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n. 4/2011 - © copyright

ALESSIO LIBERATI (*)

La ricorribilità delle sentenze del Consiglio di Stato innanzi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo:
l’inizio della fine di palazzo Spada.

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SOMMARIO: 1. Il diritto non finisce a Palazzo Spada. – 2. Il diritto amministrativo nella Convenzione EDU. – 3. La difficoltà di accesso alla giustizia (art. 6 Convenzione EDU). – 4. L’égalité des armes. – 5. Il défaut sécurité juridique (art. 6). – 6. Equità civile – 7. Motivazione della decisione (art. 6 § 1) – 8. Effettività della tutela – accesso effettivo al tribunale (art. 6) – 9. Tribunale imparziale (elemento oggettivi) (art. 6 § 1) – 10. Tribunale imparziale (elemento soggettivi) (art. 6 § 1) – 11. La "giurisdizione domestica". – 12. Tribunale stabilito dalla legge (art. 6 § 1) – 13. Tribunale indipendente (art. 6 § 1) – 14. Conclusioni.

Il diritto non finisce a Palazzo Spada.

Una percentuale grandissima di decisioni del Consiglio di Stato sono in violazione della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo. In Italia, tuttavia, non c’è una sufficiente cultura giuridica in materia e, per questo, il diritto, di fatto, finisce a Palazzo Spada.

La recente sentenza della Corte Costituzionale, che ha stabilito (finalmente adeguandosi ad altri Paesi europei) che le decisioni dichiarate dalla Corte di Strasburgo in contrasto con la Convenzione EDU devono essere oggetto di nuovo processo, aprirà probabilmente una nuova consapevolezza rispetto al problema.

Se a questo si aggiungerà la nuova legge sulla responsabilità dei giudici, che imporrà sanzioni in caso di violazioni di legge (e quindi anche della Convenzione), è ben possibile che, nel giro di pochi mesi, il volto del diritto amministrativo italiano sarà completamente stravolto, ed il Consiglio di Stato avrà un peso decisionale fortemente limitato dalle decisioni della Corte EDU.

A ciò si aggiunga che la proposizione di ricorsi alla Corte EDU non è soggetta a spese ed è sufficiente compilare e spedire il modulo di ricorso reperibile nella sezione dedicata ai "requérants" nel sito istituzionale www.echr.coe.int.

Basti pensare, per fare un paragone, che le decisioni del Conseil d’Etat francese sono prese – in una percentuale pari ad un terzo – conformandosi a precedenti della Corte.

Gli avvocati italiani, invece, si limitano ad interessare la Corte per questioni di mera durata del processo.

Il diritto amministrativo nella Convenzione EDU.

La Corte di Strasburgo ha già inequivocabilmente stabilito che il diritto amministrativo fa parte della Convenzione, nonostante la locuzione "droits civils" possa apparire fuorviante. Diversamente ragionando si consentirebbe agli Stati membri di sottrarsi alla propria responsabilità riguardo alla tutela dei diritti umani semplicemente "spostando" la giurisdizione.

La Corte deve essere adita in un termine di sei mesi dalla decisione definitiva (requisito di ammissione è infatti l’esperimento delle vie di ricorso interne), ma in alcuni casi (ad esempio ove vi sia una violazione continuativa del diritto, settore nel quale ha assunto importanza, ad esempio, la compressione del diritto alla libera manifestazione del pensiero) la Corte può essere adita ancor prima di un giudizio interno.

Ovviamente deve esservi un diritto tutelato dalla Convenzione EDU per poter adire la Corte. Ma avendo l’Italia ratificato anche diversi protocolli aggiuntivi, quasi tutto il diritto amministrativo italiano rientra nell’ambito di applicazione.

Basti pensare che tutte le controversie concernenti denaro (che la Corte fa rientrare nel concetto di bene) costituiscono diritto tutelato dell’art. 1 prot. 1 della Convenzione. L’interpretazione della Corte di Strasburgo vi fa rientrare anche le sole spese processali.

Anche l’accesso ai documenti integra ex se un diritto civile riconosciuto dalla Convenzione (Loiseau c. France, n. 46809/99), a prescindere dalle ricadute economiche.

Una volta verificata l’applicabilità della Convenzione EDU alla fattispecie (ad esempio perché insistente su un bene, compreso il denaro, del soggetto), la violazione potrà ovviamente derivare anche da aspetti procedurali previsti dall’art. 6.

La difficoltà di accesso alla giustizia (art. 6 Convenzione EDU).

Il codice di diritto processuale amministrativo ha recepito passivamente, in molte parti, norme già applicate da decenni.

L’intero impianto del codice, però, non è ispirato alla Convenzione EDU, e comporta la pressoché automatica violazione della Convenzione.

Una prima ipotesi concerne la violazione degli art. 6 e 13 sotto il profilo della difficoltà di accesso giustizia, che si verifica quando l’impianto processuale si sia rivelato in concreto eccessivamente difficoltoso per il raggiungimento di una tutela effettiva.

