LexItalia.it  

 Prima pagina | Legislazione | Giurisprudenza | Articoli e note | Forum on line | Weblog

 

Articoli e note

n. 1/2004  - © copyrigh

NICOLA LAIS
(Avvocato del Foro di Roma)

Può un Comune introdurre una disciplina delle
stazioni radio base attraverso una variante al PRG?

(note a margine di TAR LAZIO, II BIS, sent. 14 gennaio 2004, n. 218 e ord. 15 gennaio 2004, n. 234)

Con la sentenza n. 218 del 14 gennaio 2004 e l’ordinanza n. 234 del 15 gennaio 2004 (di seguito riportate) i giudici amministrativi del Tar Lazio sono tornati ad occuparsi del problema dell’installazione delle stazioni radio base nel comune di Roma.

La vicenda in questione nasce, in larga parte, con l’adozione da parte del comune di Roma, nel marzo 2003, del nuovo Piano Regolatore Generale. Nelle norme tecniche di attuazione [1] a tale strumento, al Titolo IV, capo VI, l’amministrazione comunale ha inteso disciplinare le cd. “reti tecnologiche”.

In particolare, per quanto riguarda la telefonia mobile, all’art. 97, comma 3, veniva previsto che “ferma restando l’osservanza delle norme sovraordinate in materia, il Comune potrà anche istituire e perimetrare zone di salvaguardia attorno a edifici con specifiche funzioni, come asili, scuole, parchi gioco, ospedali, ecc, all’interno delle quali vietare la realizzazione di elettrodotti o l’installazione di antenne e impianti per la comunicazione, così come di altre possibili destinazioni d’uso ritenute non compatibili” ed all’art. 99, ai commi 4 e 5, veniva disposto che “le nuove stazioni e sistemi o impianti radioelettrici, gli impianti fissi per telefonia mobile e gli impianti fissi per la radiodiffusione, possono essere realizzati nelle aree idonee ad ospitare tali impianti individuate nel “Piano comunale per gli impianti radiotelevisivi e della telefonia mobile”, da redigere a cura del Comune e che dovrà raccordarsi, in particolare per quanto riguarda i campi elettromagnetici, con le determinazioni di cui all’art. 97, comma 3. Nel caso di stazioni e sistemi o impianti radioelettrici, di impianti fissi per telefonia mobile e di impianti fissi per la radiodiffusione esistenti localizzati in aree non identificate come idonee dal Piano comunale di cui al precedente comma 4, questi devono essere rilocalizzati o modificati, secondo le procedure di accordo con i gestori e gli incentivi definiti dal Piano stesso, che definirà anche i criteri generali per ridurre l’impatto sull’ambiente, il paesaggio ed i singoli beni storico architettonici”.

Tale norma, in pendenza del d.lgs. n. 198/02 era rimasta inosservata in quanto, come noto, l’art. 3, comma 2 del cd. “decreto Gasparri” prevedeva che “le infrastrutture di cui all'articolo 4, ad esclusione delle torri e dei tralicci relativi alle reti di televisione digitale terrestre, sono compatibili con qualsiasi destinazione urbanistica e sono realizzabili in ogni parte del territorio comunale, anche in deroga agli strumenti urbanistici e ad ogni altra disposizione di legge o di regolamento”.

Venuto meno il d.lgs. n. 198/02 a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 303/03, il comune di Roma ha prima rigettato tutte le domande pendenti ai sensi di tali normativa, motivando tale diniego con il fatto che non poteva esaminarle perché fondate su di una norma dichiarata incostituzionale e poi, di seguito, ha provveduto a bocciare le domande presentate ai sensi del d.lgs. n. 259/03 (Testo Unico delle comunicazioni elettroniche) asserendo che stante l’art. 99, comma 4 delle N.T.A. dell’adottato P.R.G., in forza delle misure di salvaguardia tali domande non potevano essere esaminate fino alla predisposizione del Piano comunale degli impianti di telefonia mobile.

