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Articoli e note

n. 5/2004

GIACINTO LOMBARDI (*)

Controlli preventivi di legittimità sugli atti degli enti locali: il Consiglio di Stato dopo la Legge Cost. 18.10.2001 n. 3 “reintroduce” il controllo su richiesta del Prefetto

(nota a Cons. Stato, Sez. I, parere 26 novembre 2003, n. 1006/03)

1) La lettura del parere qui commentato (pubblicato in questa Rivista, n. 4/2004, pag. http://www.lexitalia.it/p/cds/cds1_2003-11-26-4.htm), al di là delle rilevanti implicazioni giuridiche scaturenti dalla ricostruzione normativa posta in essere dal Consiglio di Stato, mette in luce tendenze ancora non sopite circa la necessità di un controllo sulla azione e -quindi- sugli atti degli enti locali [1], quando siano in gioco rilevanti interessi che possano incidere su valori considerati rilevanti dall’Ordinamento [2].

Nel caso in questione, il Consiglio di Stato ha ritenuto che l’abrogazione dell’art. 130 Cost., ad opera dell’art. 9 comma 2 Legge Cost. n. 3/2001, non abbia comportato il venir meno dei controlli affidati al Prefetto dall’art. 135 T.U.E.L. quando lo stesso ritenga che “sulla base di fondati elementi comunque acquisiti, esistano tentativi di infiltrazioni di tipo mafioso nelle attività riguardanti appalti, concessioni, subappalti, cottimi, noli a caldo o contratti similari per la realizzazione di opere e di lavori pubblici, ovvero sia necessario assicurare il regolare svolgimento delle attività delle pubbliche amministrazioni”. Come si ricorderà, in tali circostanze, il Prefetto poteva richiedere “il controllo preventivo di legittimità delle deliberazioni degli enti locali relative .......  con le modalità dell’art. 133 T.U.E.L”.

In altra occasione, sostenemmo che dopo l’abrogazione dell’art. 130 Cost. ad opera della Legge Cost. n. 3/2001 doveva ritenersi inoperante il controllo preventivo di legittimità sugli atti sollecitato dal Prefetto, visto che appariva ovvio che questa potestà prefettizia ineriva e rappresentava una piena esplicazione del potere di controllo sugli atti degli enti locali. Chiaro in tal senso il rinvio esplicito contenuto nella norma all’art. 133 T.U.E.L. e -conseguentemente- all’art. 130 Cost.

Infatti, in tale ipotesi di controllo l’unica differenza rispetto al controllo eventuale allora esercitabile su richiesta degli stessi organi comunali (consiglieri comunali o giunta) era rappresentato dal soggetto (il Prefetto) che poteva suscitare tale controllo. Il Co.Re.Co. in tal caso non esercitava altro che la funzione prevista dal previgente testo costituzionale. In tal senso, inoltre, depone lo stesso dettato del richiamato art. 135 co. 2 T.U.E.L. che fa esplicito riferimento al medesimo procedimento di controllo preventivo esercitato dall’organo tutorio regionale, non venendo affatto delineato una tipologia di controllo differenziata [3].

Ebbene, la ricostruzione del Consiglio di Stato apparentemente si contrappone a quanto da noi in precedenza sostenuto, ritenendo che tale particolare facoltà prefettizia (richiesta di controllo preventivo) inerisca ai poteri di ordine pubblico e sicurezza riservati all’autorità statale anche dopo la modifica del Titolo V Cost. A tal riguardo, il Collegio richiama l’art.16 co.1 bis delle legge 19.03.1990 n. 55, dettato per contrastare il pericolo di infiltrazioni mafiose all’interno della p.a. [4], ritenendo giustamente che la norma dell’art. 135 del T.U.E.L. riporti espressamente e sia trasposizione di tale peculiare potere previsto dalla legislazione antimafia.

Il Consiglio di Stato posta la vigenza di un potere prefettizio di attivazione dei controlli di legittimità sugli atti di cui all’art.135 cit., e nella considerazione che il controllo ex art.133 comma 1 T.U.E.L. oramai non è più in essere nel mutato ordinamento costituzionale [5], ritiene che il Prefetto possa esercitare la sua “iniziativa di controllo” o attraverso una sollecitazione del controllo interno ai sensi dell’art. 147 co.1 lett.a) T.U.E.L. ovvero richiedere un motivato riesame di legittimità dell’atto de quo in via di autotutela da parte dell’organo che ha emesso l’atto stesso.

Il risultato di tale ricostruzione può anche condividersi visto che è indubbio l’interesse statale nella repressione delle criminalità organizzata; ma ciò che non si comprende e si contesta è l’inquadramento di siffatti poteri prefettizi nell’ambito dei controlli di legittimità sugli atti degli enti locali territoriali e le conseguenze ulteriori che da questa interpretazione del Consiglio di Stato si possono trarre.

