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Articoli e note

n. 7-8/2006 - © copyright

GERARDO GUZZO*

Le garanzie partecipative in materia di tutela del paesaggio

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SOMMARIO: 1. Premessa. 2. Potere di annullamento della soprintendenza nell’attuale disciplina legislativa e Capo III della legge n. 241/00 e s. m. e i. 3. Riflessioni finali.

1.Premessa.

La recente evoluzione giurisprudenziale [1] e legislativa ha riproposto l’annoso problema dei limiti delle garanzie partecipative da riconoscersi al privato all’interno del procedimento di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica disciplinato dall’art. 146 del d.lgs. n. 42/04, recentemente novellato dall’art. 16 del d.lgs. n. 157 del 24 marzo 2006 [2]. Si tratta di un aspetto che, a causa della sua portata trasversale, finisce per attraversare ed interessare lo stesso diritto di difesa del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione riconosciuto dagli articoli 24 e 113 della Costituzione [3].

In particolare, con il presente lavoro, si cercheranno di approfondire i limiti applicativi dell’art. 10 - bis della legge n. 241/00 [4] - introdotto dalla legge n. 15 del febbraio 2005 – con specifico riferimento al segmento di sub-procedimento disciplinato dall’art. 146, comma 8, del d.lgs. n. 42/04 e s.m. ed i. [5], finalizzato all’acquisizione del parere dell’organo soprintendizio a seguito della proposta di rilascio o di diniego dell’autorizzazione paesaggistica formulata dall’ente rimettente.

L’analisi verrà sviluppata tenendo conto, oltre che delle norme di diritto positivo che regolamentano l’esercizio del potere di annullamento dell’organo soprintendizio, avente ad oggetto il nulla osta paesaggistico originariamente rilasciato ex art. 7, l. 1497/1939, anche delle ultime pronunce giurisprudenziali dei giudici amministrativi nazionali.

Si cercherà, infine, di esaminare la portata del collegamento funzionale che avvince l’art. 10-bis della legge n. 241/90 e s. m. ed i. alle altre disposizioni contenute nel Capo III della legge-quadro sul procedimento amministrativo, al fine di evidenziarne alcune incongruenze, i cui effetti si riverberano sulla stessa disciplina di settore dettata in materia di tutela del paesaggio.

2. Potere di annullamento della Soprintendenza nell’attuale disciplina legislativa e Capo III della legge n. 241/00 e s. m. ed i.

Com’è noto, il potere di annullamento per motivi di legittimità riconosciuto al Ministero per i beni culturali e ambientali nei confronti del nulla osta paesaggistico rilasciato, in origine, ai sensi dell’art. 7 L. 1497 del 1939 [6], veniva regolamentato dall’art. 82 del d.p.r. n. 616/1977. Successivamente, per effetto dell’entrata in vigore del  d.lgs. n. 490 del 29 ottobre 1999 (T.U. i materia di beni culturali e ambientali), attuativo dell’art. 1 della legge delega n. 352 dell’8 ottobre 1997, l’esercizio di tale potestà veniva disciplinata dall’art. 151 [7], rubricato”Alterazione dello stato dei luoghi”. Di seguito, il d.lgs. n. 42 del 22 gennaio 2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) abrogava, con l’art. 184, il d.lgs. n. 490/99 e, pertanto, l’intera materia trovava il suo puntuale riferimento di diritto positivo nell’art. 146, rubricato “Autorizzazione”, a sua volta novellato, di recente, dall’art. 16 del d.lgs. n. 157 del 24 marzo 2006, recante “Disposizioni correttive e integrative al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione al paesaggio”.

La costante elaborazione giurisprudenziale formatasi in tema di intervento ministeriale, volto a verificare la legittimità del nulla osta paesaggistico rilasciato dalla regione o dall’ente sub delegato, configura, al momento, il parere della soprintendenza come un vero e proprio elemento costitutivo di una complessa fattispecie autoritativa sui generis [8].

