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Articoli e note

n. 4/2007 - © copyright

MAURIZIO LUCCA*

Gli atti improrogabili ed urgenti del Consiglio
comunale nelle more delle elezioni

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La norma.

I consiglieri comunali entrano in carica all’atto della proclamazione ovvero, in caso di surrogazione, non appena adottata dal Consiglio comunale la relativa deliberazione, e il Consiglio comunale dura in carica per un periodo di cinque anni sino all’elezione dei nuovi, “limitandosi, dopo la pubblicazione del decreto di indizione dei comizi elettorali, ad adottare gli atti urgenti e improrogabili” (ex comma 5, dell’articolo 38 del T.U.E.L.).

Per altri versi, l’articolo 18 del D.P.R. 570 del 1960 segna in modo inequivocabile il dies a quo della prorogatio: “il Prefetto, d’intesa col Presidente della Corte d’appello fissa la data dell’elezione per ciascun Comune e la partecipa al Sindaco, il quale con manifesto da pubblicarsi quarantacinque giorni prima di tale data, ne dà avviso agli elettori, indicando il giorno ed il luogo della riunione [1].

Prima della riforma del Testo Unico degli Enti Locali, l’articolo 8 del Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali stabiliva che le funzioni del Consiglio comunale cessavano il quarantaseiesimo giorno antecedente alla data fissata per il rinnovo dell’Organo stesso, negando conseguentemente ogni funzione deliberante.

Tuttavia, tale divieto non impediva che l’esecutivo e il sindaco potessero, in regime di prorogatio [2], deliberare o decretare, sia per garantire l’ordinaria amministrazione che nelle materie consiliari, salva ratifica successiva del Consiglio neo-eletto, oltre agli affari di straordinaria amministrazione ove si presentasse l’urgenza [3].

Storicamente, quindi l’Organo consiliare - in quel determinato periodo dall’indizione dei comizi elettorali - non poteva esercitare i poteri (deleganti) essendo venuti meno ex lege: “l’organo delegante è impossibilitato a funzionare ai sensi dell’art. 8 comma 2 t.u. 16 maggio 19670 n. 570 [4].

Con l’inversione e la cristallizzazione delle competenze del Consiglio comunale, rafforzata dalla condizione che i consiglieri comunali rimangono in carica fino all’elezione – proclamazione - dei nuovi componenti, viene rafforzata la capacità di rappresentare le istanze amministrative da parte di coloro che ricevono l’investitura diretta (rispetto alla Giunta comunale), e quindi viene concesso che il Consiglio comunale possa intervenire con atti deliberativi in presenza di situazioni “urgenti e improrogabili”.

È da annotare che le limitazioni imposte dalla norma in regime di prorogatio, ossia della continuità di funzionamento degli organi nella more della loro sostituzione, non godendo della pienezza dei poteri normalmente esercitati, “cominciano ad essere operative dalla data di pubblicazione e non dalla data di emanazione del decreto prefettizio [5].

Ne consegue che dalla data di pubblicazione del decreto prefettizio diviene operativa la limitazione delle facoltà istituzionali consistente nell’adozione dei soli “atti urgenti e improrogabili”, garantendo - in questo modo e con queste prerogative - la continuità di funzionamento del Consiglio comunale.

Ad integrazione e per ragioni di completezza, il comma sesto, dell’articolo 29, della Legge n.81 del 1993 stabilisce che “è fatto divieto a tutte le pubbliche amministrazioni di svolgere attività di propaganda di qualsiasi genere, ancorché inerente alla loro attività istituzionale, nei trenta giorni antecedenti l’inizio della campagna elettorale e per tutta la durata della stessa”, mentre l’articolo 9, della Legge n.28 del 2000 dispone che “dalla data di convocazione dei comizi elettorali e fino alla chiusura delle operazioni di voto è fatto divieto a tutte le amministrazioni pubbliche di svolgere attività di comunicazione ad eccezione di quelle effettuate in forma impersonale ed indispensabili per l’efficace assolvimento delle proprie funzioni”, con l’evidente intento di limitare l’attività funzionale dell’Ente locale che potrebbe incidere sull’assetto finale della competizione elettorale alterandone l’esito [6].

