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Articoli e note

n. 1/2006 - © copyright

AURELIO LAINO
(Referendario della Corte dei conti)

Il processo contabile tra modifiche al codice di rito, innovazioni di diritto sostanziale e tendenze evolutive della giurisprudenza di legittimità

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SOMMARIO: 1. Le modifiche al codice di procedura civile. – 2. La giurisprudenza della Cassazione nel 2005 sulle notifiche degli atti giudiziari. – 4. Il nuovo rito in Cassazione. – 5. Le novità introdotte dalla legge finanziaria per l’anno 2006.

1.- Le modifiche al codice di procedura civile.

Le novità introdotte in materia processuale civile dalla l. n. 80/05 - di conversione, con modifiche, del d.l. n. 35/05 (c.d. “decreto competitività”) - così come ulteriormente integrate dalla l. 28.12.2005 n. 263 (pubblicata sulla G.U. di pari data), rappresentano, nel loro insieme, la prima riforma organica del codice di rito successivamente a quella effettuata con la l. n. 353/90.

Si tratta, peraltro, di innovazioni la cui entrata in vigore - prevista per l’inizio del nuovo anno - è stata, all’ultimo, nuovamente prorogata, questa volta al 1° marzo 2006, per effetto degli artt. 1 e 2 del d.l. 30.12.3005 n. 271, onde consentire un graduale “assestamento” degli uffici giudiziari rispetto agli intervenuti cambiamenti.

A tali modifiche vanno, altresì, aggiunte quelle introdotte dal decreto legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri in data 28.12.2005, non ancora pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, riguardanti la disciplina del processo innanzi alla Corte di cassazione.

Tra le varie disposizioni innovate dal suddetto articolato normativo alcune risultano di particolare interesse anche per quanto concerne la giurisdizione contabile, in quanto di loro diretta ed immediata applicazione ai procedimenti di competenza della Corte dei conti, in virtù del c.d. “rinvio dinamico” di cui all’art. 26 r.d. n. 1038/33, recante il regolamento di procedura sui giudizi tenutisi davanti a siffatta magistratura.

Vale la pena segnalare, a tal riguardo, l’art. 2 commi 1-3 della l. n. 263/05 cit., in particolare laddove modifica, tra gli altri, gli artt. 92, 145, 147, 149 e 163 bis c.p.c.

In breve, queste le principali novità.

A) E’ stato introdotto l’obbligo del giudice di motivare espressamente e puntualmente in ordine all’eventuale compensazione delle spese del giudizio (art. 92 c.p.c.). La norma risulta tanto più interessante per la giurisdizione contabile da quando è stato inserito, con l’art. 10 bis comma 10 l. n. 248/05, il potere del giudice di liquidare gli onorari di difesa, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., incidendosi, così, direttamente sul diritto al rimborso delle spese legali in caso di proscioglimento, ai sensi dell’art. 3 comma 2 bis l. n. 639/96.

Ciò, almeno laddove si ritenga che il richiamo, nell’art. 10 bis cit., al solo art. 91 c.p.c. non sia preclusivo dell’operatività di tutte le altre norme dettate sul punto dal codice di rito e, segnatamente, l’art. 92 stesso. Un argomento testuale che pare deporre in tal senso potrebbe trovarsi proprio in quest’ultima norma, il cui incipit (“Il giudice nel pronunciare la condanna di cui all’articolo precedente”), sembrerebbe presupporne l’automatica efficacia. Si attendono, comunque, i primi chiarimenti giurisprudenziali, allo stato inesistenti dato il carattere di novità della legge.

B) Viene prevista la possibilità di notificare gli atti giudiziari (in particolare, per il p.m. contabile, l’atto di citazione e le istanze di sequestro), riguardanti le società, ovvero gli enti collettivi non muniti di personalità giuridica (società di persone, associazioni non riconosciute, comitati, ecc.), direttamente alla persona fisica che ha la rappresentanza legale dell’ente, purchè siano noti ed indicati, nell’atto da notificare, le generalità e la residenza, il domicilio o la dimora (art. 145 c.p.c.). La notifica può avvenire anche con le forme previste, in caso di irreperibilità o di mancata conoscenza dell’attuale residenza o dimora, ex artt. 140 e 143 c.p.c.