L’intervento dell’organo soprintendizio, secondo l’attuale formulazione normativa, si sedimenta in una fase endoprocedimentale successiva al rilascio del nulla osta paesaggistico o, per meglio dire, alla proposta di rilascio o di diniego dell’autorizzazione paesaggistica. La prescrizione di legge in parola può essere rinvenuta nel primo periodo del comma 7 del novellato art. 146 del d.lgs. n. 42/04 e s. m. e i. [9].

Si tratta di un segmento procedurale che trova la sua origine nella domanda di autorizzazione dell’intervento di cui al comma 5 del citato art. 146 del d.lgs. n. 42/04, come novellato dall’art. 16 del d.lgs. n. 157/06[10]. La stessa comunicazione all’istante dell’avvenuta trasmissione della proposta di rilascio o di diniego dell’autorizzazione alla soprintendenza, di cui al comma 7 del citato art. 146, seppur qualificata formalmente dal legislatore delegato come avviso di inizio di un nuovo procedimento si atteggia, tuttavia, a vera e propria fase endoprodedimentale di secondo grado [11], dunque, a sviluppo e definizione di quella conclusasi con la proposta di rilascio o di diniego del provvedimento autorizzatorio paesaggistico. Non è revocabile in dubbio, infatti, che la comunicazione dell’avviso di inizio del procedimento abbia lo scopo di consentire al privato interessato di interagire con l’Amministrazione procedente e di fornire a quest’ultima il proprio apporto partecipativo in vista di una corretta definizione degli interessi in gioco. Se questa è la ratio della norma, non si vede come non possano trovare cittadinanza al suo interno le garanzie di cui l’art. 10-bis della legge n. 241/90 e s. m. e i. è portatore.

A tal proposito, si potrebbe osservare che il legislatore abbia voluto collocare la previsione della comunicazione dei motivi ostativi all’interno del comma 9 del citato art. 146 del d.lgs. n. 42/04 [12], piuttosto che nel precedente comma 8, in ragione del fatto che il provvedimento finale sarà adottato dall’amministrazione regionale o comunale sub delegata. Se così fosse, la tutela del privato verrebbe svuotata completamente di contenuto, dal momento che proprio il comma 8 dell’art. 146 riconosce natura vincolante al parere espresso dall’organo soprintendizio fino all’approvazione del piano paesaggistico ai sensi dell’art. 143, comma 3, e dell’avvenuto adeguamento ad esso degli strumenti urbanistici comunali; il che costituisce, con buona approssimazione, la situazione in cui versa la gran parte delle amministrazioni richiamate.

Tale previsione, dunque, suggerirebbe l’opportunità di anticipare la tutela del privato alla fase precedente la formazione del parere della Soprintendenza di modo che l’istante, entro i dieci giorni dal ricevimento del parere negativo espresso dall’organo di controllo, possa presentare per iscritto osservazioni e documenti volti a correggere le valutazioni a lui sfavorevoli. In senso opposto certamente non milita l’argomento della codificata autonomia provvedimentale dell’autorizzazione paesaggistica rispetto al permesso di costruire e/o agli altri titoli legittimanti l’intervento edilizio, secondo quanto previsto dal comma 9 del citato art. 146 del d.lgs. n. 42/04 e s. m. e i.

Al contrario, il precetto segnalato, in uno alla consolidata giurisprudenza amministrativa [13] che ha riconosciuto all’intervento della soprintendenza la natura di elemento costitutivo di una complessa fattispecie autoritiva sui generis, conforta il convincimento che la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento della istanza debba essere anticipata al momento della formulazione del parere (vincolante) dell’organo di controllo e non alla successiva fase dell’adozione del provvedimento finale negativo avente natura vincolata. Al riguardo, si potrebbe osservare che la garanzia introdotta dall’art. 10-bis operi soltanto nei procedimenti ad istanza di parte, mentre, quello disciplinato dal comma 7 del d.lgs. n. 42/04 e s. m. e i. sembrerebbe avviarsi d’ufficio. A ben vedere, però, la trasmissione della proposta di rilascio o di diniego dell’autorizzazione operata dall’amministrazione regionale o locale alla soprintendenza non può essere considerata alla stregua dell’avviso di inizio di una nuova e diversa fase procedimentale in senso stretto, del tutto sganciata dal “procedimento – cornice” volto ad ottenere il rilascio del titolo autorizzatorio, attesa la sua natura endoprocedimentale.

