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Articoli e note

n. 10/2005 - © copyright

RAFFAELLO GISONDI*

Enti locali e procedure di riscossione delle sanzioni
per la violazione del codice della strada

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Una recente risoluzione del Direttore dell’Ufficio per il federalismo fiscale del Dipartimento per le Politiche Fiscali del Ministero delle Finanze ha riacceso il dibattito sulle modalità con cui gli enti locali devono provvedere alla riscossione delle sanzioni relative alle violazioni del codice della strada [1].

La nota, rispondendo al quesito con cui un comune chiedeva se potesse avvalersi per lo svolgimento del suddetto servizio di una proprie società mista, secondo quanto prevede l’art. 52 del D.Lgs 446/97, ha espresso l’avviso che in materia continuino ad applicarsi le norme speciali del codice della strada (art. 206 comma 1 del D.Lgs 285/92) e della L. 689/91 (art. 27), che prevedono il sistema della riscossione mediante ruolo da affidarsi ai concessionari del Ministero delle finanze.

Tali norme, sostiene il Ministero, riguardando “la disciplina delle sanzioni amministrative”, non sarebbero “derogabili” da parte degli enti locali nell’esercizio della potestà regolamentare ad essi attribuita dall’art. 52 del D.Lgs 446/97, la quale, invece, potrebbe esplicarsi con riferimento alle “attività di accertamento, liquidazione e riscossione delle entrate tributarie e patrimoniali”.

La questione assume notevoli implicazioni in ordine alle modalità di organizzazione del servizio della riscossione delle entrate degli enti locali.

Occorre infatti ricordare che i sistemi di riscossione coattiva delle entrate fiscali e patrimoniali previsti dal nostro ordinamento sono sostanzialmente due: quello della cd “ingiunzione fiscale” di cui al RD 639/1910 e quello del ruolo, che ha subito nel corso del tempo incisive trasformazioni normative (cfr D.Lgs 603/72; D.P.R. 44/88 e da ultimo D.Lgs 112/99).

Le differenze procedimentali fra i due sistemi (simile il primo all’ordinario procedimento monitorio previsto dagli artt. 633 e ss c.p.c. ed improntato a regole del tutto speciali e meno garantistiche il secondo) si sono con il tempo attenuate fino quasi a scomparire a seguito della entrata in vigore del del DL 209/02 (art. 4 comma 2 sexies e septies) che ha esteso anche alla ingiunzione fiscale la procedura esattoriale prevista dal D.P.R. 602/1973 che in precedenza era riservata ai soli crediti iscritti al ruolo.

 

Tuttavia permane ancora una sostanziale differenza in ordine ai soggetti che sono abilitati a procedere con l’una o con l’altra modalità: infatti, la riscossione sulla base del ruolo è riservata ai concessionari per la riscossione individuati dal Ministero delle finanze, invece, laddove l’entrata non debba essere introitata mediante ruolo, alla sua riscossione coattiva può procedere lo stesso l’ente che ne è titolare (anche attraverso proprie enti strumentali quali aziende speciali o società miste a maggioranza pubblica) mediante ingiunzione fiscale ex RD 639/1910.

Per cui sostenere che una determinata entrata debba continuare ad essere riscossa mediante ruolo significa in buona sostanza sottrarne la gestione alla autonomia organizzativa e finanziaria degli enti locali che, come meglio si dirà, è espressamente prevista dall’art. 52 del D.Lgs 446/97 oltre che tutelata dall’art. 117 della Costituzione.

La conclusione a cui giunge il Dicastero, che peraltro si pone in contrasto con una precedente risoluzione espressa dal medesimo ufficio nel 2002 [2], non appare però condivisibile alla luce di una attenta disamina del quadro normativo in materia di riscossione delle entrate degli enti locali.