In questo, ad esempio, gioca un ruolo importante la brevità dei termini previsti dalla legge processuale, in uno con la procedura per avere accesso agli atti per comprendere se un diritto è stato leso. Ove, se l’interessato non sia stato rimesso in termini, l’impianto processuale e la decisione che ne consegue integrano una violazione della Convenzione.

Anche la eccessiva onerosità delle spese o l’eccessivo sforzo che un soggetto deve compiere (Geouffre de la Pradelle c/o France, CEDH, 16 déc. 1992) per avere giustizia (si pensi ad una amministrazione non collaborativa, che dà un accesso frammentato o omissato degli atti, o reitera provvedimenti illegittimi, costringendo a numerosi ricorsi) integra tendenzialmente una violazione dell’art. 6 sotto il profilo dell’accesso alla giustizia.

Analogo discorso vale (sotto il profilo dell’art. 6) per l’ipotesi in cui l’amministrazione abbia costretto il ricorrente in una situazione in cui era impossibile il rispetto dei termini, negando il tempestivo accesso ai documenti (Miragall Escolano c/o Espagne, 25 jan. 2000; Sotiris et Nikos Koutras Atee c/ Grèce, 16 nov. 2000).

Inoltre, la violazione dell’ art. 6 (accesso al tribunale) può derivare anche dalla mancata conoscenza della motivazione del provvedimento e dalla inesistenza stessa di motivazione degli atti, che integra una "interpretation derasonnable ou une application erronée de la loi" (Miragall Escolano c/ Espagne, 25 janvier 2000; Zvolskt et Zvolska c/ République Tchèque, 12 nov. 2002), anche se tale profilo assume rilievo sotto altri prevalenti profili.

L’égalité des armes.

La Corte di Strasburgo ha valorizzato anche il principio di égalité des armes.

La giurisprudenza della CEDU ha stabilito in proposito che il principio della  "égalité des armes" impone che "les parties puissent participer à l’égalité à la recherche de la preuve".

In Italia, invece, l’amministrazione che ha le prove non ha alcun obbligo, ad esempio, di esibire le prove a proprio sfavore o utili a dimostrare una disparità di trattamento che non sia a conoscenza del ricorrente (ed anche in questo caso residuano spazi per un diniego, in base alla restrittiva interpretazione del Consiglio di Stato in materia di interesse all’accesso ai documenti).

Anche la mancata ammissione di prove richieste può determinare violazione del principio.

Il défaut sécurité juridique (art. 6).

Ma l’aspetto destinato a stravolgere il diritto amministrativo italiano è, a mio avviso, la violazione dell’art. 6 sotto il profilo del  défaut sécurité juridique.

Una valutazione sottostimata della casistica mi induce a ritenere che almeno il 50% delle decisioni del giudice amministrativo d’appello violano tale principio.

La giurisprudenza della Corte EDU è molto chiara sul punto: it should be stressed that uncertainty – be it legislative, administrative or arising from practices applied by the authorities – is an important factor to be taken into account in assessing the State’s conduct (see Broniowski v. Poland [GC], no. 31443/96, § 151, ECHR 2004-V; Păduraru v. Romania, no. 63252/00, § 92, ECHR 2005-XII (extracts); and Beian v. Romania (no. 1), cited above, § 33), a far data dall’importante sentenza Broniowski.

Invero, è difficilmente discutibile che il Consiglio di Stato abbia adottato decisioni contrastanti su questioni anche di grande rilevanza. Per ogni problematica giuridica, ed ormai ho studiato approfonditamente, per scrivere i miei manuali, praticamente tutti i settori della materia, vi sono almeno due (ma spesso molte di più) tesi contrastanti.

Basti pensare a cosa sta accadendo da più di un decennio nella giurisprudenza sulla c.d. pregiudiziale amministrativa.

Questo priva il ricorrente del parametro di certezza, integrando una certa violazione dell’art. 6 della Convenzione EDU, sotto il profilo del défaut de sécurité juridique.

Equità civile, risposta a tutte le domande e motivazione della decisione (art. 6 § 1).

Ma la violazione dell’ art. 6 della Convenzione EDU esiste anche in ipotesi di mancata risposta del giudice a tutte le domande (Gorou c/o Grèce 11 janvier 2007).

L’ipotesi ricomprende anche il caso in cui il giudice nazionale "stravolga" la domanda interpretandola in modo diverso e, di fatto, eludendo la risposta giurisdizionale.

Ad avviso della CEDU la  motivazione della decisione deve infatti essere effettiva (Ruiz Torija et Hiro Balani c/o Spagna, 9 déc. 2004; Higgings c/ France, 19 fev. 1998). In questo caso è addirittura del tutto omessa.

Effettività della tutela – accesso effettivo al tribunale (art. 6).

Interessante è anche la prospettiva della possibile violazione dell’art. 6 CEDU, sotto il profilo della effettività della tutela.

La giurisprudenza italiana, interpretando la normativa interna, impedisce sovente di verificare il merito (si pensi, ex multis, al contenuto delle prove di concorso).  