Ebbene, come dimostreremo tali ‘singolare potere di iniziativa prefettizia di controllo’ (corsivo nostro) non può affatto concretizzare una ipotesi ed una fattispecie di controllo preventivo di legittimità come storicamente e tipicamente disposto all’interno del nostro Ordinamento degli Enti Locali.

2) Una doverosa precisazione, parlando di controlli sugli atti di comuni e province, deve essere posta al ruolo costituzionale riconosciuto nella Carta Costituzione agli enti territoriali. Ebbene, è fuori dubbio che l’attuale assetto dei poteri all’interno della Repubblica, costituita -come recita l’art. 114 Cost.- dai comuni, dalle province, dalle città metropolitane, dalle regioni e dallo stato, è tale da non poter considerare possibile da previsione di “poteri di controllo impliciti” su enti costituzionalmente rilevanti quali i Comuni e le Province da parte dello Stato [6].

E’ possibile che siano previste forme di controllo sull’azione degli enti locali territoriali per tutelare interessi quali l’ordine pubblico e la sicurezza, ma è fuori dubbio che le regole di tali controlli debbano essere poste con una legge del Parlamento (art.117 co.2 lett.h e lett.p). Basti solo pensare che per i controlli sostitutivi l’ultimo comma dell’art. 120 Cost., prevede che sia la legge a definire le relative procedure. Pertanto, una applicazione analogica di previsioni concernenti controlli di legittimità sugli atti di comuni e province non può ritenersi costituzionalmente legittima.

Da quanto sin quì esposto, potrebbe apparire che non si condivida l’autorevole parere annotato del Consiglio di Stato; invero, la posizione delineata dal Consiglio di Stato nel predetto parere n.1006/03 può essere condivisa sempreché non si inquadrino le specifiche azioni prefettizie precisate dal Supremo Consesso nella funzione tipica del controllo.

A ben vedere, il Collegio ritiene che il Prefetto -innanzi a circostanze che facciano presumere tentativi di infiltrazioni mafiose- possa porre in essere due azioni:

a) sollecitare il controllo interno ai sensi dell’art. 147, co.1, lett. a), del T.U.E.L.;

b) richiedere un motivato riesame di legittimità dell’atto de quo in via di autotutela da parte dell’organo che ha emesso l’atto.

Tali azioni prefettizie, a nostro parere, sono possibili al di là di quanto espressamente previsto dall’art. 135 T.U.E.L.  A ben vedere, si tratta di un potere di iniziativa, di un potere di istanza che può ben essere esercitato dal Prefetto quale titolare e portatore dell’interesse pubblico legato alla necessità che non vi siano infiltrazioni mafiose e turbamento dell’ordine pubblico.

Inoltre, è indubbio che qualsiasi cittadino che abbia un interesse possa richiedere alla pubblica amministrazione di riesaminare un atto in sede di autotutela e ciò anche se i termini per eventuali azioni giudiziarie siano già spirati; similmente una tale istanza potrà proporre il cittadino per l’esercizio del controllo interno ai sensi dell’art. 147 co.1 lett. a) T.U.E.L.

In vero, il Consiglio di Stato ha solamente esplicitato un potere di istanza che il Prefetto -nella veste di tutore dell’ordine pubblico- già possedeva; a tal riguardo sia sufficiente porre attenzione ai casi di scioglimento e rimozione degli organi degli enti territoriali per ragioni di ordine pubblico [7].

Da quanto sopra espresso deve ritenersi che le azioni prefettizie esplicitate dal Consiglio di Stato nel parere annotato sia legittime e non incidano sulla sfera di competenza degli enti locali, in quanto il loro esercizio è legittimo e legato a schemi procedurali già legislativamente posti, nel quale il Prefetto viene ad assumere la posizione di legittimato al pari di chiunque abbia un interesse giuridicamente rilevante.

D’altronde ove si ritenesse che, in via analogica, il Consiglio di Stato avesse individuato l’esercizio e la titolarità di un potere non afferente già al Prefetto avremmo una situazione nella quale lo Stesso Consiglio avrebbe “creato” una norma. Tale circostanza è senza dubbio da respingere, visto che nel nostro Ordinamento il potere legislativo in materia può essere legittimante esercitato solo dal Parlamento ed una tale interpretazione creatrice/manipolativa del Consiglio di Stato potrebbe concretizzare una sorta di “invasione” di tale competenza inquadrabile nel c.d. eccesso di potere giurisdizionale per invasione delle attribuzioni del legislatore [8].

Le conseguenze di una tale ricostruzione sono assai rilevanti.