Il Tar Lazio, sulla prima delle due questioni ha, con sentenza breve, annullato il provvedimento di rigetto in quanto “la sopravvenuta dichiarazione di incostituzionalità del cit. d.lgs n. 198/2002 non comportava di per sé il rigetto delle domande presentate, che avrebbero dovuto essere esaminate dall’Amministrazione comunale in base alla ulteriore normativa vigente in materia di installazione SRB, precedente e successiva al predetto D.Lvo, con particolare riguardo, per quanto attiene alla disciplina del procedimento, all’art. 87 del D.Lvo 1.8.2003, n. 259”.

Sulla seconda questione, poi, il Tar Lazio ha concesso al Gestore telefonico la richiesta misura cautelare, sospendendo l’esecuzione dei provvedimenti dell’amministrazione del comune di Roma, sulla base della considerazione che l’art. 99 delle NTA del nuovo PRG adottato ha una valenza meramente programmatica e non prescrittiva, e che quindi non è possibile invocare le misure di salvaguardia [2].

Sebbene il Tar Lazio non si sia pronunciato in merito alla possibilità o meno per il Comune di Roma di normare la localizzazione degli impianti sul proprio territorio comunale, ritenendo che la norma adottata con le NTA abbia valore solo programmatico, e quindi disinteressandosi del problema, appare utile comunque provare a verificare se, ed in quale misura, i Comuni possano regolare l’insediamento delle stazioni radio base nel proprio territorio attraverso una variante al PRG, ovvero se debbano usare altri strumenti

Preliminarmente all’esame di tale questione è opportuno riassumere brevemente quelli che sono i principi contenuti nelle recenti sentenze della Corte Costituzionale [3] in tema di installazione degli impianti di telefonia mobile.

La Corte, nelle note pronunce, ha in primis riaffermato che la legge n. 36/01 è la norma di riferimento in tema di esposizione ai campi elettromagnetici e che a questa deve essere fatto riferimento per la definizione del riparto di competenze tra i vari soggetti pubblici interessati. Brevemente, e senza pretesa di esaustività, si deve ricordare come secondo la Corte la logica della legge in parola sia quella di affidare allo Stato la fissazione delle soglie di esposizione ed alle Regioni la disciplina dell’uso del territorio in funzione della localizzazione degli impianti (affidandogli il compito di individuare le ulteriori misure e prescrizioni dirette a ridurre il più possibile l’impatto negativo degli impianti sul territorio). In forza di questo chiaro riparto, quindi, allo Stato spetta la fissazione dei valori soglia non derogabili dalle Regioni [4] mentre a queste, ed agli enti locali, viene riconosciuta l’autonoma capacità di regolare l’uso del proprio territorio, ovviamente purché criteri localizzativi e standard urbanistici “rispettino le esigenze della pianificazione nazionale degli impianti e non siano tali da impedire od ostacolare ingiustificatamente l’insediamento degli stessi”.

Ciò detto, nelle sentenze n. 307/03 e n. 331/03 la Corte Costituzionale ha poi chiarito che le Regioni possono introdurre criteri localizzativi in negativo e possono prevedere delle “aree sensibili” in cui vietare l’installazione degli impianti, purché tali scelte non trasformino i criteri di localizzazione in limiti alla localizzazione e sia comunque tenuta nella debita considerazione la funzionalità delle reti di comunicazioni elettroniche.

La Corte Costituzionale, quindi, nelle sentenze in questione, ha sciolto definitivamente ogni dubbio in ordine al riparto di competenze tra Stato e Regioni, ma non ha affrontato in alcuna misura il problema, comunque attuale, del riparto di competenze tra Regioni ed enti locali.

Se, come afferma la Corte, si deve far riferimento alla legge n. 36/01 quale norma quadro di tutto il settore, si può facilmente verificare come, nei fatti, siano molte le zone d’ombra in merito al riparto di competenze tra Regioni e Comuni.

