato, in presenza dei presupposti che tale conversione determinano nell’ambito della disciplina del rapporto di lavoro alle dipendenze di un datore di lavoro privato.

Presupposti  previsti dalla legge n. 230 del 1962 e, più di recente, dal D.Lgs. n. 368 del 2001 per effetto dei quali, ad esempio, tale conversione avviene in caso di proroga, oltre il termine inizialmente pattuito, del rapporto di lavoro eventualmente instaurato alle dipendenze di un privato.

Presupposti, inoltre, la cui ravvisabilità, nelle argomentazioni di molti pratici – Avvocati di dipendenti pubblici direttamente interessati – diversi autori ed alcuni  Magistrati addetti alle Sezioni Lavoro - determinerebbe, a seguito, appunto, della c.d. privatizzazione del pubblico impiego, la possibilità di convertire in indeterminato anche il rapporto di lavoro a tempo determinato alle dipendenze di una Pubblica Amministrazione eventualmente, ad esempio, prorogato per un tempo superiore alla durata del contratto di lavoro iniziale.

Così ad esempio il Giudice del Lavoro del Tribunale di Pisa (attraverso una sua ordinanza del 07.08.2000) ha ritenuto non manifestamente infondata l’eccezione di incostituzionalità dell’art. 36, comma 2, del D.Lgs. n. 165 del 2001 innanzi a lui sollevata dalla difesa di un dipendente pubblico a tempo determinato e quindi non inserito nei ruoli stabili dell’Amministrazione pubblica.

Riguardo alla possibilità di applicare in toto la normativa di matrice privatistica che prevede la possibilità di conversione del rapporto di lavoro a tempo determinato in indeterminato, in presenza dei presupposti dalla stessa previsti, appare opportuno partire appunto dalla legislazione specifica in materia di pubblico impiego e, quindi, appunto dall’art. 36 del D.Lgs. n. 165 del 2001.

Tale articolo, in particolare, al comma 2, stabilisce che “la violazione di disposizione imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni …”,  e viene configurato, a sua volta, come norma imperativa ed in quanto tale motivo di nullità del negozio ex 1418, comma 1, del codice civile dai Giudici amministrativi investiti della questione in oggetto.

Questi Giudici, in particolare, argomentando dalla nullità di qualsiasi patto stabilito in violazione dell’art. 36, comma 2, del D.Lgs. n. 165 del 2001, hanno concluso nel senso della esclusiva retribuibilità, quali prestazioni di fatto ai sensi dell’art. 2126 del codice civile, di quelle di lavoro rese eventualmente, per esempio, oltre la scadenza del periodo contemplato dal contratto di lavoro a tempo determinato inizialmente stipulato alle dipendenze di una Pubblica Amministrazione (vedi, tra le altre, le sentenze del Consiglio di Stato n. 644 del 2000 e Sez. V. n. 5024 del 2003).

La Corte Costituzionale, invece, nel decidere la questione innanzi citata – di legittimità in relazione agli artt. 3 e 97 della Costituzione del comma in oggetto –  ha affermato la legittimità costituzionale dell’art. 36, comma 2, del D.Lgs. n. 165 del 2001 <<nella parte in cui esclude che la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle Pubbliche amministrazioni, possa comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime Pubbliche Amministrazioni>> (cfr. sentenza del Giudice delle leggi n. 89 del 2003).

Ciò, segnatamente, atteso che  il principio di eguaglianza non potrebbe, nella specie, ritenersi vulnerato in considerazione della non omogeneità delle situazioni poste a confronto, posto che – anche dopo la cosiddetta privatizzazione – il rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici conserverebbe fondamentali peculiarità tali da renderlo profondamente diverso dal rapporto di lavoro intrattenuto con i datori di lavoro privati, come più volte affermato dalla stessa Corte Costituzionale.

Peculiarità, queste, derivanti dal fatto che <<la privatizzazione riguarderebbe … solamente lo svolgimento del rapporto di lavoro, ma non il momento della sua costituzione, rimanendo immutate le particolari esigenze di selezione del dipendente pubblico, a garanzia dei principi di imparzialità e buon andamento della Pubblica Amministrazione che in via di principio impongono il ricorso alla procedura concorsuale, salvo eccezioni>>.

Eccezioni, queste ultime, individuabili secondo la sentenza del Consiglio di Stato n. 644 del 2000 soltanto attraverso la mediazione di un’esplicita, al riguardo, previsione legislativa, allo stato non ancora intervenuta.

Dunque, la ratio dell’impossibilità della conversione del rapporto di lavoro a tempo determinato eventualmente intrattenuto alle dipendenze di una PP.AA. in indeterminato può essere ravvisata nell’evitare che, attraverso il contemplare una simile possibilità, possa essere aggirato e violato il principio (sancito dall’art. 97, comma 3, della Costituzione) che prevede l’obbligo del superamento di un concorso pubblico al fine dell’accesso ai ruoli stabili della Pubblica Amministrazione.

Tali ratio appare condivisibile, atteso che altrimenti dietro l’escamotage dell’instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo determinato, poi, magari volutamente, illegittimamente protratto, potrebbe accedersi ai ruoli stabili della Pubblica Amministrazione eludendo l’obbligo del concorso e – in una simile evenienza, si – violando il principio di eguaglianza.

Il problema, pertanto, a questo punto, potrebbe, semmai, sorgere qualora il rapporto di lavoro a tempo determinato, in relazione al quale si dovessero eventualmente verificare violazioni tali da poterne determinare la conversione in indeterminato secondo la normativa dettata dal Legislatore “privato”, costituisse un rapporto instaurato a seguito di una selezione pubblica attraverso la quale sono stati, eventualmente, individuati i beneficiari di esso.

In questo caso, infatti, sorge il diverso problema  attinente al valutare la possibilità di considerare un simile tipo di selezioni pubbliche alla stregua del pubblico concorso cui fa riferimento l’articolo 97, comma 3, della Costituzione della Repubblica Italiana.

Anche a questo proposito pare soccorrere il dettato dell’art. 36, comma 2, del D.Lgs. n. 165 del 2001, così tassativo nell’escludere la possibilità di conversione del rapporto di lavoro a tempo determinato alle dipendenze di una PP.AA. in indeterminato.

Dalla perentorietà – desumibile dal fatto che lo stesso non prevede alcuna eccezione alla propria statuizione -  con cui tale comma esclude una simile possibilità di  conversione pare discendere, infatti, la negazione, già a livello legislativo, della possibilità di considerare le selezioni – o, a seconda delle relative denominazioni, concorsi – per la costituzione di rapporti di lavoro a tempo determinato alla stessa stregua dei concorsi cui fa riferimento la Costituzione della Repubblica Italiana al fine di accedere a tempo indeterminato nei ruoli della Pubblica Amministrazione.

Questo appare essere il quadro desumibile dallo stato della normativa e della giurisprudenza in materia.

Trattasi, comunque, di materia – del resto, come il più ampio genus del rapporto di lavoro pubblico “privatizzato” in cui viene a collocarsi - in  costante evoluzione.

(*) Settore legale Contenzioso del Lavoro dell'Università degli Studi di Roma "La Sapienza".


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