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Articoli e note

n. 1/2005 - © copyright

CESARE MAINARDIS*

Poteri di ingerenza statale e autonomia degli enti locali:
si può rimuovere un Sindaco senza leale collaborazione?

(note a margine di T.A.R. Emilia Romagna - Bologna, Sez. I, 25 ottobre 2004, n. 3687)

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1.  Una storia semplice … ma non troppo.

La sentenza n. 3687/2004 della Prima Sezione del Tar Emilia - Romagna  ha respinto il ricorso dell’ex Sindaco del Comune di Copparo (FE) avverso il provvedimento di rimozione (e contestuale scioglimento del Consiglio comunale): atto adottato per “gravi e persistenti violazioni di legge” [1], a seguito di tre diffide del Prefetto di Ferrara rimaste inevase ed aventi ad oggetto l’attivazione del procedimento di nomina del Segretario titolare dell’Ente locale.

Ai fini di questo commento si può anche prescindere da una puntuale ricostruzione, in fatto, delle vicende all’origine della pronuncia commentata che, se lette superficialmente, sembrerebbero invero assai semplici (obbligo normativo in capo all’Ente locale, diffide ad adempiere reiterate del prefetto, violazione di legge da parte del Sindaco, conseguente rimozione): vicende che, va detto per amor di verità, sono invece assai complesse e richiederebbero, anche solo per essere riassunte, diverse pagine.

Qui basti dire che il tutto è iniziato nel lontano 1997, allorché essendo rimasta priva di titolare la Segreteria del Comune di Copparo, venne nominato alla reggenza l’allora Vicesegretario dello stesso Ente. Quest’ultimo chiese poi all’Agenzia autonoma per la gestione dell’Albo nazionale dei segretari comunali e provinciali l’iscrizione alla fascia professionale superiore (che avrebbe consentito la sua nomina a Segretario titolare dello stesso Comune), ritenendo di averne i requisiti: l’Agenzia tuttavia non accolse la domanda. Da ciò, un primo filone di nutrito contenzioso che ha visto protagonisti l’Agenzia, il Comune e l’interessato, in ordine all’ accertamento della sussistenza o meno di detti requisiti, ed al connesso diritto per il Sindaco di nominarlo quale Segretario titolare.

In parallelo, un secondo terreno di scontro vedeva contrapporsi l’Agenzia da un lato, ed il Sindaco dall’altro: la prima impegnata a nominare reggenti per la Segreteria del Comune di Copparo; a sollecitare interventi sostitutivi del Difensore civico regionale avverso l’omessa attivazione del procedimento di nomina del Segretario titolare (richieste sempre disattese) e diffide ad adempiere da parte del Prefetto di Ferrara (richieste anch’esse disattese in un primo tempo, accolte in seguito). Il Sindaco, fermo invece nel respingere le istanze dell’Agenzia, quantomeno in attesa della definizione del giudizio sul possesso dei famosi requisiti del soggetto da lui prescelto inizialmente per l’incarico.

Tuttavia, come ricordato, alla terza diffida del Prefetto rimasta inevasa, il Ministro dell’Interno ha ritenuto di procedere ex art. 142 T.U.E.L. e con il D.P.R. 10.01.2004 è stata disposta la rimozione del Sindaco e lo scioglimento del Consiglio comunale di Copparo (ex art. 141 T.U.E.L) invocando, appunto, “gravi e persistenti violazioni di legge” [2].

La sentenza del Tar emiliano è obiettivamente ricca di spunti di interesse, confermando innanzitutto che anche la giurisprudenza amministrativa (accanto a quella costituzionale) sta contribuendo a definire, in maniera significativa, le coordinate ricostruttive del Titolo V della parte seconda della Costituzione: e ciò con particolare riferimento alla materia degli Enti locali, che non ha accesso (se non indirettamente) a palazzo della Consulta.

Due gli aspetti della decisione su cui ci si vuole soffermare: l’inquadramento del potere statale di rimozione degli organi di vertice degli Enti locali, alla luce del riformato quadro costituzionale; e un accenno alla proporzionalità della misura adottata, anche in relazione alle concrete circostanze di fatto.