L’urgenza e l’improrogabilità.

Trattasi dunque di definire, ai fini risolutori della questione, il carattere dell’urgenza e dell’improrogabilità degli atti, presupposti questi che si rendono necessari e che il Legislatore non ha tipicizzato, lasciando alla singola Amministrazione comunale l’onere di qualificare e determinare la presenza dei due elementi abilitanti l’esercizio legittimo della funzione consiliare.

Venendo alla catalogazione, l’“urgenza” si configura quando vi è l’esistenza di un pericolo imminente, attuale, concreto per la Collettività di un danno grave o di effetti indesiderati che impone una risposta “provvedimentale” immediata, dovendo versarsi in una situazione di fatto che implichi l’assenza di soluzioni alternative rispetto all’adozione di quel determinato provvedimento, il cui contenuto deve richiamarsi causalmente alla situazione di fatto, negando a contrario che l’atto possa soddisfare esigenze prevedibili e ordinarie [7].

L’“urgenza”, alla quale generalmente si risponde con un ordinanza sindacale, implica per sua natura una situazione di pericolo imminente ad un interesse pubblico o il concretizzarsi di una situazione potenziale di pericolo per la collettività, la cui tutela, appunto in via d’urgenza è ritenuta prevalente e tale da sacrificare anche la partecipazione del privato al procedimento amministrativo [8].

In termini diversi, l’“urgenza” si fonda sulla esigenza di dare risposta immediata a situazioni assolutamente eccezionali e non prevedibili, e deve altresì specificamente fondarsi non già su generiche esigenze, bensì sull’esistenza concreta di “gravi pericoli” incombenti, di dimensioni tali da costituire una concreta ed effettiva minaccia per la incolumità dei cittadini, caratterizzando l’urgenza per la sua matrice temporale (durata) che non può attendere soluzioni diverse, pena l’aggravarsi della situazione esistente [9].

La prospettazione dell’“urgenza” si rinviene dalla impossibilità, anche potenziale se non oggettiva, di differire l’intervento ad altra data in relazione alla ragionevole previsione di danno incombente, donde il carattere dell’urgenza, dall’altro, l’impossibilità di provvedere con gli ordinari mezzi offerti dalla legislazione, donde la contingibilità, assumendo in claris che l’urgenza, al di là dei richiami giurisprudenziali riferiti alle ordinanze contingibili ed urgenti, si presenta come condizioni essenziale per attivare il procedimento risolutivo [10].

Definito il carattere dell’“urgenza” va contestualizzata l’“improrogabilità”, stadio che delinea, in ambito civilistico, il termine essenziale (art. 1457 c.c.) stabilito per dar corso ad una precisa obbligazione o contratto, e che vale di per sé a fissare una data certa, scaduta la quale si perfezionano o acclara l’inadempimento con effetti risolutori: l’atto deve avvenire entro un termine perentorio.

Il carattere essenziale del termine non prorogabile (rectius rinnovabile) si appalesa nella sua essenzialità non potendosi ammettere una deroga alla regola di scadenza prestabilita, regola a carattere generale che si associata all’improrogabilità dei termini perentori, concepibile solo nella ipotesi in cui l’inutile decorso del termine determina la perdita del diritto vantato e comporta l’impossibilità per la parte di altrimenti agire e difendersi in giudizio per la sua tutela [11].

Ed invero, esprime un dovere di facere entro un determinato termine, spirato il quale l’azione risulterebbe priva di alcun interesse o utilità per la P.A., un obbligo di adempiere entro un termine fissato – dalla legge o dalle parti - di scadenza (dies solutionis), la cui inosservanza importa la risoluzione di diritto con effetto ex tunc si direbbe.

L’“improrogabilità” per sua natura, in ambito amministrativo, postula necessariamente che la scadenza sia esattamente individuata o individuabile, privando l’Amministrazione procedente del potere di provvedere per l’assolvimento di una funzione a ciò preposta per legge, tale da implicare, se non osservato il termine, il venir meno della competenza per l’impossibilità di procedere con altre azioni, venendo meno la sussistenza del potere, ovvero il formarsi ex lege dell’inadempimento.

