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Articoli e note

n. 3/2007 - © copyright

GERARDO GUZZO*

Società miste: assemblea di Strasburgo
e legislazione nazionale

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SOMMARIO: 1. Premessa. 2. La Risoluzione del Parlamento europeo n. 2006/2043 (INI). 3. Il ddl di delega n. A.S. 772/06 di riordino dei servizi pubblici locali. 4. Conclusioni. 

1. Premessa.

La disciplina dei servizi pubblici locali è stata oggetto, nell’ultimo semestre, di frequenti rivisitazioni e “assestamenti” determinati dall’attenzione “a catena” riservata dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, dal legislatore nazionale e dalle istituzioni comunitarie, tutti, a vario titolo, interessati all’argomento. Non sempre, però, i correttivi legislativi approntati sono sembrati ispirati a linee guida uniformi capaci di dettare, de jure condendo, un omogeneo reticolo di norme.

In questa ottica è facile gioco percepire una sorta di “scollatura” tra le indicazioni che provengono dagli organi europei e la filosofia che sembra attraversare le recenti discussioni (e polemiche) che hanno accompagnato e accompagnano il travagliato iter formativo del ddl delega A.S. n. 772/06, meglio conosciuto come disegno di legge “Lanzillotta”; testo destinato a riformare l’intero settore dei servizi pubblici locali. Lo scopo dell’odierno lavoro, dunque, è proprio quello di esaminare, seppur brevemente, i punti salienti di questa autentica distonia tra quanto recentemente affermato dal Parlamento di Strasburgo, con la Risoluzione n. 2006/20043 (INI), del 26 ottobre 2006, adottata in tema di “partenariati pubblico-privati e diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni”, e quanto al momento previsto nel citato ddl delega di riordino dell’intera materia.

2. La risoluzione del Parlamento europeo n. 2006/20043 (INI).  

La codificazione del concetto di partnariato pubblico privato, com’è noto, risale al Libro verde della Commissione C.E. relativo al PPP e al diritto comunitario degli appalti e delle concessioni [1].

La ratio dell’istituto va rinvenuta nella atavica difficoltà della P.a. di reperire risorse necessarie ad assicurare la fornitura di un’opera o di un servizio alla collettività. In un quadro così strutturato, il ricorso a capitali ed energie private diventa momento ineludibile nel difficile compito di garantire un’azione amministrativa efficiente ed efficace, fortemente improntata a criteri di economicità. Del resto, l’acquisizione del patrimonio cognitivo, composto di conoscenze tecniche e scientifiche, maturato dal privato nelle singole aree strategiche di affari, costituisce un indubbio arricchimento del know - how   pubblico oltre che un sensibile alleggerimento degli oneri economico finanziari che le pubbliche amministrazioni sono chiamati a sopportare in sede di erogazione di servizi o di realizzazione di opere pubbliche o di pubblica utilità.

Non è secondario, inoltre, che proprio l’impiego di risorse private nelle dinamiche amministrativo- gestionali descritte determini un nuovo habitus della P.a. che, smessi i panni di operatore diretto, finisce per indossare quelli di organizzatore, regolatore e controllore  di tutte le attività pubbliche partecipate. La risoluzione del Parlamento europeo del 26 ottobre 2006 sembra cogliere in pieno l’importanza di tale “mutazione genetica” dal momento che  compie una significativa apertura verso tutti i modelli di partnariato pubblico – privato, purché rispettosi dei principi della concorrenza e non elusivi della normativa in materia di appalti pubblici  e di concessioni [2].

Si tratta di una presa di posizione che ricalca quanto la stessa Commissione europea aveva sostenuto nella sua “Comunicazione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni” sul PPP e sul diritto comunitario in materia di appalti pubblici e concessioni, risalente al 15 novembre 2005 [3]. In quella occasione l’organo esecutivo dell’Ue aveva riconosciuto, attraverso un obiter dictum, la libertà delle autorità pubbliche degli Stati membri di scegliere le formule organizzatorie e gestionali delle attività economiche che ritenessero più opportune, purché rispettose dei principi codificati dal trattato dell’Unione mostrando, con questo, di “tollerare” le diverse ipotesi di partnariato “contrattuale” o “istituzionalizzato”.