Occorre rammentare che mentre in passato erano le leggi relative ai singoli tributi o ai singoli cespiti di entrata ad indicare di volta in volta se la relativa riscossione dovesse avvenire mediante ruolo o ingiunzione fiscale [3], con il D.P.R. 28/01/1988 n. 43 (oggi sostituito dal D.Lgs 112/99) il legislatore nazionale ha istituito un sistema unitario e centralizzato di riscossione tendenzialmente valevole per tutte le entrate tributarie e non sia dello Stato che degli enti locali.

Al vertice di tale sistema, denominato “servizio centrale per la riscossione dei tributi”, è stato posto un ufficio centrale alle dirette dipendenze del Ministro delle finanze, mentre la riscossione coattiva delle somme iscritte nei ruoli formati dalle singole amministrazioni è stata demandata ad agenti della riscossione (destinati a sostituire i vecchi esattori) titolari di concessioni per ambiti territoriali determinati.

La generalizzazione del sistema di riscossione mediante ruolo ha comportato la abrogazione di tutte le precedenti disposizioni legislative che consentivano alle pubbliche amministrazioni di procedere direttamente alla realizzazione dei propri crediti patrimoniali e tributari mediante la procedura di ingiunzione fiscale di cui al RD 639/1910, che la giurisprudenza ha considerato di fatto espunta dall’ordinamento (art. 130 DPR 43/88; Cass. sez trib. 8/06/2000 n. 7801 in Giust Civ. Mass. 2000 1248; Cass. 23/06/1998 n. 6242 in Riv. Giur Trib. 1999, 316; Corte App Torino 26/01/2002 in Dir e prat trib 2004, II, 453).

Le leggi successive al 1988 si sono adeguate al nuovo modello di riscossione centralizzata prevedendo il ricorso al ruolo (e conseguentemente ai concessionari del servizio) quale unica forma di realizzazione coattiva delle entrate. Si possono citare a riguardo senza pretesa di completezza: l’art. 206 del D.Lgs 285/92 (codice della strada) con riguardo alle modalità di riscossione delle relative sanzioni, l’art. 12 del D.Lgs 504/1992 con riguardo all’imposta comunale sugli immobili, l’art. 9 del D.Lgs 507/93 con riguardo all’imposta sulle pubbliche affissioni, l’art. 51 del medesimo decreto con riguardo alla tassa per l’occupazione di suolo pubblico.

Il sistema centralizzato di riscossione è tuttavia entrato in crisi a seguito del progressivo affermarsi della autonomia organizzativa e finanziaria delle comunità territoriali, sancita dapprima a livello legislativo, con le riforme del cd federalismo amministrativo della seconda metà degli anni ‘90[4], e poi dalla stessa riforma del titolo V della Costituzione varata con la L.C. 3/2001.

In particolare, in campo finanziario, si deve menzionare la L. 662/1996 (art. 3 comma 143 e 149) che ha delegato il governo ad attuare una revisione della materia dei tributi locali che preveda la attribuzione ai comuni ed alle province del potere di disciplinare con propri regolamenti “tutte le fonti delle entrate locali”, compresi i procedimenti di accertamento e riscossione, nel rispetto della riserva di legge prevista dall’art. 23 della Costituzione con riguardo alle fattispecie imponibili, soggetti passivi ed aliquote massime.

La delega è stata attuata con il D.Lgs 446 del 1997 il quale all’art. 52 comma 1 ha stabilito il trasferimento alla potestà regolamentare dei comuni e delle province della disciplina delle proprie entrate anche tributarie salvo per quel che riguarda gli aspetti coperti da riserva di legge ai sensi dell’art. 23 della Costituzione.

In particolare è stata attribuita ai regolamenti locali anche la possibilità disciplinare i servizi di riscossione delle entrate secondo moduli simili a quelli previsti dalla L. 142/90 (poi trasfusa nel D.Lgs 267/00) per i servizi pubblici locali.

