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n. 6/2008 - ©
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PAOLO JORI
(Avvocato - Regione Lazio)
La responsabilità degli organi di governo
e dei
dirigenti nell’ordinamento vigente
Sommario: 1. La responsabilità amministrativa: principi generali ed ambiti di applicazione. – 2. La responsabilità amministrativa degli organi di governo. – 3. Le diverse tipologie di responsabilità dei dirigenti verso la pubblica amministrazione . – 4. La dirigenza pubblica nell’ordinamento vigente: criticità della normativa vigente e soluzioni “de jure condendo”.
La responsabilità amministrativa: principi generali ed ambiti di applicazione
La responsabilità amministrativa tutela l’interesse delle pubbliche amministrazioni ad essere risarcite dei danni prodotti dagli amministratori e dai dipendenti pubblici nell’esercizio delle loro funzioni; essa concerne sia le fattispecie di danno causate direttamente dai dipendenti pubblici; sia i danni costituiti dai pagamenti che l’ente pubblico abbia dovuto corrispondere, a titolo di risarcimento, ai terzi danneggiati, in virtù di atto o fatto imputabile del dipendente. [1]
La definizione dell’istituto è utile in quanto evidenzia le peculiarità della responsabilità amministrativa rispetto alle tradizionali categorie di responsabilità: a differenza della responsabilità civile che tutela le situazioni soggettive dei soggetti privati, soggetto attivo della responsabilità amministrativa è la pubblica amministrazione; inoltre i soggetti passivi possono essere solo gli amministratori e i dipendenti pubblici. [2]
Sull’argomento è intervenuta la sentenza della Corte dei Conti, sezione II giurisdizionale centrale 4 marzo 2008 n. 94, che ha confermato l’orientamento già espresso dalla Corte di Cassazione, sezioni unite civili, secondo cui la giurisdizione della Corte dei conti si estende, oggi, anche nei confronti di amministratori e dipendenti di enti pubblici economici e di aziende municipalizzate; secondo i giudici contabili, la giurisdizione dei giudizi di responsabilità è indipendente dal quadro di riferimento di diritto pubblico o privato nel quale si colloca la condotta produttiva del danno. [3]
A differenza della responsabilità penale la quale è preordinata, in via prioritaria, alla repressione e alla prevenzione dei reati, la funzione prevalente della responsabilità amministrativa consiste nella tutela risarcitoria.
La specialità della responsabilità amministrativa rispetto alle altre forme di responsabilità si riflette, logicamente, nella specialità della sua disciplina, che caratterizza sia il versante processuale, sia l’ambito sostanziale.
Per quanto concerne il primo profilo, la responsabilità amministrativa, differentemente dalla disciplina della responsabilità civile e penale, è sottratta alla giurisdizione ordinaria ed è devoluta alla giurisdizione della Corte dei Conti, che costituisce un giudice speciale..
Ai sensi dell’articolo 103 della Costituzione, secondo comma, la Corte dei Conti ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalle leggi; pertanto, se per la Costituzione vigente la Corte dei Conti è giudice naturale dei giudizi di contabilità pubblica, l’attribuzione alla magistratura contabile della responsabilità amministrativa costituisce una libera scelta del legislatore. [4]
Sempre con riguardo all’ambito processuale, il giudizio di responsabilità amministrativa è caratterizzato dall’indisponibilità dell’azione, la quale è finalizzata alla tutela del patrimonio delle amministrazioni pubbliche mediante il risarcimento per equivalente del danno.
Il processo di responsabilità amministrativa ha, dunque, carattere inquisitorio, considerata l’obbligatorietà e l’indisponibilità dell’esercizio del potere di azione che trascende la volontà delle parti e dell’organo requirente.
L’azione di responsabilità è esercitata dal Procuratore regionale della Corte dei Conti; hanno obbligo di denuncia del danno erariale sia gli organi di vertice dell’amministrazione, sia i funzionari che vengano a conoscenza di un fatto produttivo di danno erariale; sia gli organi di revisione e controllo, come gli organi di revisione e i servizi ispettivi e gli uffici dell’amministrazione preposti al controllo di regolarità amministrativa e contabile. [5]
Le norme di contabilità pubblica prevedono che rispondono del danno erariale gli organi che hanno disatteso gli obblighi di denuncia, sempre che il danno sia conseguenza del ritardo o dell’omessa denuncia; in questi casi l’azione è proponibile entro cinque anni dalla data di omessa denuncia o ritardo.
Non sono invece tenuti all’obbligo di denuncia del danno erariale alla Corte dei conti gli organi titolati degli altri controlli interni che sono disciplinati dal decreto legislativo n. 286 del 1999, ossia gli uffici preposti al controllo strategico, al controllo di gestione e alla valutazione dei dirigenti; infatti questi controlli sono finalizzati a collaborare con gli uffici di amministrazione attiva al fine di conseguire gli obiettivi di efficacia, efficienza ed economicità degli enti pubblici.
Le norme sul processo amministrativo prevedono, inoltre, che in fase pregiudiziale il Procuratore regionale notifichi al soggetto indagato un invito a dedurre; tale atto assolve alla funzione di instaurare, già in fase pregiudiziale, una dialettica tra le eventuali future parti processuali, al fine di consentire al titolare dell’azione di acquisire ogni elemento utile all’indagine e all’indagato di presentare, entro un termine non inferiore a trenta giorni dal ricevimento dell’invito, le proprie deduzioni mediante memorie, documenti o audizione personale.
Proprio perché assolve ad una funzione di garanzia per il soggetto sottoposto alle indagini l’atto di citazione adottato in mancanza di invito a dedurre è inammissibile, anche se può sempre essere rinnovato qualora sia fatto precedere dall’invito, entro i termini di prescrizione previsti dalla legge.
Secondo la Corte dei Conti, nei processi di responsabilità amministrativa, la fase di formazione della prova che precede il dibattimento non necessità di contraddittorio, in quanto il principio posto dall’articolo 111, quarto comma, della Costituzione, si riferisce espressamente al processo penale: ciò non lede, comunque, i diritti della difesa, poiché il presunto responsabile del danno conserva la possibilità di far valere le proprie argomentazioni nella fase predibattimentale, attraverso le controdeduzioni e mediante l’audizione personale. [6]
I poteri istruttori dell’organo requirente, anteriormente all’atto di citazione, sono svincolati da ogni formalismo e finalizzati alla valutazione dei presupposti per la chiamata in giudizio; il procuratore regionale può disporre l’esibizione od il sequestro dei documenti, ispezioni ed accertamenti presso la P.A. o presso terzi, perizie e consulenze, audizioni personali.
L’organo requirente può, inoltre, chiedere al Presidente di sezione competente l’applicazione di misure cautelari, come il sequestro conservativo anche contestualmente all’invito a dedurre; il Presidente provvede con decreto motivato con cui fissa anche, entro 45 giorni, l’udienza di comparizione delle parti davanti al giudice designato per la pronuncia sulla misura cautelare; in udienza il giudice designato, con propria ordinanza, conferma modifica o revoca i provvedimenti disposti dal Presidente di sezione.
La Corte dei Conti, sezione I giurisdizionale centrale di appello, ha osservato che l'invito a dedurre non instaura il contraddittorio tra la parte pubblica e il soggetto indagato, ma consente a quest'ultimo una difesa avanzata delle proprie ragioni, attraverso deduzioni intese a ampliare e dimensionare la fase istruttoria con la introduzione degli elementi dal medesimo prospettati; pertanto, all'esito della istruttoria, il Procuratore regionale deve valutare se sussistono o meno gli elementi per emettere l'atto di citazione e in caso affermativo può solo enunciare gli elementi che reputa costitutivi della responsabilità. [7]
L’invito a dedurre può, anche, costituire in mora il destinatario e interrompere la prescrizione, sempre che contenga gli elementi necessari a tali fini. [8]
Il Procuratore regionale deve emettere l’atto di citazione entro 120 giorni dalla scadenza del termine di cui sopra, salvo eventuali proroghe, oppure nei successivi 45 giorni deve disporre l’archiviazione.
Nel processo di responsabilità il procuratore regionale e il collegio giudicante conservano ampi poteri istruttori; la Corte può avvalersi di consulenti tecnici e può anche delegare gli adempimenti istruttori ai funzionari dell’amministrazione pubblica; i provvedimenti istruttori sono adottai con ordinanza; negli altri casi la Corte pronuncia con sentenza che è adottata in camera di consiglio. [9]
Il processo di responsabilità amministrativa presenta, inoltre, altre peculiarità che sono riconducibili alla funzione tipica dell’istituto, il quale appare, nell’attuale contesto normativo, sempre più finalizzato a contemperare due opposti interessi: la tutela del patrimonio pubblico e la salvaguardia della assunzione di responsabilità dei pubblici dipendenti. [10]
In particolare, l’interesse pubblico all’assunzione di responsabilità dei dipendenti si rivela strumentale al perseguimento degli obiettivi di buon andamento, efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa; il conseguimento di tali obiettivi potrebbe, in concreto, essere vanificato dalla paura dei pubblici dipendenti di incorrere in fattispecie di responsabilità, soprattutto nei procedimenti caratterizzati da elevata discrezionalità e da un oggettiva difficoltà d’interpretazione dei presupposti giuridici e delle circostanze di fatto.
L’accertamento della responsabilità amministrativa non assume dunque un carattere rigoroso in quanto il legislatore, consapevole della necessità di evitare la paralisi amministrativa nei procedimenti che presuppongono un elevata assunzione di responsabilità dei dipendenti, ha introdotto nel processo innanzi alla Corte dei Conti alcuni istituti peculiari che si traducono nell’esercizio del potere riduttivo e nella facoltà della magistratura contabile di ridurre, in appello, la misura del risarcimento stabilità nel primo grado di giudizio.
Nell’esercizio del potere riduttivo il giudice contabile deve stabilire l’importo del risarcimento tenendo conto di tutte le circostanze oggettive e soggettive che hanno fatto da contorno alla condotta dell’agente che ha determinato l’evento dannoso, come le disfunzioni amministrative o il concorso di terzi nella produzione del danno.
L’articolo 3 legge n. 639 del 1996 prevede inoltre che, fermo restando il potere di riduzione, nel giudizio di responsabilità deve tenersi conto dei vantaggi comunque conseguiti dall’amministrazione o dalla comunità amministrata in relazione al comportamento degli amministratori o dei dipendenti pubblici soggetti al giudizio di responsabilità.
