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Articoli e note

n. 7-8/2007 - © copyright

 STEFANO GLINIANSKI *

  Il ricorso al rapporto di lavoro a tempo determinato
tra vincoli legislativi ed autonomia regolamentare

horizontal rule

Il crescente ricorso al rapporto di lavoro subordinato con la fissazione di un termine da parte delle amministrazioni locali, sovente al fine di eludere le preclusioni in materia di assunzioni a tempo indeterminato dettate dalle recenti leggi finanziarie per la copertura dei posti vuoti in dotazione organica, ha indotto il legislatore a limitare il suo utilizzo con un recente intervento legislativo.

Il riferimento è al decreto legge 4 del 10 gennaio 2006, convertito in legge 9 marzo 2006, n. 80, introduttivo del comma 1 bis dell’art. 36 del D.lvo 165/2001 e ss.mm.

La norma ha inciso particolarmente sia sull’apparato motivazionale da richiamare per giustificare il ricorso a tale istituto quanto sul procedimento preliminare da seguire per potere legittimamente accedere a tale tipologia contrattuale costitutiva di un rapporto di lavoro a termine.

Se, infatti, il D.Lvo 368/2001, aveva esteso, in una accezione comunitaria delle relazioni lavorative di impiego pubblico e non, l’ambito di applicazione dell’istituto, superando il requisito dell’eccezionalità richiesto inizialmente per l’attivazione di tale istituto e rendendo possibile l’apposizione di un termine al contratto per ragioni di carattere produttivo, tecnico, organizzativo o sostitutivo con possibilità di durata massima triennale dello stesso comprensivo di una sola proroga, con l’introduzione del comma 1 bis all’art. 36 del TUPI, il regime del contratto a tempo determinato può definirsi stravolto.

Per quanto attiene alla motivazione, infatti, tale forma flessibile di assunzione è subordinata ad esigenze temporanee ed eccezionali

Con riferimento all’aspetto procedurale, il ricorso al tempo determinato dovrà effettuarsi previa valutazione circa l’opportunità di attivazione di contratti per la somministrazione a tempo determinato di personale ovvero di esternalizzazione e appalto di servizi e nel rispetto di procedimenti selettivi o concorsuali

 A fronte di tale rigidità motivazionale e procedurale, è da precisare, tuttavia, che la disposizione in esame - in considerazione dell’attuazione della riforma del Titolo V della Costituzione parzialmente adottata con l’ entrata in vigore L. 131/2003, che limita la possibilità di ingerenza dello Stato nelle materie riservate alla competenza delle autonomie locali - è testualmente definita quale “norma di principio” per l’utilizzo di forme contrattuali flessibili da parte degli enti locali, per cui l’adeguamento ad essa da parte delle singole autonomie ad essa dovrà cristallizzarsi nelle opportune sedi regolamentari.

Ne consegue, pertanto, il problema del corretto adeguamento da parte della amministrazioni della loro normativa interna a tale norma di principio.

Problema, a parere dello scrivente, complesso per le seguenti motivazioni.

Relativamente all’aspetto motivazionale, l’apparente specificità della formulazione letteraria della disposizione ove richiede esigenze caratterizzate dalla temporaneità ed eccezionalità , se da un lato sembra lasciare pochi margini di autonomia alle amministrazioni locali in sede di regolazione interna, dall’altro potrebbe dare luogo ad orientamenti interpretativi sul significato da attribuire alle due espressioni oscillanti, profondamente differenti e, dunque, facilmente sindacabili.

Sarà opportuno, dunque, che le amministrazioni locali, nell’esercizio della propria autonomia regolamentare, specifichino in modo coerente il significato che assume per loro il concetto di temporaneità così come quello di eccezionalità adeguandolo alla realtà concreta della quale sono enti esponenziali.

Adeguamento, tuttavia, non facile.

E ciò per due motivi in apparenza contraddittori.

In primo luogo, come accennato, per la tendenziale chiusura del significato astratto a cui possono prestarsi le due espressioni nell’immediato: ciò che è temporaneo altro non è, infatti, che limitato nel tempo; ciò che è eccezionale esula, per definizione, dall’ordinario.

Di poi, a contrario, per la efficacia espansiva che l’espressioni potrebbero acquisire nella loro concreta traduzione in atti interni, con il rischio di interpretazioni più o meno manipolative con conseguente sviamento dal principio discendente dalla norma.

L’equilibrio interpretativo da ricercare tra questi due estremi al fine di contemperare un’esigenza di flessibilità e di autonomia nella gestione della propria macchina organizzativa con il rispetto di un predicato legislativo che di fatto tenda a limitare tale autonomia sarà la non facile soluzione corretta alla definizione del problema in esame.

