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n. 3/2008 - ©
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SOMMARIO: 1. Il problema del punteggio numerico nei concorsi pubblici. - 1.1. La tesi della sufficienza del voto numerico. - 1.2. La tesi della necessità di una motivazione esplicita. - 1.3. La tesi intermedia: il voto numerico in relazione a criteri predeterminati. - 1.4. La tesi intermedia che richiede segni rilevanti ai fini della comprensione del voto numerico. - 1.5. La tesi intermedia che richiede la integrazione motivatoria solo in casi peculiari. - 2. L’intervento della Consulta. - 3. Le novità della legge sul concorso notarile. - 4. Le novità della legge sull’ordinamento giudiziario. - 5. Norma generale e norme speciali. - 6. La scarsa trasparenza dei concorsi: il caso dei concorsi universitari ed il concorso per l’accesso alla magistratura ordinaria. - 6.1. Il concorso notarile. - 6.3. Il concorso per l’accesso al Consiglio di Stato. - 6.4. Conclusioni.
1. Il problema del punteggio numerico nei concorsi pubblici.Una questione di grande interesse è quella concernente la motivazione degli elaborati in caso di attività concorsuale (cioè discrezionalmente tecnica).
Sulla questione sono maturati tre diversi orientamenti.
Il primo sostiene la sufficienza del voto numerico, sinteticamente espressivo della posizione assunta dall’amministrazione in sede di giudizio.
Il secondo, invece, ritiene necessaria una analitica motivazione anche in forma dialettica, per rendere comprensibile appieno l’iter logico seguito dall’amministrazione.
Vi è, infine, una terza posizione, in base alla quale il criterio numerico è sufficiente solo dove sia integrato dalla indicazione di specifici criteri di riferimento.
Una prima impostazione ermeneutica ha ritenuto sufficiente la indicazione numerica del voto
Anche dopo l'entrata in vigore della l. n. 241 del 1990, il voto numerico è sufficiente a dare conto della valutazione delle commissioni di pubblici concorsi, senza la necessità che la sua attribuzione sia assistita da una motivazione sulle ragioni che hanno indotto la commissione a formulare il giudizio che il voto esprime
(Cons. St., sez. VI, 14 settembre 2006, n. 5325, FA CDS, 2006, 9, 2596),
ritenendo non necessario che la sua attribuzione sia assistita da una motivazione sulle ragioni che hanno indotto la commissione a formulare il giudizio che il voto esprime
Nei procedimenti valutativi, per i quali la potestà amministrativa tecnico-discrezionale si manifesta nell'espressione di punteggi, non v'è esigenza di motivazione integrativa, giacché, in tale caso, l'onere di motivazione è sufficientemente adempiuto con la sola attribuzione del punteggio numerico, che è una espressione sintetica, ma eloquente, della valutazione compiuta dalla commissione
(Cons. St., sez. V, 27 aprile 2006, n. 2372, FA CDS, 2006, 4, 1200).
Il numero rappresenterebbe, perciò, una espressione sintetica, ma completa, della decisione
Anche dopo l'entrata in vigore della l. 7 agosto 1990 n. 241, il voto numerico costituisce sufficiente motivazione del giudizio relativo alla valutazione della prova scritta
(Cons. St., sez. IV, 17 settembre 2004, n. 6155, FA CDS, 2004, 2534),
che rende superflua ogni ulteriore specificazione
Nei procedimenti valutativi, per i quali la potestà amministrativa tecnico-discrezionale si manifesta nell'espressione di punteggi, non v'è esigenza di motivazione integrativa, in tal caso tale onere è sufficientemente adempiuto con la sola attribuzione del punteggio numerico che è espressione sintetica della valutazione compiuta dalla commissione
(Cons. St., sez. IV, 10 agosto 2004, n. 5513, FA CDS, 2004, 2177).
In questo senso reiteratamente
Nei procedimenti valutativi, per i quali la potestà amministrativa tecnico-discrezionale si manifesta nell'espressione di punteggi, non v'è esigenza di motivazione integrativa, giacché, in tale caso, l'onere di motivazione è sufficientemente adempiuto con la sola attribuzione del punteggio numerico, che è una espressione sintetica, ma eloquente, della valutazione compiuta dalla commissione
(Cons. St., sez. VI, 17 febbraio 2004, n. 659, FA CDS, 2004, 487),
e
Il voto numerico attribuito dalle competenti commissioni alle prove scritte od orali di un concorso pubblico o di un esame di abilitazione (nella specie, esame di abilitazione all'esercizio della professione di avvocato) esprime e sintetizza il giudizio tecnico-discrezionale della Commissione stessa, contenendo in sè la sua stessa motivazione, senza bisogno di ulteriori spiegazioni e chiarimenti
(Cons. St., sez. IV, 17 dicembre 2003, n. 8320, FA CDS, 2003, 3647),
ed anche
Il giudizio espresso con l'attribuzione di un punteggio numerico non necessita, in tema di concorsi pubblici, di altra motivazione, perché l'espressione del voto numerico è la concretizzazione di poteri di discrezionalità tecnica, idonea, in quanto tale, a racchiudere in termini sintetici il giudizio collegiale finale della commissione giudicatrice
(T.A.R. Sardegna, 8 maggio 1997, n. 611, Juris data 2007).
L’orientamento, peraltro, era già stato elaborato anche prima della l. n. 241 del 1990
Non ogni qualvolta la legge prevede che un elaborato scritto di una prova d'esame debba essere giudicato dall'amministrazione con l'attribuzione di un punteggio entro prefissati limiti, minimo e massimo, e sulla base dei c.d. "criteri di massima", l'indicazione numerica nel punteggio stesso esclude la necessità di una motivazione ulteriore, rispetto al voto della commissione di esami
(T.A.R. Lombardia, Milano, 1 aprile 1988, n. 90, FA, 1988, 3713).
La impostazione opposta, invece, ritiene imprescindibile la motivazione analitica in forma discorsiva
La necessità di motivare gli apprezzamenti sulla preparazione culturale o professionale del candidato ad un esame di idoneità o concorso, sia con riferimento alla prova orale che alla prova scritta, deriva, oltre che dall'art. 3, l. 7 agosto 1990 n. 241, dalla natura stessa di tali apprezzamenti quali atti amministrativi qualificati valutazioni
(T.A.R. Lombardia, Brescia, 19 ottobre 1996, n. 990, FI, 1997, III, 54).
Tale modalità sarebbe imposta dalla necessità di rispettare il principio costituzionale che vuole sempre garantita la possibilità di un sindacato sulla ragionevolezza, sulla coerenza e sulla logicità delle stesse valutazioni concorsuali
L'obbligo di far luogo alla motivazione delle valutazioni concorsuali è imposto anche dalla necessità di tener fede al principio costituzionale che vuole sempre garantita la possibilità di un sindacato sulla ragionevolezza, sulla coerenza e sulla logicità delle stesse valutazioni concorsuali: controllo difficile da assicurare in presenza del solo punteggio numerico e in assenza, quindi, di una pur sintetica o implicita esternazione delle ragioni che hanno indotto la Commissione alla formulazione di un giudizio di segno negativo. Il candidato deve dunque essere messo in condizione di conoscere gli errori, le inesattezze o le lacune in cui la commissione ritiene che egli sia incorso, sì da poter valutare la fruibilità di un ricorso giurisdizionale, conferendosi, in un panorama connotato dall'espansione del sindacato diretto del giudice amministrativo sulle valutazioni tecnico-discrezionali, una natura sostanziale all'interesse della parte di conoscere l'erroneità delle valutazioni. Il rispetto dei principi suddetti impone pertanto che al punteggio numerico si accompagnino quanto meno ulteriori elementi (in primo luogo una formulazione dettagliata e puntuale dei criteri di valutazione fissati preliminarmente e/o, ad es. l'apposizione di note a margine dell'elaborato o l'uso di segni grafici) sulla scorta dei quali sia consentito ricostruire ab externo la motivazione del giudizio valutativo
(T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, 31 ottobre 2006, n. 1677, FA TAR, 2006, 10, 3339).
Il candidato, pertanto, dovrebbe sempre dunque essere messo in condizione di conoscere gli errori, le inesattezze o le lacune in cui la commissione ritiene che egli sia incorso, sì da poter valutare la opportunità di un ricorso giurisdizionale, in un contesto connotato dall'espansione del sindacato diretto del giudice amministrativo sulle valutazioni tecnico-discrezionali.