La legge finanziaria dello Stato del 2006, articolo 1 commi 231- 233, ha previsto che i soggetti già condannati nei giudizi di responsabilità possano chiedere alla competente sezione di appello che il procedimento venga definito, in sede di impugnazione, mediante il pagamento di una somma ridotta del danno quantificato dalla sentenza di primo grado; in tali casi il giudice delibera in merito alla richiesta con decreto in camera di consiglio, sentito il procuratore competente.
La Corte Costituzionale, con ordinanza 30 aprile 2008 n. 8 e con sentenza 12 giugno 2007 n. 183, ha dichiarato non fondate e inammissibili le questioni di legittimità costituzionale concernenti le norme della legge finanziaria sopraindicata; secondo la Consulta le disposizioni impugnate poiché prevedono l’accoglimento dell’istanza di definizione in appello solo se il giudice – avuto riguardo ai criteri in base ai quali egli forma la propria decisione – ritenga congrua una condanna entro il limite del trenta per cento del danno addebitato al responsabile nella sentenza di primo grado, non limitano la valutazione di merito del giudice contabile e non comportano alcuna deroga al sistema della responsabilità amministrativa.
Per la Corte Costituzionale, tali disposizioni si collocano nell’ambito del sistema tradizionale della responsabilità amministrativa, in cui al giudice è affidato il compito di determinare e costituire il debito risarcitorio, stabilendo quanta parte del danno prodotto deve ritenersi risarcibile in relazione all’intensità della colpa del responsabile, la quale deve essere valutata tenendo conto delle circostanze di fatto in cui si è svolta l’azione. [11]
La regola del procedimento monitorio, che in presenza di determinate condizioni può essere applicato nei processi di responsabilità amministrativa, appare invece ispirata alla esigenza di alleggerire il contenzioso; questo procedimento si applica nelle ipotesi che l’addebito non superi il limite di valore corrispondente a 5 milioni delle vecchie lire: in queste fattispecie, qualora ritenga di poter ridurre l’importo del risarcimento dovuto, il presidente o il consigliere da lui delegato determina in calce all’atto di citazione la minor somma da pagare all’erario, fissando il termine per l’accettazione del convenuto; in caso di accettazione, il presidente dispone la cancellazione della causa dal ruolo e contestualmente emette ordinanza di pagamento della somma dovuta, avente valore di titolo esecutivo.
Le norme che regolano i rapporti dei giudizi di responsabilità amministrativa con i procedimenti pendenti innanzi al giudice penale ed il giudice amministrativo sono finalizzate ad assicurare, nel rispetto dei limiti previsti dall’ordinamento giuridico, la reciproca indipendenza dei diversi processi: la Corte dei Conti nel giudizio di responsabilità può dichiarare l’illegittimità di un atto amministrativo produttivo di danno, ma solo in via incidentale, con efficacia limitata alla causa pendente; del resto il giudice contabile, per formulare il proprio giudizio, non può non deliberare sull’antigiuridicità del comportamento del convenuto, che può presupporre una valutazione sulla legittimità dell’atto amministrativo. [12]
Per quanto concerne i rapporti del processo di responsabilità amministrativa con il giudizio civile, la Corte di Cassazione ha affermato il principio che la giurisdizione della Corte dei Conti è esclusiva, nel senso che è l'unico organo giudiziario che può decidere nelle materia devolute alla sua cognizione. [13]
Riguardo ai rapporti tra giudizio di responsabilità e processo penale, da una parte il giudice contabile non può discostarsi nella ricostruzione della fattispecie di fatto da quanto accertato nel giudizio penale; dall’altra, la magistratura penale deve limitarsi, in sede di condanna per responsabilità da danno, ad una formulazione generica della sussistenza di questo, dovendo declinare la propria competenza giurisdizionale verso la Corte dei Conti, la quale determinerà il “ quantum”, secondo le regole peculiari del proprio processo.
Con la sentenza 13 luglio 2007 n. 272, la Corte Costituzionale ha osservato che nei rapporti fra responsabilità civile da danno azionata in sede penale e responsabilità amministrativa si applica l’articolo 538 del codice di procedura penale, il quale limita la giurisdizione del giudice penale in sede di pronuncia sul risarcimento del danno alla sola condanna generica dell’imputato, senza dar luogo a questioni di pregiudizialità tra i diversi giudizi: con questa pronuncia la Consulta ha confermato la giurisdizione esclusiva della Corte dei Conti in materia di determinazione puntuale del danno da responsabilità amministrativa. [14]
Secondo la giurisprudenza contabile, la sentenza penale di applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p. costituisce un indiscutibile elemento di prova per il giudice di merito, il quale ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, deve spiegare le ragioni per cui l'imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità, ed il giudice penale avrebbe prestato fede a tale ammissione; per la Corte dei Conti, gli elementi raccolti nel corso del procedimento penale appaiono ben più che sufficienti a ritenere accertati i fatti materiali oggetto di indagine penale, in mancanza di prova contraria. [15]
Per quanto concerne i limiti del giudicato della magistratura contabile, la Corte dei Conti ha recentemente stabilito che l’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali non comporta la sottrazione di tali scelte ad ogni possibilità di controllo e non priva la Corte della possibilità di verificare la conformità della legge all’attività amministrativa, anche sotto l’aspetto della congruenza dei singoli atti compiuti rispetto ai fini imposti dal legislatore. [16]
La giurisdizione della Corte dei Conti non può sindacare, nel merito le scelte discrezionali degli enti pubblici; tuttavia, questa previsione non vale a limitare la giurisdizione della Corte alla verifica dei requisiti di pura legittimità dell'azione amministrativa, poiché la conformità alla legge presuppone anche il rispetto dei criteri di economicità ed efficacia, i quali sono previsti dall’articolo 1 della legge n. 241 del 1990 e costituiscono una specificazione dei principi sanciti dall'articolo 97 della Costituzione.
Secondo la Corte dei Conti, la conformità alla legge dell’azione amministrativa comporta che la correttezza della stessa deve sostanziarsi non solo nella scrupolosa osservanza dei parametri legali, ma deve essere assolutamente funzionale al raggiungimento degli scopi istituzionali, sicché un esauriente giudizio non può prescindere da un esame della congruenza del costo finanziario delle decisioni amministrative; pertanto, rientrano nella giurisdizione contabile quelle scelte amministrative discrezionali che, per assoluta superficialità, contraddittorietà o inidoneità della soluzione adottata, si pongano come elementi prodromici di una fattispecie dannosa. [17]
Le sezioni unite della Cassazione hanno osservato che l'illegittimità dell'atto amministrativo, nel giudizio per danno erariale, rappresenta uno degli elementi della più complessa fattispecie di responsabilità contabile; di tale illegittimità, quindi, il giudice contabile conosce ai soli fini del giudizio per danno erariale onde valutare, unitamente agli altri elementi della fattispecie, la sussistenza della responsabilità dell'agente; non certo ai fini dell'annullamento dell'atto, che è riservato ai poteri dell’amministrazione o del giudice amministrativo.
Secondo la Suprema Corte, resta priva di diretta rilevanza nel giudizio contabile persino la circostanza che l'atto sia stato ritenuto legittimo in sede di controllo, o anche dallo stesso giudice amministrativo; questo non comporta che la magistratura contabile non possa e non debba verificare la compatibilità delle scelte amministrative con i fini dell'ente pubblico sotto il profilo del corretto esercizio della discrezionalità, fermando in tal modo il proprio sindacato sulla soglia della legittimità senza penetrare nel merito delle scelte riservate all’amministrazione. [18]
La disciplina sostanziale della responsabilità amministrativa presenta importanti deroghe all’impianto della responsabilità civile, sia contrattuale che extracontrattuale: le regole sull’imputabilità assoggettano alla responsabilità solo i funzionari e amministratori pubblici che abbiano agito, nell’esercizio delle proprie funzioni, con dolo o colpa grave: questa tipologia di colpa costituisce il criterio minimo di imputabilità e si sostanzia in una rilevante e macroscopica violazione dei doveri di ufficio o di servizio alla luce dei criteri di obiettiva diligenza professionale che devono essere individuati sulla base delle mansioni in concreto espletate, delle attitudini e capacità del dipendente e del contesto in cui si è svolta l’azione dell’agente; la colpa grave integra, pertanto, gli estremi di in un comportamento avventato e di straordinaria negligenza.
La Corte Costituzionale, con sentenza 371 del 1998 ha riconosciuto la legittimità di tale previsione che postula l’indifferenziato livellamento di tutti i pubblici dipendenti ai fini dell’imputabilità della responsabilità amministrativa e contabile, poiché essa si modella sulla riforma del pubblico impiego che è finalizzata alla valorizzazione dei risultati dell’attività amministrativa. [19]
Le norme sull’imputabilità sono finalizzate a contemperare l’interesse dell’amministrazione pubblica al risarcimento con il buon andamento degli enti pubblici che presuppone il fluido svolgimento dell’attività amministrativa. [20]
Un ulteriore deroga alla responsabilità civile è rappresentata dalla intrasmissibilità agli eredi del danno erariale, ad eccezione dei casi di illecito arricchimento del dante causa e conseguente indebito arricchimento degli eredi medesimi.
Questa norma deroga le regole del diritto civile che riuniscono nell’eredità il complesso dei rapporti giuridici, attivi e passivi, del de cuius, le quali si fondano sul principio di continuità che caratterizza la successione a titolo universale; tale principio non sacrifica in modo forzoso la situazione giuridica soggettiva dell’erede poiché egli conserva la libertà di scelta di accettare o meno l’eredità.
La non trasmissibilità agli eredi del danno erariale costituisce, invece, una norma che può pregiudicare l’effettività della responsabilità amministrativa e che ne compromette la sua funzione risarcitoria.
Anche la parzialità dell’obbligazione del risarcimento del danno, secondo cui, se il fatto dannoso è stato commesso da più persone, la Corte valuta le singole responsabilità e condanna ciascuno per la parte che vi ha preso, costituisce una deroga al generale principio di sussidiarietà della responsabilità civile. [21]
La norma persegue lo scopo di assoggettare all’obbligo del risarcimento il dipendente, nella misura corrispondente all’entità della sua partecipazione alla produzione del danno; è evidente come, anche in questo caso, l’interesse pubblico ad ottenere il risarcimento integrale sia limitato dalla finalità di evitare la paralisi dell’azione amministrativa.
L’articolo 3 comma 1 bis della legge n. 639 del 1996 prevede nel giudizio di responsabilità, fermo restando il potere di riduzione, la compensatio lucri cum damno ossia che il giudice tenga conto, nella liquidazione del danno, dei vantaggi comunque conseguiti dall’amministrazione o dalla comunità in relazione al comportamento dei dipendenti o amministratori pubblici convenuti.