In primo luogo, è doveroso chiedersi cosa accada nell’ipotesi in cui l’ente locale non attivi il procedimento richiesto dal Prefetto. Ebbene, in tal caso non essendovi una ‘sanzione’ tipica prevista dall’Ordinamento positivo dovrà ritenersi che ci si trovi innanzi una inerzia dell’amministrazione locale. Ovviamente, il Prefetto, a seguito delle procedure atte a formalizzare tale silenzio, potrà rivolgersi all’autorità giudiziaria, ma potrà anche considerare tali inattività degli organi degli enti locali territoriali nell’ambito di quelle circostanze previste dagli artt. 141 e 142 T.U.E.L., atte a provocare -concordemente ad altre circostanze- interventi non sull’attività degli organi ma sulla loro esistenza (scioglimento o rimozione).

In secondo luogo, non trattandosi di controllo preventivo di legittimità non potrà trovare applicazione l’art.134 T.U.E.L. concernente la esecutività delle deliberazioni soggette al controllo. In particolare, il comma 2 prevedeva che “nel caso delle deliberazioni soggette a controllo eventuale la richiesta di controllo sospende l’esecutività delle stesse fino all’avvenuto esito del controllo”. Ebbene, ritenere che la richiesta/istanza del Prefetto di riesame possa sortire l’effetto di sospendere immediatamente l’esecutività della deliberazione de qua significherebbe introdurre un effetto abnorme non previsto per la fattispecie oggetto d’esame.

Una tale norma aveva un senso una ratio quando le delibere aventi per oggetto contratti potevano essere sottoposte all’esame di legittimità dell’organo tutorio regionale visto che ragioni di certezza del diritto imponevano che siffatte deliberazioni non divenissero esecutive sino allo scadere del termine per l’attivazione del vaglio del Co.Re.Co. Oggi, di contro, potendo l’istanza di riesame del Prefetto intervenire dopo che la deliberazione sia già divenuta esecutiva con la produzione di effetti tanto a carico dell’amministrazione che dei privati [9], una automatica sospensione della esecutività della deliberazione denunciata non può ritenersi propria del nostro Ordinamento. L’Amministrazione -ovviamente- a seguito della istanza prefettizia di riesame dell’atto nell’esercizio dei poteri di autotutela, potrà sempre in sede di autotutela sospenderne gli effetti, ma un tale atto cautelativo dovrà essere valutato di volta in volta e motivato puntualmente.

Infine, è necessario sottolineare che l’Amministrazione locale a seguito dell’avvio del procedimento di riesame attivato su istanza del Prefetto dovrà rispettare le regole procedurali dettate dalla legge n.241/90, regole particolarmente pregnanti in sede di procedimenti di secondo grado. La conseguenza di ciò è che il cittadino interessato dovrà essere informato del procedimento di riesame in corso potendo partecipare allo stesso.

3) A conclusione di questa breve nota è doveroso sottolineare che l’atteggiamento del Consiglio di Stato, in parte condiviso, appare pienamente comprensibile alla luce della necessità di assicurare forme di garanzie nell’ordinamento preventive rispetto alla tutela giudiziaria.

In un ordinamento che pone il principio di legalità a cardine dell’azione dell’Amministrazione Pubblica (art. 97 Cost. - art.1 legge n.241/90) non può ritenersi precluso un intervento tutorio preventivo rispetto alla azione giudiziaria nel caso in cui sia in pericolo l’ordine pubblico ovvero -ed è caso ancor più grave- vi siano tentativi di infiltrazione mafiose. Certamente, le procedure devono essere fissate dalla legge garantendo tanto l’interesse statale quanto il rispetto della autonomia degli enti locali territoriali. In tal senso è auspicabile un intervento del legislatore statale.

Un dato che deve essere registrato riguarda la sorte dei controlli interni che nelle intenzioni del legislatore della Bassanini prima e della novella costituzionale dopo, dovevano sostituirsi all’oramai datato controllo preventivo dei Co.Re.Co.: dopo la scomparsa dei controlli regionali non pare che gli enti locali abbiano dimostrato una tale maturità da ‘costruire’ un sistema interno di verifiche capace di eliminare le illegittimità dagli atti comunali. Basti pensare che istituti quali il difensore civico sembrano stentare in questa azione di indirizzo alla legittimità costringendo -di fatto- il cittadino a doversi rivolgere sempre più al giudice amministrativo. Se non si registrerà una seria inversione di tendenza nei comportamenti delle amministrazioni locali, bene farebbe il legislatore costituzionale ad introdurre forme di controllo sugli atti di comuni e province ma nel rispetto dei ruoli costituzionalmente sanciti. Una ipotesi potrebbe essere quella di attribuire il potere di controllo preventivo di legittimità ad organi i cui componenti siano nominati dalle Associazioni rappresentative degli stessi enti locali quali l’A.N.C.I. e l’U.P.I. ovvero l’U.N.C.E.M.