2.  Il fondamento costituzionale del potere sanzionatorio - repressivo di rimozione del Sindaco ex art. 142 T.U.E.L.

Partiamo dal primo profilo. Per il Tar, la disposizione dell’art. 142 T.U.E.L.[3] troverebbe fondamento costituzionale non nell’art. 120 (riferito ai poteri sostitutivi in senso stretto), ma nell’art. 117 comma 2 lett. p) (che riserva alla legislazione esclusiva dello Stato la disciplina in materia di legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali degli enti locali)[4]: concludendo dunque per una pacifica compatibilità del potere di intervento statale, come oggi disciplinato dalla legge, con il complessivo disegno costituzionale che disciplina i rapporti Stato – autonomie territoriali locali.

Va detto tuttavia che, a sostegno della tesi del ricorrente (per cui il potere sanzionatorio - repressivo di rimozione degli organi di vertice degli Enti locali potrebbe - e dovrebbe - trovare invece inquadramento nell’art. 120), sussistono obiettivamente argomenti di un certo spessore. Innanzitutto la lettera della disposizione costituzionale, che appare idonea a fondare interventi surrogatori che intacchino non solo la legitimatio ad agendum, ma anche la legitimatio ad officium degli enti autonomi: e ciò laddove a) parla testualmente di sostituzione nei confronti degli organi, e non di sostituzione negli atti in risposta ad omissioni o inerzie delle autonomie territoriali; b) configura l’intervento governativo come facoltativo, rendendolo dunque potenzialmente espressione di un potere discrezionale (forse anche) di natura politica: e ciò rimanda subito l’interprete a ricostruzioni ben note in dottrina, riprese anche dalla Corte costituzionale, sulla natura politica della attività di controllo sugli organi[5].

Ma, a rafforzare siffatta lettura, si potrebbe invocare anche la ricostruzione che il giudice costituzionale ha fornito, a tutt’oggi, del secondo comma dell’art. 120: il quale, infatti, parrebbe fondare un potere statale di chiusura nei rapporti Stato – autonomie territoriali; dal carattere “straordinario” e “aggiuntivo” rispetto ad altre (legittime) ipotesi di poteri sostitutivi tra diversi livelli di governo; idoneo dunque a fronteggiare le “emergenze istituzionali” elencate nello stesso art. 120, espressione a loro volta di valori e principi affidati alla responsabilità finale dello Stato ex art. 5 Cost.; e, pur richiamando dei semplici obiter dicta dello stesso giudice costituzionale, assai amplio nell’oggetto e nei contenuti (in quanto potenzialmente rivolto tanto all’ambito amministrativo che legislativo, nonché a fronteggiare condotte non solo omissive da parte degli Enti autonomi)[6].

In questa cornice, dunque, non appare affatto debole la tesi per cui l’art. 120 potrebbe fondare anche poteri di intervento statale in senso ampio, ovvero di natura repressivo - sanzionatoria nei confronti degli Enti locali: con il duplice corollario, tuttavia, di vincolarne l’attivazione ai presupposti menzionati in Costituzione, e regolarne l’esercizio secondo le modalità procedurali individuate dall’art. 8 della l. n. 131/2003 [7].

La questione, nonostante la pronuncia contraria del Tribunale amministrativo, sembra rimanere dunque oggettivamente aperta.

 

3.  Quali garanzie procedurali per l’autonomia degli Enti locali?

 

Ma diamo pure per buona l’impostazione del Tribunale amministrativo, per cui dunque l’art. 142 del T.U.E.L. troverebbe fondamento costituzionale nell’art. 117 comma 2 lett. p) Cost. Ebbene, e ciònonostante, nelle argomentazioni della sentenza rimane comunque in ombra un profilo assai delicato: e cioè quello delle garanzie procedurali per l’autonomia comunale a fronte di un procedimento di rimozione del proprio organo di vertice [8].

 

L’art. 142, infatti, non prevede alcuna forma di partecipazione dell’ente locale al procedimento, limitandosi ad assegnare la titolarità del potere di rimozione ed i presupposti per il relativo esercizio. Il Consiglio di Stato, occupandosi della questione relativa all’obbligo di avviso di inizio del procedimento per l’interessato, ha escluso l’applicazione dell’art. 7 della L. n. 241/1990. Nella prospettiva dei supremi giudici amministrativi la disposizione dell’art. 142, infatti, è diretta a tutelare superiori esigenze dell’ordinamento generale, e introduce un potere che si estrinseca in un atto avente natura costituzionale in ragione degli interessi che tutela: pertanto, trattandosi di misura “che esige interventi rapidi e decisi, la mancata previsione della possibilità dell’interessato di intervenire nel corso del procedimento, anche in forma meramente collaborativa, non contrasta con alcun principio costituzionale”, potendosi attivare tutti i rimedi giurisprudenziali del caso una volta avvenuta la rimozione[9].