Tale norma presenta profili di analogia con l’istituto della compensazione civile che consente al debitore di compensare il proprio debito con i crediti che egli vanta; tuttavia l’analogia è solo apparente, poiché il dipendente pubblico è tenuto, per ragioni di servizio, a svolgere la propria attività a favore dell’amministrazione.
Anche in questo caso l’istituto della responsabilità amministrativa si preoccupa di contemperare l’esigenza del ristoro del danno subito dall’amministrazione con l’interesse a non compromettere il buon andamento della pubblica amministrazione.
L’articolo 1 ter della legge. 639 del 1996 prevede che nelle deliberazioni degli organi collegiali la responsabilità si imputa solamente a coloro che hanno espresso voto favorevole; tale previsione non tiene conto della particolare natura degli organi collegiali i quali, pur se costituiti da una pluralità di persone fisiche, esprimono e manifestano un'unica volontà; questa norma, al contrario, non considera la volontà dell’organo collegiale in modo unitario, e si rivela contraddittoria con le altre disposizioni dell’ordinamento.
Lo stesso articolo della legge sopra citata prevede l’esenzione della responsabilità amministrativa per i titolari di funzioni politiche che abbiano approvato o consentito l’esecuzione di atti rientranti nella competenza degli uffici tecnici ed amministrativi; ciò in sintonia con il vigente ordinamento amministrativo che contempla la separazione tra la funzione d’indirizzo politico e la funzione amministrativa cui viene ricondotta le responsabilità della gestione. [22]
Tuttavia nella pratica tale separazione non può dirsi pienamente realizzata e gli organi di governo, conservano il potere di condizionare le scelte gestionali dei dirigenti; ciò avviene in quanto la disciplina preposta all’affidamento e alla valutazione degli incarichi dirigenziali si rivela insufficiente ad assicurare l’effettiva indipendenza della funzione dirigenziale.
Le nuove norme sull’ordinamento della Corte dei Conti contengono, anche, l’estensione della responsabilità amministrativa alle fattispecie di danno derivante a pubbliche amministrazioni diverse da quella di appartenenza dell’agente; tale norma, che presuppone un concetto unitario ed esteso di pubblica amministrazione, non fa venir meno il presupposto necessario per l’insorgenza della responsabilità amministrativa, che è costituito dall’esistenza, in capo al convenuto, di un rapporto di servizio o di ufficio con un ente pubblico.
Per quanto riguarda i profili di danno che possono rilevare nei giudizi di responsabilità amministrativa, la giurisprudenza della Corte dei Conti riconosce la risarcibilità del danno patrimoniale indiretto, cioè di quel danno che pur non comportando una diretta diminuzione patrimoniale si produce in via indiretta per i maggiori costi che la P.A. deve sostenere per porre rimedio alla grave perdita di prestigio e alla significativa lesione all’immagine conseguente al fatto lesivo posto in essere dai pubblici dipendenti.
La Corte dei Conti, I° sezione giurisdizionale centrale di appello, con la sentenza 14 gennaio 2008 n. 24 ha ricondotto il diritto delle pubbliche amministrazioni alla tutela della propria immagine nell'ambito dei principi contenuti nell’articolo 97 della Costituzione; secondo questa impostazione, il danno all'immagine si configura come danno-evento, e non già come danno-conseguenza, per cui non è necessario che si sia verificata una deminutio patrimonii, ma è sufficiente la sussistenza di un fatto intrinsecamente dannoso, lesivo degli interessi primari protetti in modo immediato dall'ordinamento giuridico; pertanto, le spese eventualmente già sostenute per il ripristino dell'immagine dell'ente pubblico non costituiscono un elemento essenziale all'esistenza del danno; esse possono, semmai, costituire un ulteriore elemento di danno patrimoniale.
Così è stato sostenuto che l’aver conseguito illecitamente delle utilità personali, sottoforma di tangenti, arreca di per sé un danno alla personalità dell’ente, a prescindere dalla influenza che ne sia concretamente derivata sullo svolgimento dell’attività amministrativa; tale pregiudizio non è suscettibile di risarcimento, ma di riparazione in termini economici,poiché lede posizioni soggettive costituzionalmente protette. [23]
La Corte dei Conti ha, anche, ravvisato la sussistenza della responsabilità amministrativa nella condotta omissiva dei pubblici dipendenti che, in presenza di ritardo o di pagamenti parziali dei canoni costituenti il corrispettivo di una concessione, non hanno attivato le necessarie azioni per la tutela delle posizioni dell’ente pubblico. [24]
Nella stessa sentenza è stato ritenuto indice di condotta gravemente negligente, irresponsabile e disattenta agli interessi dell'ente amministrato, quella riferibile ai pubblici dipendenti i quali, pur in presenza di una clausola diretta a garantire la corretta manutenzione e gestione di un stabilimento di proprietà pubblica, anche ai fini della restituzione del bene in un buono stato conservativo, hanno omesso di valersi della garanzia medesima.
Le sezioni riunite della Corte dei Conti sono intervenute, con la sentenza 27 dicembre 2007 n. 12, in materia di illegittimo indebitamento di un ente pubblico, stabilendo che ai fini della sussistenza della fattispecie sanzionatoria prevista dall’articolo 30 comma 15 della legge n. 289 del 2002, è necessario che l’indebitamento sia portato ad esecuzione mediante la stipula del contratto di mutuo; in questa occasione, le sezioni riunite hanno anche chiarito che destinatario della sanzione è l’ente in cui prestano servizio i dipendenti condannati, essendo essa finalizzata al ristoro del bene-valore che è stato leso dalla loro condotta, il quale si individua nell’equilibrio di bilancio dell’ente pubblico di appartenenza.
La responsabilità amministrativa degli organi di governo
L’articolo 28 della Costituzione contiene la norma su cui si fonda la responsabilità amministrativa dei funzionari e dei dipendenti pubblici; questa norma ha carattere generale, poiché si applica agli organi di governo e a tutti gli organi della pubblica amministrazione; inoltre essa enuncia un principio fondamentale del nostro ordinamento, che non può essere disatteso dalla legislazione ordinaria. [25]
Per determinare gli ambiti entro cui può trovare effettiva attuazione il principio di responsabilità amministrativa degli organi di governo, è necessario coordinare questa disposizione con le norme che sanciscono la separazione delle competenze tra le attività d’indirizzo politico e di controllo, e l’attività amministrativa e gestionale; le prime, com’è noto, sono attribuite alla responsabilità degli organi di governo; l’attività amministrativa e la gestione sono, invece, di competenza dei dirigenti. [26]
Poiché la responsabilità discende, come conseguenza naturale, dall’esercizio della competenza, nell’ordinamento vigente gli organi di governo sono, in via principale, responsabili della determinazione dell’indirizzo politico e non sono soggetti alla responsabilità amministrativa e contabile, tranne alcune eccezioni. [27]
La determinazione dell’indirizzo politico si sostanzia attraverso alcuni atti tipici, distinti nel genere, i quali hanno una caratteristica comune: sono atti aventi contenuto teleologico, che individuano i fini dell’attività amministrativa, come leggi, gli atti normativi, di pianificazione e di programmazione, le direttive generali dell’attività amministrativa e gli altri atti che assegnano gli obiettivi strategici agli organi responsabili della gestione.
Tali atti tipici, hanno, in gran parte, carattere generale; pertanto non possono costituire autonome fattispecie di danno erariale, a differenza dei provvedimenti amministrativi i quali sono abilitati ad incidere sulle singole situazioni giuridiche soggettive.
I dirigenti sono, invece, responsabili dell’attuazione dell’indirizzo politico ossia della determinazione delle modalità di conseguimento dei fini e degli obiettivi dell’attività amministrativa.
Pertanto, da una parte le fattispecie di responsabilità amministrativa dei dirigenti risultano notevolmente aumentate, in parallelo con lo sviluppo delle attività aventi carattere discrezionale; dall’altra, la responsabilità amministrativa degli organi di governo si rivela limitata alle ipotesi, di scuola, di indebita ingerenza degli organi politici nelle attività di gestione e agli illeciti in materia di assegnazione di incarichi esterni e di incarichi di studio, ricerca e consulenza. [28]
Con ordinanza 27 febbraio 2008 n. 5083 la Corte di Cassazione,sezioni unite civili, ha affermato la giurisdizione della Corte dei Conti nel giudizio di responsabilità amministrativa promosso nei confronti di un Assessore regionale che aveva imposto, ad una società partecipata dalla regione, indirizzi incompatibili con il perseguimento di un risultato positivo di esercizio e che non aveva adottato le iniziative necessarie ad impedire le perdite, previste dalle leggi.
In questa ordinanza la Suprema Corte ha osservato che il giudizio di responsabilità era stato promosso, nei confronti dell’Assessore, per il comportamento da egli assunto nell’esercizio di attività amministrative, confermando così che ai fini della sussistenza della responsabilità amministrativa non rileva la qualità soggettiva dell’organo, bensì la natura delle funzioni in concreto esercitate. [29]
Con la sentenza 21 dicembre 2005 n. 447 la Corte dei Conti, sezione giurisdizionale regionale dell’Umbria, ha affrontato il tema della responsabilità amministrativa derivante dall’utilizzo delle collaborazioni coordinate e continuative nella pubblica amministrazione: il giudice, nell’effettuare la qualificazione normativa della fattispecie, ha recepito l’orientamento espresso dalle Sezioni Riunite della Corte dei Conti, con delibera n. 6 del 15 febbraio 2005, secondo cui i rapporti di co.co.co. costituiscono una posizione intermedia tra il lavoro autonomo, proprio dell’incarico professionale ed il lavoro subordinato; pertanto, la Corte, ha escluso, per tali rapporti, l’applicazione della disciplina prevista dai commi 11 e 42 dell’articolo 1 della legge finanziaria del 2005. [30]
La sentenza in esame ha evidenziato che, in base alla disciplina all’epoca vigente, i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa erano utilizzabili per le esigenze ordinarie proprie del funzionamento delle strutture amministrative, osservando, altresì, che le esigenze ordinarie devono essere distinte dalle esigenze istituzionali durature, aventi carattere di stabilità, che devono essere più opportunamente soddisfatte con un'adeguata politica di gestione e di programmazione del personale e della relativa attività di formazione e/o di mobilità, ai sensi dell'art. 6 del D.L.vo n. 165/2001.