C’è da dire, peraltro, che non si tratta di una innovazione assoluta, poiché già il terzo comma dell’art. 145, nella sua originaria formulazione prevedeva la possibilità di una notifica diretta al legale rappresentante, subordinandola, però, all’impossibilità di eseguire la notificazione presso la sede della società.

Va sottolineato come le disposizioni sulle notifiche agli enti collettivi siano divenute di sempre maggiori importanza nei giudizi di responsabilità amministrativa e/o contabile tenutisi innanzi alla Corte dei conti, in ragione dell’intenso ampliamento della potestà giurisdizionale a quest’ultima riconosciuta dalle Sezioni Unite della Cassazione in tema di società a partecipazione pubblica, ovvero di enti associativi (cfr., per tutte, Cass., sez. un., nn. 3899 e 20132 del 2004).

In guisa da rendersi necessario notificare gli atti di esercizio dell’azione di competenza della Procura regionale direttamente all’ente e non solamente alle singole persone fisiche materialmente autori dell’illecito, in considerazione del rapporto di immedesimazione organica che lega l’amministratore, ovvero il socio della società (così come il presidente dell’associazione non riconosciuta) a quest’ultima e che fa sì che la responsabilità de qua vada addossata, così come il relativo debito risarcitorio, anche all’ente stesso.

E ciò, nell’ottica di una progressivo ridimensionamento - secondo l’indirizzo inaugurato con la celeberrima ordinanza della Cassazione n. 19667/03, in ordine all’individuazione del rapporto di servizio quale elemento necessario per radicare la giurisdizione contabile – della rilevanza circa il vestimentum giuridico assunto dall’ente che gestisce danaro pubblico e, di converso, di valorizzazione della natura oggettivamente pubblica delle risorse adoperate e dell’attività svolta dall’ente stesso.

Talvolta, poi, la società maneggia direttamente pecunia di pertinenza erariale, assumendo la qualifica di agente contabile, radicandosi così la giurisdizione della Corte dei conti a prescindere dalla sussistenza di un preciso rapporto di servizio (che potrebbe pure mancare, valorizzando l’ordinamento l’aspetto fattuale della gestione: c.d. contabile di fatto). Vedasi, ad esempio, la vicenda S.T.A., inerente la gestione dei proventi per la sosta dei veicoli nei parcheggi comunali, decisa dalla Cassazione con la sentenza n. 12367/01, in senso favorevole alla giurisdizione contabile, nonostante la forma societaria dell’ente tenuto a tale gestione (la S.T.A., per l’appunto).

C) Si è tradotto in una precisa norma di legge l’orientamento giurisprudenziale, sorto sulla scia della famosa pronuncia del giudice delle leggi (C. cost. n. 477/02) e recepito dalla Cassazione (da ultimo, Cass., sez. lav., n. 6836/05), in ordine alla scissione temporale degli effetti della notificazione a mezzo del servizio postale (i.e.: dalla consegna del plico all’ufficiale giudiziario, per il notificante e dalla legale conoscenza, per il notificando: art. 149 c.p.c., nuova formulazione).

D) Si è estesa la disciplina della proroga al primo giorno utile lavorativo dei termini che scadano (non solo la domenica o in altro giorno festivo), sibbene anche il sabato, con l’opportuna precisazione, però, onde evitare pericolosi fraintendimenti, che tale giornata è da considerarsi, per il resto, pienamente lavorativa, sotto il profilo dell’attività giudiziaria da svolgersi (art. 155, nuova formulazione).

E) Infine, è stato previsto un maggior lasso temporale per i termini di comparizione del convenuto, ex art. 163 bis c.p.c., passati da 60 a 90 gg., nei casi di notificazione della citazione in Italia e da 120 a 150 gg. se l’atto va notificato all’estero.

Anche questa è un’innovazione avente immediato riflesso sul governo dei processi di responsabilità innanzi alla Corte dei conti, i quali – com’è noto – sono avviati mediante un atto di citazione in giudizio del funzionario responsabile, emesso dal p.m. contabile, cui segue la fissazione dell’udienza dibattimentale da parte del Presidente della competente sezione giurisdizionale (artt. 43-46 reg. proc.) e la notifica, a carico sempre della pubblica accusa, della citazione con il pedissequo decreto, rispettando i termini a comparire di cui sopra, direttamente mutuati dal codice di rito, ex art. 7 r.d. n. 1038/33, cit.

