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n. 10/2005 - ©
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MAURIZIO LUCCA*
Benessere organizzativo, formazione
e mobbing
nella p.a.: un trittico inscindibile
Nell’organizzazione di una struttura (amministrativa) pubblica molteplici fattori concorrono per imprimere stabilità all’azione provvedimentale, e se da una parte le regole procedimentali (ex lege n.241/90) assolvono ad una funzione di trasparenza e di legalità dell’agire della p.a., stabilendo chiari criteri interpretativi per valutare l’operato in relazione ai risultati perseguiti e perseguibili (rectius agli obiettivi in termini di efficienza, efficacia ed economicità), dall’altra parte le risorse umane sono elementi di prevalenza per assicurare (al medesimo procedimento) una logicità di fondo, un veicolo che risulta non solo strumentale ma primario per garantire univocità, proporzionalità e buon andamento, secondo i canoni costituzionali di imparzialità e pubblicità (ex art.97 Cost.).
In questa linea di primo riflesso, si potrebbe affermare che le grandi idee, lo sviluppo sociale ed economico, il c.d. progresso di una Nazione non può che passare su valide leggi di scienza (e coscienza), ma prima ancora su significative relazioni umane, capaci di creare le condizioni per l’avveramento dei fatti, serve (cioè) che siano condivise e portate avanti (le idee - principi), indipendentemente da ogni command (ordine) di natura giuridica (di diritto) per rispondere ai bisogni della collettività, e queste forze vitali all’interno di un apparato pubblico, all’interno dell’ordinamento amministrativo sono costituite dal personale, da tutta la struttura dirigente, dalle risorse umane che sono le gambe e le braccia di ogni riforma (per migliore e perseguire gli obiettivi individuati dagli organi di governo).
Giova, allora enunciare che le diverse teorie organizzative (non ultime l’activity based costing o la balanced scorecard) che tentano di traghettare tutto il personale pubblico da sistemi di government a sistemi di governance, o più propriamente di corporate governance, in una dimensione di corretta conduzione aziendale verso modelli di management by objectives deve necessariamente puntare, oltre al miglioramento delle performance o delle best practices, al benessere organizzativo e alla formazione (permanente) che costituisce la fonte per migliorare le prestazioni e gli effetti positivi delle politiche pubbliche, ma soprattutto per creare condizioni di sostenibilità lavorativa, in un clima favorevole verso i rapporti e le relazioni (prestazioni) professionali, in un meccanismo di miglioramento interno ed esterno (i cittadini), capace di ridare slancio e competitività (risultato e produttività), sia alla struttura pubblica che alla persona: affinché lo sviluppo della singola personalità arricchisca la Comunità intera, giungendo (in una lettura quasi benedettina della Regula e senza inficiare la lectio) a sostenere che il lavoro nobilita l’uomo (o più sommessamente, lavorando serenamente si può realizzare parte di sé stessi, forse per alcuni).
Non è questo ne il luogo, ne il momento per andare oltre ma il Dipartimento della Funzione Pubblica con la Direttiva 24 marzo 2004 (Misure finalizzate al miglioramento del benessere organizzativo nelle pubbliche amministrazioni) crede che per lo sviluppo e l'efficienza delle amministrazioni sia indispensabile riscrivere le “condizioni emotive dell'ambiente in cui si lavora”, ripensare “la sussistenza di un clima organizzativo che stimoli la creatività e l'apprendimento”, ritenendo che “l'ergonomia - oltre che la sicurezza - degli ambienti di lavoro, costituiscano elementi di fondamentale importanza ai fini dello sviluppo e dell'efficienza delle amministrazioni pubbliche”, puntando, quindi su elementi nuovi e coerenti con una dimensione più familiare del contesto lavorativo, una visione che considera “importante offrire agli operatori la possibilità di lavorare in contesti organizzativi che favoriscono gli scambi, la trasparenza e la visibilità dei risultati del lavoro, in ambienti dove esiste un'adeguata attenzione agli spazi architettonici, ai rapporti tra le persone e allo sviluppo professionale”, che in termini immediati incentiva il benessere organizzativo e dei luoghi di lavoro come fine (in sé).
Allora, può realmente ritenersi valida la “scuola” sopra richiamata, ponendo maggior attenzione agli aspetti motivazionali, agli obiettivi pratici di soddisfazione che riflettono sicuramente il raggiungimento di un risultato amministrativo ma anche il soggetto che ha consentito il risultato, sostenendo la persona nelle sue dinamiche relazionali e giungendo a collocare (come è scritto nella Direttiva citata) “le priorità di cambiamento da sostenere nelle amministrazioni pubbliche, quella di creare specifiche condizioni che possano incidere sul miglioramento del sistema sociale interno, delle relazioni interpersonali e, in generale, della cultura organizzativa”, perché prima di ogni regola procedimentale vi è il substrato culturale, il c.d. “essere” che appartiene ad una struttura, e che in questa struttura può realizzare una parte del proprio “io”, ovvero una dimensione che soddisfi e migliori i rapporti umani: “l'attenzione al benessere organizzativo come elemento di cambiamento culturale”.