 

(*) Professore a contratto nell’Università di Ferrara.

[1] Sui controlli sugli atti degli enti locali, vedi: Vandelli L., Ordinamento delle autonomie locali - Commento alla legge 8 giugno 1990 n.142, Rimini, Maggioli ed., nelle sue varie edizioni (1991/2000); Romano Tassone A., I controlli sugli atti degli enti locali nelle leggi nn.59 e 127 del 1997, in Riv. trim. dir. amm., 1998, n.2; Sciullo G., Il controllo sugli atti delle amministrazioni locali al vaglio del Consiglio di Stato, in Le Regioni, 1999, n.1; Lombardi G., Il nuovo sistema dei controlli sugli atti degli enti locali. Analisi sugli effetti della legge n.127/97, “Bassanini due”, in Le Istituzioni del Federalismo (Regione e governo locale), 2000, n.2, Maggioli ed., Rimini, pp.357-396.

[2] Sul regime dei controlli dopo l’entrata in vigore della Riforma del Titolo V Cost., vedi: Veronesi G., Il regime dei poteri sostitutivi alla luce del nuovo art.120, comma 2, della Costituzione, in Le Istituzioni del Federalismo (Regione e governo locale), 2000, n.2, Maggioli ed., Rimini; Mainardis C., I poteri sostitutivi statali: una riforma costituzionale con (poche) luci e (molte) ombre, in Le Regioni, 2001, n.6.

[4] Sull’argomento sia consentivo rinviare a: Lombardi G., Brevi riflessioni sullo scioglimento dei consigli comunali e provinciali: i collegamenti diretti e indiretti, con la criminalità organizzata, in Nuova Rassegna, 1995, n. 17, pp. 1826-1831.

[5] Nel parere, il C.d.S. espressamente ritiene che “venuta meno la fonte normativa di rango costituzionale su cui poggiava tutto il sistema dei controlli sugli atti degli enti locali si determina, invero, l’effetto abrogativo per caducazione di tutte le disposizioni dell’ordinamento che nella normativa costituzionale trovavano giustificazione e la loro stessa ragion d’essere”.

[6] Di tale stato di cose è consapevole lo Stesso C.d.S. quando sottolinea che “tale conclusione è del resto coerente con il nuovo disegno costituzionale dei rapporti Stato - Regioni ed Autonomie Locali, che assegna a tali ultimi organismi l’esercizio dei compiti amministrativi con autonomia statutaria, di poteri e funzioni, quali organi equiordinati che concorrono, con pari dignità e senza limitazioni della spesa di capacità, al perseguimento dei fini di interesse pubblico di cui sono attributari”.

[7] E’ bene ricordare che nonostante la modifica del Titolo V della Costituzione, sono rimasti in vigore i poteri di controllo sostitutivi sugli organi degli enti locali. In particolare, l’art. 141 T.U.E.L. prevede che su proposta del Ministro degli Interni, il Presidente della Repubblica possa sciogliere i consigli comunali e provinciali nel caso compiano atti contrari alla Costituzione ovvero per gravi e persistenti violazione di legge o ancora per gravi motivi di ordine pubblico. Il successivo art. 142 precisa, tra gli altri, che il sindaco ed il presidente della provincia possano essere rimossi per le medesime ragioni. In entrambi i casi, il Prefetto può adottare atti di sospensione in attesa dei provvedimenti di scioglimento e di rimozione. E’ indubbio che se il Prefetto è titolare di un potere di sospensione dei consigli e dei sindaci e dei presidenti di provincia per gravi motivi di ordine pubblico, lo stesso rappresentante del Governo avrà le competenze per appurare tale situazione di pericolo essendo il titolare dell’interesse pubblico ad assicurare il mantenimento dell’ordine pubblico c.d. “istituzionale”.

[8] Si ricordi che anche recentemente, Le Sezioni Unite della Cassazione sono reintervenute per sancire che vi è una tale sorta di eccesso di potere giurisdizionale quando vi sia da parte del Consiglio di Stato una applicazione di una norma non esistente ma di una norma da lui creata (Cass.SS.UU. 15.07.2003 n. 11091, in Giur.It. 2004, n. 3, IV, pp. 634 ss).

[9] Si badi che lo stesso parere precisa che non vi è alcun obbligo a carico degli enti locali di trasmettere gli atti de quo al Prefetto potendo quest’ultimo richiedere tali atti di volta in volta in base al suo prudente apprezzamento.


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