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Articoli e note

n. 9/2005 - © copyright

MAURIZIO LUCCA

Preavviso di rigetto e sedimentazioni giurisprudenziali

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La recente riforma del procedimento amministrativo ha introdotto una nuova fase interlocutoria tra amministrazione procedente e istante, delineando - nel nuovo articolo 10 bis della legge 241 del 1990 - il principio che nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l’autorità competente prima della formale adozione di un atto negativo debba preavvisare sui motivi ostativi all’accoglimento della domanda, introducendo (in medias res) il privato nella fase istruttoria (predecisionale e/o conclusiva): un sorta di ulteriore garanzia sull’affidamento del privato, in relazione ad una esigenza pratica di garantire un corretto rapporto partecipativo, un dovere di leale collaborazione prima di rimettersi a dialogare con il terzo in sede contenziosa (quanto l’atto viene rigettato), con finalità sia satisfattive che di compiuto contraddittorio (giusto procedimento) per ridimensionare (in senso positivo alla parte) gli esiti negativi dell’istruttoria.

Non sfugge invero che il preavviso di rigetto consente, come la comunicazione di avvio del procedimento, di relazionarsi con la parte durante il procedimento amministrativo, abilitando il soggetto richiedente il provvedimento a conoscere tutti gli aspetti che affluiscono in esso, senza preclusione, senza cioè tralasciare una sua titolata partecipazione, e quindi realizzando quei principi costituzionali di libertà, di uguaglianza, di informazione, di difesa, di trasparenza in coerenza diretta con il dovere pubblico di imparzialità e buon andamento che dovrebbe presidiare l’agire pubblico in ogni fase procedimentale.

Ne consegue che sotto il profilo sostanziale si può dedurre che preavviso di rigetto e comunicazione di avvio del procedimento sono i speculari riflessi dei principi garantistici introdotti dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, che impongono che prima dell’adozione di un provvedimento amministrativo incidente sulle posizioni soggettive di altri soggetti (sia in sede di attivazione del procedimento che in sede di conclusione negativa del suo iter) si deve dare ingresso al contraddittorio con i destinatari dell’atto, salvo sussistano particolari esigenze di celerità delle quali il provvedimento deve dare contezza o qualora emerga che comunque il richiedente è venuto a conoscenza diretta degli effetti procedimentali (attivazione e/o rigetto), per poi stabilire che non necessariamente tali omissioni (partecipative) incidono sugli effetti giuridici dell’atto rendendolo iure proprio illegittimo (ben potendolo sanare in presenza di atti vincolati o a basso contenuto di discrezionalità, secondo le regole del nuovo Capo IV bis della legge) [1].

In dipendenza di ciò, possiamo affermare che il substrato di questi riflessi costituzionali è un dovere generale di pubblicità, di coerenza, di partecipazione che trova la sua espressione massima nei fondamentali principi di democrazia partecipata che caratterizzano gli ordinamenti moderni (e liberali) da quelli autoritari (e cesaristi), o più semplicemente garanti di regole di giustizia sostanziale: “dunque perché preferire la giustizia all’ingiustizia somma, se acquistandola con una falsa apparenza di virtù tutto ci andrà per il meglio in vita e in morte da parte degli dei e da parte degli uomini, come dicono le persone qualsiasi e gli individui d’eccezione? [2].

Si tratta forse, e più propriamente, di regole di solida giustizia poter formulare (ancora) le proprie valutazioni interlocutorie o definitive, intervenire a valutare il procedimento assieme al suo responsabile per formulare osservazioni e controdeduzioni, o per contrastare una errata valutazione dei fatti e/o dei presupposti giuridici, il preavviso di rigetto risponde ad una esigenza pratica di coinvolgere il privato prima di incidere negativamente sulle aspettative di quest’ultimo, con l’intento di assicurarlo partecipe in tutta la fase procedimentale, dall’avvio del procedimento al preavviso di rigetto (opzione della fase conclusiva in presenza di esito negativo, e risposta meditata tra le tesi garantistica e i fautori della tesi collaborativa), negando legittimità giuridica al provvedimento negativo nel quale è stato impedito di svolgere osservazioni, di cui ovviamente l’amministrazione non ha potuto tenerne conto e tanto meno fornire una puntuale motivazione al riguardo, privando l’interessato dal giusto contraddittorio.