Un aspetto, poi, che potrebbe interessare i giudizi contabili, ma di cui andrebbe saggiata la compatibilità con il rinvio dinamico di cui all’art. 26 reg. proc. cit., riguarda la possibilità per l’attore pubblico e il convenuto di accordarsi, onde optare per il c.d. “rito societario”, disciplinato recentemente dal d.lgs. n. 5/03 e ciò per effetto della disposizione di cui all’art. 70 ter disp. att. c.p.c., introdotto dall’art. 2 comma 3 ter l. n. 80/05, tesa ad estendere siffatta procedura a tutte le cause e non solo a quelle inerenti alla materia commerciale, ogni qual volta in tal senso concordino le parti.

Per far questo è necessario che l’attore (nel caso, il p.m. contabile) inviti nell’atto di citazione il convenuto a notificargli direttamente, anziché mediante deposito in cancelleria (recte: segreteria della Sezione), la comparsa di risposta, entro un termine non minore di sessanta (ma non superiore agli ottanta) giorni dalla notifica dell’atto introduttivo. Se il convenuto aderisce, allora il processo proseguirà nelle forme del rito speciale.

Andranno, invece, sicuramente applicate anche al giudizio cautelare intrapreso innanzi alla Corte dei conti, su istanza della Procura regionale e finalizzato all’ottenimento di un provvedimento di sequestro conservativo sui beni del responsabile, ex art. 5 l. n. 19/94, le innovazioni apportate dall’art. 2 comma 3 lett. e bis) nn. 1-4.2 della l. n. 80/05, sul c.d. “processo cautelare uniforme”, di cui agli artt. 669 bis e ss. c.p.c., le quali norme integrano, per pacifica giurisprudenza, le scarne disposizioni dettate al riguardo dalla novella del ’94, in virtù del rinvio operato giusta l’art. 48 r.d. n. 1038/33 (C. conti, sez. riun., n. 15/95/QM e n. 2/98/QM).

A tal proposito, vale la pena segnalare le modifiche alla disciplina del reclamo avverso i provvedimenti che accolgano o rigettino le istanze cautelari (art. 669 terdecies), il cui termine di proposizione non è più mutuato dall’art. 739 c.p.c. (10 gg. dalla notificazione del provvedimento), ma è autonomamente indicato in 15 giorni a decorrere, rispettivamente, dalla pronuncia in udienza, ovvero dalla sua comunicazione o notificazione, se anteriore.

E’ parimenti prevista la necessità di rispettare il contraddittorio in ipotesi di introduzione di un nuovo thema decidendum successivamente alla proposizione del reclamo (probabilmente attraverso la notifica di un atto integrativo o la concessione, da parte del giudice, di un termine per controdedurre, ma la legge non è chiara sul punto), nonché la possibilità di acquisire documenti (prima solo sommarie informazioni: art. 738 c.p.c.).

2. La giurisprudenza della Cassazione nel 2005 sulle notifiche degli atti giudiziari.

 

Alcune decisioni pronunciate dalla Cassazione nello scorso anno, in tema di notifiche, meritano di essere segnalate per la loro diretta incidenza, secondo quanto più sopra chiarito, nel processo contabile. Tra queste, si richiamano:

 

1) Cass., ss.uu., n. 458/05, che ha statuito che la notifica compiuta ai sensi dell'art. 140 c.p.c. è perfezionata, nei confronti del solo notificante, con la consegna all'ufficiale giudiziario dell'atto da notificare e non più con il compimento delle formalità riguardanti il notificando, come ritenuto in precedenza;

 

2) Cass. n. 10924/05, ribadente il principio secondo cui la notifica al portiere dello stabile, ex art. 139 c.p.c., deve essere preceduta, per essere valida, dalla preventiva ricerca, con esito negativo, attestata dall’ufficiale giudiziario nella relata, di una delle altre persone indicate dalla norma citata;

 

3) Cass. n. 7827/05, secondo cui, pur non facendo fede fino a querela di falso l’attestazione in relata dell’ufficiale giudiziario circa il rapporto intercorrente tra colui che riceve l’atto e il destinatario dello stesso, tale rapporto deve presumersi sussistente fino a prova contraria, che va fornita puntualmente da chi assume di non aver ricevuto alcunché;

 

4) Cass. n. 10021/05 (riguardante, per la verità, la comunicazione a mezzo raccomandata e non propriamente la notifica), che, ribaltando il precedente orientamento, ha ritenuto che la dimostrazione che una raccomandata sia stata ricevuta dal destinatario non vale di per sè a dimostrare quale fosse il contenuto della lettera, onerando, in caso di contestazione, chi pretende che da quella ricezione siano derivati effetti giuridici dimostrare il reale contenuto della missiva.