Questa specifica connotazione consentirebbe di affermare l’applicabilità dell’art. 10-bis della legge n. 241/90 e s. m. e i. all’interno del sub procedimento che si apre con la trasmissione degli atti (proposta + documenti) alla soprintendenza e che si chiude con la formulazione da parte di quest’ultima del parere. Come si è già avuto modo di sottolineare, differire la garanzia partecipativa in parola nel segmento procedurale disciplinato dal comma 9 dell’art. 146 del d.lgs. n. 42/04 e s. m. e i., significherebbe mettere in condizione il privato di non poter più fornire alcun utile apporto partecipativo in grado di correggere la dinamica procedimentale, considerata la natura vincolante di un eventuale parere negativo.

Più in generale, si potrebbe affermare che il precetto contenuto nell’art. 10-bis rappresenti una vera e propria svista del legislatore dal momento che questi, da un lato, circoscrive l’applicazione della norma ai soli procedimenti avviati ad istanza di parte, mentre, da un altro, prima, con una disposizione avente carattere paradigmatico, l’art. 7 [14], stabilisce che le garanzie partecipative non trovano cittadinanza soltanto nelle ipotesi in cui sussistano particolari esigenze di celerità del procedimento e, poi, con una norma di chiusura, l’art. 13 [15], esclude l’operatività delle norme sulla partecipazione in tutti quei casi in cui la p.a. intenda emanare atti normativi, amministrativi generali e di programmazione, nei confronti dei quali continuano a trovare applicazione le specifiche disposizioni che ne regolano la formazione.

Com’è agevole cogliere, in nessuno dei precetti generali segnalati è possibile individuare alcuna discriminazione dei procedimenti avviati d’ufficio rispetto a quelli iniziati ad impulso di parte, con l’inevitabile conseguenza che il limite di applicativo contenuto nell’art. 10-bis finisce per apparire poco coerente con la ratio che attraversa l’intero Capo III della legge n. 241/00 e s. m. e i.. Soltanto l’espressa previsione del divieto di applicazione delle norme dettate in tema di partecipazione al procedimento amministrativo alle sequenze procedimentali avviate ex officio giustificherebbe, in qualche modo, una prescrizione di legge con uno sbarramento nei confronti delle scansioni procedimentali non iniziate ad impulso di parte. L’assenza all’interno degli articoli  7 e 13 della legge n. 241/00 e s. m. e i. di una prescrizione del genere conforta, al contrario, la sensazione dell’errore formale in cui è incorso il legislatore e, dunque, della sostanziale applicabilità dell’art. 10-bis anche ai procedimenti amministrativi avviati d’ufficio.     

3. Riflessioni finali.

Le osservazioni che precedono spingono decisamente nella direzione di un indispensabile intervento correttivo del legislatore che abbracci sia lo specifico ambito della partecipazione del privato all’interno del sub - procedimento volto alla formulazione del parere dell’organo soprintendizio, in taluni casi vincolante ai fini del rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, che i limiti delle più generali garanzie partecipative, disciplinate dal Capo III della legge n. 241/00 e s. m. e i.

In particolare, si ritiene vulnerare la stessa effettività dell’apporto partecipativo del privato il non aver previsto l’obbligo, a carico dell’amministrazione procedente (soprintendenza), di comunicare, ex art. 10-bis L. 241/00, le ragioni ostative alla formulazione del parere favorevole al rilascio del nulla osta paesaggistico, almeno in quei casi che rientrano nel range di applicazione dell’ultimo periodo del comma 7 dell’art. 146 del d.lgs. n. 42/04. Infatti, considerata la natura vincolante del parere, non ha molto senso comunicare all’interessato le ragioni che inducono la p.a. a negare l’autorizzazione paesaggistica, soprattutto in una fase in cui il privato non potrà più orientare l’amministrazione preposta alla gestione del vincolo in un senso a lui favorevole.