Tale meccanismo è in violazione dell’art. 6 in materia di effettività della tutela. La giurisprudenza della CEDU ha stabilito infatti che il tribunale deve avere piena giurisdizione e che un controllo limitato alla sola motivazione non basta (Obermeier c/ Autriche 28 juin 1990) e deve essere esteso al fatto (Zumbotel c/ Autriche 21 sept. 1993).

Tribunale imparziale (elemento oggettivi) (art. 6 § 1)

Degno di nota è anche l’aspetto della imparzialità del tribunale.

Sul punto la Corte EDU ha sempre considerato le varie forme di incompatibilità o di cumulo di funzioni. "la confiance que les tribunaux d’une société democratique se doivent d’insiper au justiciable" (Remli c/ France, 23 avril 1996). « l’impartialité consiste à se demander si, indipendamment de la conduite personnelle du juge, certains faits vérifiables autorisent à suspecter l’impartialité de ce dernier » (Hauscildt c/ Denmark, 24 mai 1989).

Se lo svolgimento diffuso di incarichi extragiudiziari da parte dei magistrati amministrativi potrebbe difficilmente determinare una incompatibilità in termini assoluti dell’intero plesso, salvo casi specifici, lo stesso non può dirsi per le ipotesi in cui il singolo magistrato abbia competenze decidenti riguardo all’ente per il quale svolge attività retributiva extra.

Infatti il tribunale deve anche apparire imparziale "l’impartialité fait l’objet d’une appreciation à la fois subjective et objective" (Piersack c/ Belgique, 1 octobre 1982).

Tribunale imparziale (elemento soggettivi) (art. 6 § 1)

L’imparzialità concerne anche il profilo soggettivo del giudice (ex  art. 6 § 1 e art. 13).

Si rinvia alla sterminata giurisprudenza della CEDU sul punto.

La "giurisdizione domestica".

Il caso potrebbe riguardare anche la questione della giurisdizione domestica.

Un esempio.

Nella rivista www.lexitalia.it è stata pubblicata, nel gennaio 2010, una interessante decisione, con la quale il TAR del Lazio ha dichiarato illegittimo il concorso per l’accesso al Consiglio di Stato celebrato nell’anno 2006 e 2007, pur non caducandolo.

Tale decisione è stata appellata (tra gli altri) dal Consiglio di Stato (in persona del presidente p.t.), innanzi al Consiglio di Stato, per sentire dichiarare la legittimità dell’operato del presidente del Consiglio di Stato p.t., in qualità di presidente ex lege della commissione di concorso per l’accesso al Consiglio di Stato, e delle conseguente nomina di alcuni consiglieri di Stato.

La fattispecie, quasi uno scioglilingua presenta profili di interesse sotto il profilo della imparzialità.

Ma lo stesso potrebbe dirsi per le nomine relative alle presidenze e, le ipotesi sono davvero molte, per le varie fasi della carriera dei magistrati.

Tribunale stabilito dalla legge (art. 6 § 1)

Di notevole interesse è di certo anche il principio del tribunale stabilito ex lege.

Invero la  composizione del tribunale amministrativo e del Consiglio di Stato non è prevista per legge e non vi è alcuna modalità automatica di assegnazione dei fascicoli, ma una estrazione a sorte, peraltro praticata con modalità diverse dai vari presidenti di sezione.

Si tratta, a mio avviso, di una assegnazione arbitraria dei fascicoli (Lavents c/ o Lettonie, 28 nov. 2002; Coeme c/ Belgique, 22 juin 2000), che viola l’art. 6 CEDU, potendo il presidente di sezione o dell’ufficio giudiziario interferire nella scelta dei giudici ai quali assegnare la causa, con violazione del principio del giudice naturale previsto dalla legge.

In aggiunta, anche in tale prospettiva appare significativo il fatto che  partecipino alle camere consiglio giudici non componenti il collegio, tema non risolto dal Garante per la Privacy (pur investito della questione) ed oggi supportato dalla legge (il codice consente di "assistere", ma non specifica le modalità ed i giudici di fatto intervengono in cause in cui non compongono i collegi).

Tribunale indipendente (art. 6 § 1)

Risulta violato anche il profilo del tribunale indipendente, posto che l’indipendenza "s’oppose à la partecipation à une jurisdiction spécialisée de personnage ayant des relations étroites avec l’organisation partie au litige ou encore de responsable de cet organisme (Sudre) (Thaler c/ Autriche, 3 février 2005).

Il Consiglio di Stato è composto infatti di molti magistrati che hanno incarichi di rilievo nelle amministrazioni pubbliche, influendo spesso nel processo decisorio delle stesse.

Conclusioni.

In conclusione, può dirsi che se un noto romanzo affermava che "Cristo si è fermato ad Eboli", il diritto amministrativo non si ferma di certo a Palazzo Spada.

I profili di conflitto con la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo sono addirittura sistematici e, a mio avviso, imporranno uno stravolgimento del diritto amministrativo italiano nel giro di pochi anni. La proporzione delle decisioni che subiranno le decisioni di Strasburgo ed i principi ivi enunciati saranno probabilmente una percentuale altissima.

 

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(*) Magistrato TAR Toscana, già giudice distaccato EJTN presso la CEDU.


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