LexItalia.it  

 Prima pagina | Legislazione | Giurisprudenza | Articoli e note | Forum on line | Weblog

 

Articoli e noteClicca qui per segnalare la pagina ad un amicoStampa il documento

n. 2/2008

GIORGIO GIALLOMBARDO
(Presidente del T.A.R. Sicilia)

Inaugurazione dell'anno giudiziario del T.A.R. Sicilia

 (Palermo, 16 febbraio 2008)

horizontal rule

Autorità, Signore, Signori,

1. - Adempio anche quest’anno al gradito dovere, in occasione della cerimonia di apertura dell’anno giudiziario presso la Sede di Palermo del Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, di presentare la relazione sull’attività svolta e sull’andamento della Giustizia amministrativa in questa circoscrizione giudiziaria nel decorso anno 2007.

É questa ormai una consuetudine che, per determinazione del Consiglio di Presidenza della Giustizia amministrativa, si inserisce a pieno titolo nel contesto delle analoghe iniziative da più tempo praticate presso altre Magistrature, al condivisibile fine di fornire, oltre che agli addetti ai lavori anche all’opinione pubblica, la più ampia informazione sull’andamento e sulle prospettive di questo settore della giustizia, divenuto sempre più fenomeno di massa, così nel Paese come nella nostra realtà territoriale.

L’anno che si è appena concluso è stato caratterizzato da una significativa attività dei tribunali amministrativi regionali, ormai in funzione da trentaquattro anni.

Non è questo un periodo particolarmente lungo nella complessiva storia del Paese, ma è pur sempre significativo e rilevante, essendo stato caratterizzato da una costante più diffusa esigenza di giustizia da parte dei cittadini anche nei rapporti con la pubblica amministrazione, strettamente collegata ad una crescita di coscienza civile e di consapevolezza di diritti e doveri cui l’opera dei "nuovi" giudici amministrativi dislocati sull’intero territorio nazionale ha dato un contributo non indifferente. Contributo che certamente continuerà ad avere un ruolo fondamentale nel nuovo contesto ordinamentale che va delineandosi dopo le recenti riforme costituzionali, caratterizzato da una trasformazione profonda della struttura stessa dello Stato, tendente ad un federalismo che vede sempre più affermarsi i centri decisionali regionali e locali ed affievolirsi, fino talora a venir meno, le tradizionali forme di controllo tipiche della precedente struttura statale tendenzialmente accentratrice.

I nuovi modelli organizzativi che vanno via via precisandosi, ispirati ai principi del federalismo solidale, della sussidiarietà e quant’altro, postulano invero la presenza attiva di una giurisdizione speciale e specializzata, quale è quella amministrativa, che il più rapidamente ed efficacemente possibile sia in grado di assicurare al cittadino, ovunque residente ed operante, una tutela effettiva nei confronti di qualsivoglia eventuale prevaricazione dei pubblici poteri onde perseguire l’obbiettivo di una costante osservanza del principio di legalità anche attraverso la legittimità dell’azione amministrativa ed, al contempo, della realizzazione, quanto meno tendenziale, di condizioni di pari opportunità per tutti.

Pur nella consapevolezza dei consistenti limiti oggettivi che si frappongono in concreto alla nostra opera – cui accennerò tra poco – ritengo che il Giudice amministrativo non si sottrarrà anche per l’avvenire a questo fondamentale impegno civile al servizio del Popolo Italiano, nel cui nome è chiamato a pronunciare.

Desidero innanzi tutto rivolgere un deferente saluto al Signor Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che impersona l’unità nazionale ed assolve con grande equilibrio ed autorevolezza all’altissimo ruolo di garante della Costituzione e degli assetti ordinamentali in questa consacrati.

Un particolare saluto all’Arcivescovo Metropolita della Diocesi di Palermo, S.E. Mons. Paolo Romeo, che da circa un anno svolge egregiamente l’impegnativa funzione pastorale in questa Città, alla quale è stato chiamato dal Sommo Pontefice, Benedetto XVI, quale successore dell’Eminenza Rev.ma Cardinale Salvatore De Giorgi, Arcivescovo Metropolita Emerito di Palermo, di cui non posso non ricordare la grande attenzione che ha sempre manifestato, nei lunghi anni di permanenza nell’Alto Ministero, per la nostra attività.

Un caloroso saluto e un sentito ringraziamento, anche a nome dell’Ufficio, a tutti gli intervenuti – rappresentanti dei vari settori delle Istituzioni, delle Magistrature, del Foro, dell’Università, della Dottrina giuridica e dell’Informazione – che, con la loro presenza, dimostrano l’attenzione e l’interesse con cui le componenti della Società – e non soltanto gli (strettamente) addetti ai lavori – seguono l’attività della Giustizia amministrativa.

Un particolare saluto al Presidente del Consiglio di Stato, Paolo Salvatore, recentemente insediatosi ed al quale mi legano antichi sentimenti di stima ed amicizia, che con grande prestigio e competenza onora la carica di vertice della Giustizia Amministrativa italiana.

Un affettuoso saluto ed un ringraziamento per l’opera svolta ai Presidenti Emeriti del Consiglio di Stato che l’hanno più di recente preceduto, Alberto de Roberto e Mario Egidio Schinaia, che per la ineludibile legge del tempo hanno lasciato l’ufficio, dopo vari decenni al servizio dello Stato.

Un cordiale saluto anche al nostro Organo di autogoverno, il Consiglio di Presidenza della Giustizia amministrativa, presente alla odierna cerimonia con una autorevole rappresentanza.

Un particolare saluto al Foro di Palermo e della Sicilia occidentale tutta – in questa espressione ricomprendo anche l’Avvocatura dello Stato e le Avvocature degli enti pubblici – qui largamente presente, che vanta una lunga brillante tradizione anche nel settore amministrativo e che ha sempre contribuito in modo determinante all’evoluzione giurisprudenziale.

Un cordiale saluto ai Colleghi tutti, del Consiglio di Stato, del Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione Siciliana e dei Tribunali amministrativi regionali, ed alle rispettive Associazioni; un particolare saluto e ringraziamento al Personale di segreteria ed amministrativo della Giustizia amministrativa, che condivide con encomiabile spirito di servizio il nostro quotidiano impegno, ed ai rappresentanti sindacali, che sempre hanno dimostrato grande equilibrio e collaborazione.

Un pensiero affettuoso e riconoscente verso i Presidenti che mi hanno preceduto: in particolare, fra i più antichi, il Presidente emerito del Consiglio di Stato Giorgio Crisci ed il Presidente emerito della Corte Costituzionale Riccardo Chieppa, che ho avuto la fortuna di avere come maestri nei primi anni della mia attività; fra i più recenti, i Presidenti Guglielmo Serio e Giovanni Castiglione: quest’ultimo venuto a mancare appena pochi mesi fa.

Un commosso ricordo per quanti, al servizio della Repubblica nelle sue varie articolazioni, hanno sacrificato la vita nell’adempimento del dovere per la difesa della legge e delle istituzioni, della civile convivenza e della sicurezza dei cittadini.

Un pensiero riconoscente ai nostri connazionali, militari e civili, impegnati in varie parti del mondo in missioni di pace e di sostegno umanitario in favore delle popolazioni meno fortunate: missioni connotate sovente da rischi elevati, affrontati con coraggio e determinazione, talvolta fino all’estremo sacrificio.