Ai sensi dell’art. 8, comma 1, della norma in parola, sono di competenza delle Regioni, “nel rispetto dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità nonchè dei criteri e delle modalità fissati dallo Stato, fatte salve le competenze dello Stato e delle autorità indipendenti: a) l’esercizio delle funzioni relative all’individuazione dei siti di trasmissione e degli impianti per telefonia mobile, degli impianti radioelettrici e degli impianti per radiodiffusione, ai sensi della legge 31 luglio 1997, n. 249, e nel rispetto del decreto di cui all’articolo 4, comma 2, lettera a), e dei princìpi stabiliti dal regolamento di cui all’articolo 5; b) (…) c) le modalità per il rilascio delle autorizzazioni alla installazione degli impianti di cui al presente articolo, in conformità a criteri di semplificazione amministrativa, tenendo conto dei campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici preesistenti; d) (…)”. Le Regioni, poi, nell’ambito delle competenze a loro assegnate possono, ai sensi dell’art. 8, comma 4, definire le competenze che spettano alle province ed ai comuni.

A prescindere da qualsiasi delega regionale, secondo il sistema di riparto di competenze individuato dalla legge quadro, spetta invece ai Comuni, ai sensi dell’art. 8, comma 6, la facoltà di “adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici”.

Da una lettura coordinata delle due norme, quindi, appare abbastanza chiaro che il comune può disciplinare l’insediamento degli impianti sul proprio territorio, ma non potrebbe, salvo delega espressa della Regione, individuare la localizzazione puntuale dei siti ove ubicare i suddetti impianti.

D’altra parte questa lettura, invero molto restrittiva delle competenze comunali, trova però una sua ratio se si pensa a come funziona una rete di telefonia mobile cellulare.

In primo luogo si deve ricordare che la rete di telefonia mobile è una rete “a celle” e che per il suo corretto funzionamento è necessario il rispetto di condizioni ben precise e scientifiche legate a vari elementi quali le caratteristiche orografiche del territorio, la localizzazione degli altri impianti ed il servizio dagli stessi svolto, il numero degli utenti da servire.

E’ evidente, quindi, che non è corretto ragionare su di un ambito territoriale ristretto per disciplinare la localizzazione degli impianti, pena il rischio di imporre vincoli penalizzanti per il funzionamento degli impianti, e, quindi, correttamente il legislatore ha riservato tale competenza alla Regione, la quale, nell’esercizio della competenza localizzativa può evidentemente valutare un ambito territoriale di riferimento sufficientemente ampio da garantire che non vengano imposti limiti troppo gravosi nella realizzazione delle reti di comunicazione elettronica [5], nel rispetto comunque dei principi relativi alla tutela della salute pubblica, alla compatibilità ambientale ed alle esigenze di tutela dell’ambiente e del paesaggio (art. 8, comma 2, legge n. 36/01).

Ma se si può, quindi, tendenzialmente escludere che il Comune possa procedere ad una localizzazione positiva e puntuale di questo tipo di infrastrutture sul proprio territorio, bisogna allora capire in cosa consista, effettivamente, la facoltà prevista dall’art. 8, comma 6.

Anche alla luce del portato giurisprudenziale degli ultimi anni [6], a mio avviso si può ragionevolmente sostenere che il Comune può introdurre un sistema di regole diverse dalla localizzazione puntuale degli impianti ma comunque legate al governo del territorio e/o alla minimizzazione dell’esposizione ai campi elettromagnetici. Appare difficile fare una casistica degli interventi possibili, anche perché, comunque, ogni intervento deve comunque permettere la corretta funzionalità del servizio.

A mio avviso, alla luce della ormai vasta produzione giurisprudenziale sul tema, purchè venga rispettato il principio della funzionalità del servizio, si possono ritenere ammissibili norme di localizzazione negativa che vietino, ad esempio, l’installazione degli impianti su singole categorie di edifici (scuole, ospedali, case di cura) [7], norme che prevedano specifici obblighi di “mascheramento” degli impianti in zone di particolare pregio storico-ambientale [8], norme che vietino determinati tipi di intervento nel contesto urbano (si pensi solo ai tralicci di rilevanti dimensioni che mal si sposano con contesti urbani di pregio).

Ciò detto si deve quindi tornare alla domanda iniziale: può un comune introdurre una disciplina delle stazioni radio base attraverso una variante al PRG?