La posizione ermeneutica avrebbe anche il supposto letterale della norma
La formula adoperata dal legislatore della l. fondamentale del procedimento amministrativo del 1990 è poi sufficientemente chiara: «Ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti l'organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei pubblici concorsi ed il personale, deve essere motivato». Per altro verso, la valutazione implica necessariamente l'espressione di un giudizio fondato sull'analisi di «dati fattuali» e di «dati giuridici», sicché, a ben vedere, elaborare un giudizio equivale ex se ad esprimere una motivazione, poiché anche questa consiste nella indicazione dei «presupposti di fatto» e delle «ragioni giuridiche», che determinano una certa decisione dell'amministrazione. Pertanto la motivazione non è altro che la «forma» in cui si deve esprimere il giudizio sull'elaborato di esame propedeutico alla decisione amministrative finali della procedura concorsuale (approvazione della graduatoria).
Ergo, la procedura concorsuale imperniata sulla valutazione di prove di esame implica la formulazione di un giudizio che deve essere motivato, attraverso una metodologia (giudizio sintetico espresso, o apposizione di segni grafici) che deve essere in grado di dare contezza del processo logico-giuridico valutativo che è stato elaborato
(Ieva 2004, 1225).
La tesi è stata sostenuta a gran forza dal T.A.R. meneghino
Il punteggio numerico conseguito da un candidato all'esito di un pubblico concorso costituisce l'esternazione del risultato, e non già la motivazione del giudizio valutativo, e pertanto è insufficiente ad integrare l'obbligo motivazionale
(T.A.R. Lombardia Milano, sez. I, 24 febbraio 2005, n. 446, FA TAR, 2005, 2, 329),
e da altri giudici di primo grado
L'art. 9 comma 3 d.P.R. n. 483 del 1997 - applicabile alla procedura relativa alla copertura di posti di Dirigente Medico -, secondo cui la commissione esaminatrice ha l'obbligo di stabilire "i criteri e le modalità di valutazione, da formalizzare nei relativi verbali, delle prove concorsuali al fine di assegnare i punteggi attribuiti alle singole prove", correlando espressamente l'attribuzione dei punteggi all'applicazione dei criteri previamente predeterminati, sancisce, innanzi tutto, l'obbligo della commissione di predisporre preventivamente tali canoni valutativi; a tale obbligo, poi, consegue la necessità di esternare con motivazione idonea l'"iter" logico-giuridico seguito nell'attribuzione del voto in applicazione specifica di tali parametri la cui preventiva individuazione (rispondente ad evidenti esigenze d'imparzialità e trasparenza), altrimenti, sarebbe totalmente inutile; in quest'ottica appare del tutto insufficiente l'indicazione del solo punteggio numerico il quale è inidoneo ad esplicitare in maniera congrua le ragioni poste a base della decisione e il difetto motivazionale appare vieppiù significativo in assenza di segni apposti sull'elaborato o di ulteriori elementi (brevi note a margine o altro) idonei a consentire all'interessato, dapprima, e al giudice, poi, di valutare la legittimità degli atti impugnati almeno sotto i profili della coerenza, logicità e ragionevolezza
(T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 27 giugno 2005, n. 8731, FA TAR, 2005, 6, 2128),
a parere dei quali sarebbe del tutto insufficiente l'indicazione del solo punteggio numerico il quale è inidoneo ad esplicitare in maniera congrua le ragioni poste a base della decisione, e il difetto motivazionale sarebbe ancor più evidente in assenza di segni apposti sull'elaborato o di ulteriori elementi
Nell'ambito dei concorsi pubblici, qualora si faccia luogo al raffronto tra le posizioni di diversi candidati deve essere assicurata, quanto meno in forma sintetica, l'esternazione delle ragioni sottese alle valutazioni della Commissione, rendendo percepibile l'"iter" logico seguito nell'attribuzione del punteggio quanto meno mediante taluni elementi che concorrano ad integrare e chiarire la valenza del punteggio. Ciò appare consono tanto al principio di trasparenza cui l'intera attività amministrativa deve conformarsi, quanto al disposto dell'art. 3 comma 1 l. n. 241 del 1990. Non rileva in proposito la pretesa natura non provvedimentale dei giudizi valutativi, atteso che i provvedimenti finali dei procedimenti concorsuali sono motivati con il solo richiamo agli atti del procedimento, sicché escludere l'obbligo di motivazione dei giudizi valutativi equivarrebbe ad espungere la motivazione dall'intero ambito di questi procedimenti, in difformità dalla menzione esplicita dei procedimenti concorsuali che il legislatore ha voluto per evitare incertezze applicative ed interpretative. Non è sufficiente un giudizio meramente alfanumerico. Diversamente non si comprenderebbe appieno neanche la portata dell'art. 12 comma 1 d.P.R. 9 maggio 1994 n. 487. L'obbligo ivi disciplinato per il quale la Commissione di esami deve stabilire i criteri di valutazione delle prove concorsuali, autolimitando così il proprio potere di apprezzamento delle prove concorsuali, non avrebbe ragion d'essere se non fosse parimenti e conseguentemente imposto di motivare, sia pure in modo sintetico, circa le modalità di concreta applicazione dei criteri stessi. L'obbligo di motivare le valutazioni concorsuali è imposto altresì dalla necessità di ottemperare al principio costituzionale di garanzia dell'eventuale sindacato circa la ragionevolezza, coerenza e logicità delle valutazioni concorsuali; tale controllo non è facilmente assicurato in presenza del mero punteggio numerico e in assenza, quindi, di una pur sintetica o implicita esternazione delle ragioni che hanno indotto la Commissione alla formulazione di un giudizio di segno negativo
(T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, 11 giugno 2004, n. 475,, Juris data 2007),
che impedirebbero, di fatto, una qualsivoglia effettività alla verifica
La commissione d'esame per il conseguimento del titolo di avvocato è tenuta a rinnovare la valutazione delle prove di quei candidati i cui elaborati scritti rechino unicamente la votazione numerica, senza alcuna - sia pur sintetica - motivazione a corredo del punteggio assegnato
(T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, 16 luglio 2003, n. 1227, FA TAR, 2003, 1865, 2167).
La sconfortante situazione dei concorsi pubblici italiani rende senz’altro preferibile una simile opzione ermeneutica, come si vedrà a breve.
Una impostazione di carattere intermedio ha ammesso la motivazione numerica, condizionandone però la validità alla circostanza che siano stati preventivamente e rigidamente predeterminati i criteri di correzione
La commissione esaminatrice può limitarsi a sintetizzare il proprio giudizio in un voto numerico, senza altra motivazione, soltanto se i criteri di valutazione siano stati preventivamente e rigidamente predeterminati
(Cons. St., sez. VI, 8 maggio 2006, n. 2514, FA CDS, 2006, 5, 1503),
i quali, integrando il giudizio espresso con il numero, offrirebbero una maggiore possibilità di riscontro
Il punteggio attribuito mediante un numero esprime già di per sè una valutazione tecnica della commissione d'esame: un'ulteriore motivazione si tradurrebbe in un'inutile duplicazione, non solo con riferimento alla valutazione degli elaborati costituenti le prove di esame, ma anche in relazione a qualunque procedura comportante l'attribuzione di punteggi ove la valutazione sia preceduta dalla preventiva predisposizione di criteri di massima
(Cons. St., sez. IV, 26 aprile 2002, n. 2226, FA CDS, 2002, 891).
Si tratta, pertanto, di una soluzione mediatrice, in grado di contemperare le opposte esigenze di celerità e trasparenza
La terza via, che potremmo definire come orientamento prammatico, ha optato per una soluzione eclettica da saggiare in concreto essendo prevalente la esigenza di soddisfare l'interesse del candidato al concorso in modo idoneo senza aggravare eccessivamente la procedura concorsuale.
Pertanto, la giurisprudenza, al fine di misurare la proficuità dell'obbligo motivazionale, ha sperimentato la tesi della combinazione modulare tra «predeterminazione dei criteri» e «tecnica di motivazione».
Infatti, se è vero che l'art. 12 (trasparenza amministrativa nei procedimenti concorsuali) del regolamento in materia di svolgimento dei concorsi pubblici, d.P.R. 9 maggio 1994 n. 487, stabilisce che le commissioni esaminatrici, nella prima riunione, determinino: «i criteri e le modalità di valutazione delle prove concorsuali, da formalizzare nei relativi verbali, al fine di assegnare i punteggi attribuiti alle singole prove»; allora, è anche vero che il problema della «sufficienza o meno» del criterio del punteggio numerico a suffragare la legittimità della valutazione della prova d'esame va visto proprio in correlazione a simili auto-limitazioni della potestà decisionale della p.a.