Parimenti, non convince l’attuale formulazione dell’art. 10-bis della legge n. 241/00 che sembra non trovare applicazione nei confronti dei procedimenti amministrativi avviati d’ufficio, limitando i suoi effetti a quelli iniziati su istanza di parte. Infatti, non è aspetto di poco momento che la ratio che ha ispirato l’intero Capo III della legge quadro sul procedimento amministrativo sia rinvenibile proprio nella esigenza di produrre un effetto deflativo in grado, cioè, di ridurre sensibilmente il contenzioso che vede protagonista la p.a.. L’obiettivo dichiarato, nelle intenzioni del legislatore, dovrebbe essere traguardato mediante l’instaurazione di un effettivo rapporto dialettico tra il cittadino e gli apparati pubblici. Se questo è il postulato non si comprende come si possa circoscrivere l’ambito di operatività dell’art. 10-bis della legge n. 241/00 e s. m. e i.. ai soli procedimenti avviati ad impulso di parte escludendone quelli avviati d’ufficio. L’irragionevolezza della norma, nelle sue linee guida applicative, induce a pensare che si sia trattata di una vera e propria svista del legislatore, anche in considerazione del fatto che in nessun’altra disposizione contenuta nel Capo III i procedimenti non iniziati ad istanza di parte appaiono discriminati.

L’incongruenza del precetto contenuto nell’articolo di legge in parola balza vistosamente agli occhi proprio se impiantato nel sub - procedimento volto alla formulazione del parere della soprintendenza in materia di tutela del paesaggio, più precisamente nella parte in cui viene negata al cittadino/istante la possibilità di essere informato tempestivamente delle ragioni che spingerebbero l’organo soprintendizio a valutare negativamente l’impatto sul paesaggio delle opere progettate. Si tratta di una disposizione che,  oggi più che mai, si apprezza per la sua sostanziale iniquità. Infatti, com’è noto, a partire dal 31 luglio 2006 è entrato in vigore il D.p.c.m. del 12 dicembre 2005 che impone ai proprietari, possessori e detentori di immobili o aree assoggettate a vincolo paesaggistico di allegare alla richiesta di autorizzazione paesaggistica tutta una serie di documenti che lascerebbero pochissimi margini di discrezionalità alla pubblica amministrazione.

Basti dire che la relazione paesaggistica da allegare al progetto consta di due tipi di elaborati: a) analisi dello stato attuale; b) analisi progettuali. Più in particolare, la seconda parte della relazione paesaggistica in parola contiene una simulazione dettagliata dei luoghi a seguito della realizzazione del progetto resa mediante fotomodellazione realistica, il che significa  azzerare quasi del tutto il potere di controllo di legittimità esercitato dall’organo soprintendizio, almeno sotto il profilo dell’eccesso di potere, riducendolo a poco più di una sorta di presa d’atto. Appare evidente, allora, che in un quadro legislativo così strutturato non riconoscere al privato il diritto ad essere informato delle ragioni che indurrebbero la soprintendenza a valutare negativamente il progetto presentato non può non significare rinnegare quegli stessi principi di economicità, efficacia, pubblicità e trasparenza che hanno ispirato ed innervato l’intera legge sul procedimento amministrativo e che ancora trovano cittadinanza nell’art. 1 dell’articolato in parola.

Parimenti, comunicare all’interessato le ragioni ostative al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica - così come previsto attualmente dal comma 9 dell’art. 146 del d.lgs. n. 42/04 - in una fase procedimentale in cui non è più possibile incidere favorevolmente, dopo aver sostenuto, peraltro, costi non indifferenti per produrre tutta la documentazione richiesta a supporto della istanza, non può non atteggiarsi a tradimento e lesione dell’effettività delle garanzie partecipative.

Nella speranza che il legislatore si svegli dall’atavico torpore in cui sembra sprofondato, ci si può consolare ricordando che anche Omero talvolta riposava. 

 

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(*) Partner dello studio legale “Cristofano, Guzzo & Associates” e Professore di Organizzazione Aziendale presso l’Unical.