2. - Ricordo brevemente alcuni eventi significativi che hanno riguardato questa Sede nel corso dell’anno 2007.

2.1. - Un evento di segno positivo, concernente la dotazione organica "di fatto" del Personale di Magistratura presso questa Sede, si è verificato alla fine dell’anno appena conclusosi. Mentre per quasi l’intero anno 2007 il Tribunale ha dovuto funzionare con appena 14 magistrati, rispetto ai 19 previsti dall’organico "di diritto" (finora mai integralmente coperto), con una carenza di circa il 25% rispetto a detto organico (e con la forzata conseguente riduzione di una unità nel numero di magistrati assegnati ad una delle tre Sezioni, che ha operato al di sotto del minimo di cinque previsto dalla normativa vigente), dal 20 dicembre 2007, a seguito del tanto atteso ripristino del "turn over" dei Magistrati, con l’immissione in servizio di tre giovani Referendari vincitori di concorso, nonché di un Primo Referendario proveniente da altra sede e qui trasferito a sua domanda, il numero complessivo dei Magistrati in servizio a Palermo – detratti due trasferiti a loro domanda presso altre sedi – è tornato a 16 unità (comunque sempre al di sotto di quasi il 16% rispetto all’organico previsto).

Ma della situazione deficitaria degli organici del Personale, sia di Magistratura che di Segreteria, amministrativo e di collaborazione e delle conseguenze negative sull’ efficienza del servizio dirò più avanti.

Al momento desidero formulare ai colleghi passati ad esercitare le funzioni presso altri Uffici giudiziari (i Referendari Gianmario Palliggiano e Mara Bertagnolli), ed ai colleghi che hanno recentemente assunto servizio presso questa Sede (il Primo Referendario Federica Cabrini, proveniente dalla Sede di Bari del T.A.R. della Puglia, ed i Referendari Francesca Aprile, Maria Cappellano ed Antonio De Vita, vincitori dell’ultimo concorso di accesso alla Magistratura amministrativa) il più cordiale saluto con l’augurio di buon lavoro e di meritate affermazioni nel prosieguo della carriera.

Desidero anche segnalare che il Consiglio di Presidenza della Giustizia amministrativa ha designato, unico magistrato amministrativo italiano, quale referente nazionale della Commissione Europea EJTN di Bruxelles (1) per conto del plesso giurisdizionale T.A.R. – Consiglio di Stato, il Collega Primo Referendario Giovanni Tulumello, qui in servizio.

Si tratta di un significativo riconoscimento nei confronti del valoroso magistrato prescelto ed anche dell’Ufficio di appartenenza.

2.2. - Altro evento positivo è costituito dalla definitiva copertura del posto dirigenziale di Segretario Generale presso questo Tribunale amministrativo, rimasto vacante dagli ultimi mesi del 2005 e, dopo brevi e saltuari periodi di interinato, conferito al Dirigente del ruolo della Giustizia amministrativa avv. Antonino Maria Fortuna, proveniente per trasferimento da analoga funzione già rivestita presso il Tribunale Amministrativo Regionale del Friuli-Venezia Giulia, con Sede in Trieste.

Il nuovo Segretario Generale, che ha assunto servizio l’8 giugno 2007, sta dando un significativo apporto all’organizzazione ed al funzionamento dei servizi amministrativi e di segreteria di questa Sede, e di ciò desidero pubblicamente ringraziarlo.

3. - Nello scorso anno giudiziario 2007 è continuato il percorso verso il definitivo assestamento delle innovazioni introdotte nel settore della Giustizia amministrativa con il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 e con la legge 21 luglio 2000, n. 205, interventi legislativi che, com’è noto, hanno ampiamente modificato il campo d’azione assegnato alla giurisdizione amministrativa: la quale, già privata di taluni settori di contenzioso concernente il c.d. pubblico impiego (precisamente quello riguardante le categorie di personale contrattualizzate, epperò non più dipendenti pubblici nel senso tradizionale del termine, ma piuttosto dipendenti della pubblica amministrazione con rapporto disciplinato da istituti di diritto privato del lavoro), si è vista attribuire nuovi e più rilevanti ed impegnativi spazi di intervento, attraverso il superamento del tradizionale riparto di giurisdizione fondato sulla secolare dicotomia "diritti soggettivi" – "interessi legittimi", integrato dall’attribuzione di competenza per materie o per "blocchi di materie" nei rilevanti settori dei servizi pubblici e dell’urbanistica ed edilizia.

Ed al riguardo, ormai ad un decennio dal primo dei citati interventi legislativi, non può non esprimersi apprezzamento per tale esito, destinato a ridare qualche certezza operativa a tutti gli "attori" del "servizio giustizia" – magistrati, avvocati e cittadini utenti – troppo spesso occupati più nella ricerca del "giudice competente" che nella risoluzione della controversia sostanziale oggetto del giudizio.

Peraltro, non posso fare a meno di sottolineare come l’ambito di detta "trasformazione" della giurisdizione amministrativa – trasformazione innescata dai citati interventi legislativi – risulta oggi in realtà disegnato in ampia misura dalle pronunzie rese dalla Corte Costituzionale, chiamata più volte a decidere sulla compatibilità costituzionale della rilevata operazione di superamento del tradizionale riparto di giurisdizione fondato sulla distinzione della posizione giuridica soggettiva vantata in favore dell’attribuzione di competenza per materie o per "blocchi di materie".

Mi riferisco alla sentenza della Corte Costituzionale n. 204 del 6 luglio 2004 - alla quale hanno fatto seguito la pronunzia n. 281 del 28 luglio 2004 relativa ai contenziosi instaurati nella vigenza dell’originario art. 34 del D.L.vo n. 80/1998, ed ancora dallo stesso disciplinati per quanto attiene ai profili di giurisdizione, nonché alla sentenza 11 maggio 2006, n. 191, che ha esaminato i profili di legittimità costituzionale dell’art. 53 del D.L.vo 8 giugno 2001, n. 325 (T.U. in materia di espropriazioni), devolutivo alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo delle controversie in materia espropriativa - tutte già oggetto di attenzione nelle relazioni di inaugurazione dei precedenti anni giudiziari.

Si ricorderà certamente che la sentenza n. 204/2004 ha dichiarato la parziale incostituzionalità degli artt. 33 e 34 del D.L.vo n. 80 del 1998, come sostituiti dall’art. 7 della L. n. 205 del 2000, ritenendo costituzionalmente illegittima l’attribuzione al giudice amministrativo, nelle materie dei servizi pubblici e dell’urbanistica ed edilizia, di giurisdizione anche sui diritti soggettivi in ambiti nei quali non venga in rilievo il concreto esercizio di pubbliche potestà; la sentenza n. 281/2004 ha, poi, dichiarato la parziale incostituzionalità dell’originario art. 34 del D.L.vo n. 80/1998 per la parte in cui, eccedendo dai limiti della delega, non si è limitato ad estendere la giurisdizione amministrativa ai diritti patrimoniali conseguenziali, ivi compreso quello al risarcimento del danno; la sentenza n. 191/2006 ha ritenuto incostituzionale l’art. 53 del D.L.vo 8 giugno 2001, n. 325 (T.U. in materia di espropriazioni) nella parte in cui, devolvendo alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative ai "comportamenti" della pubblica amministrazione e dei soggetti a questa equiparati in materia di espropriazione per pubblica utilità, non esclude da tale ambito i comportamenti non riconducibili, neppure in via mediata, all’esercizio di un pubblico potere.