Per meglio dire, la soluzione sta tutta nella capacità della commissione esaminatrice di individuare specifici e chiarissimi parametri valutativi alla cui stregua condurre la valutazione delle prove di esame. Quanto più dettagliati saranno, tanto meno penetrante sarà l'obbligo motivazionale da esigere in concreto
(Ieva 2004, 1225).
Del resto, la posizione ermeneutica si giova anche di un esplicito riferimento normativo
1. Le commissioni esaminatrici, alla prima riunione, stabiliscono i criteri e le modalità di valutazione delle prove concorsuali, da formalizzare nei relativi verbali, al fine di assegnare i punteggi attribuiti alle singole prove. Esse, immediatamente prima dell'inizio di ciascuna prova orale, determinano i quesiti da porre ai singoli candidati per ciascuna delle materie di esame. Tali quesiti sono proposti a ciascun candidato previa estrazione a sorte
(art. 12, DPR 9 maggio 1994, n. 487),
posto a fondamento della tesi
In materia di motivazione dei giudizi inerenti le prove scritte ed orali di un pubblico concorso, tra l'orientamento giurisprudenziale volto a sostenere la necessità di una apposita motivazione per la valutazione delle prove, ritenendo insufficiente il solo voto numerico, e l'altro orientamento proprio del giudice amministrativo di appello, secondo cui l'onere della motivazione è sufficientemente adempiuto con l'attribuzione del solo punteggio numerico, vi è un orientamento intermedio per il quale non è possibile definire in astratto la questione, bensì in concreto avendo riguardo ad una serie di aspetti, tra cui soprattutto la tipologia dei criteri di massima fissati dalla Commissione, risultando sufficiente il punteggio soltanto ove i criteri siano rigidamente predeterminati, e insufficiente nel caso in cui si risolvano in espressioni generiche
(T.A.R. Campania, Salerno, sez. I, 4 novembre 2004, n. 1973, FA TAR, 2004, 3448).
Tale teoria non è l’unica che ha tentato di mediare le due contrastanti opzioni poc’anzi descritte.
Un’altra tesi, sempre di carattere mediano, richiede che la votazione numerica debba essere accompagnata da specifiche note a margine, anche simboliche, ma che siano chiare.
A tal fine reputa valide anche le sottolineature o altri segni grafici non equivoci
Nelle procedure concorsuali o per esami la motivazione del giudizio negativo reso dalla commissione sugli elaborati non necessita di un giudizio scritto ad hoc ma deve considerarsi sufficiente l'apposizione di note a margine, anche simboliche purché chiare, o persino l'uso di sottolineature o altri segni grafici non equivoci
(T.A.R. Sicilia, Catania, sez. I, 6 luglio 1994, n. 1453, inedita),
che, pur in assenza di un’esplicita motivazione in senso analitico, rendano pienamente comprensibile il parametro di riferimento utilizzato dalla commissione ai fini della successiva sintetizzazione numerica del voto.
Altro orientamento, infine, ha richiesto l’integrazione motivatoria solo in casi particolari, in cui, cioè, il giudizio della commissione si discosti dagli ordinari parametri, in quanto determinato dal verificarsi di situazioni del tutto eccezionali
In fase subprocedimentale della valutazione delle prove scritte in sede di esami di abilitazione all'esercizio della professione di procuratore legale, qualora occorra prendere una specifica determinazione in materia di annullamento delle prove perché il lavoro è in tutto o in parte copiato ovvero di esclusione dalle prove durante il loro svolgimento per possesso di scritti, libri e atti vietati o, ancora, qualora sussista notevole divergenza di giudizio tra i componenti della commissione e non si deve procedere solo ad una semplice attribuzione di voto, sussiste sempre l' obbligo di motivazione
(T.A.R. Trentino Alto Adige, Trento, 17 febbraio 1993, n. 45, Juris data 2007).
L’esempio, è ricondotto da questo orientamento alla notevole divergenza di giudizio tra i vari componenti della commissione, all’esclusione per difetto di paternità del lavoro, o per il possesso di appunti o libri vietati.
Stante la persistenza del dibattito, il T.A.R. milanese ha sollevato il problema dinanzi alla Corte Costituzionale, chiamandola a prendere una posizione in merito alla necessità o meno di una motivazione analitica
Non è manifestamente infondata - in riferimento agli art. 3, 24, 97 e 113 cost. - la q.l.c. dell'art. 3 l. 7 agosto 1990 n. 241, nella parte in cui, secondo un costante indirizzo giurisprudenziale del Consiglio di Stato e del Consiglio di giustizia amministrativa della regione Sicilia, esclude l'obbligo di puntuale motivazione per i giudizi espressi in sede di valutazione degli esami di abilitazione professionale di avvocato
(T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, 29 dicembre 1999, n. 110, VN, 2000, 204).
La Consulta, tuttavia, non si è pronunciata, ritenendo il quesito propostole manifestamente inammissibile, in quanto riconducibile ad un tentativo di ottenere l’avallo costituzionale e una determinata posizione ermeneutica in contrasto tra i diversi organi giurisdizionali
che la questione è palesemente inammissibile, perché essa non è in realtà diretta a risolvere un dubbio di legittimità costituzionale, ma si traduce piuttosto in un improprio tentativo di ottenere l'avallo di questa Corte a favore di una determinata interpretazione della norma, attività, questa, rimessa al giudice di merito (v., tra le varie, le ordinanze nn. 70 del 1998 e 436 del 1996), tanto più in presenza di indirizzi giurisprudenziali non stabilizzati, sì che non è congruente il richiamo alla sentenza di questa Corte n. 350 del 1997
(Corte cost., 3 novembre 2000, n. 466, www.cortecostituzionale.it).
Tale argomentazione è stata poi recentemente ripresa dall’altra decisione della Consulta
È manifestamente inammissibile la q.l.c. degli art. 23 comma 5, 24 comma 1 e 17 bis comma 2 r.d. 22 gennaio 1934 n. 37, come novellato dal d.l. 21 maggio 2003 n. 112, conv., con modificazioni, in l. 18 luglio 2003 n. 180, censurati, in riferimento agli art. 3, 24, 97, 98 e 113 cost., in quanto consentirebbero alla commissione per gli esami di abilitazione alla professione forense di attribuire esclusivamente un punteggio numerico per ciascuna prova scritta. Questioni analoghe, anche se relative a norme diverse, sono già state dichiarate manifestamente inammissibili sia perché volte ad ottenere l'avallo della Corte costituzionale a favore di una determinata interpretazione della norma; sia perché il giudice a quo non aveva tratto le conseguenze applicative dell'interpretazione considerata conforme a Costituzione; sia per la insussistenza di un orientamento giurisprudenziale consolidato che escluda l'obbligo di motivazione o che ritenga il punteggio in ogni caso idoneo a sintetizzarla.
(Corte cost., 27 gennaio 2006, n. 28, Gco, 2006, 1).
È da osservare che il riferimento alla insussistenza di un orientamento giurisprudenziale consolidato - così come affermato dalla giurisprudenza costituzionale in entrambe le decisioni per pronunciarsi nel senso delle inammissibilità - palesa un evidente difficoltà ermeneutica che si svolge nel corso (almeno) dei sei anni intercorsi tra l’una all’altra decisione.
È pertanto quanto mai auspicabile un intervento normativo chiarificatore in proposito.
Tuttavia, si vedrà a breve, alcune considerazioni possono essere già dedotte da interventi legislativi settoriali recentemente intervenuti.
In particolare, il legislatore è intervenuto espressamente in materia di indicazione del voto numerico del concorso notarile.
Ha previsto, a fronte della sufficienza di un voto numerico di 35 punti per ciascuna delle prove scritte valutate idonee, la necessità di un’esplicita motivazione del giudizio di inidoneità
1. La sottocommissione di cui all'articolo 10 procede, collegialmente e nella medesima seduta, alla lettura dei temi di ciascun candidato, al fine di esprimere un giudizio complessivo di idoneità per l'ammissione alla prova orale.
2. Salvo il caso di cui al comma 7, ultimata la lettura dei tre elaborati, la sottocommissione delibera a maggioranza se il candidato merita l'idoneità.
3. Il giudizio di idoneità comporta l'attribuzione del voto minimo di trentacinque punti a ciascuna delle tre prove scritte.