In questo processo erratico, il rispetto formale delle norme non deve tralasciare il rispetto sostanziale delle condizioni di utilizzo delle regole, e l’ambiente di lavoro partecipa alla redazione e alla costituzione di un percorso formativo verso la creazione di un diverso modo di avvicinarsi al lavoro, l’attenzione verso le variabili critiche può far aumentare il risultato del prodotto amministrativo, migliorando i rapporti (interni) ma anche disegnando un diverso e più trasparente percorso con l’utente finale (il cittadino) che da questo percorso può beneficiare di più occasioni di risposta.
In questo senso, il benessere organizzativo può ridurre i contrasti e i malintesi procedimentali, agevolare la partecipazione attiva in modo del tutto chiaro e semplice (trasparente), garantendo il contraddittorio e il giusto procedimento in termini non puramente ordinamentale, ma relazionali tra due parti, quella pubblica rappresentata dal responsabile del procedimento e quella privata dell’istante che si rivolge alla p.a. per un servizio o una prestazione.
Ed ecco che, su queste basi relazionali, vengono individuati gli elementi per la creazione di questo nuovo agire nei rapporti organizzativi con:
a. l’allestimento di un ambiente di lavoro salubre, confortevole e accogliente;
b. la definizione di un P.e.g. (Piano esecutivo di gestione) e P.d.o. (Piano dettagliato degli obiettivi) chiaro e sintetico per l’individuazione e la valorizzazione dei centri di responsabilità, e dei risultati attesi (legandoli alla produttività [1]);
c. la creazione di una rete di comunicazione tra soggetti che possa dare ascolto alle istanze dei dipendenti, senso di utilità sociale del loro lavoro, clima relazionale franco e collaborativo.
Il benessere organizzativo, possiamo affermare, realizza così un diverso modo di affrontare il lavoro e dimensiona l’attività verso il rispetto reciproco dei rapporti tra i diversi livelli di responsabilità (e istituzionali), eliminando e/o depotenziando le situazioni di stress e/o conflittualità (manifesta o implicita) con riflessi diretti sul singolo e sulla qualità delle prestazioni erogate, oltre a influire (favorevolmente) su tutta l’azione amministrativa, costituendo un parametro di legalità nei rapporti tra i singoli e la struttura (senza considerare che questi aspetti migliorativi incidono sulla customer satisfaction, obbligando la p.a. ad uscire dalla propria autoreferenzialità, e confrontandosi – per comprendere – i bisogni interni ed esterni, riprogettandosi in entrambi i sensi).
Diviene naturale a questo punto pensare che il raggiungimento di un risultato sattisfativo per l’utente interno ed esterno ha bisogno di strumenti operativi diversi, ma in primo luogo la formazione in quanto tale che costituisce la chiave di lettura (e di volta) di ogni cambiamento, una formazione specifica di natura tecnica in grado di preparare ogni dipendente ad affrontare con professionalità i compiti affidati, ed anche una formazione relazionale per indicare i bisogni di socialità che gravitano in ogni ambiente di lavoro, insegnare cioè le regole minime di educazione che consentono di rapportarsi con dignità verso il prossimo, e più specificatamente verso il proprio collega di lavoro, sia esso un superiore che un pari grado, consapevoli che la distinzione non si può fondare su profili di gerarchia ma di direzione, che integra un diverso modo di rapportarsi tra persone con compiti diversi (pur in un principio di uguaglianza).
Bisogna, sotto questi profili, ripensare le procedure attinenti alla formazione e conseguentemente introdurre le nuove tecnologie nei processi formativi, diffondendo strumentazioni a rete per la distribuzione e diffusione della conoscenza, con la partecipazione continua sia in sede appropriate (in aule didattiche) che attraverso la formazione a distanza (e - learning) perché con questi ausili innovativi può essere rivisto il rapporto lavorativo con momenti di permanente formazione, anche mediante le teleconferenze o collegamenti on line [2].
In effetti, i rapporti vanno costruiti nelle relazioni e nei diversi modi di manifestare tali relazioni, e se la formazione può aumentare le capacità di conoscenza per arricchire il bagaglio personale e professionale, il benessere organizzativo consolida i rapporti relazionali aumentando le capacità di entrare in contratto con il prossimo, per comprendere i bisogni e le esigenze, ma anche per gestire il conflitto e quelle forme più sottili di sovraordinazione senza compromettere i diversi livelli di responsabilità che il dipendente detiene all’interno della struttura organizzativa.