Gli operatori sono, dunque, ancora una volta, investiti dell’arduo compito di trovare soluzioni definitorie, con equilibrismi interpretativi di cui si auspica la correttezza.

L’esperienza concreta, purtroppo, insegna che così sovente non avviene.

E’ sintomatico della poca fiducia che il legislatore pone nei confronti delle autonomie locali il contenuto del disegno di legge delega per la formulazione del nuovo “Codice della Autonomie” approvato nella riunione del 16 marzo 2007, n. 43.

Quest’ultimo, sia nella sua parte normativa [1], quanto nella sua relazione di accompagnamento [2], forte dell’esperienza passata e con la consapevolezza che tale fenomeno potrà ripetersi, ammonisce le amministrazioni ad un corretto uso della loro autonomia regolamentare che deve esplicitarsi, si afferma espressamente, nel rispetto dei principi desumibili dal TUPI e, in generale, dalle disposizioni di disciplina del rapporto di impiego pubblico.

Orbene, interpretazioni del nuovo comma 1 bis dell’art. 36 del TUPI , dirette, ad esempio, a cristallizzare norme regolamentari che consentano di ricorrere al tempo determinato per la copertura di posti per cui vi è il divieto di assunzione a tempo indeterminato, là dove tale copertura sia giudicata indispensabile al fine di garantire le erogazioni di servizi e/o prestazioni essenziali [3], pur giudicate pienamente condivisibili da parte dello scrivente se davvero si vuole accedere ad un reale e non solo nominalistico principio di autonomia degli enti locali, potrebbero sicuramente avviare ulteriori sindacati di legittimità da parte degli organi giurisdizionali a ciò deputati con l’effetto di ampliare le profonde incertezze che già investono la materia.

Con riferimento , infine, al vincolo procedurale, l’avere definito il legislatore nazionale tale limitazione come discendente da una norma di principio, sembra, poi, quanto meno discutibile.

E’ innegabile il valore immediatamente precettivo della disposizione in esame che appare nella sua rigidità e chiarezza ancora una volta in violazione di una autonomia che per un verso si riconosce alle autonomie locali e dall’altro si nega con disposizioni particolarmente invasive dei loro ambiti di competenza.

Le amministrazioni locali dovranno, pertanto, in sede di programmazione del fabbisogno del personale valutare e motivare il perché di una scelta diretta all’adozione di un istituto – il contratto a tempo determinato - piuttosto che ad altro – somministrazione o esternalizzazione, a seguito di una analisi del rapporto costi/benefici tra istituti diversi da effettuarsi, come con correttezza affermato [4], non soltanto in termini economici , ma a seguito di una ponderazione ampia in cui rientrerà sicuramente, ma non con valore assorbente, anche la valutazione dell’economicità in termini finanziari della scelta effettuata.  

Ove la scelta ricadrà sul ricorso al lavoro a tempo determinato si imporrà poi l’adozione di procedure selettive o concorsuali la cui sede di regolazione sarà anche per esse il regolamento di organizzazione degli uffici e dei servizi sempre più frequentemente definibile di esecuzione piuttosto che di assimilazione di principi.                

 

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(*) Segretario generale e Direttore generale Comune di Sanremo (IM).

[1] L’art. 2,  comma 4, infatti, prevede,  alla lettera bb), che nell’esercizio della delega,  il Governo si attenga al seguente criterio ed indirizzo: “individuare i principi in materia di organizzazione degli uffici e di rapporto di lavoro e di impiego nelle pubbliche amministrazioni  ai quali si adeguano, tenuto conto delle rispettive peculiarità, gli ordinamenti dei Comuni, delle province, delle città metropolitane e degli altri enti locali”.

[2] La ratio che sottende la disposizione di cui alla nota precedente  è precisamente indicata nella relazione illustrativa di accompagnamento al testo: enucleare i principi di organizzazione dei pubblici uffici e di rapporto di impiego che pur essendo presenti  e ben riconoscibili nell’ordinamento positivo, tuttavia, non hanno impedito agli enti locali d sviluppare una normazione ed una prassi spesso contrastanti con detti principi con particolare riguardo all’accesso agli uffici e la progressione nelle qualifiche.

[3] Previsione ipotizzata, pur segnalandone la non remota possibilità di sindacato giurisdizionale, da autorevole dottrina, in virtù di un effettivo e non solo nominalistico principio di autonomia regolamentare in materia di organizzazione da parte degli enti locali. Cfr sul tema A. Bianco : Pubblico impiego: esigenze temporanee ed eccezionali, in Pubblico Impiego 6/2006.

[4] Cfr Bianco, op. cit.


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