Dalle ricordate pronunce costituzionali sembra potersi delineare una nuova configurazione della giurisdizione esclusiva che radica la sua esistenza non già e non più genericamente sulle materie e sui "blocchi di materie" in quanto tali, ma piuttosto sull’esercizio, quantomeno iniziale, di un potere pubblico nella materia considerata.

Se così è, l’originario avvio di un procedimento amministrativo e/o l’esercizio di un potere amministrativo hanno una funzione pregnante e centrale che permette al sindacato del giudice amministrativo di irradiarsi estendendosi alla cognizione degli atti e dei comportamenti attuativi e conseguenziali rispetto a quel potere nonché alle posizioni giuridiche di "diritto soggettivo" dai privati vantate in dette materie.

Forse è questa la possibile lettura della nuova giurisdizione esclusiva inaugurata dalla Corte costituzionale nel 2004, che permette di differenziarla dalla giurisdizione generale di legittimità.

4. - Nelle relazioni di inaugurazione dei precedenti anni giudiziari si era posto in evidenza come tali pronunce della Corte costituzionale potessero introdurre nuovi elementi di incertezza in un ambito – quello dell’accesso dei cittadini alla tutela giurisdizionale – di rilievo costituzionale e di sicuro impatto nei confronti della percezione comune dei rapporti tra le istituzioni ed i cittadini stessi.

É innegabile, infatti, come i dubbi e le incertezze nella individuazione del giudice competente, e le connesse pronunzie declinatorie del giudice erroneamente adito, possano costituire un ulteriore fattore di allungamento dei tempi della giustizia e, quindi, una ulteriore remora alla concreta realizzazione del principio costituzionale della effettività della tutela giurisdizionale, con evidenti riflessi negativi sulla già compromessa immagine del servizio giustizia presso i cittadini direttamente interessati e, più in generale, presso tutta l’opinione pubblica.

Ad attenuare siffatti inconvenienti, oltre al fisiologico consolidamento di orientamenti giurisprudenziali applicativi delle citate pronunzie della Corte Costituzionale, sono sopraggiunte nel corso dell’anno 2007 due pronunzie – la sentenza 22 febbraio 2007, n. 4109 delle SS.UU. della Corte di cassazione e la sentenza 12 marzo 2007, n. 77 della Corte costituzionale – entrambe tendenti a realizzare la translatio judicii tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione amministrativa.

Si tratta cioè del riconoscimento dell’applicabilità ai rapporti tra giurisdizioni di un meccanismo che consenta, allorquando un giudice declini la propria giurisdizione, la prosecuzione del giudizio presso il giudice avente giurisdizione, con salvezza degli effetti sostanziali e processuali della domanda proposta avanti al giudice privo di giurisdizione in materia.

Non sfugge l’importanza di tale recente orientamento, tanto dal punto di vista pratico-operativo – potendosi così ovviare alle rilevate negative conseguenze delle incertezze in tema di giurisdizione – che dal punto di vista teorico, in relazione all’annoso ed irrisolto tema della unicità, o meno, della funzione giurisdizionale statuale.

Con la prima delle citate pronunzie – tralasciando in questa sede più specifici profili processuali – la Corte di cassazione ha preso le mosse dalla considerazione che il "giusto processo" non è diretto allo scopo di sfociare in una decisione di mero rito, ma a quello di rendere una pronuncia di merito stabilendo chi nella controversia instaurata ha torto e chi ha ragione, ed è pervenuta a ritenere che – in base a una lettura costituzionalmente orientata della disciplina della materia, che tenga conto delle argomentazioni emergenti dalle intervenute modifiche legislative e delle prospettazioni svolte di recente dalla dottrina – nell'ordinamento processuale deve essere dato ingresso al principio della translatio judicii dal giudice ordinario al giudice speciale, e viceversa, in caso di pronuncia sulla giurisdizione, sia che questa provenga dalla Corte di cassazione sia che provenga da qualsiasi altro giudice.

In buona sostanza la Corte di cassazione ha ritenuto di potere estendere l’applicazione del meccanismo previsto dall’art. 50 cod. proc. civ. in tema di competenza interna alla giurisdizione ordinaria anche alle ipotesi nelle quali si faccia questione di rapporti tra giurisdizioni.

Con la seconda – e di poco successiva – pronunzia la Corte costituzionale ha ritenuto costituzionalmente illegittimo l'art. 30 della L. 6 dicembre 1971, n. 1034, nella parte in cui non prevede che gli effetti, sostanziali e processuali, prodotti dalla domanda proposta a giudice privo di giurisdizione si conservino, a seguito di declinatoria di giurisdizione, nel processo proseguito davanti al giudice munito di giurisdizione.

In particolare la Corte costituzionale – ritenuto non condivisibile l'assunto, fatto proprio dalla Corte di cassazione a Sezioni unite, secondo il quale non esisterebbe nel nostro ordinamento un divieto espresso di translatio judicii nei rapporti fra giudice ordinario e giudice speciale, dal momento che l'espressa previsione della translatio con esclusivo riferimento alla competenza non può significare altro se non divieto di applicare il medesimo istituto alla giurisdizione – ha affermato che il principio della incomunicabilità dei giudici appartenenti ad ordini diversi, se comprensibile in altri momenti storici, è certamente incompatibile, oggi, con fondamentali valori costituzionali, non potendo la previsione di una pluralità di giudici risolversi in una minore effettività, o addirittura in una vanificazione, della tutela giurisdizionale; evenienza, questa, che si verifica quando la disciplina dei rapporti tra diverse giurisdizioni, per di più fondata su un riparto di competenze complesso ed articolato, è tale per cui l'erronea individuazione del giudice munito di giurisdizione, o l'errore del giudice in tema di giurisdizione, può risolversi in un pregiudizio irreparabile, precludendo la possibilità stessa di un esame nel merito della domanda, con conseguente compromissione del diritto alla tutela giurisdizionale e ad una ragionevole durata del processo.

Dalla asserita impossibilità di diretta applicazione del principio della translatio judicii ex art. 50 cod. proc. civ. ai rapporti tra giurisdizioni, la Corte costituzionale fa discendere l’affermazione dell’esigenza di un intervento del legislatore, finalizzato a dare attuazione al principio della conservazione degli effetti, sostanziali e processuali, prodotti dalla domanda proposta a giudice privo di giurisdizione, risultando il legislatore ordinario libero di disciplinare nel modo ritenuto più opportuno il meccanismo della riassunzione (forma dell'atto, termine di decadenza, modalità di notifica e/o di deposito, eventuale integrazione del contributo unificato, ecc.).

La Corte ha, comunque, concluso che, laddove possibile utilizzando gli strumenti ermeneutici, i giudici ben potranno comunque dare attuazione al principio della conservazione degli effetti della domanda nel processo riassunto.