3. Il nuovo rito in Cassazione.

Per quanto concerne le novità riguardanti il processo in Cassazione, esse, naturalmente, possono interessare il giudizio contabile solo per la parte in cui disciplinino diversamente la cognizione di una questione di giurisdizione, dato che le sentenze della Corte dei conti possono essere sindacate innanzi al giudice di legittimità unicamente per questo motivo (art. 111 Cost., comma 8°).

Brevemente, vengono in rilievo innanzitutto le modifiche inerenti alla redazione del ricorso introduttivo del giudizio che, deve ora contenere, per ciascun motivo di doglianza, la formulazione – si badi bene, a pena d’inammissibilità dell’atto – di un quesito di diritto che consenta alla Corte di cassazione di enunciare il corrispondente principio di diritto (artt. 366 comma 1 n. 4 e 366 bis c.p.c., come, rispettivamente, sostituito e introdotto, dagli artt. 5 e 6 del decreto legislativo appena approvato). Ciò, in coerenza con le finalità di potenziamento della funzione nomofilattica della Corte che hanno ispirato l’intero provvedimento governativo.

In verità, peraltro, l’art. 366 bis richiama, in punto di giurisdizione, il solo art. 360 comma 1 n. 1) c.p.c. e non già l’art. 362 c.p.c. (quello riguardante le questioni di giurisdizioni dei giudici speciali), in guisa da dubitarsi che la nuova modalità di redazione imposta dalla novella sia applicabile effettivamente ai ricorsi relativi alla decisioni della Corte dei conti. Nel dubbio, ragioni di omogeneità e di prudenza, consigliano, comunque, di non discostarsene, almeno in assenza di un diverso esplicito avviso della Cassazione.

Rimane, invece, immutata la composizione plenaria del suddetto giudice quando decida di questioni di giurisdizione relative al giudice amministrativo e contabile, laddove – diversamente – negli altri casi è, ora, prevista la possibilità che sia la sezione semplice ad occuparsene, quante volte vi sia un precedente conforme delle sezioni unite. In caso di dissenso, la sezione semplice rimette la questione a queste ultime per un’ulteriore decisione (art. 374 c.p.c., sostituito dall’art. 8 d.lgs. cit.).

Si segnalano, infine, sia talune modifiche in tema di svolgimento del processo in camera di consiglio nelle ipotesi di decisione sul regolamento di giurisdizione (artt. 380 e 380 bis c.p.c., come sostituito, il primo e introdotto il secondo, rispettivamente dagli artt. 10 e 11 d.lgs. cit), sia la facoltà della Corte di cassazione di condannare ad una sorte di pena pecuniaria (non superiore nell’importo al doppio dei massimi tariffari), la parte soccombente, qualora abbia ricorso o resistito con dolo o anche solo con colpa grave (art. 385 c.p.c., come modificato dall’art. 13 d.lgs. cit.).

5. Le novità contenute nella legge finanziaria per l’anno 2006.

In ultimo, una breve annotazione sulle importanti novità riguardanti la Corte dei conti, inserite dalla l. 23.12.2005 n. 266, di approvazione della finanziaria per l’anno in corso, peraltro composta da un unico articolo di oltre seicento commi (sic!), a tutto detrimento della sua chiarezza e leggibilità.

 

A parte una serie di molteplici innovazioni, che qui si tralasciano, dirette a incrementare notevolmente le competenze delle Sezioni regionali di controllo (cfr. art. 1 commi 167-174 l. n. 266/05), preme sottolineare, sul versante squisitamente giurisdizionale di responsabilità:

 

a) l’introduzione, ai commi 232-234, del c.d. “condono erariale”, riecheggiante, per alcuni aspetti, il c.d. patteggiamento penale in appello (art. 599 comma 4 c.p.p.);

 

b) l’ampliamento della tipologia di azioni esperibili dal p.m. contabile a tutela dei crediti dell’erario.