Il tutto per evidenziare che il contesto lavorativo può generare benessere ma anche malessere, traducendosi nelle forme più marcate di vessazione (psicologica), sino a giungere in vere e proprie forme di persecuzione “attraverso sistematici e recidivi soprusi e discriminazioni da parte dei colleghi, dei superiori o del datore di lavoro; un maltrattamento deliberato e ripetuto nel tempo”, che la giurisprudenza ha descritto come “mobbing” [3].
In dipendenza di ciò, apparirebbe strumentale far ricadere ogni situazione di disagio in mobbing quando l’evidenza dimostra una condotta negligente, quando l’esecuzione di una prestazione denota l’imperizia, quando il mancato rispetto di una direttiva e/o ordine significa inadempimento degli obblighi che il contratto di lavoro impone al dipendente, non è certo questo che deve essere confuso altrimenti si incorrerebbe nel rischio (inverso) di vedere privare di efficacia il solerte lavoro di chi organizza, di chi dispone, di chi detiene una responsabilità generale, privando questi dagli strumenti ordinari di organizzazione: “non è legittimo, né possibile ricondurre tutte le dinamiche delle relazioni di lavoro all’interno di un’impresa alla c.d. “costrittività organizzativa”, giacché essa non è certo la garanzia del “diritto” del lavoratore ad operare in un ambiente professionale asettico, irenico o, comunque, cordiale, al più potendosi pretendere comportamenti di buona fede da tutte le parti del rapporto di lavoro, indipendentemente, quindi, dai dati caratteriali dei singoli attori di quest’ultimo” [4].
Si spiega così quella condotta costrittiva (organizzativa) lesiva dei diritti del dipendente che mina alla radice i rapporti relazionali, che compromette radicalmente il benessere organizzativo, che assume rilevanza negoziale per essere nociva alla salute del dipendente, con una serie di condotte illecite che “può essere generalmente riferito ad ogni ipotesi di pratiche vessatorie, poste in essere da uno o più soggetti diversi per danneggiare in modo sistematico un lavoratore nel suo ambiente di lavoro, nel caso in cui vengano lamentate violazioni di specifici obblighi contrattuali derivanti dal rapporto di impiego… trattandosi in tal caso di atti di gestione dei rapporto di lavoro che, indipendentemente da una concreta correlazione con un disegno di persecuzione reiterata, trovano un diretto referente normativo nella disciplina della regolamentazione del rapporto e ricevono da questa la loro sanzione di illiceità. In tal caso, quindi, la fattispecie di responsabilità va ricondotta alla violazione degli obblighi contrattuali stabiliti da tali norme, indipendentemente dalla natura dei danni subiti dei quali si chiede il ristoro e dai riflessi su situazioni soggettive (quale il diritto alla salute) che trovano la loro tutela specifica nell'ambito dei rapporto obbligatorio” [5].
Andando oltre a queste osservazioni, si ricava che il mobbing nella sua essenza riproduce un clima di generale malessere circoscritto su un determinato soggetto, e può trovare radicamento in presenza di un ambiente circostante preparato a coltivare situazioni di generale degrado partecipativo (di isolamento relazionale), al punto da ritenere che questa condotta persecutoria può essere detenuta “da uno o più soggetti (non necessariamente in posizione di supremazia gerarchica) e mirante ad indurre il destinatario della stessa a rinunciare volontariamente ad un’incarico ovvero a precostituire i presupposti per una sua revoca attraverso una sua progressiva emarginazione dal mondo del lavoro” [6], e più intensamente a coartare la personalità per finalità che esulano dal rapporto di lavoro, e s’inseriscono in evidenti intimidazioni illecite, che non possono essere assimilate alle normali relazioni tra il titolare della responsabilità amministrativa e il suo sottoposta, magari per richiamare quest’ultimo ad una maggiore diligenza.
Si ricava che il mobbing tende ad isolare, si presenta in forme diverse di pressione psicologica e/o disconoscimento del ruolo svolto, ed è una frattura relazionale che impedisce al lavoratore di svolgere serenamente la propria prestazione professionale ledendone il diritto, demansionando l’operatività della stessa sotto i profili patrimoniali, fisici e di capacità integrando una lesione del diritto fondamentale alla libera esplicazione della personalità del lavoratore anche nel luogo di lavoro, determinando un pregiudizio che incide sulla vita professionale e di relazione dell'interessato (al solo scopo di recare danno al lavoratore, rendendone penosa la prestazione) che può essere fermata in presenza di più correttivi, e apprestando un ambiente che punta a rivalutare l’insieme lavorativo e le risorse umane non “in violazione non solo del principio di protezione delle condizioni di lavoro, ma anche della tutela della professionalità prevista dall'art. 2103 cod. civ” [7].