Una volta decorso inutilmente il termine (essenziale) fissato per l’espressa e motivata conclusione del procedimento amministrativo con l’adozione espressa di un atto, l’inadempimento dell’obbligo di risposta da parte dell’Amministrazione comunale è in re ipsa e, quindi, può essere immediatamente fatto constare in via d’azione (ex art. 2, della legge 241 del 1990), figurando, per ciò che interessa, una fattispecie che assicura il corretto esercizio del potere nei termini, ergo la possibilità per il Consiglio comunale di deliberare, verificata anche l’urgenza.

Invero, a prescindere dall’esistenza di uno specifica disposizione normativa impositiva dell’obbligo per la pubblica amministrazione di provvedere, la giurisprudenza ha comunque ritenuto il medesimo sussistente in tutte quelle fattispecie particolari nelle quali ragioni di giustizia e di equità impongano l’adozione di un provvedimento pena il sacrificio di un diritto positivo [12].

Ed allora, tutte quelle volte in cui, in relazione al dovere di correttezza e di buona amministrazione della P.A., sorga per il privato (o la parte interessata all’adozione del provvedimento) una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni, qualunque esse siano, di quest’ultima si potrebbe ipotizzare la presenza di una “improrogabilità” alla manifestazione volitiva della pubblica amministrazione [13].

Per altri versi, è noto che l’indagine sul carattere essenziale o meno del termine pattuito è istituzionalmente riservata al giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità allorquando sia stata condotta e adeguatamente argomentata tenendo conto della natura e dell’oggetto del contratto, nonché del comportamento tenuto dalle parti e delle espressioni adoperate dai contraenti [14].

Il modello procedimentale azionabile, nelle more dell’insediamento del nuovo Consiglio comunale, presuppone che per dar legittimo corso alla convocazione dell’Organo sia presente una situazione che necessità di un provvedimento urgente e non rinviabile, evidenziando la necessita della sussistenza di entrambi i caratteri imposti dal Legislatore, che devono coesistere per legittimare l’intervento e che si manifestano in relazione ad un evento che non può essere dilazionato in avanti, senza possibilità di proroga, stabilendo il dies ad quem scaduto il quale perde di efficacia l’intervento richiesto.

La disposizione dunque mette in diretta connessione l’“urgenza” con il termine “non prorogabile”, stabilendo che l’esercizio del potere è compresso in limiti soggettivi, dovuti alla situazione concreta di pericolo, e oggettivi, dovuti al fattore temporale non differibile, massimi concessi dall’Ordinamento per provvedere su una determinata questione che può azionarsi d’ufficio o su richiesta, in funzione dell’interesse sotteso, e si traduce nell’indicazione legislativa dei soli caratteri della situazione - di “urgenza e improrogabilità” - che costituisce il presupposto della misura adottata.

La norma va letta in relazione ai due profili, che devono coesistere ed essere rispettati, per rispondere efficacemente ai principi generali di buona amministrazione e che condizionano la legittimità dell’esercizio del potere nel periodo successivo all’indizione dei comizi, presupposti che se presenti, in relazione a situazione di urgenza associata ad un termine non ritraibile, abilitano il Consiglio comunale ad azionarsi senza indugio (seduta straordinaria ed urgente), per garantire la cura dell’interesse pubblico, sotto i suoi più ampi spettri di finalizzazione ex art. 97 della Costituzione (e quindi di merito).

In sintesi: “l’urgenza si ha quando la situazione di estrema gravità richiede che si debba necessariamente provvedere con immediatezza per non pregiudicare l’interesse pubblico, mentre l’improrogabilità è connotata dall’esigenza che la situazione non possa subire dilazioni per la presenza di un termine che rende indifferibile l’adozione dell’atto [15].

La ratio del potere.

La ragione di questa rafforzata indagine sugli elementi che legittimano, in prossimità di una competizione elettorale, i lavori del Consiglio comunale sono da ascriversi all’altrettanta esigenza di salvaguardare l’elezione stessa da interventi solutori degli amministratori che potrebbero porsi in conflitto di interessi con le aspettative e/o la serenità di giudizio del corpo elettorale, magari condizionato da provvedimenti pilotati o di favore: l’esigenza è quella di impedire che possano concorrere all’esercizio di una determinata funzioni elementi tra loro configgenti (i c.d. interessi suscettibili di contrapposizione).