Dalle prime sentenze sul punto [3], siamo giunti nell’arco di qualche mese a delineare i contorni del preavviso di rigetto visto con la bilancia del Giudice amministrativo, affermando in primis che la normativa si applica a tutti i procedimenti ad istanza di parte che hanno avuto corso dopo la piena efficacia della legge n.15 del 2005, pertanto trova applicazione immediata ai procedimenti non ancora conclusi al momento dell’entrata in vigore della legge citata, disponendo che tutti i provvedimenti negativi comunicati al richiedente senza il rispetto della preventiva comunicazione - ex art.10 bis - sono affetti da violazione di legge, vizio di per sé assorbente di ogni ulteriore gravame e che comporta l’annullamento del provvedimento conclusivo del procedimento [4].

Tale precisazione trova precetti (in parte diversi ma coerenti) anche in tema di mancata comunicazione di avvio del procedimento, quando si stabilisce che l’art.21 octies, comma 2, seconda frase, della legge 7 agosto 1990 n.241, “rientrando nell’ambito del diritto processuale, in quanto disciplina i casi di annullabilità giurisdizionale del provvedimento amministrativo, trova immediata applicazione, attesocchè per tutte le norme di diritto processuale vige il principio del “ius superveniens”, secondo il quale le nuove norme si applicano anche ai giudizi pendenti e perciò anche con riferimento alle controversie relative all’impugnazione di provvedimenti amministrativi già emanati prima dell’entrata in vigore di tali norme [5].

Vanno segnalate, per linearità e limpidezza, accanto a queste prime soluzioni interpretative, due recenti e distinte sentenze della seconda sezione del Tribunale amministrativo del Veneto che entrano su questioni di solare interesse, la prima evidenzia che l’estensione applicativa della norma dell’articolo 10 bis esclude che la si applica “alle procedure concorsuali e ai procedimenti in materia previdenziale e assistenziale sorti a seguito di istanza di parte e gestiti dagli enti previdenziali”, tuttavia il Collegio perviene a ritiene che “a tale elencazione non va riconosciuta natura tassativa, atteso che pure l’istituto della denuncia di inizio di attività, disciplinato dagli artt. 22 e 23 del T.U. approvato con D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, evidenzia profili di incompatibilità con le nuove norme di ordine generale dettate in tema di “comunicazione (preventiva) dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza”, rendendo la questione non di sottile rilevanza ma di precisa interpretazione obbligando gli operatori ad una lettura che garantisca i criteri di ragionevolezza non potendo escludere altre applicazioni di fatto [6].

È noto che l’orientamento giurisprudenziale prevalente ha ritenuto che la D.i.a., disciplinata dal Testo unico edilizia, è un atto oggettivamente e soggettivamente privato cui la legge (per ragioni di semplificazione e accelerazione procedimentale) attribuisce l'efficacia di titolo edilizio, al pari della concessione e del permesso di costruire, nel caso in cui sia conforme alle norme edilizie e vengano rispettati determinati requisiti, ma appunto perché non obbliga l’amministrazione alla formale adozione di un provvedimento espresso (caso di silenzio significativo) si può ritenere che non rientri all’interno della fattispecie dei procedimenti ad istanza di parte (semmai è quest’ultima che ne è titolare), e più in generale “la denuncia di inizio di attività costituisce un particolare tipo di procedimento semplificato ed accelerato, introdotto dall’art. 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, che prescinde dall’emanazione di un provvedimento amministrativo e comporta una specie di inversione procedimentale, con il privato che comunica all’Amministrazione che ad una certa data inizierà una certa attività produttiva [7].