4. In caso di idoneità, la sottocommissione assegna, in base ai voti di ciascun commissario, il punteggio complessivo da attribuire a ciascuna prova scritta fino ad un massimo di punti cinquanta. A tale fine, ciascun commissario dispone di un voto da zero a tre punti.
5. Il giudizio di non idoneità è motivato. Nel giudizio di idoneità il punteggio vale motivazione
(art. 11, L. 24 aprile 2006 n. 166).
Evidentemente, anche in ragione delle polemiche che si sono più volte prospettate all’opinione pubblica con riferimento al concorso notarile, in particolare alla precedente assoluta discrezionalità attribuita ai singoli commissari nell’integrare il punteggio numerico con ulteriori punti facoltativi, in grado di determinare l’idoneità o la non idoneità del candidato, lo stesso legislatore ha ritenuto di intervenire per assicurare una maggiore trasparenza.
Il problema, del resto, è stato colto anche dal T.A.R. Lazio, che ha sollevato questione di legittimità costituzionale
2. Il Collegio ritiene che la questione di legittimità costituzionale dell’art. 16, co. 2, D.Lgs. 166/2006 sia rilevante e non manifestamente infondata.
Il Collegio rileva che il principio d’uguaglianza di cui all’art. 3 Cost. non vieta in assoluto discipline differenziate, ma solo discriminazioni irragionevoli, con una presunzione di irrazionalità per le discriminazioni fondate su una delle categorie indicate nello stesso art. 3, per cui il principio di uguaglianza viene ad evolversi in principio di ragionevolezza delle leggi.
Il principio di ragionevolezza esige che le disposizioni normative contenute in atti aventi valore di legge siano adeguate e coerenti rispetto al fine di pubblico interesse perseguito dal legislatore ed in tal modo costituisce un limite al potere discrezionale del legislatore impedendone un esercizio arbitrario.
La verifica di ragionevolezza di una legge comporta l’indagine sui suoi presupposti di fatto, la valutazione della congruenza tra mezzi e fini e l’accertamento degli stessi fini ed il giudizio di costituzionalità si compie mediante comparazione tra norma costituzionale, norma della cui costituzionalità si dubita e terza norma ordinaria che funge da parametro di riferimento, nel senso che se la norma impugnata prevede una disciplina discriminatoria rispetto a quella contenuta nella norma di riferimento e non giustificata alla stregua del principio di ragionevolezza, tale norma è incostituzionale.
In altri termini, l’organo legislativo, al quale spetta di compiere le scelte relative alla individuazione dei fini di utilità generale che con la legge si intendono perseguire, deve compiere un apprezzamento dei mezzi necessari per raggiungere i fini individuati che non sia inficiato da criteri illogici, arbitrari o contraddittori, altrimenti la norma è viziata da irragionevolezza ed è lesiva del principio di cui all’art. 3 Cost. nonché, quando incide sull’azione amministrativa, del canone di buon andamento di cui all’art. 97 Cost.
Nel caso di specie, l’art. 11 D.Lgs. 166/2006 ha equiparato il giudizio di sufficienza a quello di idoneità, stabilendo che il giudizio di idoneità comporta l’attribuzione del voto di minimo di trentacinque punti a ciascuna delle tre prove scritte, ed ha imposto l’obbligo di motivazione per tutti i giudizi di non idoneità.
La scelta del legislatore, quindi, è stata quella di rendere percepibile attraverso una specifica motivazione le ragioni della valutazione che, non attribuendo al candidato la votazione minima di trentacinque in ciascuna prova scritta, determina la non ammissione dello stesso alle prove orali.
Il fine di utilità generale, che emerge chiaramente dalla norma, appare però perseguito, per quanto riguarda la fase transitoria, con mezzi illogici e contraddittori.
L’art. 16, co. 2, D.Lgs. 116/2006 prevede che le disposizioni de quibus si applicano con decorrenza dalla data di emanazione del prossimo bando di concorso per la nomina a notaio, vale a dire dal primo concorso bandito successivamente alla data di entrata in vigore del decreto legislativo.
Ne consegue, come in precedenza evidenziato, che un obbligo di motivazione non può ritenersi esistente nelle ipotesi, quale quella oggetto del presente giudizio, in cui il candidato ha ricevuto una valutazione superiore a trenta per ciascuna delle tre prove scritte ma non tale da raggiungere il punteggio complessivo minimo di centocinque in un concorso bandito prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 166/2006, sebbene le prove siano state valutate dopo tale data.
Di qui, la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 16, co. 2, per violazione degli art. 3 e 97 Cost. in quanto, una volta individuato quale fine di utilità generale un obbligo di motivazione per tutti i giudizi inferiori a trentacinque per singola prova, appare illogico e contraddittorio non prevedere la sua immediata applicazione, vale a dire la sua applicazione anche al concorso in itinere, ma differire nel tempo ad un concorso successivo l’entrata in vigore delle relative disposizioni.
In altre parole, il Collegio rileva che imporre o meno un obbligo di motivazione alla valutazione di non idoneità alle prove scritte del concorso per notaio rientra in una sfera insindacabile di discrezionalità legislativa; purtuttavia, se il legislatore ha ritenuto di imporre l’obbligo di motivazione, non vi è alcuna ragione e, anzi, si presenta illogico e contraddittorio che tale prescrizione, volta al perseguimento di un fine di utilità generale, non trovi applicazione immediata ma, arbitrariamente, soltanto dal successivo concorso.
La questione è rilevante ai fini del presente giudizio in quanto l’eventuale annullamento della norma in sede di giudizio di legittimità costituzionale determinerebbe l’immediata applicabilità delle disposizioni di cui all’art. 11 D.Lgs. 166/2006, introduttive dell’obbligo di motivazione per tutti i giudizi di non idoneità, per cui sarebbe fondata la censura di difetto di motivazione dedotta dal ricorrente.
In ragione di quanto sopra esposto, si presenta rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in relazione agli artt. 3 e 97 Cost., dell’art. 16, co. 2, D.Lgs. 116/2006, nella parte in cui prevede che le disposizioni di cui all’art. 11 D.Lgs. 116/2006 si applicano con decorrenza dalla data di emanazione del prossimo bando di concorso per la nomina a notaio.
Di conseguenza, occorre sospendere il giudizio e rimettere gli atti alla Corte Costituzionale affinché si pronunci sulla questione
(T.A.R. Lazio, sez. I, 6 febbraio 2008).
Talune pronunce giurisprudenziali hanno ritenuto, pertanto, applicabile in via analogica la disposizione anche ad altre procedure concorsuali
In una procedura di esame per l'iscrizione all'Ordine degli avvocati trova applicazione in via analogica la disciplina della procedura di valutazione del concorso notarile per il quale l'art. 11 comma 5 d.lg. 24 aprile 2006 n. 166 dispone che il giudizio di non idoneità è motivato e nel giudizio di idoneità il punteggio vale motivazione e il successivo art. 12 comma 5, nel disciplinare le modalità di svolgimento delle prove orali dispone che la mancata approvazione è motivata, mentre nel caso di valutazione positiva il punteggio vale motivazione; conseguentemente la valutazione di una prova ha natura composita, in quanto essa costituisce l'espressione di un giudizio tecnico-discrezionale, che si esaurisce nell'ambito del procedimento concorsuale, e allorché tale giudizio è positivo, essa può essere resa con un semplice voto numerico; mentre rappresenta al tempo stesso, oltre che un giudizio, un provvedimento amministrativo che conclude il procedimento concorsuale, tutte le volte in cui alle prove di un candidato venga attribuito un punteggio insufficiente, donde la necessità, in tale ipotesi, che all'assegnazione del voto faccia seguito l'espressione di un giudizio di non idoneità, con il quale vengano esplicitate le ragioni della valutazione negativa, conformemente al disposto di cui all'art. 3 l. n. 241 del 1990, ove questo venga interpretato nel senso che la motivazione è necessaria solo per gli atti aventi contenuto provvedimentale
(T.A.R. Sicilia, Catania, sez. IV, 14 settembre 2006, n. 1446, FA TAR, 2006, 9, 3079),
essendo le ragioni di trasparenza un’esigenza sottostante a tutte le ipotesi di valutazione tecnico discrezionale degli elaborati.
Anche la legge sull’ordinamento giudiziario ha previsto espressamente la disciplina relativa alla motivazione circa la valutazione delle prove.