La limitazione delle potestà consiliari trova ragione d’essere nella necessità, di evitare che il Consiglio Comunale incida sulla formazione della volontà degli elettori, configurando una captatio benevolentiae a fini elettorali che potrebbe ravvisarsi in provvedimenti di natura “propagandistica” piuttosto che motivati da esigenze di contenimento o salvaguardia di interessi primari per la P.A. procedente [16].

Casi.

Ciò posto, tenendo anche conto della ratio della norma, non appare dubbio che tra le situazioni rispetto alle quali si pone “l’urgenza e l’improrogabilità” del provvedere vi sono quelle in cui la legge prevede come dovuta l’adozione di un atto ponendo anche un termine, sia pure di carattere non perentorio, per provvedere [17].

L’ipotesi più convincente è in primis quella riferita agli atti di nomina di competenza consiliare, per garantire la valida costituzione degli organi a cui le nomine accedono, e gli atti di ratifica delle deliberazione di Giunta comunale relative a variazioni di bilancio, per evitare la decadenza delle operazioni finanziarie (ex art.42, comma 2, lettera m) e comma 4, del T.U.E.L.).

Non v’è dubbio che tale ipotesi può configurarsi anche di fronte alla necessità di per dar corso agli atti imposti per legge ed a contenuto vincolato, o su disposizione di altra Autorità, dove cioè vi sia una norma che dispone un determinato comportamento amministrativo o una sentenza dispositiva (magari con la previsione di un Commissario ad acta in caso d’inerzia) o un potere sostitutivo, da esercitarsi entro limiti prestabiliti ex ante, impedendo alla P.A. di esorbitare dal potere esercitatile, senza spaziare nelle più libere scelte, apprezzabili cioè sotto il profilo della discrezionalità amministrativa.

Un esempio di tal portata, si presenta quando vi è l’interesse di adottare una variante per l’esaurimento delle aree disponibili destinate dal P.R.G. a edilizia residenziale a seguito dell’approvazione di piani di lottizzazione convenzionati, o quando l’intervento risponde ad esigenze attuali di realizzazione della trasformazione urbanistica, quando i termini per le osservazioni sono spirati e l’Amministrazione deve approvare lo strumento di pianificazione a fronte di esigenze del privato indilazionabili, pena la perdita di finanziamenti e/o agevolazioni di legge, o semplicemente i termini del procedimento sono in scadenza o scaduti (inadempimento ex art. 2 della Legge n. 241 citata).

In questo caso, la dimostrazione dell’urgente necessità di reperire nuove aree di espansione, per realizzare interventi di edilizia economica e popolare o nuova edificazione, può essere rafforzata dalla presenza di interventi già finanziati e dalla conclusione dell’iter amministrativo per approvare la variante stessa, per la parte che interessa l’Amministrazione comunale [18].

Una soluzione redazionale.

Alla luce di quanto detto, ciò che deve emergere nel corpo del provvedimento adottato dal Consiglio comunale è inevitabilmente la descrizione analitica delle ragioni di opportunità ed indifferibilità [19], oltre alla dimostrazione del termine non differibile, che presiede l’adozione del provvedimento, una motivazione pregnante, sia sugli elementi di fatto che di diritto (ex art.3 della legge 241 cit.), dando contezza delle esigenze del Comune di dare corso all’adozione del provvedimento: una motivazione particolarmente stringente ed approfondita in ordine agli elementi dell’urgenza e improrogabilità[20].

Così delineate le coordinate ermeneutiche, il provvedimento dovrà contenere una motivazione che accerti la presenza della situazione di fatto (urgenza e/o gravità) e degli elementi che impediscano all’Amministrazione di attendere oltre (termine perentorio), atteso che suo connotato essenziale è l’esercizio di un potere straordinario - in regime di prorogatio - per far fronte ad una situazione determinata e speciale (non ordinaria), sostenendo che per tale adozione non esiste, in astratto, un metro di valutazione fisso da seguire, ma la soluzione va individuata di volta in volta, secondo la natura del rischio da fronteggiare e del termine non procrastinabile.