L’impressione che se ne trae è che il Giudice di prime cure, si allinea a tale tesi interpretativa [8] aderendo all’orientamento secondo il quale la D.i.a (nella specie, quella edilizia) si sostanzia nella formazione di un titolo ex lege, affermando che questo fatto non può significare che l’eventuale adozione del provvedimento repressivo, con il quale l’Amministrazione Comunale ordina al privato di non effettuare l’intervento da lui denunciato, possa tramutarsi (in questa fase conclusiva e inibitoria) in un procedimento ad istanza di parte, non potendo sussistere una coerenza con l’impianto costruttivo della D.i.a., alla quale diversamente dovrebbe imputarsi una propria autonomia provvedimentale in connessione diretta con l’esercizio di una funzione propositiva della p.a. sin dalla sua formazione (della quale, re melius perpensa ne è estranea): “osta in tal senso… non solo la circostanza che la denuncia di inizio di attività non può, letteralmente, considerarsi una “istanza di parte”, ma anche – e soprattutto – la speciale disciplina “della notifica all'interessato” dell’“ordine motivato di non effettuare il previsto intervento”, contenuta dal comma 6 dell’articolo 23, dove già è prevista la motivazione dell’ordine inibitorio e dove viene assicurata una forma di confronto e di tutela del privato, a favore del quale viene comunque fatta “salva la facoltà di ripresentare la denuncia di inizio attività, con le modifiche o le integrazioni necessarie per renderla conforme alla normativa urbanistica ed edilizia [9].

L’altra sentenza della seconda sezione del T.A.R. Veneto, n.3430 del 13 settembre 2005, viene a confermare il ruolo che l’articolo 10 bis possiede all’interno delle fasi procedimentali, e più dettagliatamente la sua funzione informativa – partecipativa, che ha il compito di consentire alla parte di interagire con la p.a. per salvaguardare il proprio interesse all’adozione positiva dell’atto finale, rilevando del tutto inutile una fase partecipativa ulteriore, aggravando il procedimento, quando il soggetto istante ha avuto piena cognizione dell’esito procedimentale, ovvero quando la partecipazione è stata aliunde assicurata, o nel caso di un provvedimento del tutto vincolato (rendendo ininfluente la partecipazione sugli esisti scontati dell’atto).

Ed è in questi termini immediati che il Tribunale Veneto sentenzia il dictum giudiziale che porta a negare la violazione dell’art.10 bis della legge n. 241 del 1990 (e quindi l’annullamento dell’atto) quando “il destinatario del provvedimento finale abbia avuto comunque modo di conoscere tempestivamente le ragioni ostative al rilascio del provvedimento richiesto (nella specie tale conoscenza è stata desunta dal fatto che l'interessato, in più occasioni, aveva partecipato con un proprio rappresentante alle riunioni per il rilascio di una valutazione di impatto ambientale, finalizzata all’ampliamento di una cava di ghiaia)[10], assolvendo quindi a quella funzione preinformativa che consente di mettere il destinatario a conoscenza dell’esito negativo dell’istruttoria, garantendo così di parteciparvi e controbilanciare tali esiti (preclusivi) attraverso la partecipazione diretta, seppure mediante incontri partecipativi che si traducono (nella sostanza) in meccanismi di mediazione (rilevando, a questo punto, del tutto non necessaria una ulteriore fase e collaborativa, che finirebbe con l’aggravare la celerità e l’economicità dell’azione amministrativa).