[1] Cfr. Consiglio di Stato, VI sezione, sentenza n. 2704 del 20 luglio 2006;

[2] L’art. 16 del d.lgs. n. 157 del 24 marzo 2006, così recita: ” 1. I proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di immobili e aree oggetto degli atti e dei provvedimenti elencati all'articolo 157, oggetto di proposta formulata ai sensi degli articoli 138 e 141, tutelati ai sensi dell'articolo 142, ovvero sottoposti a tutela dalle disposizioni del piano paesaggistico, non possono distruggerli, ne' introdurvi modificazioni che rechino pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione.

2. I proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo dei beni indicati al comma 1, hanno l'obbligo di sottoporre alla regione o all'ente locale al quale la regione ha delegato le funzioni i progetti delle opere che intendano eseguire, corredati della documentazione prevista, affinche' ne sia accertata la compatibilità paesaggistica e sia rilasciata l'autorizzazione a realizzarli.

3. Le regioni, ove stabiliscano di non esercitare direttamente la funzione autorizzatoria di cui al presente articolo, ne possono delegare l'esercizio alle province o a forme associative e di cooperazione degli enti locali in ambiti sovracomunali all'uopo definite ai sensi degli articoli 24, 31 e 32 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, al fine di assicurarne l'adeguatezza e garantire la necessaria distinzione tra la tutela paesaggistica e le competenze urbanistiche ed edilizie comunali. La regione può delegare ai comuni il rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche nel caso in cui abbia approvato il piano paesaggistico ai sensi dell'articolo 143, comma 3, e a condizione che i comuni abbiano provveduto al conseguente adeguamento degli strumenti urbanistici. In ogni caso, ove le regioni deleghino ai comuni il rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche, il parere della soprintendenza di cui al comma 8 del presente articolo resta vincolante.

4. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, d'intesa con la Conferenza Stato-regioni, e' individuata la documentazione necessaria alla verifica di compatibilità paesaggistica degli interventi proposti.

5. La domanda di autorizzazione dell'intervento indica lo stato attuale del bene interessato, gli elementi di valore paesaggistico presenti, gli impatti sul paesaggio delle trasformazioni proposte e gli elementi di mitigazione e di compensazione necessari.

6. L'amministrazione competente, nell'esaminare la domanda di autorizzazione, verifica la conformità dell'intervento alle prescrizioni contenute nei provvedimenti di dichiarazione di interesse pubblico e nei piani paesaggistici e ne accerta:

a) la compatibilità rispetto ai valori paesaggistici riconosciuti dal vincolo ed alle finalità di tutela e miglioramento della qualità del paesaggio individuati dalla dichiarazione di notevole interesse pubblico e dal piano paesaggistico;

b) la congruità con i criteri di gestione dell'immobile o dell'area indicati dalla dichiarazione e dal piano paesaggistico.

7. L'amministrazione competente, acquisito il parere della commissione per il paesaggio di cui all'articolo 148 e valutata la compatibilità paesaggistica dell'intervento, entro il termine di quaranta giorni dalla data di ricezione dell'istanza, trasmette al soprintendente la proposta di rilascio o di diniego dell'autorizzazione, corredata dal progetto e dalla relativa documentazione, dandone comunicazione agli interessati. La comunicazione costituisce avviso di inizio del relativo procedimento, ai sensi e per gli effetti della legge 7 agosto 1990, n. 241. Qualora l'amministrazione verifichi che la documentazione allegata non corrisponde a quella prevista al comma 4, chiede le necessarie integrazioni; in tale caso, il termine e' sospeso dalla data della richiesta fino a quella di ricezione della documentazione. Qualora l'amministrazione ritenga necessario acquisire documentazione ulteriore rispetto a quella prevista al comma 4, ovvero effettuare accertamenti, il termine e' sospeso, per una sola volta, per un periodo comunque non superiore a trenta giorni, dalla data della richiesta fino a quella di ricezione della documentazione, ovvero dalla data di comunicazione della necessità di accertamenti fino a quella di effettuazione degli stessi.