Infatti, sono le esigenze obiettive ed indilazionabili che si riscontrano nel caso concreto che determinano la misura dell’intervento, anche se la soluzione deve corrispondere alle finalità del momento, senza che possa assumere i caratteri della rinviabilità oltre all’insediamento del nuovo Consiglio comunale: questo in relazione alla necessità - postulata dalla giurisprudenza - della concreta dimostrazione non solo della effettiva sussistenza, sotto un profilo generale, dell’interesse pubblico posto a fondamento dell’atto, ma anche – come si è accennato - della concreta giustificazione sotto i profili dell’“urgenza” e della “improrogabilità”.

Sotto quest’ultimo aspetto, oggetto della breve dissertazione, è possibile ammettersi che lo stesso Organo deliberante, in sede di eccezione pregiudiziale sulla sussistenza dei presupposti per deliberare, potrebbe esprimersi sulla fondatezza del potere esercitato, nonché sul concetto di opportunità, che attiene alla cura degli interessi pubblici coinvolti dall’azione amministrativa, questione questa che rientra nella sfera del corretto uso della discrezionalità da valutarsi sotto il profilo della irragionevolezza o della sproporzionalità [21].

Non sfugge, a tal proposito, che la discrezionalità amministrativa, attraverso l’acquisizione e valutazione di interessi, si compone di una fase di giudizio ed attraverso la scelta comparativa degli stessi presenta anche profili di volontà, che si sostanziano in scelte riservate all’Amministrazione e non sindacabili dal Giudice amministrativo, attenendo al merito dell’azione amministrativa [22].

Sul punto, la giurisprudenza ha in genere ritenuto che la valutazione dei presupposti di adozione dell’atto sia rimessa all’apprezzamento discrezionale dell’amministrazione, sul quale viene meno, come accennato, il sindacato giurisdizionale di merito, mentre resta subordinato al sindacato giurisdizionale di legittimità: “si tratta di un sindacato che, purché rimanga nell’ambito dei vizi di legittimità, non incontra limiti, potendo essere esercitato, oltre che in relazione ai vizi di incompetenza e di violazione di legge, anche con riferimento all’eccesso di potere in relazione a tutte le sue figure sintomatiche. Nell’esercizio di tale sindacato, il giudice può solo verificare la logicità, congruità, ragionevolezza ed adeguatezza, del provvedimento e della sua motivazione, la regolarità del procedimento e la completezza dell’istruttoria, l’esistenza e l’esattezza dei presupposti di fatto posti a fondamento della deliberazione, ma non può anche sostituire proprie valutazioni di merito a quelle effettuate dall’Autorità e ad essa riservate [23].

In questa prospettiva esegetica, tradizionalmente è stato ritenuto che la valutazione dei presupposti di adozione dell’atto sia rimessa all’apprezzamento discrezionale dell’Amministrazione, apprezzamento che si sottrae al sindacato giurisdizionale di legittimità se non per manifesti vizi logici o evidente travisamento dei fatti [24].

Spetterà al Tribunale Amministrativo, in assenza o erroneità dei presupposti giuridici, sotto la forma estrinseca delle forme sintomatiche di eccesso di potere per difetto di motivazione e/o difetto dei presupposti e/o travisamento dei fatti, scrutinare sul corretto uso del potere concretamente esercitato, venendo in rilievo alcuni concetti sulla sottesa discrezionalità quali presupposti che debbono necessariamente ricorrere per l’adozione dell’atto (risultare cioè nel testo del provvedimento): l’“urgenza” e l’“improrogabilità” di provvedere; anche se alcuni autori, aderendo alla citata giurisprudenza, ritengono che tale profilo sia di competenza esclusiva del Consiglio comunale incensurabile dal Giudice amministrativo [25].


 

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(*) Direttore – Segretario Generale del Comune di Vigonza.