In sostanza, sia la Commissione che il Parlamento europeo concordano, oggi, nel ritenere che le forme di PPP, soprattutto quelle “istituzionalizzate”, tra le quali rientrano le società miste, non costituiscono “l’anticamera” di un processo di privatizzazione delle funzioni pubbliche [4], dal momento che le sinergie tra P.a. e soggetti privati possono generare effetti positivi per la collettività [5], atteggiandosi a strumento alternativo alla stessa privatizzazione. Per questo motivo l’Assemblea di Strasburgo ha qualificato, senza mezzi termini, il PPP, in tutte le sue manifestazioni, come un possibile strumento di organizzazione e gestione delle funzioni pubbliche, riconoscendo alle P.a. la più ampia facoltà di stabilire se avvalersi o meno di soggetti privati terzi, oppure di imprese interamente controllate oppure, in ultimo, di esercitare direttamente i propri compiti istituzionali [6].

Particolarmente significativo, poi, appare l’attenzione dedicata dal Parlamento europeo allo sforzo economico patrimoniale compiuto dal privato investitore in regime di PPP e al rischio d’impresa cui questi è esposto.

In prima battuta, viene stabilito che la durata degli apporti partecipativi privati sia tarato su un torno di tempo sufficiente a garantire l’ammortamento dei costi, con il che ne consegue che la stessa durata del rapporto sinallagmatico pubblico - privato sia, gioco forza, limitato nel tempo. La ratio di tale scelta risiede nella necessità di operare delle limitazioni della concorrenza circoscritte al solo periodo occorrente a garantire al privato la possibilità di ammortamento degli investimenti, in uno alla realizzazione di una remunerazione adeguata del capitale investito, e al rifinanziamento di futuri investimenti [7]. La particolare attenzione mostrata dal Parlamento europeo nei confronti dell’investitore privato legato alla P.a. da un rapporto di partnariato pubblico – privato e il sibillino riconoscimento in capo alle autorità pubbliche della più larga facoltà di come organizzare la gestione delle proprie funzioni pubbliche, anche mediante l’apporto partecipativo di soggetti terzi, svela la profonda distanza che separa le attuali posizioni del legislatore italiano, ancora in fase di assestamento, da quelle dell’Assemblea di Strasburgo.

In particolare, colpisce l’impiego meramente eventuale e residuale del modulo societario misto, così come congegnato dal ddl di delega n. A.S. 772/06, a fronte di un unico limite posto dal Parlamento europeo che consiste nel rispetto dei principi della concorrenza, della trasparenza, della parità di trattamento, della proporzionalità; principi, tutti, che trovano cittadinanza all’interno del Trattato dell’Unione.

3. Il ddl delega n. A.S. 772/06 di riordino dei servizi pubblici locali.

Il ddl n. A.S. 772/06, di riordino della disciplina dei servizi pubblici locali, assegnato alla I Commissione permanente (Affari costituzionali) in sede referente lo scorso 20 luglio 2006, si pone l’ambizioso obiettivo di regolamentare un settore da sempre oggetto di interventi legislativi caratterizzati da frammentarietà e contraddittorietà.

La ratio ispiratrice l’articolato in parola è quella di garantire, da un lato, l’effettività di principi quali quello della concorrenza, della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi, e,  da un altro, quella di riconoscere la pienezza del diritto all’accesso ai servizi pubblici locali e al livello essenziale delle prestazioni, secondo quanto previsto dall’art. 117, comma 2, lettere e) e m), nel rispetto dei principi di sussidiarietà, proporzionalità e leale cooperazione [8].