Questa ultima considerazione non può non rilevarsi per le strette connessioni con la mancato comunicazione di avvio del procedimento quando questa può essere sanata (ex art. 21 octies) qualora si dimostri che l’omissione (ergo mancata partecipazione al procedimento) non avrebbe comunque potuto esplicare efficace incidenza causale sul provvedimento terminale data la natura vincolata dello stesso, enunciando (e confermando), per le vie brevi, che l’articolo 10 bis e l’articolo 7 della legge 241 del 1990 rispondono entrambi ad una funzione informativa – partecipativa, e risultano (sotto il profilo funzionale) tendenzialmente analoghi, con la conseguenza che la partecipazione sarebbe del tutto improduttiva e si risolverebbe in un inutile aggravio procedimentale in presenza di procedimenti vincolati o a basso tasso di discrezionalità (e quindi sanabile ex prima parte, del secondo comma dell’articolo 21 octies) confermando (a margine) che “l’inosservanza delle formalità strumentali alla partecipazione al procedimento da parte dell’interessato, in modo che egli sia in grado di influire sul contenuto del provvedimento, non si traduce automaticamente in un vizio di legittimità dell'atto, ove il contenuto dello stesso sia rigidamente vincolato [11].

Invero, il criterio d’interpretazione logico - sistematica consente di riabilitare tale ultimo aspetto e far confluire le osservazioni all’interno di un valido ragionamento teso a dimostrare che in presenza di atti vincolati (o a basso tenore di discrezionalità) anche il mancato preavviso di rigetto può essere attratto all’interno delle prescrizioni dell’articolo 21 octies, mentre non si può riscontrare effetti sananti in presenza di un esercizio discrezionale della funzione pubblica, e (in questo caso) la partecipazione del privato può (sicuramente) rideterminare il contenuto finale del provvedimento, cristallizzando l’assunto che “è illegittimo il provvedimento di diniego… adottato in assenza della comunicazione preventiva dei motivi che ostano all’accoglimento della domanda al fine di consentire, nei procedimenti ad istanza di parte, il contraddittorio anticipato fra l’istante e l’amministrazione tenuta a decidere. Né può essere applicato l’art.21 octies, in quanto la natura valutativa del provvedimento non consente di ritenere inutile l’apporto che l’interessato avrebbe potuto dare se fosse stato preavvertito nei modi previsti dalla legge [12].


 

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[1] Cfr. T.A.R. Sardegna, Sez. II, 27 maggio 2005, n. 1272; T.A.R. Sardegna, sez. I, 25 maggio 2005, n. 1170; T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 20 maggio 2005, n. 478.

[2] PLATONE, La repubblica, Milano, 1990, pag.119.

[3] Cfr. T.A.R. Lazio – Roma, sezione II bis, 18 maggio 2005 n. 3921; T.A.R. Veneto, sez. II, 1 giugno 2005, n. 2358, sentenze che hanno ritenuto illegittimo un diniego di rilascio di un permesso di costruire e di autorizzazione al mutamento di destinazione d’uso di un immobile nel caso in cui, prima di esprimere detto diniego, l’Amministrazione non abbia osservato quanto previsto dall’art. 10 bis della legge n.241 del 1990, con la comunicazione all’interessato contenente i motivi che ostavano all’accoglimento della domanda stessa, precludendo nella sostanza la partecipazione al procedimento amministrativo conclusosi negativamente. Vedi, anche T.A.R. Campania – Napoli, sez.VII, 4 luglio 2005 n. 9368 e T.A.R. Toscana, sez. II, 18 luglio 2005, n. 3374.

[4] Cfr. T.A.R. Lazio – Roma, sez. III ter, 8 settembre 2005, n. 6618; T.A.R. Sicilia – Palermo, sez.III, 13 settembre 2005, n.1528; T.A.R. Lombardia – Milano, sez.II, 22 aprile 2005, n. 857.

[5] T.A.R. Basilicata – Potenza, 25 giugno 2005, n. 622.

[6] T.A.R. Veneto, sez. II, 13 settembre 2005, n.3418.