Non sono mancate alcune prime applicazioni di siffatti principi da parte del giudice amministrativo, peraltro sempre nel ruolo di giudice che rileva il proprio difetto di giurisdizione:

- il Consiglio di Stato (sez. VI n. 3466/2007) si è limitato ad affermare "Va pertanto dichiarato il difetto di giurisdizione e disposta la rimessione degli atti dinnanzi all’Autorità giurisdizionale ordinaria.";

- il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Bolzano (28 novembre 2007, n. 349) ed il TAR Emilia Romagna (sez. di Bologna, 26 ottobre 2007, n. 2514) si sono limitati a ribadire la conservazione degli effetti della domanda originaria nel processo da riassumere, secondo l’orientamento espresso dalla Corte;

- il Tribunale Superiore della Acque pubbliche (12 aprile 2007, n. 56) ed ancora il TAR Emilia Romagna (sez. di Bologna, 20 dicembre 2007, n. 4537) hanno espressamente ritenuto che alla riassunzione possa trovare applicazione l’art. 50 cod. proc. civ. citato.

Come vedremo meglio in seguito, questo Tribunale (sentenza n. 2254 del 24 ottobre 2007) ha avuto occasione di esaminare la opposta ipotesi di translatio judicii dal giudice ordinario incompetente a quello amministrativo competente, affermando, in linea di principio, che la riassunzione davanti al giudice amministrativo della causa già introdotta davanti a quello ordinario impedisce il verificarsi della decadenza.

5. - Permangono ancora, invece, consistenti profili problematici in ordine alla tematica della c.d. pregiudizialità amministrativa.

In questo contesto, segnato nella fase iniziale da non poche incertezze, sembrava essersi sufficientemente consolidato un orientamento che trae le mosse dalla fondamentale decisione dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 4 del 26 marzo 2003 (cui la questione era stata rimessa dal Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, in sede di esame dell’appello avverso una sentenza di questo Tribunale, Sede di Palermo), che, confermando la pronuncia appellata, ha affermato il principio della necessità di una previa declaratoria di illegittimità di un atto della Pubblica Amministrazione – e quindi, dell’impugnazione di tale atto – perché possa introdursi un’azione risarcitoria nei confronti dell’Amministrazione medesima.

Senonché un recente intervento delle Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione (ord.ze 13 giugno 2006, nn. 13659 e 13660, seguite dall’analoga n. 13911/2006) ha riproposto clamorosamente il problema della necessità o meno, ai fini del risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi, della preventiva impugnazione, con conseguente annullamento, del provvedimento fonte del danno lamentato.

Si è così riacceso nella materia considerata il contrasto di interpretazioni fra giudice ordinario e giudice amministrativo, sorto all’indomani della ben nota sentenza delle SS.UU. n. 500 del 1999, che sembrava essere superato o, quanto meno, sopito.

Con le ordinanze sopramenzionate si è affermato, sostanzialmente, che in caso di provvedimento amministrativo illegittimo non è necessario, per attivare la tutela risarcitoria, il previo annullamento dell’atto.

Sinteticamente, secondo il più recente orientamento della Corte regolatrice:

- il giudice amministrativo ha giurisdizione sulle domande di risarcimento del danno derivante da lesioni di interessi legittimi, sia nel caso di domande contestuali di annullamento dell’atto amministrativo e di risarcimento, sia nel caso di domande disgiunte;

- la domanda di risarcimento può essere proposta anche in difetto del previo annullamento dell’atto lesivo;

- il giudice amministrativo non può respingere, o dichiarare inammissibile la domanda di risarcimento, argomentando dal mancato previo annullamento dell’atto;

- ove il giudice amministrativo ciò facesse, incorrerebbe in un diniego della propria giurisdizione, sindacabile da parte della Corte di cassazione.

Nella relazione di inaugurazione del precedente anno giudiziario avevo sinteticamente illustrato alcuni rilievi critici al nuovo orientamento assunto dalla Corte di cassazione, soprattutto incentrati sui rischi per la certezza e l’economicità dell’azione amministrativa, con prevedibili ricadute devastanti per la finanza pubblica. Ed invero, si aprirebbe una stagione di incertezza ed instabilità dell’atto amministrativo e di rischi di superficiali accertamenti incidentali di legittimità sull’atto amministrativo medesimo, con prevedibile proliferazione delle richieste risarcitorie, foriere di effetti dirompenti sull’equilibrio della finanza pubblica.

La prima giurisprudenza amministrativa successiva alle ordinanze citate sembra discostarsene, in riconferma degli argomenti più volte enunciati a sostegno della pregiudizialità dell’annullamento dell’atto illegittimo che sta alla base del danno lamentato (cfr. ad es. TAR - Campania - Napoli, n. 7797 del 3 agosto 2006; TAR - Campania - Salerno, n. 1754 del 16 ottobre 2006; TARAbruzzo, n. 581 dell’11 luglio 2006; TAR Puglia - Lecce - n. 3710 del 4 luglio 2006; Cons. Stato, sez. IV, 8 maggio 2007 n. 2136; Cons. Stato, sez. IV, 8 giugno 2007 n. 3034).

Egualmente, questo Tribunale si è pronunziato nel senso che l’azione risarcitoria potrà trovare ingresso solo previo annullamento dell’atto illegittimo che sta alla base del danno lamentato (sentenze n. 1394 del 18 maggio 2007 e n. 1629 del 7 giugno 2007).

In contrario avviso sono invece intervenute alcune pronunce del giudice amministrativo di appello (C.G.A., 18 maggio 2007 n. 386; Cons. Stato, sez. V, 31 maggio 2007 n. 2822), che hanno aderito alla tesi della Corte di cassazione, da questa ribadita anche nel 2007 (SS.UU., ord. 7 febbraio 2007, n. 2688).

Nella materia sono, però, da registrare nella seconda parte dell’anno 2007 due importanti pronunzie dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato.

Con la prima (30 luglio 2007, n. 9) è stato delimitato l’ambito di applicazione del principio della pregiudiziale, affermando che nessun onere di previa impugnazione del provvedimento dannoso può essere posto a carico del suo destinatario ove l'atto sia stato rimosso in sede amministrativa, in autotutela o su ricorso di parte, oppure se il danno non è prodotto dalle statuizioni in esso contenute ma è stato materialmente causato dalle particolari modalità della sua esecuzione; nella specie, era stato ritenuto non sussistere alcun rapporto di necessaria pregiudizialità tra l'annullamento della dichiarazione di p.u. e la domanda risarcitoria derivante dall’omessa conclusione del procedimento di esproprio nei termini previsti.

Con la seconda (22 ottobre 2007, n. 12) l’Adunanza plenaria ha preso decisamente posizione in favore della tesi della pregiudiziale, ponendosi in aperto contrasto con la Cassazione anche con riferimento alla "sanzione" dalla stessa adombrata per l’ipotesi che il giudice amministrativo avesse continuato a ritenere la mancata tempestiva impugnazione dell’atto amministrativo lesivo preclusiva della possibilità di conseguire il risarcimento del danno patrimoniale subito.