Il testo di legge, destinatario di una serie di emendamenti presentati dal Governo lo scorso 8 febbraio, ha subito diversi aggiustamenti nelle parti più controverse. In particolare, per quanto in questa sede rileva, le lettere b), c) e d) dell’art. 2, rubricato “Delega per la riforma dei servizi pubblici locali”, sono state sostanzialmente riscritte, recependo le diverse posizioni assunte dalle parti politiche e dagli stessi enti locali [9].

Più nel dettaglio, la lett. b) dell’art. 2, nel disciplinare quella particolare forma di partnariato - pubblico privato denominata “contrattuale”, costituita dagli affidamenti in house, subordina l’affidamento diretto della gestione del servizio a moduli societari a capitale interamente pubblico al verificarsi di determinate condizioni economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento; condizioni, queste, che non rendono possibile per l’ente locale un efficace ricorso al mercato. In sostanza, la ratio ispiratrice non è ravvisabile nell’osservanza dei principi di concorrenza, trasparenza, parità di trattamento, come raccomandato dalla recente Risoluzione 2006/2043 (UNI) del Parlamento europeo, quanto, piuttosto, nella ricorrenza di determinati fattori presenti all’interno del territorio della P.a. interessata. L’atteggiamento del legislatore non muta con riferimento all’altra forma di partnariato pubblico - privato, quello di tipo “istituzionalizzato”, costituito dalle società miste.

Anche in questo caso, il richiamo operato dalla lett. c) dell’art. 2 ai medesimi casi indicati alla lettera b), evidenzia la voluntas legis di considerare il ricorso ai moduli societari misti come del tutto eventuale e residuale rispetto alla regola generale rappresentata dall’indizione di procedure di evidenza pubblica. Proprio tale “ghettizzazione” della gestione esternalizzata dei servizi pubblici locali, mediante l’impiego di moduli societari misti, sembra stridere con quanto recentemente sostenuto dal Parlamento europeo, suscitando, de iure condendo, non pochi dubbi di aderenza al dettato comunitario.

In sostanza, ancorare la scelta del come esercitare una funzione pubblica - direttamente o mediante l’impiego di soggetti terzi provenienti dal mondo dell’imprenditoria – al ricorrere di determinate condizioni tipizzate dal legislatore, significa disattendere il monito proveniente da Strasburgo teso a garantire che il settore pubblico in futuro conservi la piena facoltà di decidere in che modo esercitare le proprie funzioni, purché nel rispetto dei principi della concorrenza, della parità di trattamento, della non discriminazione e senza che la scelta della P.a. possa integrare alcuna elusione della normativa in materia di appalti pubblici e concessioni.

Del resto, è lo stesso Parlamento europeo, nella lett. H) dei consideranda, ad affermare che la cooperazione tra le autorità pubbliche e l’industria può creare sinergie e avere effetti positivi in termini di interesse pubblico, dal che ne discende che laddove esistono condizioni favorevoli di mercato il ricorso a moduli societari misti dovrebbe essere più che mai stimolato, nell’ottica di una maggiore efficacia ed efficienza dei servizi da offrirsi alla collettività, mentre, al contrario, nei casi di “fallimento” del mercato, il ricorso al privato dovrebbe essere scoraggiato. Seguendo questo approccio ermeneutico, la Risoluzione 2006/2043 del Parlamento europeo, del 26 ottobre 2006, sembrerebbe suggerire una traiettoria opposta rispetto a quella intrapresa con il ddl di delega n. A.S. 772/06, che porterebbe con sé l’immanente rischio di una stroncatura a livello comunitario.

4. Conclusioni.

L’intervento del Parlamento europeo, attraverso la Risoluzione in commento, rappresenta un importante momento di riflessione che investe il ruolo e i compiti che le diverse forme di partnariato pubblico – privato sono chiamati ad assolvere. E’ facile gioco cogliere il particolare favor dell’Assemblea di Strasburgo nei confronti dei vari modelli di parnariato pubblico – privato, siano essi “istituzionalizzati” che “contrattuali”. L’assunto trae origine dalla considerazione che ciò che rileva per il Parlamento europeo è il rispetto dei vincoli di trasparenza, parità di trattamento e proporzionalità, indispensabile crocevia nel difficile percorso di tutela della concorrenza.