8. Il soprintendente comunica il parere entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla data di ricezione della proposta di cui al comma 7. Decorso inutilmente il termine per l'acquisizione del parere, l'amministrazione competente assume comunque le determinazioni in merito alla domanda di autorizzazione. Fino all'approvazione del piano paesaggistico ai sensi dell'articolo 143, comma 3, e all'avvenuto adeguamento ad esso degli strumenti urbanistici comunali, il parere e' vincolante, secondo quanto previsto dall'articolo 143, comma 4.

9. Entro il termine di venti giorni dalla ricezione del parere del soprintendente, l'amministrazione competente rilascia l'autorizzazione oppure comunica agli interessati il preavviso di provvedimento negativo ai sensi dell'articolo 10-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni. L'autorizzazione costituisce atto autonomo e presupposto del permesso di costruire o degli altri titoli legittimanti l'intervento edilizio. I lavori non possono essere iniziati in difetto di essa.

10. Decorsi inutilmente i termini indicati al comma 9, e' data facoltà agli interessati di richiedere l'autorizzazione alla regione, che provvede anche mediante un commissario ad acta entro il termine di sessanta giorni dalla data di ricevimento della richiesta. Qualora venga ritenuto necessario acquisire documentazione ulteriore o effettuare accertamenti, il termine e' sospeso per una sola volta fino alla data di ricezione della documentazione richiesta, ovvero fino alla data di effettuazione degli accertamenti. Laddove la regione non abbia affidato agli enti locali la competenza al rilascio dell'autorizzazione paesaggistica, la richiesta di rilascio in via sostitutiva e' presentata alla soprintendenza competente.

11. L'autorizzazione paesaggistica diventa efficace decorsi trenta giorni dalla sua emanazione ed e' trasmessa in copia, senza indugio, alla soprintendenza che ha emesso il parere nel corso del procedimento, nonche', unitamente al parere, alla regione, agli enti locali e, ove esistente, all'ente parco nel cui territorio si trovano l'immobile o l'area sottoposti al vincolo.

12. L'autorizzazione paesaggistica, fuori dai casi di cui all'articolo 167, commi 4 e 5, non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi.

13. L'autorizzazione paesaggistica e' impugnabile, con ricorso al tribunale amministrativo regionale o con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, dalle associazioni ambientaliste portatrici di interessi diffusi individuate ai sensi dell'articolo 13 della legge 8 luglio 1986, n. 349, e da qualsiasi altro soggetto pubblico o privato che ne abbia interesse. Il ricorso e' deciso anche se, dopo la sua proposizione, ovvero in grado di appello, il ricorrente dichiari di rinunciare o di non avervi più interesse. Le sentenze e le ordinanze del tribunale amministrativo regionale possono essere appellate da chi sia legittimato a ricorrere avverso l'autorizzazione paesaggistica, anche se non abbia proposto il ricorso di primo grado.

14. Presso ogni amministrazione competente al rilascio dell'autorizzazione e' istituito un elenco, aggiornato almeno ogni quindici giorni e liberamente consultabile, in cui e' indicata la data di rilascio di ciascuna autorizzazione paesaggistica, con la annotazione sintetica del relativo oggetto e con la precisazione se essa sia stata rilasciata in difformità dal parere del soprintendente, ove il parere stesso non sia vincolante, o della commissione per il paesaggio. Copia dell'elenco e' trasmessa trimestralmente alla regione e alla soprintendenza, ai fini dell'esercizio delle funzioni di vigilanza di cui all'articolo 155.

15. Le disposizioni dei commi da 1 a 14 si applicano anche alle istanze concernenti le attività minerarie di ricerca ed estrazione riguardanti i beni di cui all'articolo 134.

16. Le disposizioni dei commi 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 13 e 14, non si applicano alle autorizzazioni per le attività di coltivazione di cave e torbiere. Per tali attività restano ferme le potestà del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, ai sensi della normativa in materia, che sono esercitate tenendo conto delle valutazioni espresse, per quanto attiene ai profili paesaggistici, dal soprintendente competente. Il soprintendente si pronuncia entro trenta giorni dalla richiesta del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio.».