La Corte, dopo aver dichiarato la legittimità, nella fattispecie in esame, del rapporto di lavoro a tempo determinato del personale esterno all’amministrazione, ha argomentato in merito alla risarcibilità del danno osservando che il pregiudizio erariale deve essere quantificato non nell'intera spesa sostenuta per le attività svolte in favore dell’amministrazione pubblica, ma solo nelle maggiori somme erogate per tali attività; pertanto, ha statuito che non sussiste danno quando la retribuzione stabilita per un contratto di collaborazione coordinata e continuativa rientra nei limiti contrattuali previsti per un normale rapporto di lavoro a tempo determinato, così come avviene quando la retribuzione versata corrisponde a quella di una professionalità interna all'Ente, omologa a quella individuata nel predetto contratto. [31]
Con la sentenza 2 aprile 2008 n. 122, la Corte dei Conti, sezione giurisdizionale centrale di appello della Regione Sicilia, ha affermato che il Sindaco non può conferire a soggetti estranei all'amministrazione incarichi che abbiano ad oggetto non attività rilevanti ai fini dell'esercizio delle sue specifiche attribuzioni, ma lo svolgimento di attività di gestione affidate per legge agli uffici amministrativi. [32]
In questa pronuncia la Corte dei Conti ha evidenziato come, in presenza dei limiti di spesa posti dal legislatore a salvaguardia dell’equilibrio di bilancio, è sufficiente che la spesa si effettui contra legem perché si realizzi il danno, con la conseguenza che sussiste anche la colpa grave quando viene posto in essere un comportamento in totale violazione di una norma di facile interpretazione, senza che dalla motivazione degli atti risulti la minima attenzione agli effetti sostanziali ed economici scaturenti dalle determinazioni adottate; secondo la Corte, in presenza di tali comportamenti, non sussistono neppure le condizioni per l'uso del potere riduttivo da parte del giudice.
Sempre in tema di responsabilità amministrativa conseguente all’affidamento di incarichi esterni alle amministrazioni pubbliche, si è pronunciata la Corte dei Conti, sezione II° giurisdizionale centrale di appello, sentenza 22 aprile 2002 n. 137.
In via pregiudiziale la Corte ha osservato che Il dies a quo del periodo quinquennale utile a fini di prescrizione dell’azione di responsabilità amministrativa non può ritenersi limitato alla condotta, ma si deve estendere anche alla realizzazione dell'evento dannoso, cioè al depauperamento dell'amministrazione o dell'ente; inoltre, nelle fattispecie di danno per erogazione di una somma di denaro, la prescrizione comincia a decorrere dal pagamento; solo con il primo pagamento comincia a realizzarsi il danno, e con esso il decorso della prescrizione, ma poiché la situazione antigiuridica viene fatta perdurare nel tempo, essa è continuativamente produttiva di altro e autonomo danno; in sostanza, nelle fattispecie caratterizzate da pagamenti periodici e continuativi, il danno si identifica e si realizza con i singoli pagamenti, soggetti ciascuno ad un proprio termine prescrizionale.
Per quanto concerne l’esame del merito della fattispecie, la Corte parte dall’assunto che ogni ente pubblico, dallo Stato all'ente locale, deve provvedere ai suoi compiti con la propria organizzazione e il proprio personale.
Tale principio, estrapolato dall’articolo 97 della Costituzione e dalla legislazione vigente all’epoca dei fatti, trova, per la Corte, il suo fondamento nel rapporto di strumentaltà dell’organizzazione e del personale delle pubbliche amministrazioni con le funzioni ad esse attribuite.
Secondo questa decisione, la possibilità di far ricorso a personale esterno può essere ammessa solo nei limiti e alle condizioni in cui la legge lo preveda o, in mancanza di previsione normativa, quando sia impossibile provvedere altrimenti ad esigenze eccezionali e impreviste, di natura transitoria.
Pertanto, da una parte la legittima costituzione degli uffici di supporto agli organi di governo non implica, necessariamente, che alla provvista di tali uffici si provveda con personale attinto dall'esterno, dovendosi utilizzare anche per detti uffici di regola il personale in servizio; dall’altra, per valutare la legittimità degli incarichi esterni è necessario considerare il contesto normativo vigente.
Nel caso di specie la Corte ha osservato che gli incarichi esterni si qualificavano per un oggetto amplissimo, esteso ad un intera branca o settore di attività di competenza degli assessori comunali, contravvenendo, così, ad uno dei requisiti previsto dalla normativa vigente, che limitava l’assegnazione degli incarichi esterni ad obiettivi o compiti determinati, coerenti con gli obiettivi fissati dalla medesima amministrazione.
Il giudice contabile ha affermato la responsabilità amministrativa degli organi di governo, ritenendo sussistente il criterio minimo di imputabilità in quanto direttamente riconducibile alla violazione della normativa; per la Corte, la consapevolezza che l’ordinamento non consentiva il conferimento degli incarichi di generica collaborazione all’attività di governo, integra gli estremi della colpa grave, la quale coinvolge il Sindaco, i membri della Giunta e gli altri organi che hanno confortato, con il loro parere favorevole, la messa in atto di un sistema di assegnazione degli incarichi illegittimo. [33]
Tuttavia, la Corte, ha ritenuto di dover far ricorso al potere riduttivo sia perché il personale in servizio era largamente al di sotto della dotazione organica; sia in virtù della particolare situazione in cui la Giunta comunale, all’epoca dei fatti, si trovò ad operare. [34]
L’esercizio del potere riduttivo, secondo questa pronuncia, non attiene al momento della graduazione della colpa, la quale va apprezzata separatamente, e prioritariamente, in sede di esame dell’elemento soggettivo, ma offre la possibilità di tener conto di svariati fattori inerenti alla complessità dei fatti amministrativi.
Per il giudice contabile, è assai arduo limitare il giudizio di responsabilità ai canoni della causalità lineare, essendo l’azione amministrativa spesso legata a condizionamenti e fattori che non mancano di influenzarla in diversa misura; allora, non è escluso che il potere riduttivo risponda anche all’esigenza di ripartire in qualche modo il rischio dell’azione amministrativa fra la stessa amministrazione e gli autori della censurata condotta, la quale può assumere dimensioni incalcolabili: come le norme che limitano la responsabilità ai casi di dolo e colpa grave, il potere riduttivo è finalizzato a nei pubblici amministratori e funzionari atteggiamenti di inerzia e di inefficienza dovuti al timore della responsabilità.
In questa sentenza la Corte ha affrontato anche la problematica relativa al cumulo tra rivalutazione monetaria ed interessi, osservando che nella pratica il cumulo non esiste, in quanto la rivalutazione si arresta al momento della pubblicazione della sentenza, che costituisce il dies a quo degli interessi legali.
I due istituti, peraltro, assolvono a funzioni diverse, in quanto la rivalutazione monetaria è finalizzata a restaurare il patrocinio del soggetto danneggiato, e pertanto si applica ad ogni ipotesi di obbligazione risarcitoria senza che sia necessario dimostrare il maggior danno ex art. 1224 del codice civile; gli interessi legali, invece, hanno la finalità di compensare il creditori per il ritardo che può intercorrere fra l’accertamento del credito, effettuato con la sentenza, e la sua effettiva soddisfazione.
Le diverse tipologie di responsabilità dei dirigenti verso la pubblica amministrazione
I dirigenti pubblici sono soggetti a tre distinte fattispecie di responsabilità nei confronti della pubblica amministrazione: la responsabilità amministrativa, che comprende i danni causati direttamente dal dirigente, nell’esercizio delle proprie funzioni, e i danni derivanti dai pagamenti che l’ente pubblico abbia dovuto risarcire, ai terzi danneggiati, in virtù di atto o fatto imputabile al dirigente; la responsabilità dirigenziale, che scaturisce dall’inadempimento dell’obbligazione contrattuale del dirigente nelle ipotesi di mancato raggiungimento degli obiettivi o di inosservanza delle direttive degli organi di governo; la responsabilità disciplinare, la quale sorge per violazione dei doveri di comportamento e degli obblighi di servizio.
La responsabilità amministrativa dei dirigenti segue le stesse regole che disciplinano la responsabilità amministrativa degli altri dipendenti pubblici; tuttavia, l’elemento soggettivo su cui si fonda l’imputabilità, si modella in rapporto alle funzioni svolte e alla specifica qualificazione professionale: pertanto, un certo comportamento che può non integrare gli estremi della colpa grave per un dipendente di medio livello, può invece assumere la forma più grave di negligenza nel caso in cui venga compiuto da un dirigente nell’esercizio delle proprie funzioni; infatti dai soggetti che rivestono la qualifica dirigenziale ci si attende, per la natura delle competenze esercitate e per le attitudini professionali, una diligenza di grado più elevato rispetto a quella del comune dipendente.
La responsabilità dirigenziale è disciplinata dall’articolo 21 del decreto legislativo n. 165 del 2001; essa deriva direttamente dal contenuto dell’incarico dirigenziale, il quale costituisce un obbligazione di risultato.[35]
Anche se assolvono a finalità diverse, la responsabilità amministrativa e quella dirigenziale possono coesistere; può, anzi, sostenersi, che ogni fattispecie di responsabilità amministrativa, poiché presuppone la colpa grave come criterio minimo di imputabilità, sia in astratto suscettibile di tradursi nella responsabilità dirigenziale, sottoforma di inosservanza delle direttive degli organi politici, o di mancato conseguimento degli obiettivi.
Viceversa, la responsabilità dirigenziale non vale ad integrare, necessariamente, una fattispecie di responsabilità amministrativa, in quanto il mancato raggiungimento degli obiettivi non presuppone la colpa grave del dirigente.
La responsabilità disciplinare è disciplinata dall’articolo 55 del decreto legislativo n. 165 del 2001, dall’articolo 7 della legge n. 300 del 1970, dall’articolo 2106 del codice civile e dai contratti collettivi che determinano la tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni.
Gli ambiti di applicazione della responsabilità disciplinare ai dirigenti sono, in concreto, ristretti, sia perché il rapporto di lavoro dei dirigenti costituisce un obbligazione di risultato, mentre la responsabilità disciplinare rappresenta un elemento tipico del rapporto di lavoro subordinato, il cui contenuto, tradizionalmente, costituisce un obbligazione di mezzi; sia perché nell’ordinamento vigente il dirigente è organo titolare del potere direttivo, più che soggetto sottoposto all’altrui direzione.
Inoltre la responsabilità disciplinare dei dirigenti non può esser fatta valere nelle ipotesi in cui i contratti collettivi dei dirigenti non disciplinano la tipologia delle infrazioni e delle sanzioni applicabili; in questi casi la violazione dei doveri di comportamento dei dirigenti può essere sanzionata solo applicando le norme vigenti in materia di responsabilità dirigenziale.