In sostanza, riconoscere l’utilità di sinergie tra soggetti pubblici e privati nel quadro di una ottimizzazione dell’offerta dei servizi pubblici locali, significa di colpo azzerare ogni forma di riserva nei confronti delle società miste, dal momento che la durata delle relazioni di partenariato sarà definita in maniera che la libera concorrenza sia in linea di massima limitata solo se necessario per garantire l’ammortamento degli investimenti, una remunerazione appropriata del capitale investito e il rifinanziamento di futuri investimenti [10].

Ancora. Lo stesso Parlamento europeo mette in guardia le P.a. dall’esercitare direttamente funzioni assolte, precedentemente, in modo soddisfacente, utilizzando risorse private, giudicando tale scelta poco sensata in quei casi di PPP consoni con i principi della concorrenza  (Vd. punto 8 delle “Osservazioni generali”). In definitiva, ciò che conta è la sola garanzia che l’impiego delle diverse forme di PPP non mini l’effettività del principio della concorrenza, essendo destinati a rimanere sullo sfondo quei fattori contingenti individuati nell’art. 2, comma 1, lettere b) e c), del ddl di delega di riordino dei servizi pubblici locali.  Sarebbe auspicabile, pertanto, che il testo emendato lo scorso 8 febbraio nelle sue linee essenziali recepisca le indicazioni provenienti da Strasburgo, rimediando a quella che, al momento, si atteggia a vera e propria insanabile distonia. Inoltre, non è marginale la circostanza che proprio il ddl di delega A.S. 772/06, nel tentativo di garantire il diritto di tutti gli utenti alla universalità e accessibilità dei servizi pubblici locali ed al livello essenziale delle prestazioni, con una norma fortemente innovativa, abbia riservato agli utenti/collettività un ruolo “propulsivo” e, per certi versi, “decisionale”. Infatti, l’art. 3 del ddl di delega in parola, alla lett. b), rimette al positivo riscontro degli utenti la permanenza dell’affidamento del servizio[11].

Proprio questa previsione sembra, da un canto, sposarsi con le indicazioni che provengono da Strasburgo, che auspicano sinergie tra soggetti pubblici e privati capaci di produrre effetti positivi in termini di interesse pubblico mentre, da un altro, sembra “bocciare” l’annunciata marginalizzazione dei moduli societari misti, il cui impiego sarebbe confinato negli angusti limiti fissati dalla lett. b), dell’art. 2, del ddl di delega, per effetto del richiamo operato dalla successiva lett. c).

Una soluzione del genere, francamente, appare poco coerente con  le finalità individuate nell’art. 1 della bozza di legge delega di riordino dei servizi pubblici locali [12], oltre che poco in linea con le stringenti “raccomandazioni” provenienti dal Parlamento europeo.


 

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* Professore di Organizzazione Aziendale presso l’Unical e partner dello studio legale “Cristofano, Guzzo & Associates”.

[1] COM (2004), 327 del 30 aprile 2004. Fu proprio il Libro verde ad introdurre la differenza tra partnariato pubblico privato di tipo “istituzionalizzato” e partnariato pubblico – privato “di tipo “contrattuale”.

[2] Il Parlamento europeo nella sezione dedicata dalla risoluzione 2006/2043 (UNI) alle “Osservazioni generali”, al punto 8 ha chiarito che “riconferire ai comuni compiti assolti in maniera soddisfacente facendo appello al settore privato non costituisca un’alternativa sensata a PPP consoni con i principi della concorrenza”. In questo modo, l’Assemblea di Strasburgo ha finito per legittimare le stesse società miste, riabilitandone compiti e funzione purché la scelta di tale modulo gestionale non integri una violazione dei principi di concorrenza e sia espressione di meccanismi trasparenti a tutela degli interessi pubblici.  