[3] Gli articoli 24 e 113 della Costituzione, rispettivamente, prevedono: ” Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. Sono assicurati ai non abbienti con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione. La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari” (art. 24); “Contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa. La tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti. La legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della pubblica amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge stessa” (art. 113).

[4] L’art. 10 – bis della legge n. 241/00 stabilisce che:” Nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l’autorità competente, prima della formale adozione del provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all’accoglimento della domanda. Entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, gli istanti hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti. La comunicazione di cui al primo periodo interrompe i termini per concludere il procedimento che iniziano nuovamente a decorrere dalla data di presentazione delle osservazioni o, in mancanza, dalla scadenza del termine di cui al secondo periodo. Dell’eventuale mancato accoglimento di tali osservazioni è data ragione nella motivazione del provvedimento finale. Le disposizioni del presente articolo non si applicano alle procedure concorsuali e ai procedimenti in materia previdenziale e assistenziale sorti a seguito di istanza di parte e gestiti dagli enti previdenziali”.

[5] Il comma 8 del d.lgs. n. 157/06 dispone che “Il soprintendente comunica il parere entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla data di ricezione della proposta di cui al comma 7. Decorso inutilmente il termine per l’acquisizione del parere, l’amministrazione competente assume comunque le determinazioni in merito alla domanda di autorizzazione. Fino all’approvazione del piano paesaggistico ai sensi dell’art. 143, comma 3, e all’avvenuto adeguamento ad esso degli strumenti urbanistici comunali, il parere è vincolante, secondo quanto previsto dall’art. 143 comma 4.”

[6] L’art. 7 della legge n. 1497 del 29 giugno 1939 così recitava:”I proprietari, possessori o detentori, a qualsiasi titolo, dell’immobile, il quale sia stato oggetto di notificata dichiarazione o sia stato compreso nei pubblicati elenchi delle località non possono distruggerlo né introdurvi modifiche che rechino pregiudizio a quel suo esteriore aspetto che è protetto dalla presente legge. Essi, pertanto, devono presentare i progetti dei lavori che vogliano intraprendere alla competente (regia) soprintendenza e astenersi dal mettervi mano sino a tanto che non ne abbiano ottenuto l’autorizzazione. E’ fatto obbligo al (regio) soprintendente di pronunciarsi sui detti progetti nel termine massimo di tre mesi dalla loro presentazione”.

[7] L’art. 151 del d.lgs. n. 490 del 29 ottobre 1999 prevedeva:”I proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di beni ambientali inclusi negli elenchi pubblicati a norma dell’art. 140 o dell’art. 144 o nelle categorie elencate all’art. 146 non possono distruggerli né introdurvi modificazioni, che rechino pregiudizio a quel loro esteriore aspetto che è oggetto di protezione. I proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo dei beni indicati al comma 1, hanno l’obbligo di sottoporre alla regione i progetti delle opere di qualunque genere che intendono eseguire, al fine di ottenerne la preventiva autorizzazione. L’autorizzazione è rilasciata o negata entro il termine perentorio di sessanta giorni. Le regioni danno immediata comunicazione delle autorizzazioni rilasciate alla competente soprintendenza, trasmettendo contestualmente la relativa documentazione. Il Ministero può in ogni caso annullare, con provvedimento motivato, l’autorizzazione regionale entro sessanta giorni successivi alla ricezione della relativa comunicazione. Decorso inutilmente il termine indicato al comma 3, nei successivi trenta giorni è data facoltà agli interessati di richiedere l’autorizzazione al Ministero che si pronuncia entro il termine di sessanta giorni  dalla data di ricevimento della richiesta. L’istanza, corredata da triplice copia del progetto di realizzazione dei lavori e da tutta  la relativa documentazione, è presentata alla competente soprintendenza e ne è data comunicazione alla regione”.   

[8] Il Consiglio di Stato, con sentenza della VI sezione n. 609 del 14 aprile 1997, chiarì che:” (…) l’intervento ministeriale di cui all’art. 82 comma 9 del d.p.r.  n. 616/1977 non mira a comprimere una situazione soggettiva del privato non ancora perfezionatasi con il nulla osta regionale, ma solo coopera in termini negativi (come non annullamento) alla rimozione dell’originario ostacolo giuridico, atteggiandosi alla stregua di elemento costitutivo di una complessa fattispecie autoritativa sui generis”.