 

Le argomentazioni del Consiglio di Stato – implicitamente fatte proprie dalla pronuncia in commento – erano tuttavia formulate sotto la vigenza del precedente Titolo V della Costituzione, e sembrano forse meritevoli, oggi, di un qualche ripensamento.

 

Il punto di partenza del nostro ragionamento non è tanto il riformulato art. 114 Cost., che pure conferisce dimensione costituzionale all’autonomia comunale [10]: disposizione di principio, che non può che trovare specificazione in altre norme di rango costituzionale, e forse inadatta, da sola, a fondare solide argomentazioni giuridiche. Piuttosto, appare assai proficuo, ai fini del nostro discorso, richiamare una particolare declinazione che il giudice costituzionale ha dato del nuovo assetto istituzionale introdotto dall’art. 114 Cost.: e ci riferiamo all’affermazione per cui il principio costituzionale della leale collaborazione, menzionato nella carta fondamentale nel solo art. 120, è in realtà “operante più in generale nei rapporti fra enti dotati di autonomia costituzionalmente garantita[11].

 

E altrettanto proficuo può essere inquadrare il contesto nel quale l’affermazione è stata formulata, nonché il contenuto che la Corte ha dato al principio della leale collaborazione. Il contesto: le considerazioni del giudice costituzionale sono state infatti avanzate nell’ambito di una definizione dello statuto dei poteri sostitutivi (in senso stretto, e differenti da quelli introdotti ex art. 120) nei confronti degli enti locali. Il contenuto: in continuità con la propria giurisprudenza, la Corte ha tradotto la leale collaborazione in congrue garanzie procedimentali per l’autonomia territoriale minore, alle quali vincolare l’esercizio del potere statale [12].

 

Tiriamo le fila del discorso. Se, dunque, poteri di ingerenza assai meno invasivi (come quelli sostitutivi in senso stretto) necessitano di idonee garanzie procedurali per l’Ente locale, è credibile che un potere di rimozione dell’organo di vertice di un Comune possa essere esercitato senza alcun rispetto della leale collaborazione tra enti dotati di pari rilevanza costituzionale?

 

Rimane però da fare i conti con due possibili osservazioni. La prima la incontriamo ancora nelle parole del Consiglio di Stato, che giustificano il mancato ricorso anche all’assai blando strumento dell’avviso di inizio del procedimento sulla base della ratio della disposizione: le esigenze di celerità ed efficacia della misura repressiva, unitamente all’importanza degli interessi da tutelare giustificherebbero dunque il mancato coinvolgimento dell’organo di vertice dell’ente locale. La prospettiva, tuttavia, non è convincente: la rilevanza degli interessi unitari in gioco nulla sembra centrare, di per sé, con le modalità procedimentali con cui lo Stato esercita qualsivoglia potere d’ingerenza.

 

Maggiore attenzione merita semmai l’assunto riferito alle necessità di rapida adozione e sicura efficacia della misura, potenzialmente compromesse da un coinvolgimento del destinatario: a questo proposito, però, va notato come lo stesso art. 142 T.U.E.L. consenta espressamente, qualora ricorrano “motivi di grave ed urgente necessità”, di sospendere (con provvedimento prefettizio) gli amministratori dell’ente locale in attesa della misura definitiva (con provvedimento ministeriale) della rimozione [13]. E’ la stessa disposizione di legge ordinaria, dunque, a dotare il potere centrale di uno strumento con cui fronteggiare peculiari esigenze di celerità: ma, proprio per questo, non appaiono allora sussistere ragioni per escludere un adeguato coinvolgimento collaborativo dell’ente locale nel procedimento che porta all’adozione della misura definitiva della rimozione. Garanzie procedurali magari snelle, con termini ravvicinati: ma comunque non del tutto pretermesse.