Accanto alla gestione diretta dei suddetti servizi il decreto legislativo 446/97 ha previsto il loro affidamento diretto ad enti strumentali quali aziende speciali e società miste a maggioranza pubblica, oppure, previo esperimento di procedure di evidenza pubblica, a concessionari della riscossione di cui al D.P.R. 43/88 (a prescindere dall’ambito territoriale di competenza) o ad imprese iscritte all’albo dei soggetti abilitati ad effettuare attività di accertamento e riscossione dei tributi e delle altre entrate dei comuni e delle province istituito ai sensi dell’art. 53 del citato D.Lgs 446/97.

A seguito di tale intervento normativo il modello centralizzato di riscossione dei tributi mediante ruolo ha perduto il carattere di universalità con cui era stato originariamente concepito: esso rimane oggi l’unico sistema di introito coattivo delle entrate dello Stato, mentre con riguardo agli enti locali rimane solo una fra le opzioni a cui le province e i comuni possono ricorrere nella gestione dei propri servizi di riscossione (Cass. 19/07/2002 n. 10536 in Giust Civ. 2003, I, 2858; Cass. SSUU 21/01/2005 n. 1240; Cons Stato ord 4989 del 28/08/2001).

Il passaggio alla autonomia regolamentare degli enti locali della disciplina della riscossione delle proprie entrate ha comportato la delegificazione delle norme di legge previgenti che stabilivano in relazione a singoli tributi, o ad altre voci di entrata, particolari modalità di riscossione. E’ infatti previsto che tali norme continuino ad applicarsi solo qualora e fino a quando non venga dettata una nuova disciplina regolamentare dai singoli enti.

Pertanto, in forza dell’art. 52 comma 1 del D.Lgs 446/97 il DPR 43/88, così come tutte le altre norme che stabilivano il ricorso al ruolo come mezzo di riscossione delle entrate locali, sono da ritenersi “cedevoli” rispetto ad una diversa disciplina regolamentare dettata dai singoli enti nel quadro dell’art. 52 citato.

Il medesimo concetto è stato ribadito dal legislatore anche con il D.Lgs 112/99, che, sulla base di apposita delega conferita al governo con la L. 337/98, ha attuato un riordino del servizio nazionale della riscossione. Invero, i commi 5 e 6 dell’art. 3 di tale decreto legislativo non solo fanno espressamente salve le disposizioni contenute nell’art. 52 del D.Lgs 446/97, ma precisano altresì che la riscossione delle entrate delle province e dei comuni continui ad essere affidata ai concessionari solo ove detti enti, nell’esercizio della loro potestà regolamentare, non abbiano optato per altre modalità di gestione[5].

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Alla luce del suddetto excursus normativo i profili di debolezza della la tesi sostenuta nella nota del Ministero delle finanze appaiono evidenti.

Infatti, non si vede davvero la ragione per cui debba riconoscersi alle previsioni del D.Lgs 285/92 in materia di riscossione delle sanzioni previste dal codice della strada una speciale capacità di resistenza all’effetto delegificante attribuito ai regolamenti degli enti locali in materia di entrate dall’art. 52 comma 1 del D.Lgs 52/97.

La legge delega n. 662/96 appare assolutamente chiara nel voler attribuire alla potestà regolamentare dei comuni e delle province la disciplina di “tutte le fonti delle entrate locali” (art. 3 comma 149 lett a) L. cit).

Del pari anche l’art. 52 del decreto legislativo 446/97 si riferisce indiscriminatamente a tutte le tipologie di entrata, specificando che vi sono incluse “anche” (e quindi non solo) quelle tributarie.

L’art. 208 comma 1 del D.Lgs 285/92 prevede che i proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie previste dal codice della strada siano devoluti agli enti (regioni province o comuni) a cui appartengono gli agenti che ne hanno accertato la violazione.