La Corte dei Conti ha osservato che la rinuncia ad esigere un credito della propria amministrazione si concretizza in un puro atto di liberalità, il quale non è ammissibile, per una amministrazione pubblica, in mancanza di un idoneo interesse pubblico a sostegno della decisione; conseguentemente, la Corte ha dichiarato la responsabilità per danno erariale degli organi che hanno adottato un provvedimento di rinuncia al credito che comportava una minore entrata per le finanze comunali, che nel caso concreto appariva ingiustificata e lesiva della integrità finanziaria dell’amministrazione. [36]
Per il giudice contabile, anche la decisione di ridurre il canone di locazione, se riferita ad un credito già maturato, si atteggia ad atto di ingiustificata liberalità che dimostra una disattenta e riprovevole gestione delle risorse finanziarie pubbliche.
La Corte dei Conti ha, anche, riconosciuto la responsabilità amministrativa degli organi di una ASL nelle fattispecie di avvenuto pagamento, ai dipendenti, di un indennità di coordinamento, in mancanza del concreto espletamento delle relative mansioni; per il giudice contabile sussiste l’assoluta noncuranza dell'interesse pubblico quando, in presenza della piena consapevolezza dell'intento normativo e dei suoi limiti applicativi, viene data esecuzione ad una delibera illecita da parte di soggetti, come i direttori delle ASL, che sono in possesso dei requisiti di professionalità e preparazione culturale specifica nella materia. [37]
Nella circostanza è stata ritenuta non influente, ai fini della sussistenza dell’imputabilità dei dirigenti, l’aver subito pressioni sindacali, poiché, secondo la costante giurisprudenza contabile, il parere o la condotta di altri organi non possono costituire una esimente di responsabilità per gli autori di un comportamento illecito, né possono influire sulla valutazione della gravità della colpa; l’ambiente in cui è maturato il comportamento produttivo di danno può essere valutato solo ai fini dell’esercizio del potere riduttivo della sanzione.
In materia di responsabilità dirigenziale, la Corte Costituzionale ha stabilito che la revoca delle funzioni legittimamente conferite ai dirigenti può essere conseguenza soltanto di una accertata responsabilità dirigenziale, in presenza di determinati presupposti ed all’esito di un procedimento di garanzia puntualmente disciplinato; ha osservato la Consulta, che la revoca degli incarichi dei dirigenti presuppone la presenza di un momento procedimentale di confronto dialettico tra le parti, nell’ambito del quale, da un lato, l’amministrazione esterni le ragioni – connesse alle pregresse modalità di svolgimento del rapporto anche in relazione agli obiettivi programmati dalla nuova compagine governativa – per le quali ritenga di non consentirne la prosecuzione sino alla scadenza contrattualmente prevista; dall’altro, al dirigente sia assicurata la possibilità di far valere il diritto di difesa, prospettando i risultati delle proprie prestazioni e delle competenze organizzative esercitate per il raggiungimento degli obiettivi fissati dall’organo di governo. [38]
Con la sentenza 20 febbraio 2007 n. 3929, Corte di Cassazione, sezione lavoro, è intervenuta a delimitare gli ambiti di responsabilità dirigenziale e gli ambiti di responsabilità disciplinare del dirigente: la Corte ha osservato che i due tipi di responsabilità possono in parte coincidere, in parte essere divergenti, poiché la responsabilità dirigenziale può prescindere da ogni rilevanza dell'elemento soggettivo per quanto riguarda il mancato raggiungimento degli obiettivi, potendo, pertanto,configurarsi come una sorta di responsabilità oggettiva: in tal caso la responsabilità dirigenziale è cosa del tutto distinta da una responsabilità disciplinare, la quale presuppone sempre, quanto meno, la negligenza colpevole del lavoratore.
Quando, però, il mancato raggiungimento degli obiettivi dipende da negligenza o inerzia del dirigente, la responsabilità dirigenziale può coincidere con quella disciplinare; ciò si verifica, ad esempio, quando il dirigente assume posizioni in contrasto con le direttive dell'organo politico.
In tali ultime fattispecie, secondo la Cassazione, non è sufficiente, per escludere il parere del comitato dei garanti, che l’ente pubblico contesti gli addebiti come mancanze disciplinari e non come responsabilità dirigenziale; infatti necessario considerare che la valutazione del comitato dei garanti assolve ad una peculiare funzione di garanzia, costituendo uno strumento di tutela del dirigente contro l’arbitrio o la discrezionalità assoluta degli organi politici. [39]
La Cassazione ha inoltre evidenziato come nel rapporto dirigenziale pubblico non si applica la disciplina del recesso ad nutum propria del diritto privato, poiché la responsabilità dirigenziale comporta tre sbocchi alternativi, graduati a seconda della gravità: l’impossibilità di rinnovo dell’incarico, la revoca dello stesso e il recesso dal rapporto di lavoro.
Per la Suprema Corte, il mancato raggiungimento degli obiettivi e la mancata osservanza delle direttive ricevute certamente incrina la fiducia nelle capacità manageriali del dirigente, ma questa valutazione negativa non porta alla risoluzione del rapporto, come per i dirigenti privati, bensì a sanzioni attinenti al solo incarico dirigenziale, il quale è, di per sé, fungibile e sottratto alla disciplina contenuta nell’articolo 2103 del codice civile; solo le mancanze più gravi, anche attinenti ad ambiti extra lavorativi, possono portare a recedere dal rapporto di lavoro e, con esso, dall'incarico sovrastante.
La disciplina del recesso dal rapporto di lavoro dei dirigenti pubblici non è dunque assimilabile a quella propria dei dirigenti privati, e risulta coerente con la tradizionale stabilità del rapporto di pubblico impiego; seguendo questa impostazione, la Corte di Cassazione ha sostenuto che il recesso illegittimo di un amministrazione nei confronti di un dirigente pubblico, se privo di giusta causa o giustificato motivo soggettivo, determini il diritto del dirigente leso ad essere reintegrato. [40]
Per quanto riguarda il licenziamento disciplinare, le sezioni unite della Corte di Cassazione hanno confermato che anche per i dirigenti pubblici è necessario osservare tutte le garanzie procedurali contenute nell’articolo 7 dello Statuto dei Lavoratori, essendo tale licenziamento idoneo ad incidere sulla sfera morale e professionale del lavoratore e a creare ostacoli o anche impedimenti alle nuove occasioni di lavoro. [41]
L’impianto normativo in materia di responsabilità dei dirigenti pubblici è destinato a mutare, nei prossimi anni, per consentire l’adozione di strumenti nuovi che favoriscano il miglioramento della produttività e della qualità dei servizi erogati dalle pubbliche amministrazioni; nel mese di giugno 2008 il Governo ha presentato un disegno di legge delega che si propone di ottimizzare la produttività del lavoro pubblico. [42]
Il disegno di legge prevede una serie di disposizioni che sono finalizzate a rafforzare l’autonomia gestionale dei dirigenti e ad assicurare l’effettività della responsabilità dirigenziale. [43]
L’articolo 5 contiene principi e criteri direttivi che dovranno essere recepiti dai decreti legislativi: in particolare, prevede una specifica ipotesi di responsabilità del dirigente, in relazione ai poteri di datore di lavoro, nelle ipotesi di omessa vigilanza sulla produttività delle risorse umane assegnate e sull’efficienza della struttura organizzativa; esclude, espressamente, la conferma dell’incarico dirigenziale ricoperto in caso di mancato raggiungimento dei risultati; stabilisce il divieto di corrispondere l’indennità di risultato ai dirigenti, qualora le amministrazioni di appartenenza non abbiano predisposto sistemi di valutazione dei risultati coerenti con i principi contenuti nella legge delega. [44]
Al fine di conseguire il miglioramento della produttività e dell’ efficienza dei pubblici uffici, il disegno di legge in esame prevede la riforma del procedimento disciplinare: il governo viene delegato ad emanare nuove disposizioni, inderogabili dai contratti collettivi, per contrastare i fenomeni di scarsa produttività ed assenteismo. [45]
I decreti legislativi dovranno semplificare le procedure e ad accelerare i termini di conclusione del procedimento, fatta salva la garanzia dell’osservanza del contraddittorio con il pubblico dipendente; ai fini della semplificazione dovranno essere ampliati i poteri disciplinari del dirigente, che potrà erogare sanzioni conservative come la multa o la sospensione del rapporto di lavoro, nel rispetto del principio del contraddittorio.
I decreti legislativi dovranno, anche, prevedere le norme idonee a definire la tipologia delle infrazioni che comportano il licenziamento, tra cui quelle relative a fattispecie di scarso rendimento e alle falsificazioni degli stati di malattia o di presenza in servizio.
Il disegno di legge delega preannuncia, inoltre, nuove fattispecie di responsabilità: prevede, infatti, che i decreti legislativi dovranno:
- contenere procedure e modalità per il collocamento a disposizione e il licenziamento del personale che abbia arrecato grave danno al normale funzionamento degli uffici di appartenenza per inefficienza o incompetenza professionale;
- contemplare l’obbligo di comminare, ai dipendenti responsabili di ingiustificata mancata prestazione lavorativa, il risarcimento del danno patrimoniale, pari al compenso ad essi corrisposto a titolo di retribuzione nei periodi per i quali sia stata accertata la mancata prestazione, oltre il risarcimento del danno all’immagine subito dall’amministrazione;
- prevedere, nelle ipotesi di negligenza, la responsabilità per mancato esercizio o per decadenza dell’azione disciplinare degli organi responsabili dei procedimenti disciplinari.
La dirigenza pubblica nell’ordinamento vigente: criticità della normativa vigente e soluzioni “de jure condendo”.
Lo studio delle tipologie di responsabilità dei dirigenti nei confronti della pubblica amministrazione non può prescindere dall’analisi del complesso ruolo che la dirigenza pubblica assolve nel vigente ordinamento.
La riforma della pubblica amministrazione, attuata a partire dagli anni novanta, ha avuto, come criterio guida, la valorizzazione del principio costituzionale di buon andamento, che si è tradotto nell’enunciazione dei principi di efficacia, efficienza ed economicità dell’attività degli enti pubblici; il rendimento è così stato assunto, progressivamente, a canone di legittimazione delle amministrazioni pubbliche.