È infatti specificato che l’esito delle prove scritte è motivato con l’indicazione del solo punteggio numerico, mentre la insufficienza è motivata con una semplice formula di non idoneità
5. Sono ammessi alla prova orale i candidati che ottengono non meno di dodici ventesimi di punti in ciascuna delle materie della prova scritta. Conseguono l’idoneita` i candidati che ottengono non meno di sei decimi in ciascuna delle materie della prova orale di cui al comma 4, lettere da a) a l), e un giudizio di sufficienza nel colloquio sulla lingua straniera prescelta, e comunque una votazione complessiva nelle due prove non inferiore a centootto punti. Non sono ammesse frazioni di punto. Agli effetti di cui all’articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, il giudizio in ciascuna delle prove scritte e orali e` motivato con l’indicazione del solo punteggio numerico, mentre l’insufficienza e` motivata con la sola formula "non idoneo"
(art. 1 co. 5 dlgs. 5 aprile 2006 n. 160).
Ragionando a contrario, si deve dedurre che laddove il legislatore non ha previsto una simile possibilità, la quale, evidentemente, richiede un’affermazione legislativa esplicita, le commissioni sarebbero gravate, ai sensi delle generali disposizioni sull’obbligo della motivazione anche nelle procedure concorsuali, da un obbligo di motivazione analitica.
La motivazione, dunque, in mancanza di una previsione esplicita in senso restrittivo, dovrebbe essere indicata per esteso.
È perciò indubbio che, allo stato, esiste un doppio binario di valutazione delle prove concorsuali.
Ci sono, da un lato, quelle soggette alla disciplina normativa generale e, dall’altro, quelle soggette a discipline specifiche
Diverso è il caso della motivazione dei voti negativi sulle prove d’esame, in procedimenti di abilitazione all’esercizio professionale o in pubblici concorsi.
Che dire dell’approccio al problema del legislatore negli ultimi anni? “E qual è quei che disvuol ciò che volle / e per novi pensier cangia proposta”: l’immagine dantesca calza a pennello.
Nel ’94 in sede di regolamento generale dei concorsi pubblici (dpr 9 maggio 1994 n. 487, art. 12) il mitico personaggio ha posto alle commissioni giudicatrici l’obbligo di adottare in via preliminare criteri e modalità di valutazione delle prove al fine di motivare i punteggi attribuiti.
Nel ’96 è tornato sui suoi passi per sostituire, per quanto ciò valga, alla parola: motivare la parola: assegnare.
Nel 2001 in sede di regolamento dei concorsi del personale non dirigenziale del Sistema sanitario nazionale (dpr 27 marzo 2001 n. 220, art. 9) il fine è tornato ad essere quello della motivazione dei punteggi.
Nel 2006 in sede di regolamentazione del concorso notarile (d. lgs. 24 aprile 2006, n. 166) è stato chiarito che il giudizio di non idoneità deve essere motivato, mentre nel giudizio di idoneità il punteggio vale motivazione.
Nel 2007 in sede di novellazione al concorso per uditore giudiziario (legge 30 luglio 2007, n. 111, art. 1) è stato detto che l’insufficienza è motivata con la sola formula "non idoneo"
(Baccarini 2008).
Pertanto
Il quadro normativo che ne risulta è singolare.
La legge sul procedimento amministrativo riferisce espressamente l’obbligo di motivazione ai concorsi pubblici.
La legge generale viene derogata, esplicitamente o implicitamente, per determinati procedimenti.
In alcuni il voto negativo sulle prove d’esame va motivato, in altri no: esistono quindi concorsi a statuto speciale.
Altrimenti detto, vi sono candidati garantiti e candidati non garantiti, a seconda che si applichi la regola generale ovvero che il legislatore abbia preferito allontanare l’amaro calice del controllo del giudice amministrativo disponendo in deroga.
È vero che i concorsi pubblici vanno espletati e se possibile alla svelta
(Baccarini 2008).
Deve quindi concludersi sollecitando una interpretazione della questione che tenga conto del significato e del valore, nonché della necessità sentita dal legislatore, di prevedere specifiche regole derogatorie.
Un approfondimento particolare meritano i concorsi universitari.
Come hanno dimostrato recenti casi di cronaca, la carriera universitaria, per il suo prestigio e per le ulteriori possibilità di crescita professionale, risulta estremamente appetibile.
Ciò ha dato luogo, talvolta, ad un sistema illegittimo di nomina dei docenti, attraverso procedure adottate in violazione di leggi o di regolamenti
Cos’è la prepotenza? Una forma di violenza arbitraria, in contrasto con la legge e le norme della morale e del costume (…).
Poi c’è sul lavoro dove ormai è stato codificato con il nome di mobbing, c’è nei concorsi universitari, dove il barone che controlla la commissione può bocciare o promuovere chi gli pare indipendentemente dal merito
(Francesco Alberoni, Corriere delle Sera, 26.7.2004)
Senza calarsi oltre nella fattispecie posta all'attenzione dei giudici, anche in sede penale, ciò che preme segnalare è la conseguenza di natura esistenziale che deriva agli altri candidati dal non poter sostenere regolarmente l'esame, con conseguente frustrazione delle aspettative di carriera.
Il lavoro universitario, per la sua peculiarità, si presta più di ogni altro impiego di natura pubblicistica ad un riconoscimento esteriore, rappresentato dalla tanto agognata cattedra, che, però, talvolta è sembrato ingiusto non attribuire all’uno piuttosto che all'altro candidato.
In proposito, si presenta di particolare interesse una datata giurisprudenza di merito:
A ben vedere la lesione della reputazione dell’attore assume rilievo secondo due distinti profili: per un verso risulta lesa la reputazione dell’attore in quanto uomo, configurandosi l’età non già alla stregua di misuratore della maturità e dell’esperienza, bensì alla stregua di indici di progressiva incapacità a maturare riconoscimenti professionali (la lesione riguarda qui direttamente la dignità della persona nonché quell’insopprimibile esigenza di sviluppo della persona umana, che non deve affatto considerazioni esaurita con il passare degli anni); per altro verso, la reputazione dell’attore potrebbe subire ulteriore pregiudizio, dal giudizio di inadeguatezza riguardante la produzione scientifica, giudizio espresso nel quadro di una procedura concorsuale caratterizzata perlomeno da superficialità negligenza da parte dei componenti la commissione (….)
Tale oscuro comportamento comporta, oltretutto, nel caso di specie, un’umiliazione ulteriore del lavoro oscuro solitario fatto di studi decennali condotti anche in prospettiva di una valorizzazione e di un apprezzamento ufficiale dei medesimi, umiliazione che contrasta con l’esigenza di pieno sviluppo della persona umana così solennemente affermata tra i principi fondamentali del nostro ordinamento e così assolutamente non limitata e non limitabile in funzione dell’età
(Trib. Roma 20.3.1987, FI, 1987, I, 2855).
Commentando tale decisione, la dottrina ha evidenziato che
Alla fine, attraverso le categorie del danno all’immagine e del danno la vita di relazione (per lo stretto rapporto esistente tra modelli giurisprudenziali in materia di danno alla vita di relazione e danno esistenziale) il tribunale di Roma introduce dall’ordinamento la risarcibilità di una lesione che oggi, a distanza di tredici anni dal precedente giurisprudenziale, è possibile definire in termini di danno esistenziale del partecipante ai concorsi pubblici.
Del resto, la vera natura degli interessi in gioco è percepita dallo stesso tribunale di Roma quando individua il vero oggetto dell’azione risarcitoria, nella ricostruzione in termini di danno alla vita di relazione di false light in pubblic eye nell’umiliazione di un percorso esistenziale orientato verso l’insegnamento universitario
(Viola 2000, 2516).
Tali considerazioni, sostanzialmente condivisibili, consentono di comprendere quanto la giurisprudenza, in realtà, avvertisse sin da tempo l'esigenza di offrire un ristoro di carattere non patrimoniale a coloro che vedevano frustrate, nell'ambito del pubblico impiego, le proprie legittime aspettative di carriera.
Del resto, la casistica tratta dalla cronaca più recente è decisamente significativa:
Lo scandalo era scoppiato un mese fa: concorso bloccato a Firenze, famosi cardiologi indagati. All’alba di ieri mattina, il presunto “clan dei baroni” è stato sciolto dalla Guardia di Finanza di Bari. Cinque noti personaggi del mondo universitario sono agli arresti domiciliari con l’accusa d’associazione delinquere, falso e corruzione (…).