Alla luce di tutte queste considerazioni, vi è una piena coincidenza di soluzioni tra i distinti temi trattati dove il benessere organizzativo non può coesistere con situazioni di disagio (esasperate dal mobbing), dove la formazione assiste su diversi piani intellettivi (un primo piano sulla qualificazione della prestazione resa in termini di maggior professionalità individuale, e su altro piano in funzione di una maggior capacità relazionale, ovvero quella facoltà che abilita il dipendente nel rapportarsi con gli altri, indipendentemente dal profilo ricoperto), dove un maggior impulso alla soluzione dei problemi organizzativi si riflette nella creazione di un comune sentire la mission aziendale (la c.d. appartenenza), e dove l’aumentata capacità organizzativa è in grado di cogliere le insufficienze per aumentare la produttività in un progetto di continua formazione, e la formazione è un investimento nelle risorse umane senza surrogare la capacità di crescita generale (e le risorse finanziarie), e attraverso questo processo virtuoso di crescita i rapporti migliorano e le discriminazioni tendono a diminuire per una coscienza generale dell’utilità che ognuno può apportare alla struttura, o più semplicemente per rendere in chiaro (e trasparenti) i suoi limiti, senza dover ricorrere al mobbing per celare le proprie difficoltà [8].
(*) Direttore – Segretario Generale del Comune di Vigonza.
[1] La produttività individuale non è più legata all’irrazionalità “della distribuzione delle risorse rispetto alle funzioni” che “è stata posta in luce specialmente per quanto riguarda il personale”, dove con “il ruolo chiuso, per i dipendenti non vi sono miglioramenti economici disgiunti dalla progressione in carriera: l’unica possibilità di ottenere miglioramenti economici, è quella di salire di grado”, CASSESE S., Il sistema amministrativo italiano, Milano, 1983, pg. 182.
[2] Cfr. la Direttiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri 6 agosto 2004, “Progetti formativi in modalità e-learning nelle pubbliche amministrazioni”.
[3] ZANON, Il mobbing, Gorle, 2004, pag.3. Il termine mobbing deriva dall’inglese to mob che significa attaccare, assalire tumultuosamente, accalcarsi intorno a qualcuno, e in origine è stato coniato dall’etologo Konrad Lorenz per descrivere l’attacco di un gruppo di uccelli contro l’intrusione di un altro animale.
[4] T.A.R. Lazio – Roma, sez.III ter, 4 luglio 2005, n. 5454.
[5] Cass. Civ., sez. Un., 4 maggio 2004, n.8438, vedi anche Trib. Napoli, 4 gennaio 2005.
[6] ORICCHIO, Il mobbing nel pubblico impiego, in www.LexItalia.it n. 7-8/2001.
[7] T.A.R. Trentino Alto Adige – Trento, 12 settembre 2005, n.242.
[8] Una ricerca del risultato non a danno di qualcuno, ma con responsabilità di direzione e di coordinamento generale, tutelando e assicurando tutta la struttura organizzativa, con stile direttivo che delinea le doti di leadership in sintonia con quello di ricerca dell’eccellenza: “il generale rappresenta la conoscenza, la fedeltà, il coraggio e la severità”, chi comanda deve saper dare ordini corretti e conoscere la realtà (il terreno) “la conoscenza è alla base dell’azione del comandante saggio… Il comandante abile sa creare un’irresistibile nuova realtà in grado di sostituire quella in cui il nemico agisce… Il comandante saggio prepara il terreno e rende partecipi i suoi soldati della possibilità della vittoria”, SUN TZU, L’arte della guerra, Milano, 2003, questo per dire che quando si gestiscono risorse umane (diverse) è necessario condurre l’azione con una serie articolata di metodi e conoscenze per condurre tutto “l’esercito” alla vittoria, che non è altro che l’espressione concreta del raggiungimento dei risultati attesi, adottando un valida strategia per far sistema e coordinare le azioni attraverso tutte le risorse a disposizione, privilegiando le singole capacità.
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Documenti correlati:
S. AGRIFOGLIO, Il mobbing nel pubblico impiego, in LexItalia.it n. 10/2004 http://www.lexitalia.it/articoli/agrifoglio_mobbing.htm
M. ORICCHIO, Il mobbing entra nella giurisprudenza costituzionale, in LexItalia.it n. 1/2004 http://www.lexitalia.it/articoli/oricchio_mobbing2.htm