[1] Sul punto si annota che, essendo la data dello svolgimento delle elezioni amministrative fissata dal Ministro dell’interno, e la stessa “comunicata immediatamente ai prefetti affinché provvedano alla convocazione dei comizi elettorali ed agli ulteriori adempimenti di loro spettanza, deve intendersi abolito l’art. 18 comma 1 d.P.R. 16 maggio 1960 n. 570, in base al quale il prefetto, d’intesa con il presidente della corte d’appello, fissava detta data per ciascun comune, in quanto la devoluzione al Ministro dell’interno della competenza in soggetta materia fa venir meno l’oggetto della volizione del prefetto in ordine alla data delle elezioni e, quindi, anche la necessità della previa intesa, a nulla rilevando al riguardo la competenza prefettizia per la convocazione dei comizi, che costituisce una fase successiva del procedimento elettorale”, Cons. Stato, sez. V, 19 maggio 1998, n. 635. Vedi, contra T.A.R. Lombardia Milano, sez. II, 08 ottobre 1997, n. 1737.

[2] È noto che “le norme sulla prorogatio dei poteri sono finalizzate a salvaguardare l’integrità dell’azione amministrativa, e non hanno motivo di trovare applicazione in tutte quelle fattispecie governate da una conchiusa disciplina speciale, disciplina cioè che non abbisogna di essere integrata da norme di garanzia o di chiusura del sistema”, T.A.R. Puglia Lecce, sez.II, 14 febbraio 2006, n.941.

[3] Vedi, T.A.R. Abruzzo L’Aquila, 14 marzo 1988, n. 161 e T.A.R. Emilia Romagna Bologna, 25 marzo 1982, n. 137.

[4] Cons. Stato, sez. I, 7 giugno 1985, n. 791.

[5] T.A.R. Umbria, 4 aprile 1996, n.150.

[6] Risulta che la ratio è analoga a quella prevista per l’attività consiliare.

[7] Cfr. C.G.A., sez. giurisd., 9 ottobre 2002, n. 582.

[8] T.A.R. Piemonte Torino, sez. II, 23 ottobre 2006, n.3770.

[9] T.A.R. Campania - Napoli, sez.III, 14 giugno 2004, n. 9432.

[10] Cfr. Cons. Stato, sez.IV, 13 ottobre 2003, n. 6169.

[11] Cfr. Corte Cost. (Ord.), 19 novembre 2004, n.350.

[12] Cfr. Cons. Stato, sez.V, 15 marzo 1991, n. 250.

[13] Cfr. T.A.R. Campania – Salerno, sez.II, 28 marzo 2007, n. 312.

[14] Cass. civ., sez. II, 28 ottobre 2004, n.20867.

[15] ROMEO, Le autonomie locali, a cura di ITALIA – BASSANI, Milano, 1990, vol.II, pag.523.

[16] Cfr. T.A.R. Molise, 9 giungo 1998, n. 97.

[17] Cfr. T.A.R. Calabria – Catanzaro, sez.I, 24 maggio 2001, n.851.

[18] Cons. Stato, sez.IV, 30 giugno 2003, n.3894.

[19] Sotto i profili dell’“urgenza” e “improrogabilità”, rinvenibili già nell’attività istruttoria, “muovendo da determinati presupposti di fatto e di diritto (“ritenuto che…”) ed indicando il processo logico seguito (“considerato che…”) si determina ad emettere il provvedimento”, esteriorizzando le enunciazioni sotto i profili citati, TESSARO, La redazione degli atti amministrativi, Rimini, 2006, pag.255.

[20] Cfr. T.A.R. Campania – Napoli, sez.I, 22 aprile 2004, n.6716.

[21] Cfr. T.A.R. Emilia Romagna - Bologna, sez.II, 19 aprile 2006, n. 465; T.A.R. Lazio - Roma, sez.I ter, 4 maggio 2006, n.3187.

[22] Cfr. T.A.R. Emilia Romagna - Bologna, sez.II, 19 aprile 2006, n. 465 e Cons. Stato, sez. IV, 14 febbraio 2006, n. 586.

[23] Cons. Stato, sez. VI, 1° ottobre 2002, n. 5156.

[24] Cfr. T.A.R. Lazio, Roma, sez.II bis, 24 gennaio 1994, n. 59; T.A.R. Puglia - Bari, sez.I, 20 febbraio 1998, n.72; Cons. Stato, sez. V, 29 luglio 1998, n.1128.

[25] Vedi, VIPIANA, Commento alla legge sulle autonomie locali, Torino, 1993, pag.331; VANDELLI, Ordinamento delle autonomie locali, Rimini, 2000, pag.676.


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