L’inchiesta è nata dal racconto di un ricercatore escluso dal concorso e minacciato di ritorsioni fisiche se non avesse ritirato il ricorso presentato al Tar (…) mentre l’uomo veniva protetto, le microspie dei finanzieri registravano i frutti di un accordo, stipulato fra i cinque (…)
Il diktat del gruppo è assoluto: le regole vanno seguite, altrimenti ci sono punizioni per tutti. Per i boicottati al concorso che non mandano giù il boccone, per coloro che, pur consigliati, non ritirano la propria candidatura, persino per quei professori che rappresenta i candidati ribelli. È così che secondo gli inquirenti agivano gli arrestati, utilizzando il potere derivante dalle cariche rivestite all’interno dell’associazione di categoria. La (…), in particolare, sarebbe stato strumento per condizionare i comportamenti nell’intero mondo accademico italiano
(Chiarelli 2004, 22).
L’avvilente livello di corruzione raggiunto nelle prove concorsuali per l’accesso al pubblico impiego ha portato, recentemente, anche all’emersione di gravissimi fatti avvenuti durante i concorsi per l’accesso alla magistratura ordinaria, che non sembra affatto indenne dal fenomeno:
il record dell’area coperta dalla corte d’appello che ha prodotto un terzo degli aspiranti magistrati ammessi agli orali. Viene da lì anche un terzo degli esaminatori del concorsi per giudici. Napoli capitale dei promossi ondata di ricorsi dopo il trionfo della sede campana. Un giudice ha chiesto di annullare tutto, percentuali sospette. O la statistica è birichina assai o c’è qualcosa che non quadra nell’attuale concorso di accesso alla magistratura. Quasi un terzo degli aspiranti giudici ammessi agli orali, che cominceranno tra un mese, vengono infatti dall’area della corte d’appello di Napoli, che rappresenta solo un 35° del territorio ed un dodicesimo della popolazione italiana. Un trionfo. Accompagnato però da una curiosa coincidenza: erano della stessa area, più Salerno, 7 su 24 di membri togati della commissione e 5 su otto dei docenti universitari. Ciò cioè un terzo degli esaminatori
(Orlando 2004, 1).
Il dato, che lascia riflettere ma non dimostra nulla, è però accompagnato da altro, documentato, fatto, sul quale non occorre alcuna sorta di commento:
Una delle toghe della commissione (…), chiese ai colleghi come fosse andata una sua protetta. Ricostruzione del giornale on-line diritto giustizia edito da giuffrè: i colleghi mostrano il risultato: respinta. C’erano alcune lacune non consentivano un giudizio favorevole
(Orlando 2004, 1).
Rammentando come le prove di esame siano segrete (e la commissione, invece, a quanto pare, conosceva il nome della candidata il cui elaborato era stato corretto), è doveroso citare anche il resto della vicenda:
A quel punto la donna, decisa comunque ad averla vinta vi, s’introdusse di notte nella sala dove erano custoditi i compiti, aprì la busta con l’esercizio della raccomandata, ed infilò un nuovo foglio con alcune correzioni che avrebbero permesso alla sua coccola di fare ricorso al Tar contro la bocciatura. Non contenta, per dimostrare quanto aveva fatto a chi aveva chiesto un occhio di riguardo per la pulzella, tentò di fare una copia del falso. Al che la fotocopiatrice si ribellò e, grazie all’errore d’impostazione della programmazione delle copie, cominciò a sfornarne per ore e ore, a centinaia centinaia. Con il risultato di smascherare l’imbroglio e di far scattare la denuncia
(Orlando 2004, 1).
Ancora, con riferimento ad altro concorso per l’accesso in magistratura, si legge:
il legale, un penalista, se ne occupa per una ragione strettamente personale. È infatti uno dei candidati dichiarati inidonei. Siccome ritiene di avere fatto dei buoni scritti, decide di vederci chiaro. Ai sensi della legge 241 del 1990 ha chiesto copia degli elaborati dei verbali. Ne viene fuori un quadro sconcertante su tempi e modi del concorso (…) un semplice calcolo consente di accertare che gli esaminatori dedicano solo tre minuti per valutare ogni poderoso elaborato. (…) Nel 1997, dopo una serie di ricorsi al Tar e un’interminabile querelle con il Ministero di Grazia e Giustizia, l’avvocato riesce ad ottenere copie dei temi dei promossi, nel frattempo al lavoro nelle varie circoscrizioni giudiziarie italiane.
Errori ed orrori. C’era il candidato che non fa null’altro che copiare “numerosi estratti di una decina di autori citando lunghi passi virgolettati, ricordando persino i segni di interpunzione, il capoverso, la pagina, l’editore e l’anno di pubblicazione” (…)
Un secondo furbo, per farsi riconoscere con sicurezza come uno dei raccomandati, scrive sui temi con una calligrafia doppia, un un po’ in un modo un po’ in un altro, con un effetto bizzarro e schizofrenico; il terzo scrive su una sola facciata del protocollo e l’altra resta bianca.
(…) un candidato fa di più. Avrebbe dovuto sviluppare un tema ma lui ne fa tranquillamente un altro. Al liceo, il voto sarebbe stato il più classico dei due. Invece ecco spuntare un 12. Ovviamente idoneo.
Sarebbe impietoso, oggi, individuare i nomi dei magistrati in base ai numeri di quei lontani elaborati del 1992, ma quello di F. Filocamo, uno dei vincitori del concorso, merita una citazione precisa, dato che i suoi tre temi, custoditi in teoria all’interno del ministero, sono spariti nel nulla. Proprio nei prossimi giorni, a Perugina (competente per i magistrati romani) dovrebbe concludersi il processo; ci sarò un confronto in camera di consiglio tra l’avvocato Berardi, in qualità di persona offesa, e due magistrati segretari, accusati della scomparsa del fascicolo Filocamo e pure di aver apposto alcune firme singolari comparse in calce verbale del concorso. Singolari perché appartengono a persone non presenti nelle varie sedute della commissione. Ha proposito dei verbali. I quattro complessivi delle prove scritte, più importanti, sono tutti firmati da segretari non pervenuti. In un caso, anche un altro misterioso signore che addirittura era già stato sostituito. Insomma, un verbale fantasma
(Numa 2004, 12).
Significativo è anche il verbale che si riporta (seduta del C.S.M.), che genera considerazioni preoccupanti in merito all’affidamento di incarichi all’interno della Magistratura Ordinaria, nel corso della carriera dei singoli magistrati:
Si era riusciti a tenere indenne la nona commissione dalle logiche spartitorie e rivalistiche che in tante occasioni hanno costituito la faccia avvilente delle correnti [dell’associazione nazionale magistrati N.d.A.]. Sembrava naturale che a componente del Comitato Scientifico dovesse essere nominato il candidato che valeva di più. Forse è stato il clima indotto dalle prossime elezioni, ma ora si corre il rischio di non nominare chi lo merita a causa della sua appartenenza ad una piuttosto che ad un’altra corrente
(Verbale della seduta antimeridiana del 20.5.1998 del Consiglio Superiore della Magistratura).
La preoccupante situazione che emerge dai documenti appena citati dovrebbe forse indurre ad un ripensamento, in termini di maggiore trasparenza, degli orientamenti in materia di motivazione degli elaborati concorsuali.
Non meno preoccupante è il concorso notarile
Candidati ammessi agli orali nonostante errori da somari, atti nulli che vengono premiati con buoni voti, mancata verbalizzazione delle domande, elaborati di figli di professionisti ed europarlamentari prima considerati “non idonei” e poi promossi agli orali
(Fittipaldi 2008, 82).
Recenti scandali di cronaca hanno messo in evidenza l’assoluta incomprensibilità del giudizio discrezionale espresso dalla commissione
Le prove incriminate riguardano il concorso indetto nel 2004 (…) tra qualche giorno i 187 vincitori verranno incoronati con la pubblicazione della graduatoria finale, ma nel frattempo i compiti sospetti sono finiti in un fascicolo della procura di Roma, che ha aperto un procedimento penale per abuso di ufficio
(Fittipaldi 2008, 82),
sviste ed errori tali da indurre lo stesso Consiglio nazionale notarile a trasmettere gli atti alla Procura dell Repubblica
Circola nel mondo notarile, poi finisce sulla scrivania di un professionista affermato ce, incredulo, denuncia tutto al Consiglio nazionale notarile, l’organo supremo della categoria (…) Il presidente è costretto ad avvertire il ministero ed i pm
(Fittipaldi 2008, 82).