[3] In particolare, la Commissione europea, nell’introduzione alla Comunicazione rubricata COM (2005) 569  ha precisato che “(…) Il diritto comunitario è neutrale per quanto riguarda la scelta delle autorità pubbliche di svolgere esse stesse  un’attività economica o affidarla a terzi. Tuttavia, se le autorità pubbliche decidono di coinvolgere terzi nell’esercizio di un’attività, il diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni potrebbe entrare in gioco (…)”.

[4] La lett. F) dei consideranda della Risoluzione 2006/20043 del Parlamento europeo espressamente chiarisce che “(…) i PPP non costituiscono un primo passo verso la privatizzazione dei compiti pubblici (…)”.

[5] Sempre la Risoluzione del Parlamento europeo n. 2006/20043 del 26 ottobre 2006, alla lett. H) dei consideranda, ha riconosciuto come “(…) la cooperazione tra le autorità pubbliche e l’industria può creare sinergie e avere effetti positivi in termini di interesse pubblico, consentire una gestione più efficace  degli stanziamenti pubblici nonché, in periodi di scarsità di mezzi pubblici, fungere da alternativa alle privatizzazioni e contribuire alla modernizzazione amministrativa grazie all’applicazione di conoscenze e procedure dell’economia privata”!. 

[6] La lett. L) dei consideranda della Risoluzione 2006/20043 del Parlamento europeo precisa che “(…) i PPP costituiscono un modo possibile di organizzare il compimento dei compiti del settore pubblico e che quest’ultimo anche in futuro deve conservare la facoltà di decidere se eseguire una funzione direttamente oppure tramite una propria impresa o con terzi del settore privato (…)”.

[7] La Risoluzione al punto 29 della parte rubricata “PPP qualificabili come concessioni”, dispone che “(…) le concessioni debbano avere una durata limitata, che dipende tuttavia dalla durata di ammortamento dell’investimento privato, affinché i candidati non siano esclusi troppo a lungo dalla concorrenza; ritiene che la durata delle relazioni di partenariato debba essere definita in maniera tale che la libera concorrenza sia in linea di massima limitata solo se necessario per garantire l’ammortamento degli investimenti, una remunerazione appropriata del capitale investito e il rifinanziamento di futuri investimenti (…)”.

[8] L’art. 1 comma 1 del ddl di delega A.S. 772/06 così dispone:

 Art. 1 (Finalità e ambito di applicazione)

1. La presente legge provvede al riordino della normativa nazionale che disciplina l’affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali, al fine di favorire la più ampia diffusione dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi di tutti gli operatori economici interessati alla gestione di servizi di interesse generale di rilevanza economica in ambito locale, nonché di garantire il diritto di tutti gli utenti alla universalità ed accessibilità dei servizi pubblici locali ed al livello essenziale delle prestazioni, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettere e) ed m), della Costituzione, assicurando un adeguato livello di tutela degli utenti, secondo i principi di sussidiarietà, proporzionalità e leale cooperazione.

2. Costituisce funzione fondamentale di comuni, province e città metropolitane individuare – per quanto non già stabilito dalla legge - le attività di interesse generale il cui svolgimento è necessario al fine di assicurare la soddisfazione dei bisogni degli appartenenti alla popolazione locale, in condizioni di generale accessibilità fisica ed economica, di continuità e non discriminazione e ai migliori livelli di qualità e sicurezza, ferma la competenza della regione quando si tratti di attività da svolgere unitariamente a dimensione regionale.

3. Le finalità pubbliche proprie delle attività di cui ai commi 1 e 2 sono perseguite, ove possibile, attraverso misure di regolazione, nel rispetto dei principi di concorrenza e di sussidiarietà orizzontale. Gli interventi pubblici regolativi pongono all’autonomia imprenditoriale e alla libertà di concorrenza delle imprese i soli limiti necessari al perseguimento degli interessi generali, nel rispetto del principio di proporzionalità.