La risposta, alla luce di quanto sopra, e tenendo conto che si tratta di interventi comunque assimilati alle opere di urbanizzazione primaria, non dovrebbe che essere, in linea teorica, affermativa anche perché tale strumento presuppone una adeguata istruttoria ed assicura agli interessati le opportune garanzie partecipative, che consentono la presentazione di puntuali osservazioni.

Tale disciplina, però, non potendo prevedere localizzazioni positive o zonizzazioni che limitino in maniera ingiustificata l’installazione delle stazioni radio base [9], e concretizzandosi perlopiù in una serie di norme di contenuto prevalentemente edilizio più che urbanistico, dovrebbe trovare una sede più propria nel regolamento edilizio o in un regolamento ad hoc, anche perché l’esigenza di mutare tale strumento alla luce di nuove esigenze dei gestori o dell’ingresso di nuovi sistemi tecnologici mal si concilia con le procedure lente e gravose legate all’approvazione di una variante di Piano Regolatore.

[1] Che come ricorda giustamente G.C. Mengoli, nel suo Manuale di diritto urbanistico, Giuffrè, IV ed., 94 e ss., dovrebbe consistere nella “normativa specifica delle zone preventivamente identificate nelle planimetrie, dettando la normativa di zona” e non in ulteriori normative di carattere generale che avrebbero la loro sede più propria nel regolamento edilizio o in altri tipi di regolamento.

[2] Come è noto l’iter procedimentale che porta alla approvazione di un piano regolatore è un iter complesso che, secondo lo schema della legge urbanistica fondamentale del 1942, si compone di due sub-procedimenti: il primo consiste nell’adozione del piano da parte del consiglio comunale, il secondo nella sua approvazione da parte dell’organo (di regola regionale) competente. Effetto principale della delibera di adozione del piano da parte del consiglio comunale è l’inizio del periodo di salvaguardia che permette al Sindaco (oggi il dirigente) di sospendere ogni determinazione in ordine alle domande di titolo abilitativo presentate in contrasto con il piano adottato. Le misure di salvaguardia mirano ad impedire che nelle more fra l’adozione da parte dei comuni degli strumenti urbanistici, e l’approvazione dei medesimi strumenti da parte della regione, l’assetto del territorio subisca modifiche che di fatto vanifichino la nuova normativa (Cons. Stato Sez. V, 4 marzo 1972, n. 213). Queste, ai sensi del combinato disposto della legge 3 novembre 1952, n. 1902 e dell’art. 3 della legge 6 agosto 1967, n. 765 possono (rectius devono, essendo obbligatorie per questo tipo di strumento urbanistico) essere applicate per cinque anni dalla data di adozione del piano regolatore qualora lo strumento sia stato trasmesso entro un anno alla Regione per l’approvazione, o per tre anni dalla data di adozione, se la trasmissione sia avvenuta tardivamente (cfr. Tar Valle d’Aosta, 17 luglio 1984, n. 79). Trascorsi i suddetti termini, lo strumento urbanistico adottato ma non ancora approvato non avrà quindi alcuna cogenza diretta per il privato, ferma comunque la possibilità per la Regione di approvarlo.

[3] Si tratta delle sentenze della Corte Costituzionale n. 303/03, n. 307/03, n. 308/03, n. 331/03

[4] Sul punto la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 307/03 ha affermato che tale fissazione rappresenta “il punto di equilibrio fra le esigenze contrapposte di evitare l’impatto delle emissioni elettromagnetiche (tutela della salute) e di realizzare impianti necessari al paese, nella logica per cui la competenza delle Regioni in materia di trasporto dell’energia e di ordinamento della comunicazione è di tipo concorrente, vincolata ai principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato”.

[5] Lo stesso Consiglio di Stato, che non mi pare abbia ancora affrontato lo specifico tema del riparto di competenze tra Regione e Comune, nella pronuncia 10 febbraio 2003, n. 673 ha comunque evidenziato che il corretto esercizio delle competenze di cui all’art. 8, comma 6, presuppone il superamento “di una visione “atomistica”, tendente a prendere in considerazione singolarmente gli impianti, anziché la rete di comunicazione, che presuppone una uniforme distribuzione sul territorio degli impianti, nel rispetto ovviamente della salute umana, dell’ambiente e del territorio”.