Sicchè appare indubitabile che i proventi derivanti da accertamenti relativi alla violazione del codice della strada compiuti da funzionari comunali, costituiscono a tutti gli effetti “entrate” proprie degli enti a cui essi appartengono che sono quindi competenti a disciplinarne le modalità di riscossione in base al più volte citato art. 52 del D.lgs 446/97.

Alla stessa conclusione è pervenuta di recente anche la giurisprudenza amministrativa che proprio in riferimento ai proventi delle sanzioni derivanti dalla violazione di norme del codice della strada ha affermato che essi devono ritenersi compresi nella sfera di applicazione dell’atrt. 52 del D.Lgs 446/02, poiché “non pare dubbio che la previsione comprenda qualsivoglia forma di entrata quale che ne sia la natura; l’ampia dizione utilizzata dal legislatore delegante (“tutte le fonti delle entrate locali”) e da quello delegato (“tutte le altre entrate”, oltre quelle tributarie) non consente di ritenere che le entrate di cui si tratta possano andare escluse da siffatto, ampio, ambito revisionale” (TAR Campania Sent n. 17907/04).

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Peraltro, la devoluzione della disciplina del servizio di riscossione delle entrate alla autonomia normativa degli enti locali, operata dal legislatore nel 1997, costituisce oggi un dato irreversibile e necessitato alla luce della riforma costituzionale operata con la L.C. 3/2001.

Infatti, una normativa statale che imponesse alle province ed ai comuni, dotati ora di una più accentuata autonomia normativa e finanziaria, una determinata modalità di gestione di un servizio o di una funzione non potrebbe più considerarsi conforme al nuovo quadro costituzionale delineato dalla L 3/2001.

Lo dimostra la sentenza della Corte Costituzionale n. 272 del 27/07/2004 che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 113 bis del D.Lgs 267/00, come modificato dal D.L. 269/03, poiché esso disciplinava in modo specifico e dettagliato le forme di gestione dei servizi locali privi di rilevanza economica (nell’ambito dei quali non può operare la competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza), invadendo in tal modo le sfere di competenza regionale e locale.

Nè sottrazione alla autonomia normativa dei comuni della riscossione dei proventi derivanti dalle sanzioni previste dal codice della strada potrebbe essere giustificata argomentando che tutta la disciplina dettata dal suddetto codice (e vieppiù quella sanzionatoria) atterrebbe alla materia della sicurezza e dell’ordine pubblico che tutt’oggi rimane di competenza esclusiva dello Stato in base all’art. 117 comma 2 Cost.

E’ vero che tale tesi è stata recentemente sostenuta in una recente pronuncia della Corte Suprema (Cass. 15/02/2005 n. 3038 in Giust Civ. Mass 2005, fasc. 2).

Tuttavia, nella medesima sentenza, la Corte di Cassazione ha anche precisato che il momento della irrogazione della sanzione va tenuto nettamente distinto da quello della sua riscossione: il procedimento di riscossione della sanzione, infatti, mira solo a realizzare il diritto di credito della amministrazione che è destinataria dei relativi proventi (che può essere anche diversa da quella che la ha irrogata) e “non riguarda la disciplina in materia di violazioni del codice della strada, caratterizzata dalla disciplina sopra sintetizzata, attenendo ad una fase successiva alla sua chiusura.

Il medesimo concetto è stato di recente ribadito anche dalla Sezioni Unite della Corte di Cassazione a proposito delle sanzioni edilizie.

Le Sezioni Unite hanno infatti precisato che mentre provvedimento sanzionatorio afferisce “all’accertamento dell’illecito ed applicazione della relativa sanzione, id est ad una attività consequenziale correlata all’esercizio della funzione di vigilanza e disciplina sull’attività edilizia ed espressione del momento autoritativo della funzione stessa, che si traduce nella costituzione del diritto a percepire la somma corrispondente alla sanzione applicata, ovvero alla formazione del titolo esecutivo in senso sostanziale”, il procedimento di riscossione del credito in tal modo costituitosi è invece espressione di un’attività, quella di realizzazione della pretesa creditoria attraverso l’esecuzione forzata, che rimane “estranea alla funzione predetta ed alla esigenza di tutela degli specifici interessi d’ordine collettivo perseguiti e realizzati nella precedente fase” (Cass. SSUU 11/03/2005 n. 5332 in Urbanistica e Appalti, 2005, 1040).