Per attuare questo progetto, il legislatore ha seguito molteplici linee di azione: ha rivolto l’attenzione alla qualità dei servizi e degli output erogati, adottando forme organizzative e processi di gestione pubblica mutuati dalle aziende private ed implementando l’utilizzo degli strumenti informatici; ha privatizzato il pubblico impiego modificando, tra l’altro, il rapporto di lavoro dei dirigenti; ha introdotto la separazione tra le attività d’indirizzo politico e di controllo e le attività amministrative e gestionali, attribuendo le prime alla responsabilità degli organi di governo, le seconde alla responsabilità dei dirigenti. [46]
La separazione delle competenze tra organi d’indirizzo politico e dirigenti costituisce, ormai, un principio fondamentale dell’ordinamento giuridico, formalmente acquisito; tuttavia, tale separazione non è rigida, ma presuppone il coordinamento tra le diverse funzioni.
Infatti, lo svolgimento dell’attività amministrativa deve essere conforme all’indirizzo politico che è contenuto nelle direttive, negli atti di pianificazione e programmazione e nei provvedimenti degli organi di governo che assegnano gli obiettivi strategici ai soggetti responsabili della gestione pubblica.
Questo coordinamento si sviluppa mediante la partecipazione all’indirizzo politico dei dirigenti apicali, la quale si realizza attraverso la proposta degli obiettivi strategici; a loro volta i dirigenti con incarico apicale traducono gli obiettivi strategici in obiettivi di gestione, che vengono negoziati ed assegnati agli altri dirigenti.
Per quanto concerne la privatizzazione del rapporto di lavoro dei dirigenti, il contenuto dell’obbligazione viene determinato in un contratto di diritto privato, a tempo determinato, il quale stabilisce la durata dell’incarico e il trattamento economico; l’obbligazione del dirigente costituisce un obbligazione di risultato in quanto il trattamento economico accessorio e le eventuali fattispecie di responsabilità dirigenziale vengono a dipendere dall’esito di un procedimento di valutazione dei risultati conseguiti, i quali vengono comparati ed esaminati alla luce degli obiettivi assegnati.
Essendo soggetti ad un obbligazione di risultato, i dirigenti devono poter svolgere la propria attività in maniera indipendente; ad essi compete la scelta delle modalità di conseguimento degli obiettivi che sono formulati dagli organi politici; inoltre, poiché i dirigenti costituiscono gli organi responsabili della attività amministrativa, l’indipendenza dell’esercizio delle competenze dirigenziali rappresenta un presupposto necessario per l’operatività del principio di imparzialità dell’amministrazione.
Peraltro, l’effettività medesima del principio di separazione delle competenze richiede, quale presupposto, l’indipendenza dei dirigenti nell’esercizio delle loro funzioni.
Si pone, dunque, il problema di verificare se, nell’ordinamento vigente, il generale principio di separazione dei compiti degli organi politici da quelli degli organi responsabili della gestione sia dotato di effettività: se le norme che prevedono la separazione delle competenze siano effettivamente osservate o se, al contrario siano diffuse pratiche elusive di tali norme.
Una risposta rigorosa a tale quesito può essere fornita solo attraverso l’osservazione empirica e l’utilizzo di strumenti statistici; comunque, anche l’effettuazione di verifiche empiriche può non essere risolutiva, poiché le norme possono essere formalmente applicate ma sostanzialmente eluse.
E’ possibile, invece, individuare nel complesso normativo che disciplina i compiti della dirigenza pubblica alcune criticità che possono servire a violare lo spirito delle norme e a pregiudicare, unitamente all’indipendenza della funzione dirigenziale, il buon andamento delle amministrazioni pubbliche.
L’articolo 19 del decreto legislativo n. 165 del 2001 disciplina il conferimento degli incarichi dirigenziali; il primo comma prevede che per il conferimento di ciascun incarico si tiene conto, in relazione alla natura e alle caratteristiche degli obiettivi prefissati, delle attitudini e delle capacità professionali del singolo dirigente, valutate anche in considerazione dei risultati conseguiti con riferimento agli obiettivi fissati nella direttiva annuale e negli altri atti di indirizzo del Ministro.
La natura e le caratteristiche degli obiettivi, unitamente alle attitudini e alle capacità professionali del dirigente e alla valutazione dei risultati già conseguiti costituiscono, pertanto, gli elementi su cui deve fondarsi il conferimento degli incarichi dirigenziali; tale conferimento non può che costituire l’esercizio di un attività, di tipo comparativo, a carattere discrezionale, in cui l’organo politico, se il procedimento concerne l’assegnazione di un incarico dirigenziale apicale, o il dirigente con funzioni apicali per gli altri incarichi dirigenziali, scelgono il soggetto ritenuto più idoneo a svolgere i compiti che vengono assegnati.
A questo riguardo è necessario considerare che l’assegnazione dell’incarico è determinante ai fini della determinazione del trattamento economico e della carriera del dirigente; pertanto, per preservare l’indipendenza della funzione dirigenziale, è necessario che le procedure di valutazione che costituiscono il presupposto del conferimento, siano connotate da elementi di obiettività.
A tal fine devono, in primo luogo, essere oggetto di valutazione le competenze professionali che siano attinenti all’incarico; infatti, il carattere discrezionale del provvedimento di conferimento non può servire ad inficiare la relazione che intercorre tra la qualificazione professionale del dirigente e l’incarico. [47]
Inoltre, poiché la valutazione dei risultati ottenuti costituisce un ulteriore criterio di giudizio ai fini dell’assegnazione di un nuovo incarico, la circostanza che il provvedimento di conferimento sia di competenza dello stesso organo di valutazione, rappresenta un elemento di indubbia criticità dell’impianto normativo.
L’attuale disciplina del conferimento degli incarichi dirigenziali offre ampie possibilità di eludere la normativa: gli incarichi dirigenziali possono essere assegnati in base al “gradimento politico” dei candidati, in esito a procedimenti che considerano abilità professionali non attinenti ai compiti richiesti o che si fondano su valutazioni, poco significative o pilotate, dei risultati ottenuti. [48]
Per limitare il cattivo uso della discrezionalità insita nei provvedimenti di conferimento degli incarichi dirigenziali, si ritiene necessario intervenire attraverso modifiche legislative che attribuiscano a soggetti distinti le diverse responsabilità di assegnazione degli incarichi dirigenziali e di valutazione dei risultati ottenuti.
Ferme restando le competenza in materia di attribuzione degli incarichi, il procedimento di valutazione dei risultati della gestione potrebbe essere affidato ad organi tecnici estranei all’apparato amministrativo, quali le università e gli enti di ricerca; in tal modo la valutazione assumerebbe un carattere maggiormente obiettivo e soprattutto potrebbe assolvere alla finalità di strumento di miglioramento delle performance delle amministrazioni pubbliche.
La valutazione dei dirigenti da parte dei soggetti esterni dovrebbe fondarsi, principalmente, sulla comparazione tra obiettivi assegnati e risultati raggiunti; a tal fine, per superare i limiti cognitivi propri di ogni valutazione esterna, le metodologie ed i parametri di giudizio dovrebbero essere costruiti tenendo conto della natura delle attività oggetto dell'incarico, mentre la valutazione finale dovrebbe essere effettuata considerando il giudizio espresso dai soggetti, interni o esterni, destinatari dei servizi [49].
Affidare la valutazione dei risultati della gestione dei dirigenti ad organi tecnici qualificati, esterni rispetto ai soggetti che conferiscono gli incarichi, può servire a rendere effettivo il criterio meritocratico che dovrebbe connotare ogni procedimento preordinato ad un giudizio comparativo.
La valutazione dei dirigenti potrebbe, così, cessare di essere uno strumento di legittimazione dell'attività compiuta e costituire un elemento propulsivo ai fini del miglioramento della produttività e della qualità delle pubbliche amministrazioni. A giudizio di chi scrive, per migliorare la produttività e la qualità dei servizi delle pubbliche amministrazioni, è necessario modificare anche le norme che concernono il conferimento degli incarichi dirigenziali a soggetti esterni all'amministrazione; attualmente la relativa disciplina è contenuta nell'articolo 19, commi 5 bis e 6 del decreto legislativo n. 165 del 2001; queste norme consentono di reperire all'esterno professionalità idonee all'esecuzione dell'incarico, q1ualora l'amministrazione non disponga di personale avente caratteristiche adeguate.
Tuttavia, la nomina di dirigenti esterni all’amministrazione, ove non sia giustificata dal possesso di competenze specifiche, non sembra poter costituire un vantaggio per l’ente pubblico; infatti il dirigente esterno viene a trovarsi in condizioni di obiettiva dipendenza psicologica nei confronti dell’organo che ha conferito l’incarico.
La trasparenza delle procedure di conferimento degli incarichi dirigenziali e di valutazione serve a garantire l’indipendenza dei soggetti responsabili della gestione; in mancanza, si creano le condizioni per l’indebita interferenza degli organi di governo nell’esercizio dell’attività amministrativa, la quale è estremamente pericolosa in quanto consente un esercizio occulto della gestione, svincolato da ogni forma di responsabilità.
L’ingerenza degli organi di governo nella gestione espone, inoltre, i dirigenti al rischio di una responsabilità oggettiva, la quale sorge in virtù della semplice titolarità della competenza, senza alcun rapporto con l’esercizio della funzione.
Questa situazione non giova, neppure, agli organi di governo, poiché spoglia la dirigenza della sua funzione di organo tecnico qualificato ad attuare l’indirizzo politico.
Le norme che consentono il reclutamento di dirigenti esterni alla P.A. dovrebbero, dunque, essere affiancate da altre disposizioni che siano idonee a garantire l’esercizio imparziale della gestione amministrativa, in conformità agli indirizzi espressi legittimamente, in modo trasparente, dagli organi politici.
Il disegno di legge del giugno 2008, concernente “Delega al Governo finalizzata all’ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico” prevede, all’articolo 3, principi e criteri in materia di valutazione delle strutture e del personale delle amministrazioni pubbliche: la norma è finalizzata alla revisione della disciplina del sistema di valutazione delle performances delle amministrazioni pubbliche e del personale dipendente, al fine di conseguire il miglioramento dell’azione pubblica e, per tale via, un maggior gradimento dei destinatari dei servizi.