[6] Sul punto, oltre alla sentenza del Consiglio di Stato prima richiamata è opportuno ricordare la sentenza 3 giugno 2002, n. 3095, ove per la prima volta i giudici di Palazzo Spada hanno chiarito che “alle competenze dei Comuni dirette ad assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti, si aggiunge quella di minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici” e che la previsione di tale competenza in aggiunta a quella urbanistica “sembra voler significare che si tratti di una competenza diversa, che comunque deve essere esercitata nel rispetto del descritto quadro normativo di riferimento: tali misure non possono quindi in alcun modo prevedere limiti generalizzati di esposizione diversi da quelli previsti dallo Stato, né possono di fatto costituire una deroga generalizzata o quasi a tali limiti, essendo invece consentita l’individuazione di specifiche e diverse misure, la cui idoneità al fine della “minimizzazione” emerga dallo svolgimento di compiuti ed approfonditi rilievi istruttori sulla base di risultanze di carattere scientifico”.

[7] In merito si veda anche il punto 20 dei considerato in diritto della sentenza della Corte Costituzionale n. 307/03. E’ vero che la Corte ritiene che tali localizzazioni negative possono rientrare tra gli obiettivi di qualità di competenza regionale, ma è anche vero che in assenza della definizione di tali obiettivi da parte della Regione e di una norma, come l’art. 8, comma 1, lett. a), che attribuisca espressamente alla Regione tale competenza, a mio avviso il Comune può, in via sussidiaria, normare sul punto.

[8] Viceversa la Corte Costituzionale, sempre nella sentenza n. 307/03, ha ritenuto non legittimo un divieto generalizzato di localizzazione degli impianti sulle aree vincolate ai sensi della legge statale sui beni culturali e ambientali, sulle aree classificate di interesse storico–architettonico e sulle aree “di pregio storico, culturale e testimoniale” in quanto l’ampiezza e la eterogeneità delle categorie di aree contemplate fanno del divieto un vincolo in grado, nella sua assolutezza, di pregiudicare la realizzazione delle reti di telecomunicazione.

[9] Sul punto è opportuno citare Consiglio di Stato, 26 agosto 2003, n. 4847 ove viene affermato che “anche in relazione al quadro normativo anteriore al d.lgs. n. 198/2002 e alla l. n. 166/2002, la giurisprudenza aveva ritenuto che in assenza di una specifica previsione urbanistica la collocazione degli impianti di telefonia mobile deve ritenersi consentita sull’intero territorio comunale, non assumendo carattere ostativo le specifiche destinazioni di zona (residenziale, verde, agricola, etc.) rispetto ad impianti di interesse generale, che presuppongono la realizzazione di una rete che dia uniforme copertura al territorio, in quanto la localizzazione degli impianti nelle sole zone in cui ciò è espressamente consentito si porrebbe in contrasto proprio con l’esigenza di permettere la copertura del servizio sull’intero territorio”.

 

 

TAR LAZIO, SEZ. II BIS - sentenza 14 gennaio 2004 n. 218 Pres. ed Est. Giulia - TIM s.p.a., Telecom Italia Mobile (Avv.ti Sanino e Celani) c. Comune di Roma (Avv. Murra).

(omissis)

 per l’annullamento

previa sospensione dell’esecuzione prot. n. 60917 del 7 ottobre 2003, col quale sono state respinte dodici istanze presentate dalla ricorrente per l’installazione di stazioni radio base per telefonia mobile;

(omissis)

Considerato che l’impugnato provvedimento di rigetto delle istanze presentate dalla soc. ricorrente per l’installazione di stazioni radio base ai sensi del D.Lvo n. 198 del 2002 risulta unicamente motivato con la illegittimità costituzionale del predetto decreto, dichiarata dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 303 del 2003;

Ritenuta la manifesta fondatezza del ricorso, che, pertanto, può essere immediatamente accolto con decisione in forma semplificata, ai sensi dell’art. 9 della legge n. 205 del 2000;