Ed infatti l’Adunanza plenaria, dopo aver ribadito le considerazioni che l’avevano già indotta alla affermazione della necessità del previo annullamento del provvedimento amministrativo per il successivo conseguimento del risarcimento dei danni discendente dalla sua esecuzione, ha ricordato come la Corte di cassazione sia vincolata all’osservanza dell’ambito di estensione del suo controllo sulle sentenze della Corte dei conti e del Consiglio di Stato, riportando l’ "avvertimento" operato in tema dalla stessa Corte costituzionale (sent. 12 marzo 2007, n. 77), secondo la quale la Corte di cassazione, "con la sua pronuncia può soltanto, a norma dell’art. 111, comma ottavo, Cost., vincolare il Consiglio di Stato e la Corte dei conti a ritenersi legittimati a decidere la controversia, ma certamente non può vincolarli sotto alcun profilo quanto al contenuto (di merito o di rito) di tale decisione".

La stessa Adunanza plenaria rileva, ancora, come la Corte Costituzionale abbia anche ricordato che ad analogo principio "si ispira l’art. 386 cod. proc. civ. applicabile anche ai ricorsi proposti a norma dell’ art. 362, comma primo cod. proc. civ.", disponendo che "la decisione sulla giurisdizione è determinata dall’oggetto della domanda e, quando prosegue il giudizio, non pregiudica le questioni sulla pertinenza del diritto e sulla proponibilità della domanda".

Vi è da rilevare, peraltro, che al di fuori della "materia" espropriativa, alla quale sono prevalentemente ascrivibili i citati pronunciamenti, la Corte di cassazione mostra di attenersi ad una diversa, e forse più corretta, nozione del sindacato sulle sentenze del Consiglio di Stato e della Corte dei conti quando afferma (SS. UU., 19 gennaio 2007 , n. 1136) che esso è limitato, ai sensi dell'art. 111 Cost. "per soli motivi inerenti alla giurisdizione" cioè per lo sconfinamento del giudice amministrativo nelle competenze di altra giurisdizione o di altro potere dello Stato. Tale sconfinamento si verifica quando il giudice travalichi i così detti "limiti esterni" della giurisdizione, cioè si pronunci su questione non soggetta alla sua valutazione. Quando, invece, la materia rientri nella competenza del giudice adito, potrà parlarsi se mai di una travalicazione dai "limiti interni" della giurisdizione cioè di una "violazione di legge".

Giunti a questa fase dell’elaborazione giurisprudenziale, non rimane che attendere gli ulteriori pronunciamenti della Corte di cassazione in argomento, soprattutto con riferimento al rilevato proposito di cassazione delle pronunzie del giudice amministrativo che dovessero negare il chiesto risarcimento in nome della pregiudizialità amministrativa.

È comunque auspicabile, a questo punto, per scongiurare le inevitabili incertezze interpretative e gli ondeggiamenti giurisprudenziali che possono conseguirne, a tutto discapito della certezza del diritto e quindi, in definitiva, della tutela dei cittadini, che il legislatore intervenga al più presto sulla materia, novellando adeguatamente la disciplina vigente sì da rimuovere ogni ulteriore motivo di dubbio.

In mancanza di intervento legislativo, il giudice amministrativo potrà o discostarsi dalle SS.UU., attendendo eventuali cassazioni delle proprie pronunce, o seguire la via dell’incidente di costituzionalità dell’art. 7, L. Tar (L. 6 dicembre 1971, n. 1034 e s.m.i.) se interpretato, alla stregua dell’orientamento espresso dalle SS.UU. della Cassazione (orientamento da ritenersi vincolante per i giudici amministrativi, atteso il ruolo delle SS.UU. di organo regolatore della giurisdizione), nel senso di consentire azioni risarcitorie svincolate dalla previa domanda di annullamento dell’atto. I parametri di incostituzionalità sono agevolmente desumibili dagli artt. 3, 81 ultimo co., 97, 103, 111, e 113 Cost., sotto vari profili.

6. - Persiste, inoltre, un contrasto giurisprudenziale tra Corte di cassazione e giudice amministrativo in tema di giurisdizione sul risarcimento del danno da occupazione di aree private seguita dalla realizzazione di un’opera pubblica e non conclusasi con un regolare provvedimento di espropriazione.

Secondo la Corte regolatrice della giurisdizione (SS.UU. ord.za n. 2688 del 7 febbraio 2007) spetterebbero all’A.G.O. le controversie risarcitorie relative alle ipotesi di occupazioni usurpative caratterizzate da:

- assoluta mancanza della dichiarazione di pubblica utilità, situazione alla quale deve essere ricondotta l’occupazione di un’area diversa o più estesa di quella prevista;

- nullità, ex art. 21-septies L. n. 241/1990, della dichiarazione di p.u., situazione alla quale deve essere ricondotta la mancanza dei termini ex art. 13 L. n. 2359/1865;

- sopravvenuta inefficacia della dichiarazione di p.u. senza che sia intervenuto un decreto di espropriazione o si sia verificata l’occupazione acquisitiva per effetto della realizzazione dell’opera.

L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha invece ritenuto che spettino al giudice ordinario le sole controversie relative alle ipotesi di occupazione nella quale la dichiarazione di pubblica utilità manchi del tutto (e ciò in linea con la tesi delle sezioni unite), mentre spettino al giudice amministrativo quelle relative ad ogni altra ipotesi in cui la occupazione sia seguita ad una dichiarazione di pubblica utilità, e dunque ad un iniziale esercizio di potere pubblicistico, anche se il procedimento non si sia concluso con un decreto di esproprio, o si sia concluso con un decreto di esproprio tardivo (e ciò in contrasto con la tesi delle sezioni unite).

Tale posizione dell’Adunanza plenaria muove dalla affermazione della Corte costituzionale (sentt. n. 204/2004 e n. 191/2006) della spettanza alla giurisdizione esclusiva ex art. 34 D.L.vo n. 80/1998 dei comportamenti connessi all’esercizio del potere pubblico, valorizza la natura provvedimentale dell’atto di imposizione del vincolo preordinato all’esproprio e/o della dichiarazione di pubblica utilità, che connotano l’intero procedimento espropriativo affievolendo il diritto di proprietà, e perviene alla conclusione che la mancata, o tardiva, adozione del decreto di esproprio, pur configurando in termini di comportamento la occupazione del bene, non fa venire meno il collegamento di tale comportamento con il provvedimento pubblicistico della dichiarazione di pubblica utilità e, quindi, con l’esercizio del potere pubblico.

Non può non rilevarsi come detta soluzione offra, tra l’altro, il vantaggio di semplificare l’individuazione del giudice fornito di giurisdizione da parte del proprietario che si ritenga leso e danneggiato in conseguenza della realizzazione dell’opera già dichiarata di pubblica utilità, facendo dipendere detta individuazione dalla oggettiva esistenza della dichiarazione di p.u., o di atto equipollente, a tutto vantaggio di ovvie esigenze di economia processuale e di ragionevole durata del processo.

7. - Un nuovo profilo di contrasto tra la giurisprudenza della Corte di cassazione e quella del giudice amministrativo si è, infine, aperto sul finire dell’anno appena trascorso in tema di giurisdizione sulla sorte del contratto, in caso di annullamento dell’aggiudicazione e/o della procedura di scelta del contraente che ha condotto alla stipula dello stesso.

La giurisprudenza amministrativa nel corso del 2007 aveva ribadito la tesi, in precedenza elaborata, secondo cui l’annullamento in sede giurisdizionale dell’aggiudicazione comporta la caducazione automatica del contratto a valle, caducazione di cui conosce il giudice amministrativo nell’ambito della propria giurisdizione (Cons. St., sez. V, 10 gennaio 2007 n. 41; Cons. St., sez. VI, 4 giugno 2007 n. 2950).