 

La seconda osservazione: si potrebbe rilevare che, con riferimento alle Regioni, il potere di rimozione degli organi di vertice non prevede, ex art. 126 Cost., un vero e proprio coinvolgimento dell’ente (e dell’interessato) destinatario della misura repressiva.  Perché dunque imporlo per gli Enti locali? Innanzitutto, va detto che l’art. 126 prevede comunque un passaggio procedurale assai significativo: ovvero il coinvolgimento di una Commissione bicamerale per le questioni regionali, le cui modalità di costituzione sono coperte da una riserva di legge: commissione la cui composizione, in forza della riforma costituzionale del 2001, vede oggi (rectius: dovrebbe vedere) la presenza anche delle autonomie territoriali.

 

Da un punto di vista poi delle fonti del diritto, si può osservare banalmente che l’art. 126 è norma avente lo stesso rango (costituzionale) del principio di leale collaborazione: per quanto riguarda dunque le Regioni, è la stessa disposizione costituzionale che introduce il potere di rimozione statale a disciplinarne anche il procedimento. Per quanto attiene agli Enti locali, invece, detto potere trova (forse) un fondamento implicito in Costituzione: ma le sue modalità d’esercizio, disciplinate dalla legge ordinaria, debbono ispirarsi al principio della leale collaborazione attraverso la previsione di congrue garanzie procedurali per l’autonomia territoriale.

 

4. Una sentenza additiva della Corte costituzionale come risposta all’illegittimità dell’art. 142 T.U.E.L.

 

Quali rimedi, dunque, all’attuale formulazione dell’art. 142 T.U.E.L.? Sembrerebbe del tutto precluso il ricorso ad una interpretazione estensiva: a) tanto dello stesso art. 142, che obiettivamente non fornisce il minimo appiglio per autorizzarne una lettura più ampia; b) quanto di disposizioni legislative che disciplinano puntualmente, ed esclusivamente, procedimenti differenti (sostitutivi in senso ampio ex art. 120 Cost., o sostitutivi in senso stretto ex art. 137 T.U.E.L. [14]).

 

Men che meno praticabile appare il ricorso all’analogia, dal momento che qui non siamo di fronte ad una fattispecie non tipizzata dal legislatore, ma tipizzata in maniera differente (senza garanzie procedimentali) da quella costituzionalmente imposta. Piuttosto, nella prospettiva tracciata sino ad ora, la risposta più convincente appare quella di un intervento additivo della Corte costituzionale: che rilevi l’illegittimità della disposizione nella parte in cui non prevede congrue garanzie procedurali per l’ente locale, seppure commisurate alla natura del potere esercitato ed alle possibili connesse esigenze di celerità della misura repressiva [15].

 

Con una puntualizzazione: la rima della Corte (secondo la nota metafora crisafulliana) potrebbe apparire non del tutto “obbligata”, in quanto molteplici sembrerebbero, in astratto, le scelte del legislatore in ordine alle diverse garanzie procedurali per l’Ente locale. In realtà, a ben riflettere, ciò che davvero appare necessario è un coinvolgimento dell’Ente locale nei suoi organi di vertice (potenziali destinatari della misura sanzionatoria), chiamati a poter esplicitare, in un confronto con il Governo statale, le proprie ragioni in ordine alle contestazioni mosse: sicché, anche il dispositivo della additiva non appare poi così difficile da ipotizzare.

 

In ogni caso, potrebbe rimanere pur sempre l’eventuale ricorso ad una additiva di principio, che dichiari l’illegittimità costituzionale dell’art. 142 nella parte in cui non prevede il rispetto del principio di leale collaborazione nel coinvolgimento dell’Ente locale nel procedimento in discorso: rimanendo poi all’Amministrazione, in concreto, l’individuazione di puntuali garanzie procedimentali in favore dell’Ente (ed in particolare del suo organo di vertice) destinatario della misura sanzionatoria, attingendo ad una ricca prassi legislativa e giurisprudenziale [16]. Il tutto, in attesa di un auspicabile intervento successivo del legislatore.

 

5. Tra passeri e cannoni: la proporzionalità del provvedimento adottato e la tutela dell’autonomia comunale (darf die Polizei mit Kanonen auf Spatzen schiessen?).