Pertanto, se la irrogazione delle sanzioni previste dal codice della strada si inquadra nell’ambito degli interessi statali di tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico, giustificando quindi la attrazione della relativa disciplina nell’ambito della competenza esclusiva dello Stato, il procedimento di riscossione dei proventi che ne derivano attiene invece ad un ordine di interessi completamente diverso che fa invece capo alla finanza dell’ente creditore e rientra quindi nell’ambito della relativa autonomia normativa costituzionalmente garantita.

              

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(*) Avvocato - Dirigente della avvocatura del Comune di Prato.

[1] Si tratta della nota prot. 8427/2005 commentata su Il Sole 24 Ore del 13 settembre 2005 e su Italia Oggi del 2 settembre 2005.

[2] Nota prot. 15211/2002/DPF/UFF la quale, pronunciandosi su un quesito di un Comune che chiedeva se in base alla previsione dell’art. 52 del D.Lgs 446/97  fosse possibile optare per la riscossione diretta della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani mediante ingiunzione fiscale anziché mediante ruolo, nonostante la contraria previsione dell’art. 72 del D.Lgs 507/93, ha risposto in senso affermativo, osservando che la disposizione del D.Lgs  507/93 “può essere disapplicata dall’ente locale in favore di una diversa forma di riscossione”

[3] Per le amministrazioni statali il ruolo era previsto dal D.P.R. 602/73 come mezzo di riscossione delle imposte dirette nei casi di accertamenti tributari ex officio o di rettifica delle dichiarazioni, mentre per talune imposte indirette come l’INVIM, imposte ipotecarie e catastali, imposte doganali etc.., in cui la somma dovuta era liquidata direttamente dall’amministrazione competente, era prevista la riscossione coattiva mediante ingiunzione fiscale. Anche per gli enti locali la previsione del  tipi di procedura di riscossione era dettata dalle singole leggi che disciplinavano i tributi ad essi afferenti.

[4] Il riferimento è ovviamente alla legge delega n. 59/1997 (cd Bassanini) e successivi decreti di attuazione che attuarono il cd federalismo amministrativo, ma in campo tributario e finanziario anche all’art.  3 commi 143 e 149 della L. 662/96 che delegava il governo ad emanare decreti di riforma della fiscalità locale, delega poi attuata con il D.Lgs 446/97 di cui si dirà nel testo.

[5] La resistenza della previgente disciplina sulla riscossione delle entrate degli enti locali ai regolamenti ex art. 52 comma 1 del D.Lgs 446/97, non può fondarsi sulla previsione del comma 3° dell’art. 17 del D.Lgs 46/99 secondo cui “continua comunque ad effettuarsi mediante ruolo la riscossione delle entrate già riscosse con tale sistema in base alle disposizioni vigente alla data di entrata in vigore del presente decreto”. Infatti, la palese contraddizione di tale norma, che sembrerebbe ammettere la operatività della potestà di scelta dei comuni e delle province in ordine alle forme di gestione del servizio di riscossione solo per i tributi istituiti prima della entrata in vigore del D.Lgs  46/99, e non anche per quelli già vigenti, con il principio della autonomia organizzativa e finanziaria degli enti locali, è stata risolta dal successivo D.Lgs 112/99 che all’art. 3 comma 6 rimette alle scelte degli enti territoriali la forma di gestione della riscossione di tutte le entrate proprie senza distinzioni di sorta.  Sicchè l’art. 17 comma 3 deve ritenersi implicitamente abrogato, per incompatibilità, dall’art. 3 comma 6 del D.Lgs 112/99. 


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