Con particolare riferimento al nuovo Codice dei contratti pubblici il T.A.R. - Lombardia ha adottato due soluzioni di segno opposto:

- con sentenza 21 febbraio 2007 n. 335, in considerazione del superamento della equivalenza tra aggiudicazione e contratto, ha ritenuto che l’annullamento dell’aggiudicazione non comporta un effetto diretto di eliminazione del contratto; quest’ultimo resta invece valido, salvo il suo eventuale annullamento in esito ad azioni che la parte pubblica, anche in via di autotutela, o gli altri interessati, ritengano di intraprendere;

- con sentenza 14 giugno 2007 n. 5201, ha invece affermato che alla stregua dell’art. 246 Codice dei contratti pubblici, l’annullamento dell’aggiudicazione, assumendo la fisionomia di una condizione legale di efficacia del contratto, ne determina, con effetto caducante, la perdita di efficacia.

A fronte di siffatto dibattito interno alla giurisdizione amministrativa, la Corte di cassazione è intervenuta (SS.UU. 28 dicembre 2007, n. 27169) affermando che:

- gli artt. 6 e 7 della legge 205 del 2000, nel devolvere alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie relative alle procedure di affidamento di appalti pubblici di lavori, servizi e forniture, hanno riguardo alla sola fase pubblicistica dell'appalto (in essa compresi i provvedimenti di non ammissione alla gara o di esclusione dalla stessa), ma non si riferiscono alla successiva fase dell'esecuzione del rapporto, nella quale resta operante la giurisdizione del giudice ordinario quale giudice dei diritti;

- spetta al giudice ordinario la giurisdizione sulla domanda volta ad ottenere tanto la dichiarazione di nullità quanto quella di inefficacia o l'annullamento del contratto di appalto, a seguito dell'annullamento della delibera di scelta dell'altro contraente, adottata all'esito di una procedura ad evidenza pubblica giacché siffatte controversie non hanno ad oggetto i provvedimenti riguardanti la scelta suddetta, ma il successivo rapporto di esecuzione che si concreta nella stipulazione del contratto di appalto, del quale i soggetti interessati chiedono di accertare un aspetto patologico, al fine di impedirne l'adempimento.

La Corte di cassazione ha, infatti, ritenuto che il provvedimento di aggiudicazione che individua il contraente privato costituisce l’ultimo atto della fase pubblicistica della scelta del contraente, attribuita alla giurisdizione amministrativa esclusiva, successivamente alla quale se ne apre una seconda, pur strettamente connessa con la precedente, e ad essa conseguenziale, che ha inizio con l'incontro delle volontà delle parti per la stipulazione del contratto, e prosegue con tutte le vicende in cui si articola la sua esecuzione.

In detta seconda fase, i contraenti - p.a. e privato - si trovano in una posizione paritetica e le rispettive situazioni soggettive si connotano del carattere, rispettivamente, di diritti soggettivi ed obblighi giuridici a seconda delle posizioni assunte in concreto.

A ciò consegue che proprio la costituzione di detto rapporto giuridico di diritto comune diviene l’altro spartiacque fra le due giurisdizioni, quale primo atto appartenente a quella ordinaria, nel cui ambito rientra ricomprendendo anche l'intero spettro delle patologie ed inefficacie negoziali, siano esse inerenti alla struttura del contratto, siano esse estranee e/o alla stessa sopravvenute: come quando viene a mancare uno degli atti del procedimento costitutivo della volontà dell'amministrazione (deliberazione di contrarre, bando, aggiudicazione) a seguito dell’annullamento disposto dal giudice amministrativo.

Al di là della condivisibilità o meno dei presupposti giuridico-teorici dai quali muove detta soluzione, non sfugge il rilievo che la riconduzione del rapporto contrattuale ad un ambito esclusivamente privatistico potrà avere.

In particolare:

- il rapporto contrattuale illegittimamente posto in essere in violazione delle norme sulla scelta del contraente potrà continuare a produrre effetti sino a quando qualcuna delle parti interessate non adisca il giudice ordinario che eventualmente ne pronunzierà la invalidità a lunga distanza di tempo, magari quando il rapporto si sarà già esaurito, oppure continuerà ad essere travolto contestualmente all’annullamento della procedura di affidamento?

- detta invalidità sarà costruita in termini di "inefficacia", come prevalentemente ritenuto dalla giurisprudenza amministrativa, o in termini di nullità, rilevabile anche dal terzo estraneo al rapporto contrattuale ma ricorrente vincitore nel giudizio amministrativo, o di annullabilità, azionabile solo dalle parti contrattuali che presumibilmente non avranno interesse a farlo?

- a questo punto il risarcimento conseguente all’annullamento dell’affidamento potrà essere liquidato dal giudice amministrativo solo "per equivalente".

8. - In occasione delle inaugurazioni dei più recenti anni giudiziari era stata segnalata una norma processuale, nel filone di quelle della legge 205/2000 volte a preordinare corsie "preferenziali" per la trattazione e la definizione di determinate tipologie di controversie: precisamente, l’art. 14 del D.L.vo 20 agosto 2002, n. 190, recante norme di attuazione della legge n. 443/2001, per la realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici e di interesse nazionale.

Detta norma risulta oggi sostituita dalle previsioni di cui all’art. 246 del D.L.vo 12 aprile 2006, n.163, recante il Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE.

Nei confronti della nuova previsione, relativa all’esclusione della reintegrazione in forma specifica, sostituita esclusivamente dal risarcimento per equivalente, permangono le riserve già formulate nei confronti della norma originaria, per l’ipotizzabile sorgere di fenomeni distorsivi, con imprevedibili ricadute (di segno negativo) sulla finanza pubblica.

Deve tuttavia confermarsi quanto già rilevato negli anni scorsi, e cioè che tale norma, in pochi casi applicata presso questa Sede limitatamente al versante processuale (fissazione d’ufficio dell’udienza, termini abbreviati), non ha finora avuto occasione di concreta applicazione sul versante risarcitorio.

Peraltro, la intera materia degli appalti pubblici è stata oggetto del citato recente intervento da parte del legislatore nazionale, che ha così inteso ricondurre ad unica fonte la disciplina degli appalti di lavori, servizi e forniture.

Con il ricordato D.L.vo 12 aprile 2006, n.163, sono state, altresì, dettate peculiari norme in tema di contenzioso (parte IV).

In particolare è stata ribadita la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in tema di procedure di affidamento di lavori, servizi, forniture, svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all’applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale, ivi incluse le connesse controversie risarcitorie, nonché quelle relative ai provvedimenti sanzionatori emessi dall’Autorità; mentre sembra attributiva di nuovi ambiti di giurisdizione esclusiva la previsione concernente le controversie relative al divieto di rinnovo tacito dei contratti, quelle relative alla clausola di revisione del prezzo e al relativo provvedimento applicativo nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, nonché quelle relative ai provvedimenti applicativi dell’adeguamento dei prezzi (art. 244).