 

Il vecchio detto tedesco è noto [17], e ha costituito lo spunto per costruire una delle più incisive metafore per un principio, quello di proporzionalità dell’azione dei pubblici poteri, che si è sviluppato principalmente nell’ordinamento tedesco, ma che trova oggi una significativa elaborazione anche in ambito comunitario [18]. Nella giurisprudenza italiana è peraltro difficile rintracciarne una teorizzazione espressa come regola dell’azione amministrativa [19]; nel giudizio di legittimità costituzionale, invece, non sono mancati i richiami alla necessaria proporzionalità degli interventi statali limitativi dell’autonomia regionale, anche se raramente il sindacato della Corte si è strutturato nel giudizio trifasico ben conosciuto nell’ordinamento tedesco (idoneità, necessarietà, proporzionalità in senso stretto [20]).

 

Recentemente, però, il legislatore ha espressamente introdotto, proprio con riferimento ai poteri sostitutivi ex art. 120 Cost., un fondamento normativo (l’art. 8 comma 5 della l. n. 131/2003) del necessario rapporto di proporzionalità che deve sussistere tra provvedimenti adottati dal potere centrale e finalità perseguite: se, dunque, ancoriamo il potere statale di rimozione alla menzionata disposizione costituzionale, il requisito della proporzionalità della misura adottata costituisce un parametro normativo espresso per valutare la legittimità della decisione statale.

 

Ma, anche seguendo l’impostazione del Tar [21], vi sono almeno due strade per argomentare come il principio di proporzionalità possa costituire un parametro di legittimità della misura adottata.

 

In primo luogo, ricorrendo a quella tecnica interpretativa per cui, partendo da una disposizione scritta e argomentandone la centralità nel complessivo quadro dell’ordinamento, si può ricavarne un principio del diritto applicabile ad altre fattispecie[22]: nel nostro caso, l’art. 8 comma 5 della l.n. 131/2003 sembra introdurre una regola, quella della necessaria proporzionalità tra misure sostitutive e tutela delle autonomie territoriali, che non può non valere per qualsivoglia potere di ingerenza statale nei confronti di Regioni ed Enti locali.

 

In seconda battuta rimane comunque la possibilità di includere la sproporzione della misura adottata come figura sintomatica dell’eccesso di potere, ampliando dunque la ricca casistica di elaborazione giurisprudenziale.

La premessa ci porta ad una succinta osservazione sul merito della vicenda.

 

Il potere statale di rimozione di un Sindaco è uno strumento di natura residuale, che incide in maniera dirompente sull’autonomia degli enti territoriali in ragione di presupposti che, anche nella loro formulazione, rimandano a fattispecie di particolare gravità: un’ extrema ratio, dunque, a fronte di situazioni limite [23].

 

Nel caso di specie, è bene ricordarlo, si discuteva del mancato avvio, da parte del Sindaco, del procedimento di nomina di un Segretario titolare del Comune; risultava inoltre pendente un contenzioso in ordine alla legittimità della nomina, effettuata in precedenza dallo stesso Sindaco ma contestata dall’Agenzia dei segretari, di un ben determinato soggetto a quell’ incarico; il Difensore civico regionale non aveva ritenuto sussistere i presupposti per l’attivazione di una procedura sostitutiva; era infine imminente la scadenza del mandato dello stesso Sindaco del Comune di Copparo, il quale non era peraltro rieleggibile e, quand’anche avesse ottemperato alla diffida prefettizia, avrebbe dunque nominato un Segretario destinato magari a rimanere in carica per pochi mesi.

Ebbene, se si valuta la legittimità del provvedimento adottato applicando le categorie tradizionali del sindacato di proporzionalità, anche alla luce del contesto richiamato, i presupposti della decisione governativa sembrano decisamente incerti: si può riscontrare, forse, una certa idoneità del mezzo prescelto rispetto al fine perseguito. Ma che dire della necessarietà della misura adottata, intesa come scelta del mezzo più mite, e cioè meno lesivo dell’autonomia comunale?

 

L’ordinamento non prevede forse strumenti di intervento (i poteri sostitutivi in senso stretto [24]) che potevano consentire il raggiungimento dello stesso obiettivo con una minore compressione dell’autonomia dell’Ente locale? E, infine: la mancata nomina del Segretario titolare di un Comune pregiudica un principio (o un valore) così significativo da fondare l’adozione della misura massimamente invasiva per l’autonomia comunale? Esiste cioè un chiaro rapporto di proporzionalità in senso stretto, un bilanciamento ragionevole tra i valori in gioco?

 

Forse (per tornare alla metafora tedesca) nel caso di specie non volavano proprio dei passeri; ma l’utilizzo del cannone, da parte statale, appare in ogni caso eccessivo: giuridicamente parlando, quindi, sproporzionato.