Tra le disposizioni più innovative, la norma prevede l’obbligo per le pubbliche amministrazioni di predisporre, con periodicità annuale, un sistema di indicatori di produttività e di misuratori della qualità del rendimento del personale, correlato al rendimento individuale ed al risultato conseguito dalla struttura; e l’istituzione, presso il Dipartimento della funzione pubblica, di un organismo centrale che operi in raccordo con il Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato del Ministero dell’Economia e delle finanze, con il compito di validare i sistemi di valutazione adottati dalle singole amministrazioni centrali, di indirizzare, coordinare e sovrintendere all’esercizio delle funzioni di valutazione, nonché di informare annualmente il Ministro per l’Attuazione del Programma sull’attività svolta. [50]
La necessità dell’indipendenza della funzione dirigenziale è stata confermata dalla giurisprudenza: la Corte Costituzionale ha osservato che la contrattualizzazione del rapporto di lavoro della dirigenza pubblica non implica che l’amministrazione possa recedere liberamente dal rapporto stesso; in caso contrario, si verrebbe ad instaurare uno stretto legame fiduciario tra le parti, che non consentirebbe ai dirigenti generali di svolgere in modo autonomo e imparziale la propria attività di gestione; di qui la logica conseguenza per la quale anche il rapporto di ufficio, pur se caratterizzato dalla temporaneità dell’incarico, debba essere connotato da specifiche garanzie, le quali presuppongono che esso sia regolato in modo tale da assicurare la tendenziale continuità dell’azione amministrativa ed una chiara distinzione funzionale tra i compiti di indirizzo politico-amministrativo e quelli di gestione; ciò al fine di consentire che il dirigente generale possa espletare la propria attività in conformità ai principi di imparzialità e di buon andamento dell’azione amministrativa. [51]
La Corte di Cassazione ha evidenziato come il rapporto di lavoro del dirigente pubblico sia caratterizzato da due fasi distinte, l'assunzione e la fase di esecuzione del rapporto di lavoro: durante la procedura di assunzione si verifica l'accesso alla qualifica di dirigente, tramite concorso per esami, e si accerta l'idoneità alla qualifica; questa fase, soggetta alla giurisdizione del giudice amministrativo, si conclude con la stipula del contratto individuale di lavoro, da cui sorge il diritto al trattamento economico stabilito dal contratto collettivo.
Il momento che attiene alla esecuzione del rapporto di lavoro costituisce, invece, una fase ulteriore, avente carattere privatistico, soggetta alla giurisdizione del giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro; in questa fase avviene l'assegnazione dell'incarico dirigenziale, che deve tener conto tenendo conto delle attitudini e delle capacità professionali del singolo dirigente.
La distinzione tra le due diverse fasi è particolarmente evidente nelle fattispecie in cui il dirigente pubblico si trova ad essere senza incarico, senza per questo perdere il suo status di pubblico dipendente con qualifica dirigenziale. [52]
Sempre la Corte di Cassazione, in altra pronuncia, ha osservato che gli atti inerenti al conferimento degli incarichi dirigenziali nell’ambito del pubblico impiego sono esclusi dalla categoria degli atti amministrativi e vanno ascritti a quella degli atti negoziali; ne discende la sottrazione di tali atti al regime e alle regole proprie degli atti amministrativi e la conseguente applicazione delle norme del codice civile in tema di esercizio dei poteri del privato datore di lavoro.
Nella stessa pronuncia la Suprema Corte ha affermato il principio secondo cui anche nell'ambito del rapporto di lavoro "privatizzato" alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, il giudice ordinario può sottoporre a sindacato l'esercizio dei poteri esercitati dall'amministrazione quale datore di lavoro, sotto il profilo dell'osservanza delle regole di correttezza e buona fede, le quali si applicano alla stregua dei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento. [53]
La Corte di Cassazione, sezioni unite civili, si era già espressa in materia di riparto di giurisdizione per il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali: tali controversie erano state devolute al giudice ordinario trattandosi di atti concernenti il funzionamento degli apparati appartenenti alla gestione dei rapporti di lavoro; la Cassazione aveva osservato che la scelta del legislatore di affidare al diritto privato la gestione dei rapporti di lavoro non incide sulla pienezza della tutela, dinnanzi al giudice ordinario, delle situazioni soggettive connesse al rapporto di lavoro del dirigente, secondo i principi già affermati dalla giurisprudenza costituzionale. [54]
Recentemente il Consiglio di Stato ha dichiarato che esula dalla propria giurisdizione in materia di concorsi pubblici la controversia relativa ad un provvedimento di un Direttore generale della ASL concernente il conferimento di un incarico di direzione di una struttura complessa; tale incarico riveste, infatti, carattere fiduciario e manca del requisito, tipico della procedura concorsuale, della valutazione comparativa dell’idoneità all’esercizio delle funzioni. [55]
[1] I danni direttamente causati dal dipendente alla P.A. possono avere natura patrimoniale o, come nelle fattispecie di danno all’immagine, natura non patrimoniale; i danni patrimoniali possono consistere in minori incassi o in maggiori spese o derivare dal danneggiamento dei beni in dotazione pubblica.
[2] Per la dottrina maggioritaria la responsabilità amministrativa, poiché presuppone l’esistenza di un rapporto di servizio tra dipendente e amministrazione, costituisce una species della responsabilità contrattuale la quale sorge in virtù del rapporto obbligatorio; altri autori evidenziano come la responsabilità amministrativa sia da ricondurre nell’ambito della responsabilità extracontrattuale in virtù degli elementi che compongono la fattispecie, la quale richiede l’esistenza del nesso di causalità tra comportamento dell’agente ed evento dannoso.
[3] In tal senso Corte di Cassazione, sezioni unite civili, 22 dicembre 2003 n. 19667 secondo cui, a seguito delle vigenti norme in materia di giudizi innanzi alla Corte dei conti, il dato essenziale dal quale scaturisce la giurisdizione contabile è dato dall’evento dannoso verificatosi in pregiudizio di un’amministrazione pubblica.
[4] L’articolo 19 del D.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3 attribuisce, espressamente, la responsabilità amministrativa alla giurisdizione della Corte dei Conti.
[5] Ai sensi dell’articolo 129 delle disposizioni attuative del codice di procedura penale, il PM penale ha l’obbligo di inoltrare denuncia alla magistratura contabile, qualora l’azione penale attenga ad un reato che abbia cagionato un danno all’erario.
[6] Corte dei Conti, sezione I giurisdizionale centrale, sentenza 7 maggio 2008 n. 199.
[7] Corte dei Conti, sezione I giurisdizionale centrale d’appello, sentenza 23 settembre 2005 n. 292; in questa pronuncia la Corte ha osservato che nella fase istruttoria che precede il giudizio contabile il Pubblico ministero, prima di emettere l'atto di citazione, ha il dovere di esaminare tutti gli elementi a favore e contro il soggetto indagato ma non è assoggettato ad alcun obbligo di legge di valutare espressamente le deduzioni del convenibile medesimo.
[8] Così si sono espresse le sezioni riunite della Corte dei Conti, nella delibera n. 14/2000 e la seconda sezione giurisdizionale centrale della Corte dei Conti, la quale, nella sentenza 22 aprile 2002 n. 137, ha subordinato l’efficacia dell’invito a dedurre ad interrompere la prescrizione alla compresenza, nell’atto, di tutti gli elementi idonei al fine, quali la analitica ricostruzione dei fatti, la volontà di far valere il diritto con menzione della causa e l’3esplicito riferimento agli articoli 1219 e 2943 del codice civile.
[9] Nelle ipotesi di delega degli adempimenti istruttori ai funzionari delle regioni o delle province autonome, ai fin della delega è necessaria l’intesa del Presidente della Regione o della Provincia automa
[11] La Corte ha osservato che le norme impugnate non producono l’ingiustificato ed automatico effetto premiale che era stato ritenuto, dai ricorrenti, incompatibile con gli articoli 3, 97, 101 e 103 della Costituzione.
[12] Corte dei Conti sezione II giurisdizionale centrale, sentenza 22 aprile 2002 n. 137
[13] Cassazione civile, sezioni unite, sentenza 4 dicembre 2001 n. 15288.
[14] Già la Corte di Cassazione, sezione V sentenza 21 aprile 2005 n. 19382, aveva statuito che la condanna generica al risarcimento del danno, quantunque contenuta in una sentenza penale, consiste in una mera "declaratoria iuris" e richiede il semplice accertamento della potenziale idoneità del fatto illecito a produrre conseguenze dannose o pregiudizievoli, a prescindere dall'esistenza e dalla misura del danno, il cui accertamento è riservato al giudice della liquidazione.
[15] Corte dei Conti, sezione I giurisdizionale centrale di appello, sentenza 14 gennaio 2008 n. 24.
[16] Con la sentenza 23 settembre 2005 n. 292, la I° sezione giurisdizionale centrale di appello ha osservato che la verifica della legittimità amministrativa non può prescindere dalla valutazione del rapporto tra obiettivi conseguiti e costi sostenuti, il quale costituisce un criterio di indagine del comportamento dei dipendenti pubblici che sono convenuti nei giudizi di responsabilità amministrativa.
[17] Corte dei Conti sez. giurisdizionale regionale del Lazio - sentenza 7 maggio 2008 n. 765, la quale ha osservato, altresì, che la responsabilità amministrativa può anche discendere da atti legittimi e congruenti, ma tanto malamente posti in esecuzione da concretizzare, autonomamente, una ipotesi di danno.
[18] Corte di Cassazione, sezioni unite civili, sentenza 3 novembre 2005 n. 21291.
[19] Con questa sentenza la Consulta ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale - sollevate in riferimento agli artt. 3, 97 e 103, secondo comma, della Costituzione delle norme che prevedono l’imputabilità aggravata della responsabilità amministrativa.
[20] In mancanza di tali norme, la paura di sbagliare dei dipendenti pubblici potrebbe determinare una paralisi dell’attività amministrativa, avente effetti negativi sull’efficacia ed efficienza dell’azione pubblica
[21] Articolo 3 comma 1 quater della legge n. 639 del 1996.
[23] Secondo la Corte dei Conti, è interesse costituzionalmente garantito che le competenze individuate vengano rispettate, le funzioni assegnate vengano eseguite e le responsabilità proprie dei funzionari vengano attivate; quando l'azione del pubblico amministratore o dipendente leda tale interesse, essa si traduce in un'alterazione dell'identità della pubblica amministrazione che di per se è produttiva di danno.
[24] Corte dei Conti, sezione II giurisdizionale centrale di appello, sentenza 31 gennaio 2006 n. 42; in questa pronuncia è stato confermato che la concessione, costituendo un provvedimento con cui la P.A. conferisce ex novo posizioni giuridiche al destinatario, è sottoposto al regime del diritto amministrativo e deve quindi essere rispettoso delle finalità e degli interessi di natura pubblica che sono ad esso sottesi.
[25] Ai sensi dell’articolo 28 della Costituzione, “i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici”. L’articolo 28 si applica anche ai funzionari di fatto, ossia ai soggetti che svolgono attività imputabile alla pubblica amministrazione, pur in mancanza della legittima investitura nell’ufficio.