 

Il predetto condono consiste nella possibilità, per i soggetti nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di condanna di primo grado – ma, si badi, per i soli fatti commessi antecedentemente alla data di entrata in vigore della legge - di chiedere alla Sezione d’appello, in sede di impugnazione, che il procedimento venga definito mediante il pagamento di una somma non inferiore al dieci per cento e non superiore al venti per cento del danno quantificato nella sentenza.

 

La Sezione, con decreto in camera di consiglio, sentito il Procuratore competente, delibera in merito alla richiesta e, in caso di accoglimento, determina la somma dovuta in misura non superiore al trenta per cento del danno quantificato nella sentenza di primo grado, stabilendo il termine per il versamento. Il giudizio di appello si intende definito a decorrere dalla data di deposito della ricevuta di versamento presso la segreteria della sezione di appello.

La formulazione della norma – che ha apparentemente lo scopo di rimediare alle difficoltà che le amministrazioni incontrano a recuperare, nei confronti dei condannati, i crediti risarcitori derivanti dalle sentenze della Corte dei conti, ma a cui non sfuggono anche meno nobili logiche, per cosi dire, “premiali” nei confronti della classe politica o ad essa attigua – appare assai approssimativa, rendendone difficile l’interpretazione, che sarà – come al solito – demandata interamente alla giurisprudenza, con il pericolo di possibili soggettivismi.

Non si comprende, ad esempio, la correlazione tra la richiesta della parte privata di “transigere” nella misura massima del venti per cento e la possibilità per il giudice di seconde cure di accoglierla entro il trenta, con buona pace del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c.

Ancora, non è dato capire l’ambito di discrezionalità entro cui la Sezione d’appello potrà spaziare per valutare se concedere o meno il beneficio di legge. Una prima interpretazione va nel senso che essa dovrebbe unicamente prendere atto del rispetto delle condizioni procedurali per l’ammissibilità della domanda; altra esegesi impone di ritenere ampiamente discrezionale l’uso del potere da parte del giudice di seconde cure, che dovrebbe astenersi dall’esercitarlo nei casi più eclatanti (es. dolo, reati particolarmente gravi, gravissima incuria, ecc.).

Sicuramente da apprezzare è, comunque, la scelta del legislatore di subordinare la concessione del beneficio all’effettivo pagamento, comprovato in giudizio, del debito risarcitorio nella misura colà determinata.

Quanto alla innovazione di cui alla lett. b), essa è contenuta nel comma 175 dell’articolo unico della finanziaria, secondo cui “…Al fine di realizzare una più efficace tutela dei crediti erariali, l'articolo 26 del regolamento di procedura approvato con regio decreto 13 agosto 1933, n. 1038 si interpreta nel senso che il procuratore regionale della Corte dei conti dispone di tutte le azioni a tutela delle ragioni del creditore previste dalla procedura civile, ivi compresi i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale di cui al libro sesto, titolo terzo, capo quinto del codice civile…”.

Trattasi di una disposizione avente dubbia natura di interpretazione autentica che concretamente comporta la possibilità del p.m. contabile di esperire l’azione revocatoria ordinaria e quella surrogatoria (quest’ultima di scarso peso pratico, in verità).

In linea di massima, la modifica sarebbe di per sé assai apprezzabile, laddove consente di superare i noti limiti del sequestro conservativo ai fini della tutela del credito erariale risarcitorio, limiti rappresentati dalla necessaria sussistenza di un qualche bene attualmente presente nel patrimonio del responsabile che, però, potrebbe spogliarsene in vista di una sua condanna. Con l’azione revocatoria sarà, dunque, possibile rendere inopponibili all’amministrazione gli atti di disposizione patrimoniale assunti in precedenza, qualora se ne dimostri la frode (art. 2901 c.c.)

Peccato che, nella fretta, il legislatore abbia completamente omesso di indicare la procedura da seguire (ed il giudice competente a decidere) della suddetta istanza. Sarà il giudice ordinario? Sarà quello contabile? Potrà il p.m. contabile presentarsi innanzi al giudice civile per perorare l’istanza, ovvero interverrà in sua sostituzione il p.m. ordinario, in virtù del c.d. principio di unitarietà delle funzioni del pubblico ministero? E se l’istanza va decisa dalla Corte dei conti, si adotterà il rito cautelare previsto per il sequestro o la procedura ordinaria?

Ai posteri (e ai giudici, soprattutto delle Sezioni Unite della Cassazione) l’ardua sentenza.


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