 

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[1] Ex art. 142 D.l.vo 267/2000, cd. T.U.E.L.

[2] Dicevamo della complessità della vicenda, che ci porta a non condividere le riflessioni già apparse a commento della sentenza in discorso, e che tendono a rappresentare un Sindaco irresponsabilmente (e, verrebbe da dire, incomprensibilmente) arroccato su pozioni conflittuali (ci riferiamo al commento di O. CARPARELLI, Limiti al potere sindacale di nomina del segretario comunale e Titolo V della Costituzione (Breve storia di un segretario comunale particolarmente gradito, e di un Sindaco rimosso), in www.lexitalia.it.) In realtà, basti dire che, contestualmente all’adozione della pronuncia del Tar in commento, il Giudice del lavoro del Tribunale di Ferrara (sentenza 25.10.2004, n. 189) ha accertato la sussistenza dei requisiti dell’allora Vicesegretario del Comune ad essere iscritto nella fascia professionale richiesta: dando dunque torto all’Agenzia autonoma per la gestione dell’Albo dei segretari, riconoscendo la fondatezza della posizione di partenza dell’allora Sindaco del Comune e gettando sull’intera vicenda una luce assai diversa

[3] Non abrogata, dunque, dal nuovo Titolo V della parte II della Costituzione. Ha ragionato diversamente, seppure con riferimento ad altre puntuali disposizioni, il Tar Campania di Napoli, sez. I, 7.5.2003, n. 6064; in dottrina, sui rapporti tra poteri statali tipizzati nel T.U.E.L. e autonomia degli enti locali, alla luce dell’intervenuta modifica costituzionale, cfr. G. SALA, Sui caratteri dell’Amministrazione comunale e provinciale dopo la riforma del Titolo V, in Le Regioni, 2004, n.1.

[4] A rafforzare la propria lettura il Tar invoca anche l’argomento per cui sarebbe “palesemente incongruo” ritenere che il potere di rimozione degli organi di vertice degli enti autonomi, previsto in Costituzione nell’art. 126 nei confronti delle Regioni, non trovi invece previsione nei confronti degli enti territoriali minori, salva la necessità di un fondamento costituzionale seppure implicito: di qui, appunto, l’individuazione del menzionato parametro dell’art. 117 comma 2 lett. p).

[5] Cfr. F. BENVENUTI, I controlli sostitutivi nei confronti dei Comuni e l’ordinamento regionale, in Riv. Amm., 1956, 241 ss. nonché I controlli amministrativi dello Stato sulla Regione, in Riv. trim. dir. pubbl., 1972, 587 ss. Nella giurisprudenza della Corte, vedi in particolare la pronuncia n. 164 del 1972.

[6] Cfr. Corte cost. n. 43/2004. Gli obiter dicta a cui ci si riferisce sono contenuti in particolare nella sentenza n. 236/2004, che parla di “mancato o illegittimo esercizio” delle competenze attribuite agli enti territoriali ex artt. 117 e 118 Cost.

[7] C.d. legge La Loggia, adottata in attuazione del riformato Titolo V della parte seconda della Costituzione,  a commento della quale si veda AA.VV. (a cura di G.FALCON), Stato, Regioni ed enti locali nella legge 5 giungo 2003, n. 131, ed in particolare, sull’art. 8 cfr., volendo, C. MAINARDIS, 171 ss.

[8] A cui segue, ex art. 141 T.U.E.L., la necessaria conseguenza dello scioglimento del Consiglio comunale.

[9] Cfr. Consiglio di Stato, sez.V, 2.11.1999, n. 736/2000; ma vedi anche Cons.di St. Ad. gen., 10.6.1999, n. 9; e Tar Puglia di Lecce, 12.11.1992, n. 464.

[10] In una posizione di pari dignità costituzionale rispetto agli altri soggetti istituzionali menzionati nell’art. 114 (Province, Città metropolitane, Regioni e Stato), tutti egualmente partecipi nella costruzione della Repubblica (intesa come “casa comune”: vedi, sul punto, le considerazioni di R. Bin, L’interesse nazionale dopo la riforma: continuità dei problemi, discontinuità della giurisprudenza costituzionale, in Le Regioni, 2001, n. 6, 1213 ss.)

[11] Cfr. Corte cost., n. 43/2004.

[12] Cfr. ancora Corte cost. n. 43/2004.