Infatti, dall’accesso ai compiti è risultato che
Altri aspiranti sbagliano a insrire postille, altri dimenticano di far siglare le parti, un concorrente stipula un documento senza mettere la firma del notaio in calce: tutti propossi,nonostante aberrazioni formali che potrebbero portarli, nella real life, a sanzioni pesantissime
(Fittipaldi 2008, 82),
il tutto con assegnazione – addirittura (secondo la normativa allora vigente) – dei punti discrezionali ulteriori, totalmente privi di motivazione
Un candidato in un unico scritto ha scordato un documento fondamentale, non ha letto l’atto e ha fatto firmare in ordine sparso i testimoni.
Altri concorrenti, per molto merno sono stati bocciati, questo chissà perché è stato addirittura premiato con cinque punti aggiuntivi
(Fittipaldi 2008, 82).
Sul punto, si è detto, l’orientamento del Consiglio di Stato è granitico, e non richiede addirittura motivazione
In tale ambito di riferimento normativo, la questione qui controversa riguarda i candidati novantisti che hanno conseguito la sufficienza minima (30 punti ) in ciascuna delle tre prove ma non hanno avuto i 15 punti aggiuntivi che necessitano per l'ammissione agli orali.
In un contesto fattuale in cui la Commissione stabilisca di motivare - sia pur succintamente - i giudizi di "totale" insufficienza, si tratta dunque di stabilire se il candidato novantista abbia anch'egli diritto ad una motivazione che chiarisca in concreto la ragione della mancata attribuzione del punteggio aggiuntivo necessario per l'ammissione agli orali.
(…)
Tanto chiarito, occorre allora verificare se nel concorso notarile un tale ulteriore obbligo nei confronti dei candidati sufficienti ma non idonei possa farsi discendere dalla particolare sequenza procedimentale attraverso la quale legalmente si forma il giudizio finale sulle prove o - come ritenuto dal Tribunale - dalla scelta discrezionale della Commissione di motivare per esteso i giudizi di insufficienza.
In tal senso è innanzi tutto da rilevare che nel concorso notarile, in base alla disciplina positiva sopra trascritta , il conseguimento dei 15 punti ulteriori dipende da dichiarazioni dei singoli commissari ai quali - una volta formulato dalla Commissione il giudizio di sufficienza - è uti singuli riconosciuta la facoltà di attribuire o meno punti aggiuntivi rispetto al minimo.
Ne segue che nel caso dei novantisti non c'è un giudizio collettivo che possa essere argomentatamente motivato dalla Commissione, laddove nel caso dell'insufficienza (che viene infatti significativamente deliberata a maggioranza) il giudizio negativo è riferibile all'Organo in modo unitario.
Le modalità di formazione del giudizio finale sono dunque nei due casi ben differenziate, il che dunque da un lato giustifica differenti modalità di esternazione dei giudizi stessi e dall'altro rende di per sé non configurabile il vizio di disparità di trattamento, il quale ovviamente postula l'identità (o quanto meno la totale assimilabilità) delle situazioni di base poste a raffronto.
In aggiunta a tali rilievi testuali, è poi da osservare sul piano sistematico e funzionale che l'organismo investito del potere di effettuare valutazioni (come sono certamente quelle che nella specie vengono in rilievo) consuma di norma il suo potere quando al termine di uno specifico procedimento emette le stesse.
Deve, quindi, ritenersi naturalmente esclusa qualsiasi forma di retrattabilità delle valutazioni ad opera ed iniziativa dell'organo che le ha effettuate.
Se questo è vero, ne consegue che con "l'approvazione", e cioè con l'attribuzione del punteggio di 90, si chiude nel caso dei novantisti la fase obbligatoria (potere-dovere) del procedimento preordinato alla valutazione del candidato.
Chiusa questa fase, è prevista la possibilità dell'apertura di una seconda fase rimessa al potere discrezionale della Commissione, il quale assumerà rilievo costitutivo solo se l'entità del punteggio aggiuntivo conferito in seconda battuta è pari almeno al minimo richiesto dalla legge.
Ma, secondo consolidati principi, il mancato esercizio di siffatto potere discrezionale - anche perché non destinato a formalizzarsi in alcun atto imputabile all'Organo, giusta la previsione di legge - non necessita di una specifica motivazione.
(Cons. St., sez. IV, 6.6.2006, n. 4687, www.giustizia-amministrativa.it).
Tuttavia, si visto, è stata sollevata questione di legittimità costituzionale sulla questio.
Ma ciò che più preoccupa è che ci sarebbero gravi discrasie tra il giudizio scritto sul compito e quello riportato sul verbale
In qualche caso, infine, ci sarebbero gravi discrasie tra il giudizio scritto sul compito e quello riportato sul verbale. Il figlio di un eurodeputato dell’Udc, ad esempio, su un elaborato viene inizialmente bocciato, ma il giudizio negativo viene interlineato a penna e sostituito da un punteggio sufficiente a superare la prova. Nonostante ci fosse, secondo il dossier, un grave errore per giudicare il compito non idoneo
(Fittipaldi 2008, 83),
e doppie correzioni (contenenti voti totalmente opposti) prive di qualsivoglia giustificazione
Stesso trattamento per la figlia di un notaio (…): prima bocciata, poi cambio repentino di valutazione e promozione. Se non ci fosse dolo intenzionale, come nessuno può al momento dimostrare, e i commissari si fossero semplicemente ingannati, sarebbe stato logico almeno trovare traccia dell’equivoco sul verbale. Dove, invece, non c’è alcun riferimento alla doppia votazione
(Fittipaldi 2008, 83).
Per completezza è bene anche verificare il comportamento del supremo consesso amministrazione nella sua attività di amministrazione, cioè con riferimento al concorso pubblico per la nomina a Consigliere di Stato.
Come noto, difatti, l’accesso al Consiglio di Stato è disciplinato da un triplice binario: da un lato le nomine governative, dall’altro le nomine (per anzianità) dei magistrati appartenenti ai ruoli dei tribunali amministrativi, e, in terzo luogo, l’accesso per concorso.
Orbene, limitandosi agli ultimi due concorsi per l’accesso al ruolo di Consigliere di Stato espletati è dato rinvenire una prassi assolutamente diversificata.
Ci si riferirà solo ai compiti dei vincitori, per brevità, e si citeranno solo alcune delle (numerose, almeno ad avviso di chi scrive), inconguenze.
Con riferimento al concorso bandito con decreto P.C.S. del 28.3.2007, infatti, si ha una elaborazione dei criteri, seppur assolutamente generica
Aperta la seduta della commissione, ritenuto di dover determinare fin d’ora i criteri per la valutazione concorsuale, dopo ampia discussione, delibera di attenersi ai seguenti criteri, globalmente considerati, ai fini della attribuzione del punteggio a disposizione di ciascun componente:
proprietà del linguaggio e stile dell’esposizione;
conoscenza dell’argomento e completezza della trattazione;
capacità argomentativa, critica e sistematica;
capacità di sintesi con particolare riferimento alla prova pratica
(verbale n. 4 della commissione d’esame a 2 posti di Consigliere di Stato, bandito con decreto P.C.S. del 28.3.2007),
ma che non trova poi corrispondenza con i giudizi formulati in sede di correzione.
Ad esempio, con riferimento alla busta n. 16a, si legge:
la trattazione denota una buona informazione, senza peraltro rilievi significativi: 37
(scheda di valutazione relativa alla busta n. 16, allegata ai verbali della commissione d’esame a 2 posti di Consigliere di Stato, bandito con D.P.C.S. del 28.3.2007).
Da un simile giudizio, però, almeno ad avviso di chi scrive, non è dato comprendere appieno perché vi sia stata attribuzione in concreto di quel voto, anche in considerazione del fatto che l’elaborato (avente ad oggetto “la responsabilità civile delle persone giuridiche”), tratta (e per circa metà delle pagine scritte) della disciplina del diritto romano, del codice napoleonico e del diritto tedesco. Perché 37 e non 34, che avrebbe precluso l’ammissione agli orali?
Quanto alla prova pratica (sentenza di appello), il compito n. 23d, ritiene che alla fattispecie, si debba applicare l’art. 23 bis l. 1034/1971, ma che la dimidiazione del termine non valga né per la notifica né per il deposito (in contrasto con le decisioni prevalenti del Consiglio di Stato).