[7] Cons. Stato, sez.IV, 26 luglio 2004, n. 5326, cfr. Cons. Stato, sez.IV, 22 luglio 2005, n. 3916; T.A.R. Piemonte, sez.I, 4 maggio 2005, n. 1359; T.A.R. Liguria, sez. I, 22 gennaio 2003, n. 113; T.A.R. Marche 7 maggio 2003, n.315 e 3 febbraio 2004, n. 58. Vedi LUCCA, La d.i.a. e il silenzio assenso (verso un dubbio Amletico): agire o non agire?, in www.halleyweb.it., 14 settembre 2005, ove si segnala che il privato “non produce alcun atto amministrativo (la dichiarazione “non ha il carattere del provvedimento amministrativo, in quanto non promana da una pubblica amministrazione che ne è la destinataria, non costituisce esercizio di una potestà pubblicistica, né dà origine ad un provvedimento amministrativo in forma tacita (silenzio - assenso), non sussistendo il potere - dovere dell’Amministrazione di provvedere sull’istanza del privato”, T.A.R. Campania – Napoli, 9 giugno 2005, n. 8707) ma il silenzio formatosi sulla dichiarazione di inizio attività, ritenendosi da alcuni un vero e proprio provvedimento amministrativo (T.A.R. Veneto, sez. II, 10 settembre 2003, n. 4722) e da altri contestandosi tale natura (Cons. di Stato, sez. VI, 4 settembre 2002, n. 4454 ), crea, tuttavia un sostanziale affidamento del privato in ordine alla legittimità dell’attività avviata (T.A.R. Lazio - Roma, sez. II ter, 9 maggio 2004, n. 5524), e lo abilità al suo esercizio (anche se, dopo decorsi i termini decadenziale dal deposito presso gli uffici comunali della D.I.A. e della notiziazione di inizio attività, permane all’Amministrazione i poteri in autotutela per annullare l’atto (o meglio degli effetti) espressamente e formalmente non emesso, ai sensi degli articoli 21 quinquies e 21 nonies della Legge 241/90)”.

[8] Richiamandosi ai precedenti delle sezioni II del T.A.R. Veneto, n.3405 del 20 giugno 2003 e n.2354 del 31 maggio 2005.

[9] T.A.R. Veneto, sez. II, 13 settembre 2005, n.3418.

[10] La sentenza del T.A.R. Veneto, sez.II, 13 settembre 2005, n.3430, risponde così ai dubbi della dottrina secondo la quale “appare in ogni caso sostenibile la tesi che la comunicazione di cui all’art. 10 bis possa legittimamente (ossia senza inficiare il provvedimento finale) omettersi quando il soggetto interessato abbia comunque (pur in mancanza dell’espletamento della formalità de qua) avuto notizia dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza in una fase in cui ancora aveva la possibilità di rimuovere gli ostacoli all’adozione del provvedimento ampliativo o di “controdedurre” (con osservazioni e documenti) ai motivi de facto conosciuti”, TARULLO, L’art. 10 bis della legge n. 241/90: il preavviso di rigetto tra garanzia partecipativa e collaborazione istruttoria, in www.giustamm.it..

[11] TESSARO, Ancora in tema di preavviso di rigetto, in La Gazzetta degli enti locali, 23 agosto 2005, che in piena aderenza e in anticipo rispetto alle odierne statuizione annota che “sarebbe incongruo non considerare elemento che attiene alla forma il preavviso di rigetto, e considerare tale per contro un elemento ben più significativo come la motivazione del provvedimento, che pure la prima giurisprudenza formatasi dopo la riforma si ostina a considerare siffatto affermando che la sua carenza costituisce vizio “sulla forma degli atti” con la conseguente applicabilità a tale tipo di vizio - nel caso di atti vincolati - della sanatoria ex prima parte dell’art. 21 octies della legge n. 241/90: sarebbe come dire che l’elemento giustificazionale conclusivo del procedimento è requisito di pura forma, mentre non lo è il preavviso di rigetto che anticipa tali conclusioni fornendo il suggello finale all’istruttoria (in disparte lo stretto nesso che la norma dell’art.3 stabilisce expressis verbis tra contenuto della motivazione e risultanze dell'istruttoria)”.


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