[26] La distinzione fra la funzione di indirizzo e controllo, propria degli organi politici, e la funzione di gestione, spettante agli organi amministrativi è stata riferita, per la prima volta, all’ordinamento degli enti locali, con la legge 8 giugno 1990, n. 142, art. 51, comma 2; successivamente, questo principio è stato esteso a tutte le pubbliche amministrazioni, dapprima con la legge di delega 23 ottobre 1992, n. 421, art. 2, lett. g e il conseguente d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, art. 3; il principio di separazione delle funzioni e delle responsabilità è stato successivamente confermato da tutta la legislazione successiva, tanto da costituire un principio cardine del nostro ordinamento pubblicistico, giacché ad esso s'informano sia il d.lgs. 286 del 1999 che disciplina i controlli interni delle pubbliche amministrazioni; sia il d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, concernente il t.u. sull'ordinamento degli enti locali; sia il d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, recante norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche; sia tutte le norme regionali che disciplinano l’organizzazione degli uffici delle regioni.
[27] Gli organi di governo sono responsabili, in via amministrativa, dei danni conseguenti l’assegnazione illegittima degli incarichi esterni, nell’esercizio delle proprie prerogative.
[28] L’aumento dell’attività amministrativa avente contenuto discrezionale rispetto all’attività a carattere vincolato dipende dal nuovo ruolo assunto dalla pubblica amministrazione la quale, oggi, pone particolare attenzione al criterio costituzionale di buon andamento, che si traduce nella ricerca dell’efficacia e dell’efficienza dell’attività amministrativa mediante nuove modalità di gestione che presuppongono l’adozione di modelli comportamentali di derivazione privatista quali l’organizzazione delle attività per processi, per progetti e per obiettivi; Il New Public Management indica il complesso delle strategie di innovazione amministrativa che mirano a sostituire, nelle P.A. l’organizzazione burocratica con una di tipo aziendale attraverso le privatizzazioni, l’introduzione di sistemi di bilancio e di contabilità analitica simili a quelli delle imprese, l’agire in un regime economico di concorrenza l’adozione di criteri di produttività economica; l’idea di base è quella che funzione amministrativa abbia il medesimo criterio di legittimazione: delle imprese private: il rendimento.
[29] Per la Corte di Cassazione i fatti contestati nell’atto introduttivo del giudizio di responsabilità erano volti ad evidenziare condotte e scelte compiute in violazione di legge; pertanto, essi, non potevano ritenersi sottratti alla giurisdizione contabile.
[30] Queste norme disciplinavano l’affidamento di incarichi di studio, ricerca e consulenza a soggetti esterni all’amministrazione.
[31] Ai fini la qualificazione della legittimità del fatto la Corte ha tenuto conto, nella fattispecie, delle carenze organizzativa dell’ente.
[32]Naturalmente la sussistenza della responsabilità amministrativa dipende dal contenuto delle norme che di volta in volta costituiscono il parametro del giudizio; in questa occasione la norma rilevante è stata individuata nell’articolo 14 della legge della Regione Sicilia 26 agosto 1992 n. 7 il quale prevede che il Sindaco possa conferire incarichi a tempo determinato che non costituiscono rapporto di pubblico impiego, ad esperti estranei all'amministrazione, per l'espletamento di attività connesse con le materie di sua competenza (e dunque non per attività che la legge attribuisce alla competenza degli uffici amministrativi).
[33] Sono stati ritenuti responsabili in via amministrativa anche il Capo di Gabinetto, il Segretario generale e i Capi della ripartizione del personale.
[34] La Corte dei Conti ha osservato che, nella fattispecie in esame, era ragionevole ammettere che, l'attività svolta dai consulenti illecitamente incaricati abbia apportato, in qualche misura, dei vantaggi all'ente o alla comunità amministrata; ciò perché il personale in dotazione, a causa delle riscontrate carenze di organico, non appariva in grado di soddisfare tutte le esigenze operative dell'ente; inoltre un ulteriore elemento giustificativo del potere riduttivo derivava dalla novità del sistema elettorale imperniato sull’elezione diretta del Sindaco, il quale, nel conferire agli organi elettivi maggiore legittimazione, innescava nella pubblica opinione maggiori aspettative. Entrambi questi fattori operavano sinergicamente nel senso di richiedere un'azione decisa e incisiva di rilancio dell'attività dell'ente locale, per la quale i nuovi amministratori ritennero di doversi avvalere del supporto di elementi di provata fiducia.
[35] La norma prevede
che il mancato raggiungimento degli obiettivi, ovvero l'inosservanza
delle direttive imputabili al dirigente, valutati con i sistemi e le
garanzie di cui all'articolo 5 del decreto legislativo 30 luglio 1999,
n. 286, comportano, ferma restando l'eventuale responsabilità
disciplinare secondo la disciplina contenuta nel contratto collettivo,
l'impossibilità di rinnovo dello stesso incarico dirigenziale; inoltre,
in relazione alla gravità dei casi, l'amministrazione può, inoltre,
revocare l'incarico collocando il dirigente a disposizione dei ruoli di
cui all'articolo 23, ovvero recedere dal rapporto di lavoro secondo le
disposizioni del contratto collettivo.
[36] Corte dei Conti sez. giurisdizionale regionale del Lazio - sentenza 7 maggio 2008 n. 765: in questa pronuncia la Corte ha dichiarato non sufficiente, come motivazione per la rinuncia al credito, la prospettata difficoltà di una società con partecipazione maggioritaria del Comune, costituendo la società un soggetto giuridico diverso dall'Ente locale, seppur da questo partecipato; essendo il Comune tenuto a perseguire il fine istituzionale dell'interesse pubblico, non può né ingerirsi nelle scelte imprenditoriali del soggetto privato, né provvedere a ripianare situazioni passive di tale soggetto rinunciando, puramente e semplicemente, ad un credito.
[37] Corte dei Conti, sezione giurisdizionale centrale d’appello - sentenza 7 maggio 2008 n. 199; in questa sentenza la Corte ha riconosciuto la responsabilità amministrativa dei direttori di una ASL per violazione dell'art. 10 del CCNL del Comparto Sanità per il biennio economico 2000-2001, che subordinava il pagamento della indennità di coordinamento al requisito dell'effettivo svolgimento delle predette funzioni.
[38] Corte Costituzionale, sentenza 23 marzo 2007 n. 103.
[39] In questa pronuncia la Corte di Cassazione ha stabilito che la mancanza del prescritto parere del comitato dei garanti comporta la nullità e l’inefficacia del licenziamento del dirigente, con conseguente prosecuzione de iure del rapporto di lavoro costituito da un rapporto di impiego pubblico e da un incarico dirigenziale; pertanto, il dirigente ha diritto al reintegro nel rapporto di lavoro; inoltre l’amministrazione è tenuta a corrispondere al dirigente, fino alla reintegrazione, le retribuzioni dovute sia in relazione al rapporto di impiego che in relazione all’incarico dirigenziale.
[40] Cassazione civile, sezione lavoro, sentenza 1 febbraio 2007, n. 2233.
[41] Corte di Cassazione, sezioni unite, sentenza 30 marzo 2007 n. 7880; Corte Costituzionale sentenza 25 luglio 1989 n. 427.
[42] Il disegno di legge autorizza il Governo ad emanare, entro 9 mesi dall’ entrata in vigore della legge delega, uno o più decreti legislativi volti a riformare la disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni; nei successivi 24 mesi il Governo è autorizzato ad emanare, nel rispetto dei principi e criteri fissati dalla legge delega, eventuali disposizioni integrative o correttive.
[43] L’articolo 5 lettera g) del disegno di legge enuncia, espressamente, la necessità di rivedere la disciplina delle incompatibilità dei dirigenti pubblici e di rafforzarne l’autonomia rispetto alle organizzazioni sindacali e all’autorità politica.
[44] La disposizione in esame afferma, altresì, il principio di limitare il conferimento degli incarichi dirigenziali ai soggetti estranei alla pubblica amministrazione.
[45] L’articolo 6 del disegno di legge in oggetto, prevede che il procedimento disciplinare potrà proseguire e concludersi anche in pendenza del procedimento penale, stabilendo eventuali meccanismi di raccordo con l’esito del processo penale.
[46] La privatizzazione del rapporto di pubblico impiego costituisce, quindi, uno strumento per conseguire il rendimento delle amministrazioni pubbliche; questo processo ha determinato la devoluzione della giurisdizione del pubblico impiego al giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro, tranne limitate eccezioni; e la privatizzazione del rapporto di lavoro della dirigenza pubblica.
[47] Le abilità e le competenze professionali costituiscono elementi del giudizio di valutazione concernente l’idoneità di un soggetto a svolgere un determinato incarico; pertanto, esse, svolgono una funzione strumentale rispetto all’incarico da assegnare.
[48] Le attribuzioni degli incarichi dirigenziali che si fondano sul possesso di un curriculum costruito ad hoc per il candidato sono sostanzialmente illegittime, sotto il profilo dell’eccesso di potere, in quanto compromettono l’esito del procedimento di valutazione comparativa dei candidati; la possibilità di far valere tali illegittimità è, peraltro, condizionata dai limiti del sindacato giurisdizionale sui provvedimenti discrezionali.
[49] Naturalmente i procedimenti “esterni” di valutazione dei dirigenti e dei risultati della gestione dovrebbero essere articolati in modo flessibile, per adattarsi alle diverse tipologie degli incarichi: a tal fine le modalità della valutazione dovrebbero essere contenute in strumenti non rigidi, come le leggi, bensì in atti più facilmente modificabili, ad esempio convenzioni, protocolli d’intesa ecc.
[50] Si prevede che questo organismo potrà, eventualmente, operare in raccordo con altri enti o soggetti pubblici.
[51] Corte Costituzionale, sentenza 23 marzo 2007 n. 103.
[52] Corte di Cassazione, sezione civile lavoro sentenza 1 febbraio 2007 n. 2233; la Corte ha osservato che il dirigente, pur senza perdere la qualifica posseduta, si trova ad essere senza incarico, prima dell'assegnazione del primo incarico, negli intervalli tra un incarico e l'altro, allorché viene collocato in disponibilità o quando è preposto allo svolgimento di funzioni ispettive, di consulenza, studio, ricerca o presso i collegi di revisione degli enti pubblici in rappresentanza delle amministrazioni ministeriali.
[53] Corte di Cassazione, sezione lavoro, - sentenza 14 aprile 2008 n. 9814 la quale assume importanza anche in ordine alla qualificazione del danno derivante da ingiustificata revoca dell’incarico dirigenziale.
[54] Corte di Cassazione, sezioni unite civili, ordinanza 9 dicembre 2004 n. 22990.
[55] Consiglio di Stato, V° sezione, sentenza 5 febbraio 2007 n. 432.