Considerato, infatti, che la sopravvenuta dichiarazione di incostituzionalità del cit. D.Lvo n. 198/2002 non comportava di per sé il rigetto delle domande presentate, che avrebbero dovuto essere esaminate dall’Amministrazione comunale in base alla ulteriore normativa vigente in materia di installazione SRB, precedente e successiva al predetto D.Lvo, con particolare riguardo, per quanto attiene alla disciplina del procedimento, all’art. 87 del D.Lvo 1.8.2003, n. 259;

Ritenuto che, in considerazione della novità della questione, le spese di giudizio possono essere compensate;

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione Seconda Bis, accoglie il ricorso come in epigrafe da TIM S.p.A. e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato, restando salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma dal Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, (Sez. II bis) nella Camera di Consiglio dell’ 8.1.2004, con l’intervento dei signori:

Patrizio Giulia           Presidente, est.

Evasio Speranza                Consigliere

Solveig Cogliani                 Consigliere

Depositata in Segreteria in data 14 gennaio 2004.

 

 

TAR LAZIO, SEZ. II BIS – ordinanza 15 gennaio 2004 n. 234Pres. Giulia, Est. De Michele - TIM s.p.a. - Telecom Italia Mobile (Avv.ti Sanino e Celani) c. Comune di Roma (Avv. Murra).

 

per l'annullamento, previa sospensione dell'esecuzione,

delle note del Comune di Roma prot. n. 44069 del 16.7.2003 e 44260 del 17.7.2003;

Visti gli atti e i documenti depositati con il ricorso;

Vista la domanda di sospensione della esecuzione del provvedimento impugnato, presentata in via incidentale dal ricorrente;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di:

 

COMUNE DI ROMA

Visti i motivi aggiunti di gravame, notificati il 2 dicembre 2003;

 

Udito il relatore Cons. GABRIELLA DE MICHELE e uditi altresì per le parti gli avv.ti indicati nel verbale d’udienza;

Visti gli artt. 19 e 21, u.c., della Legge 6 dicembre 1971, n. 1034, e l'art. 36 del R.D. 17 agosto 1907, n. 642;

Considerato che- quanto alle note nn. 44069 del 16.7.2003, 44260 del 17.7.2003 e 66998 del 30.10.2003, con cui venivano sospese le procedure per il rilascio delle autorizzazioni in corso, il termine di 90 (novanta) giorni per il formarsi del silenzio assenso delle denunce di inizio attività e successivamente la stessa accettazione delle istanze-non si ravvisano sufficienti elementi di fondatezza sia per l’applicazione di misure di salvaguardia (in considerazione del contenuto meramente programmatico dell’art. 99 delle NTA del nuovo PRG adottato), sia per l’esplicazione del potere di sospensione, di cui all’art. 7, c.2, l. n. 241/90 (sospensione non applicabile, ad un primo sommario esame, in contraddizione con l’art. 2 della medesima legge né come misura cautelare, finalizzata al rispetto di norme in via di predisposizione);

Considerato inoltre che –quanto al provvedimento di rigetto n. 67821 del 4.11.2003- sussiste una ragionevole previsione di accoglimento delle censure, riferite a non riconducibilità del rigetto stesso a norme programmatiche e non prescrittive del PRG, ben potendo le istanze essere esaminate alla luce della disciplina legislativa vigente e di eventuali protocolli di intesa.

 Ritenuto che, con riferimento agli elementi richiesti dall’art. 21 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034, come integrato dall’art. 3 della legge 21 luglio 2001, n. 205, allo stato appaiono sussistere i presupposti per accogliere la istanza incidentale di misure cautelari formulata da parte ricorrente;

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione Seconda Bis, ACCOGLIE la domanda incidentale di provvedimento cautelare e, per l’effetto, SOSPENDE l’esecuzione degli atti impugnati, nei termini di cui in motivazione.

La presente ordinanza sarà eseguita dalla Amministrazione ed è depositata presso la Segreteria del Tribunale che provvederà a darne comunicazione alle parti.

ROMA , li 15 Gennaio 2004.


Stampa il documento Clicca qui per segnalare la pagina ad un amico