4. Ove siano imposti alle imprese obblighi di servizio pubblico che impediscano la copertura integrale dei costi e l’utile d’impresa, devono essere previste le necessarie misure compensative.

[9] L’attuale lettera dell’art. 2 del ddl A.S. 772/06, rubricata “Delega per la riforma dei servizi pubblici locali”,

  stabilisce che: “1. Per le finalità di cui all’articolo 1, il Governo, è delegato ad adottare entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge uno o più decreti legislativi in materia di servizi pubblici locali, nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi, anche, ove occorra, modificando l’articolo 113 del decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267:

a) prevedere che l’affidamento delle nuove gestioni ed il rinnovo delle gestioni in essere dei servizi pubblici locali di rilevanza economica debba avvenire mediante procedure competitive ad evidenza pubblica di scelta del gestore, nel rispetto della disciplina dell’Unione europea in materia di appalti pubblici e di servizi pubblici, fatta salva la proprietà pubblica delle reti e degli altri beni pubblici strumentali all’esercizio, nonché la gestione pubblica delle risorse e dei servizi idrici;

b) consentire eccezionalmente l’affidamento a società a capitale interamente pubblico, partecipata dall’ente locale, che abbia i requisiti richiesti dall’ordinamento comunitario per l’affidamento in house;

c) consentire eccezionalmente l’affidamento diretto a società a partecipazione mista pubblica e privata, ove ciò reso necessario da particolari situazioni di mercato, secondo modalità di selezione e di partecipazione dei soci pubblici e privati direttamente connesse alla gestione ed allo sviluppo degli specifici servizi pubblici locali oggetto dell’affidamento, ferma restando la scelta dei soci privati mediante procedure competitive e la previsione di norme e clausole volte ad assicurare un efficace controllo pubblico della gestione del servizio e ad evitare possibili conflitti di interesse;

d) prevedere che l’ente locale debba adeguatamente motivare le ragioni che, alla stregua di una valutazione ponderata, impongono di ricorrere alle modalità di affidamento di cui alle lettere b) e c), anziché alla modalità di cui alla lettera a), e che debba adottare e pubblicare secondo modalità idonee il programma volto al superamento, entro un arco temporale definito, della situazione che osta al ricorso a procedure ad evidenza pubblica, comunicando periodicamente i risultati raggiunti a tale fine. In particolare, prescrivere che per giungere alla constatazione della necessità di gestione diretta sia adottata una previa analisi di mercato, soggetta a verifica da parte delle Autorità nazionali di regolazione dei servizi di pubblica utilità competenti per settore, ovvero, ove non costituite, dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato, ove si dimostri l’inadeguatezza dell’offerta privata. Le società di capitali cui sia attribuita la gestione ai sensi della lett. b) non possono svolgere, né in via diretta, né partecipando a gare, servizi o attività per altri enti pubblici o privati.

e) escludere la possibilità di acquisire la gestione di servizi diversi o in ambiti territoriali diversi da quello di appartenenza, per i soggetti titolari della gestione di servizi pubblici locali non affidati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nonché  per le imprese partecipate da enti locali, affidatarie della gestione di servizi pubblici locali, qualora usufruiscano di forme di finanziamento pubblico diretto o indiretto, fatta eccezione per il ristoro degli oneri connessi all’assolvimento degli obblighi di servizio pubblico derivanti dalla gestione di servizi affidati secondo procedure ad evidenza pubblica, ove evidenziati da sistemi certificati di separazione contabile e gestionale;

f) individuare le modalità atte a favorire la massima razionalizzazione ed economicità dei servizi pubblici locali, purché in conformità alla disciplina adottata ai sensi del presente articolo, anche mediante la gestione integrata di servizi diversi e l’estensione territoriale della gestione del medesimo servizio;