Quanto agli strumenti di tutela cautelare, il successivo art. 245 – recependo orientamenti emersi in sede comunitaria (cfr. Direttiva del Consiglio CEE n. 665 del 21 dicembre 1989, come interpretata dalla Corte di Giustizia CEE, Sez. V, 19 settembre 1996,n. 236 - Comm. CE c/ Governo Grecia; Sez. VI, n. 214 del 15 maggio 2003 - Comm. CE c/ Regno Spagna) – ha introdotto l’incisiva novità della "tutela cautelare ante causam" in caso di "eccezionale gravità e urgenza, tale da non consentire neppure la previa notifica del ricorso", con contestuale richiesta di misure cautelari provvisorie presidenziali. In siffatta ipotesi, il soggetto legittimato al ricorso potrà proporre istanza per l’adozione delle misure interinali e provvisorie che appaiono indispensabili durante il tempo occorrente per la proposizione del ricorso di merito e della domanda cautelare nelle forme ordinarie.

9. - Un cenno meritano anche due recenti pronunzie della Corte Costituzionale, che rivestono una duplice importanza: si tratta delle sentenze nn. 348 e 349 del 24 ottobre 2007.

Dette pronunzie hanno affrontato, e risolto, l’annoso problema della (in)congruità dei criteri legali di determinazione dell’indennità di espropriazione delle aree destinate alla realizzazione di opere pubbliche e di liquidazione del risarcimento del danno da occupazione acquisitiva.

Esse hanno, altresì, affrontato la problematica relativa ai meccanismi di applicazione nell’ordinamento interno delle norme comunitarie e di quelle derivanti da accordi internazionali, tra i quali indubbiamente rientrano quelli che scaturiscono dalla Convenzione europea per i diritti dell'uomo.

In particolare, con la prima sono stati dichiarati costituzionalmente illegittimi i commi 1 e 2 dell'art. 5 bis del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, conv., con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359, nonché l'art. 37, commi 1 e 2, del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327; con la seconda è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo il comma 7 bis dell'art. 5 bis del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, conv., con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359, introdotto dall'art. 3, comma 65, della legge 23 dicembre 1996, n. 662.

Tutte tali norme sono state dichiarate costituzionalmente illegittime per contrasto con l'art. 1 del primo Protocollo della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, quale interpretato dalla Corte europea per i diritti dell'uomo, in quanto i criteri di calcolo per determinare l'indennizzo dovuto ai proprietari di aree edificabili espropriate per motivi di pubblico interesse, nonché lo stesso risarcimento del danno derivante da occupazioni illegittime di suoli per causa di pubblica utilità intervenute anteriormente al 30 settembre 1996, conducevano alla corresponsione di somme non congruamente proporzionate al valore dei beni oggetto di ablazione.

Da un punto di vista sostanziale, è stato così rimosso un vero e proprio vulnus – che pure in passato era sfuggito al ripetuto vaglio della stessa Corte costituzionale – derivante al diritto dominicale del soggetto espropriato, o anche solo destinatario di occupazione d’urgenza, per la realizzazione di un’opera pubblica, dalla assoluta incongruità dell’ammontare della indennità di espropriazione, ed anche del risarcimento del danno, spettanti in rapporto al reale valore dell’area espropriata/occupata, specie se avente attitudine edificatoria.

Particolare interesse riveste l’iter argomentativo seguito dalla Corte costituzionale per pervenire a detto risultato, successivamente ai numerosi pronunciamenti nei quali la deduzione della violazione dell’art. 42 della Costituzione non era stata ritenuta sufficiente alla dichiarazione di incostituzionalità delle stesse norme.

Infatti la Corte Costituzionale:

- ha rilevato che l'art. 117, primo comma, Cost., novellato a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione, nel prevedere la necessità di armonizzare il diritto interno con «i vincoli derivanti […] dagli obblighi internazionali», comporta l'obbligo del legislatore ordinario di rispettare le norme contenute in accordi internazionali, così realizzando un meccanismo di rinvio alla norma convenzionale di riferimento, la quale dà vita e contenuto a quegli obblighi internazionali genericamente evocati; da ciò consegue che la norma nazionale incompatibile con la norma convenzionale all’esame, e dunque con gli "obblighi internazionali" di cui all'art. 117, primo comma, viola per ciò stesso tale parametro costituzionale;

- ha dichiarato costituzionalmente illegittime le norme in precedenza indicate per violazione degli obblighi internazionali sanciti dall'art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (CEDU), ai sensi del quale «Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale».

Essa ha inoltre:

- ribadito che le norme comunitarie hanno piena efficacia obbligatoria e diretta applicazione in tutti gli Stati membri, vincolando sia le amministrazioni che i giudici nazionali alla loro applicazione senza la necessità di leggi di ricezione e adattamento, in attuazione delle previsioni dell'art. 11 Cost., nella parte in cui consente le limitazioni della sovranità nazionale necessarie per promuovere e favorire le organizzazioni internazionali rivolte ad assicurare la pace e la giustizia fra le nazioni;

- rilevato come il nuovo testo dell'art. 117, primo comma, della Costituzione, condizionando l'esercizio della potestà legislativa dello Stato e delle Regioni al rispetto degli obblighi internazionali, abbia rafforzato il rango delle norme internazionali pattizie nel sistema delle fonti del diritto italiano, in precedenza tradizionalmente riferito alla legge di adattamento/recepimento, avente normalmente rango di legge ordinaria e quindi potenzialmente modificabile da altre leggi ordinarie successive. Il nuovo testo dell’art. 117 realizza infatti un "rinvio mobile" alla norma convenzionale di riferimento, la quale dà vita e contenuto a quegli obblighi internazionali genericamente evocati e, con essi, al parametro del giudizio di costituzionalità, tanto da essere comunemente qualificata "norma interposta";

- affermato che ai sensi dell'art. 117, primo comma, della Costituzione, al giudice nazionale spetta interpretare la norma interna in modo costituzionalmente orientato e conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti nei quali ciò sia permesso dai testi delle norme, dovendo invece, qualora ciò non sia possibile ovvero dubiti, lo stesso giudice, della compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale "interposta", investire la Corte costituzionale della relativa questione facendo riferimento al parametro dell'art. 117, primo comma, Cost.;

- chiarito i rapporti tra la stessa Corte costituzionale e la Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo nel senso che: a) l'interpretazione della Convenzione e dei Protocolli spetta alla Corte di Strasburgo, anche al fine di garantire l'applicazione del livello uniforme di tutela all'interno dell'insieme dei Paesi membri; b) alla Corte costituzionale - qualora sia sollevata una questione di legittimità costituzionale di una norma nazionale rispetto all'art. 117, primo comma, Cost. per contrasto, insanabile in via interpretativa, con una o più norme della CEDU - spetta invece accertare il contrasto e, in caso affermativo, verificare se le stesse norme CEDU, nell'interpretazione data dalla Corte di Strasburgo, garantiscano una tutela dei diritti fondamentali almeno equivalente al livello garantito dalla Costituzione italiana. E ciò non al fine di sindacare l'interpretazione della norma CEDU operata dalla Corte di Strasburgo, ma al fine di verificare la compatibilità della norma CEDU, nell'interpretazione del giudice cui tale compito è stato espressamente attribuito dagli Stati membri, con le pertinenti norme della Costituzione, in tal modo realizzando un corretto bilanciamento tra l'esigenza di garantire il rispetto degli obblighi internazionali voluto dalla Costituzione e quella di evitare che ciò possa comportare per altro verso un vulnus alla Costituzione stessa.