Invece il compito 16d ha affermato che risulta con evidenza come non sussista alcun motivo per sussumere vicende quale quella in esame nell’ambito di applicabilità di cui all’art. 23 bis, escludendo cioè la stessa applicazione della norma.
Non si comprende a questo punto perché la commissione abbia valutato entrambi gli elaborati positivamente, e, soprattutto, quale fosse la soluzione da adottare (sempre secondo la commissione).
Si legge infatti, con riferimento al compito 16d
Ottimo elaborato per l’approfondimento delle questioni: 42.
(scheda di valutazione relativa alla busta n. 16, allegata ai verbali della commissione d’esame a 2 posti di Consigliere di Stato, bandito con D.P.C.S. del 28.3.2007).
e, con riferimento al compito 23d,
Prova decisamente buona svolta in maniera completa ed articolata: 40.
(scheda di valutazione relativa alla busta n. 23, allegata ai verbali della commissione d’esame a 2 posti di Consigliere di Stato, bandito con D.P.C.S. del 28.3.2007).
Da ciò si deve dedurre che la motivazione analitica deve essere necessariamente anche idonea a far comprendere l’iter logico di valutazione, privando altrimenti gli interessati degli elementi necessari alla comprensione dei giudizi.
Ancor meno chiaro è il giudizio formulato riguardo ai compiti per il concorso per l’accesso al ruolo di Consigliere di Stato bandito con decreto P.C.S. del 2006, in cui non sono stati nemmeno elaborati dalla commissione criteri di valutazione o giudizi analitici, ma è stato espresso solo un voto numerico.
La dottrina in proposito (in termini più generali) ha avvertito che
Escludere anche questi atti dall’obbligo della motivazione equivale, né più né meno, a creare una zona franca.
La seconda ragione è che il punteggio numerico costituirebbe di per sé motivazione sufficiente del giudizio.
Ma in un giudizio valutativo il punteggio numerico indica il risultato della valutazione, non le ragioni in base alle quali una prova è stata ritenuta insufficiente.
Anche in presenza di criteri predeterminati, il punteggio numerico non può costituire motivazione se non si evidenzia che i criteri sono stati correttamente applicati nella situazione di fatto.
Si rischia altrimenti di legittimare una valutazione apodittica, una sorta di possideo quia possideo.
È difficile rendere convinto un candidato giudicato inidoneo dicendogli: “Hai preso cinque perché hai meritato cinque”.
Ha scritto Borges, nella sua bella immagine della biblioteca come metafora dell’universo e della storia: “Parlare è incorrere in tautologie”.
Se questo è vero, cerchiamo almeno di non incorrere nelle tautologie evitabili
(Baccarini 2008).
Incomprensibile, ad esempio, appare anche l’esempio che segue.
La commissione ha attribuito il voto di 42 attribuito alla sentenza contraddistinta dalla busta n. 26D in cui, con riferimento ad una eccezione di incompetenza del TAR adito in primo grado (in sede di ottemperanza), con riferimento anche alla domanda risarcitoria, il candidato ha dichiarato l’incompetenza (con annullamento senza rinvio) della sentenza del TAR limitatamente al capo relativo alla domanda proposta in via principale, volta alla restituzione del fondo e al ristoro patrimoniale del danno conseguente allo spossessamento temporaneo del bene, ed ha invece accolto in parte l’appello proposto dal sig. Tizio, e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, ha condannato l’ente espropriante al risarcimento del danno, sostanzialmente “scindendo” la eccezione di incompetenza e adottando soluzioni diverse per i capi relativi, rispettivamente, alla restituzione del fondo ed al (correlato) risarcimento del danno, esprimendo un orientamento che, almeno allo stato, non trova alcun supporto giurisprudenziale.
Nel compito 15d, invece, si ritiene che la competenza territoriale relativa alla ottemperanza sia derogabile.
Le soluzioni sono quindi diametralmente opposte.
Chi ha ragione? Quale era la soluzione giusta?
Perché entrambi i compiti hanno preso un voto sufficiente a superare le prove scritte?
Tali quesiti, in assenza di criteri predeterminati e di motivazione analitica sono destinati a restare senza risposta.
Anche tale esempio dimostra come sarebbe opportuno un serio ripensamento degli orientamenti maturati in materia di valutazione degli elaborati concorsuali
Non resta, per chi all’effettività della tutela giurisdizionale ci tiene, che confidare in un revirement del Consiglio di Stato.
Un’ ”apertura” sulla questione della motivazione dei voti negativi sulle prove di esame metterebbe fine a quella che appare un’autentica anomalia nel quadro delle ultime importanti acquisizioni in tema di effettività della tutela.
Sembra il momento giusto per cambiare passo e restituire al sindacato giurisdizionale un settore di vitale importanza dell’esperienza amministrativa.
Può anche darsi, però, che prevalga la propensione alla continuità dell’indirizzo giurisprudenziale.
Ma allora, tanto varrebbe riscrivere gli articoli 24 e 113 della Costituzione
(Baccarini 2008).
Del resto, e più in generale, soprattutto quando sono in giuoco posti di grande prestigio, in un contesto in cui sovente i candidati ai concorsi pubblici hanno già contatti politici consolidati o addirittura incarichi governativi, o talvolta (per la ristrettezza dell’ambiente) amicizie dirette con i membri della commissione, o addirittura appartenenze trasversali, o in cui siano statisticamente provate appartenenze geografiche ricorrenti e coincidenti con quelle di provenienza dei commissari (come visto nelle citazioni inerenti il concorso in magistratura ordinaria, ma potrebbe non essere un caso isolato), una maggiore trasparenza motivatoria è certamente auspicabile.
Purtroppo è ormai sin troppo diffusa l’opinione, da un lato, di chi ritiene che le commissioni di concorso non abbiano una competenza sufficiente per comprendere il valore degli elaborati più significativi e non “standardizzati” (specie nei concorsi di più alto livello), dall’altra di chi ritiene che le valutazioni tengano anche conto di sistemi occulti di appartenenza (vi è chi scomoda la massoneria, chi l’opus dei, chi la politica…).
In ogni caso, nella opinione comune, il prestigio delle istituzioni ne esce davvero compromesso.
Recenti casi di cronaca (specie nell’ambiente medico universitario) hanno palesato l’entità del fenomeno.
Non sarebbe quindi forse opportuna (almeno) una maggiore trasparenza nelle valutazioni?
Certamente non è di stimolo e di aiuto, avverso i gravi fenomeni descritti, il livello di omertà e di paura che caratterizza la maggior parte dei candidati, che, a fronte di fenomeni diffusi e radicati (come il notorio baronismo universitario), preferiscono sottacere per non suscitare ritorsioni e preclusioni di carriera (ma siamo davvero a questo livello?), rendendosi complici di un sistema connotato in alcuni casi da tratti di veri e propri aspetti criminali, e che ha per contorno indispensabile il silenzio omertoso.
A questo si affianca la scarsa morale di chi, dall’altra parte, si presta, quale beneficiario, alla commissione di reati (abuso di ufficio, falso, associazione per delinquere, ecc.) che li porteranno (con quale dignità? Con quale soddisfazione?) a sedere sullo scranno un pochino più alto degli altri.
La cultura del privilegio personale, è risaputo, è la vera ragione della fuga dei cervelli dal mondo scientifico del nostro Paese, il quale, è sotto gli occhi di tutti, è ormai ridotto allo stato che, per logica, era prevedibile raggiungesse.
Non resta quindi che augurarsi che cambino gli orientamenti giurisprudenziali in materia di motivazione degli elaborati, e, dall’altra parte, che i candidati abbiano il coraggio di chiedere accesso agli atti, di contestarli, di far valere i propri diritti, di mandare gli atti in Procura, e non, sommessamente, abbassare il capo con dinamiche che ricordano sin troppo la viltà di chi paga il pizzo alla criminalità organizzata (la quale, è noto, trova la propria forza proprio su tali vili comportamenti…).
BIBLIOGRAFIA
Baccarini S.
2008 Motivazione ed effettività della tutela, www.giust-amm.it, gennaio 2008
Fittipaldi E.
2008 Notai in un mare di guai, L’espresso, n. 6, 14 febbraio 2008, 82-83
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2004 Sulla insufficienza della sola votazione in forma numerica a motivare l'esito delle prove concorsuali, FA CDS, 2004, 4, 1225
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2003 Concorso per la magistratura, in Corriere della sera, 18.8.2003
Numa M.
2004 Lo strano concorso che fa tremare i magistrati, in La Stampa, 9.9.2004, 12.