g) armonizzare la nuova disciplina e quella di settore applicabile ai diversi servizi pubblici locali, individuando in modo univoco le nome applicabili in via generale per l’affidamento di tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica ed apportando le necessarie modifiche alla vigente normativa di settore in materia di rifiuti, trasporti, energia elettrica e gas, nonché in materia di acqua, fermo restando quanto previsto dalla lettera a);

h) disciplinare la fase transitoria, ai fini del progressivo allineamento delle gestioni in essere alla  normativa adottata ai sensi delle lettere precedenti, prevedendo, se necessario, tempi e modi diversi per la progressiva applicazione della normativa così risultante a ciascun settore;

i) prevedere che gli affidamenti diretti in essere debbano cessare alla scadenza, con esclusione di ogni proroga o rinnovo;

l) consentire ai soggetti affidatari diretti di servizi pubblici locali di concorrere, fino al 31 dicembre 2011, all’affidamento, mediante procedura competitiva ad evidenza pubblica, dello specifico servizio già affidato;

m) limitare, secondo criteri di proporzionalità, sussidiarietà orizzontale e di razionalità economica del denegato ricorso al mercato i casi di gestione in regime d’esclusiva dei servizi pubblici locali, liberalizzando le altre attività economiche di prestazione di servizi di interesse generale in ambito locale compatibili con le garanzie di universalità ed accessibilità del servizio pubblico locale affidato ai sensi delle lettere precedenti;

2.  Entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore dei decreti di cui al comma 1, il Governo è delegato ad adottare uno o più decreti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive nel rispetto degli stessi principi e criteri direttivi”.

[10] V. nota 7.

[11] Più dettagliatamente, l’art. 3 del ddl di delega n. A.S. 772/06 stabilisce che:” b) prevedere che il  permanere dell’affidamento sia condizionato al positivo riscontro degli utenti, che dovrà essere periodicamente verificato mediante l’esame dei reclami e mediante indagini e sondaggi di mercato, anche a campione, effettuati a cura e spese del gestore secondo modalità prefissate idonee a garantirne l’obiettività;

[12] L’art. 1 del ddl di delega n. A.S. 772/06, così recita:” (Finalità e ambito di applicazione) 1. La presente legge provvede al riordino della normativa nazionale che disciplina l’affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali, al fine di favorire la più ampia diffusione dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi di tutti gli operatori economici interessati alla gestione di servizi di interesse generale di rilevanza economica in ambito locale, nonché di garantire il diritto di tutti gli utenti alla universalità ed accessibilità dei servizi pubblici locali ed al livello essenziale delle prestazioni, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettere e) ed m), della Costituzione, assicurando un adeguato livello di tutela degli utenti, secondo i principi di sussidiarietà, proporzionalità e leale cooperazione.

2. Costituisce funzione fondamentale di comuni, province e città metropolitane individuare – per quanto non già stabilito dalla legge - le attività di interesse generale il cui svolgimento è necessario al fine di assicurare la soddisfazione dei bisogni degli appartenenti alla popolazione locale, in condizioni di generale accessibilità fisica ed economica, di continuità e non discriminazione e ai migliori livelli di qualità e sicurezza, ferma la competenza della regione quando si tratti di attività da svolgere unitariamente a dimensione regionale.

3. Le finalità pubbliche proprie delle attività di cui ai commi 1 e 2 sono perseguite, ove possibile, attraverso misure di regolazione, nel rispetto dei principi di concorrenza e di sussidiarietà orizzontale. Gli interventi pubblici regolativi pongono all’autonomia imprenditoriale e alla libertà di concorrenza delle imprese i soli limiti necessari al perseguimento degli interessi generali, nel rispetto del principio di proporzionalità.

4.Ove siano imposti alle imprese obblighi di servizio pubblico che impediscano la copertura integrale dei costi e l’utile d’impresa, devono essere previste le necessarie misure compensative.


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