[13] Cfr. infatti il secondo comma dell’art. 142 T.U.E.L. che dispone: “In attesa del decreto (di rimozione: n.d.s.), il prefetto può sospendere gli amministratori di cui al comma 1 (Sindaci, Presidenti di Provincia, ecc.: n.d.s.) qualora sussistano motivi di grave e urgente necessità”.

[14] Riferito ai poteri sostitutivi governativi nei confronti degli enti locali: disposizione sulla cui vigenza, alla luce dell’intervenuto art. 120 Cost., potrebbero peraltro sollevarsi dei dubbi.

[15] Sulla falsariga, ad esempio, delle sentenze in materia di poteri sostitutivi in senso stretto, che hanno colpito disposizioni di legge statale nella parte in cui non prevedevano congrue garanzie procedurali per l’autonomia regionale: cfr., a mero titolo d’esempio, le sentt. nn. 21/1991, 37/1991, 49/1991, 483/1991, 427/1992 462/1992.

[16] Soprattutto riferita ai poteri sostitutivi in senso stretto, di cui abbiamo parlato anche nelle note precedenti.

[17] Per cui, appunto, sparare ai passeri con un cannone significa compiere un’azione palesemente eccessiva rispetto ai fini perseguiti.

[18] Nella dottrina italiana, con riferimento anche all’ordinamento tedesco e comunitario, vedi in particolare D.U. GALETTA, Principio di proporzionalità e sindacato giurisdizionale nel diritto amministrativo, Milano, 1998, 11 ss. e, sebbene riferito maggiormente alla funzione legislativo ed al sindacato del Bundesverfassungsgericht, G. SCACCIA, Gli “strumenti” della ragionevolezza nel giudizio costituzionale, Milano, 2000, 263 ss.; più di recente,  J. SCHWARZE, The principle of proportionality and the principle of impartiality in European Administrative Law, Riv. trim. dir. pubbl., 2003, 53 ss. La dottrina tedesca sul principio di proporzionalità è assai vasta: ad integrazione ed aggiornamento della ricca bibliografia contenuta nei volumi di Galetta e Scaccia, nonché per un assai sintetico ma incisivo inquadramento del principio, si veda ora H. D. JARASS – B. PIEROTH, Grundgesetz für die Bundesrepublik Deutschland. Kommentar, München, 2004, art. 20.

[19] Vedi sul punto le considerazioni di D.U.Galetta, op. cit., 143 ss.

[20] Cfr. ad esempio le osservazioni di R. TOSI, Spunti per una riflessione sui criteri di ragionevolezza nella giurisprudenza costituzionale, Giur. Cost., 1993, 545 ss. e G. SCACCIA, op.cit., 294 ss. nonché per una diversa ricostruzione del giudizio di ragionevolezza, A. MORRONE, Il custode della ragionevolezza, Milano, 2001, in particolare 275 ss. Sulla struttura trifasica del giudizio di proporzionalità (Geeignetheit - idoneità -, Erforderlichkeit – necessità -, Verhältnismäßigkeit im engeren Sinne  - proporzionalità in senso stretto) vedi ancora D.U.Galetta. op.cit., 16 ss. nonché, nella dottrina tedesca, tra i tanti, H. SCHULZE-FIELITZ, Rechtsstaat (art.20), Grundgesetz Kommentar (Hrsg. von H. DREIER), Tübingen, 1998, 128 ss. (in particolare 193 ss.)

[21] Per cui dunque il potere di rimozione trova fondamento nell’art. 114 comma 2 lett. p) Cost.

[22] Proposta nella dottrina italiana, seppure in altro contesto, da S. BARTOLE, voce Principi del diritto (diritto costituzionale), Enc. dir., XXV, Milano, 1986, ma già anticipata in Ripensando alla collaborazione tra Stato e Regioni alla luce della teoria dei principi del diritto, in Giur.cost., 1982, 2420 ss.

[23] L’art. 142 T.U.E.L. parla infatti di “atti contrari alla Costituzione” o “gravi motivi di ordine pubblico” nonché violazioni di legge  sì, ma non solo “persistenti” bensì anche “gravi”.

[24] E ciò a prescindere dalla titolarità degli stessi, oggi non più spettante al Difensore civico alla luce delle più recenti decisioni della Corte costituzionale: cfr., ad esempio, la sentenza n. 173/2004.


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