[9] Il primo e il secondo periodo del comma 7 del d.lgs. n. 42/04, come novellato dall’art. 16 del d.lgs. n. 157 del 24 marzo 2006, prevedono che “L’amministrazione competente, acquisito il parere della commissione per il paesaggio di cui all’art. 148 e valutata la compatibilità paesaggistica dell’intervento, entro il termine di quaranta giorni dalla data di ricezione dell’istanza, trasmette al soprintendente la proposta di rilascio o di diniego dell’autorizzazione, corredata dal progetto e dalla relativa documentazione, dandone comunicazione agli interessati. La comunicazione costituisce avviso di inizio del relativo procedimento, ai sensi e per gli effetti della legge 7 agosto 1990, n. 241”

[10] Il comma 5 dell’art. 146 del d.lgs. n. 42/04, come novellato dall’art. 16 del d.lgs. n. 157/06, dispone:”La domanda di autorizzazione dell’intervento indica lo stato attuale del bene interessato, gli elementi di valore paesaggistico presenti, gli impatti sul paesaggio delle trasformazioni proposte e gli elementi di mitigazione e di compensazione necessari”.

[11] Il Consiglio di Stato,  proprio con un recente arresto della VI sezione, rubricato n. 2407 del 20 luglio 2006, ha stabilito che “(…) il potere di annullamento riconosciuto al Ministero per i beni culturali e ambientali dall’art. 82, ultimo comma, d.p.r. n. 616/1977 viene esercitato in una fase endoprocedimentale successiva, che ha natura di secondo grado e che è di competenza di un diverso organo da quello che ha rilasciato l’autorizzazione; sicchè deve ritenersi sussistente l’obbligo di comunicazione ex art. 7 L. n. 241/1990, come riconosciuto dalla stessa Corte Costituzionale”.

[12] Il comma 9 dell’art. 146 del d.lgs. n. 42/04, come modificato dall’art. 16 del d.lgs. n. 157 del 24 marzo 2006, stabilisce che “Entro il termine di venti giorni dalla ricezione del parere del soprintendente, l’amministrazione competente rilascia l’autorizzazione oppure comunica agli interessati il preavviso di provvedimento negativo ai sensi dell’art. 10-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni. L’autorizzazione costituisce atto autonomo e presupposto del permesso di costruire o degli altri titoli legittimanti l’intervento edilizio. I lavori non possono essere iniziati in difetto di essa”; 

[13] In questo senso si veda Consiglio di Stato, VI sezione, sentenza n. 609 del 17 aprile 1997; Consiglio di Stato, VI sezione, sentenza n. 2983 del 29 maggio 2002; Consiglio di Stato, VI sezione, sentenza n. 4866 del 2 settembre 2003; Consiglio di Stato, VI sezione, sentenza n. 361 del 27 giugno 2005;

[14] L’art. 7 della legge n. 241/90 e s. m. e i., così dispone:”Ove non sussistono ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento, l’avvio del procedimento stesso è comunicato, con le modalità previste dall’art. 8, ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti ed a quelli che per legge devono intervenirvi. Ove parimenti non sussistano le ragioni di impedimento predette, qualora da un provvedimento possa derivare un pregiudizio a soggetti individuati o facilmente individuabili, diversi dai suoi diversi destinatari, l’amministrazione è tenuta a fornire loro, con le stesse modalità, notizia dell’inizio del procedimenti.

Nelle ipotesi di cui al comma 1 resta salva la facoltà dell’amministrazione di adottare, anche prima della effettuazione delle comunicazioni di cui al medesimo comma 1, provvedimenti cautelari.

[15] L’art. 13 della legge n. 241/90 e s. m. e i. stabilisce che: “Le disposizioni contenute nel presente capo non si applicano nei confronti dell’attività della pubblica amministrazione diretta alla emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione”.


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