Non v’è dubbio che l’avere individuato una nuova, e rafforzata, collocazione delle norme internazionali di origine convenzionale all’interno dell’ordinamento giuridico nazionale, e l’avere indicato l’iter processuale da seguire per la loro concreta applicazione anche a fronte di normative nazionali con esse contrastanti, non potrà che comportare un ampliamento della gamma di situazioni giuridiche soggettive direttamente tutelabili anche avanti ai giudici nazionali.

Va segnalato che un primo intervento del legislatore, volto ad adeguare le norme legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità ai ricordati principi affermati in tema dalla Corte Costituzionale, è contenuto nella legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008) che, all’art. 2, commi 89 e 90, modifica la disciplina dell’indennità di espropriazione di aree edificabili e della misura dell’eventuale risarcimento del danno, applicando le nuove disposizioni a tutti i procedimenti espropriativi in corso, salvo che sia intervenuta condivisione od accettazione della indennità già determinata o che questa, comunque, sia divenuta irrevocabile.

10. - Vanno riproposte e vieppiù ribadite le riserve già più volte formulate nei confronti del decreto legge 19 agosto 2003, n. 220, convertito con legge 17 ottobre 2003, n. 280 "Disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva" - c.d. decreto "salva calcio" -, che per un verso ha delimitato (in buona sostanza, significativamente ridotto) l’ambito di intervento in tale materia degli organi della giurisdizione statale rispetto a quelli dell’ordinamento sportivo, fondamentalmente con il riconoscimento dell’autonomia di quest’ultimo e con la riserva ad esso delle questioni concernenti l’osservanza e l’applicazione delle proprie norme regolamentari, organizzative e statutarie nonché l’applicazione delle sanzioni disciplinari (art. 2), e con l’attribuzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (per vero, ormai residuale) delle controversie aventi ad oggetto atti del C.O.N.I. e delle Federazioni sportive esulanti da quelle sopra menzionate (art. 3, primo comma); e per altro verso, incidendo rilevantemente sulla materia processuale, ha concentrato nel solo T.A.R. del Lazio, sede di Roma, "in via esclusiva", la competenza in primo grado a decidere le controversie concernenti la legittimità di atti degli organismi operanti nel contesto dell’ordinamento sportivo nazionale: in certo senso "blindando" tale riserva di competenza mediante la previsione della rilevabilità d’ufficio della carenza di potere decisorio dei T.A.R. periferici (in deroga al principio generale, sancito dalla legge sui T.A.R. e confermato dalla legge 205/2000, per cui la incompetenza territoriale del giudice amministrativo di primo grado non può essere rilevata d’ufficio dal giudice adito ma va proposta con eccezione di parte, nei limiti temporali e con le modalità decisorie nella stessa legge previste).

Di tale normativa, si ritiene di dover ancora una volta rilevare come la stessa comporti un’ulteriore deroga al principio della competenza territoriale dei T.A.R. periferici, in tutti i casi in cui non vengano in questione atti di organi centrali dell’ordinamento sportivo: ciò che potrebbe far sorgere qualche dubbio circa la conformità al dettato dell’art. 125 della Costituzione, che prevede l’istituzione di organi di giustizia amministrativa di primo grado in ambito regionale: col che potrebbe realizzarsi un vulnus della scelta del Costituente di decentrare sul piano territoriale la giurisdizione amministrativa di primo grado, per renderne più agevole l’accesso al cittadino. Vulnus peraltro già più volte verificatosi, con l’attribuzione di competenze funzionali inderogabili al T.A.R. del Lazio – Sede di Roma – in determinate materie: ricordo i provvedimenti del Consiglio Superiore della Magistratura in tema di "status" dei magistrati ordinari; i provvedimenti delle Autorità indipendenti, ed altre ipotesi di minore rilievo.

Continuare a praticare siffatte scelte normative finirebbe con il concentrare nell’unica sede di Roma il primo ed il secondo grado di giudizio su talune materie ad esclusiva discrezione del legislatore ordinario, probabilmente in violazione, avuto riguardo alla norma costituzionale poc’anzi citata, anche del principio del "giudice naturale". Senza dire che tale tendenza sembra porsi in contrasto con le opzioni federaliste ripetutamente enunciate dalla maggior parte degli schieramenti politici ed ora contenute nelle recenti modifiche in tal senso apportate nell’organizzazione costituzionale dello Stato.

Purtroppo il legislatore, senza tenere in alcun conto i non trascurabili aspetti confliggenti con le garanzie costituzionali che tale tipo di scelte indubbiamente presentano, continua sulla strada tracciata con le opzioni normative sopra ricordate, ed ancora una volta qui criticate.

Ed infatti, la legge 27 gennaio 2006, n. 21, concernente la conversione, con modificazioni, del D.L. 30 novembre 2005, n. 245, recante misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza nel settore dei rifiuti nella Regione Campania, all’art. 3, commi 2-bis, ter e quater, ha previsto che in tutte le situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell’art. 5, c. 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225 (protezione civile), "la competenza di primo grado a conoscere della legittimità delle ordinanze adottate e dei conseguenziali provvedimenti commissariali spetta in via esclusiva, anche per l’emanazione di misure cautelari, al Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, con sede in Roma".

Viene introdotta la rilevabilità d’ufficio di tale nuova incompetenza territoriale dei TT.AA.RR. periferici e si dispone altresì, trascurando ben noti e consolidati principi processualistici, l’applicazione della nuova disciplina anche ai processi in corso.

Si prevede, infine, una sorta di moratoria delle misure cautelari eventualmente adottate (s’intende, "medio tempore") da un T.A.R. diverso da quello del Lazio – Roma – dichiarato competente "ex lege", fin quando quest’ultimo Giudice non provveda alla loro modifica o revoca, su ricorso della parte interessata.

Siffatta nuova normativa è stata ritenuta, da numerosi giudici amministrativi, in palese contrasto con vari precetti costituzionali (quali quelli enunciati negli artt. 3, 24, 25, 125 nella Costituzione nonché nell’art. 23 dello Statuto speciale per la Regione Siciliana, approvato con R. D.Lgt . 15 maggio 1946, n. 455, convertito nella L. cost. 26 febbraio 1948, n. 21 e s.m.i.).

Questioni di legittimità costituzionale sono state quindi sollevate, in relazione alla competenza funzionale inderogabile del TAR Lazio – Roma per i provvedimenti emessi dai vari commissari straordinari, introdotta con l’art. 3, c.2 –bis e segg., della ricordata legge n. 21 del 2006:

- dal Tar Sicilia – Palermo – Sez. I - con Ord. N. 90/06 del 6 marzo 2006;

- dal Tar Sicilia, Sez. staccata di Catania, Sez. I – Ord. N. 90/06 del 7 marzo 2006;

- dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in s.g. – Ord. N. 368/06 del 18 maggio 2006;

- dal Tar Veneto - Venezia, Sez. I, Ord.ze n. 1006 del 12 aprile 2006 e n. 1239 del 12 maggio 2006.

Presso questa Sede, con ulteriori ordinanze della Sez. I n. 228/06 e n. 304/06 sono stati sospesi i rispettivi giudizi, considerata la pendenza della questione di legittimità già sollevata dal Tribunale.

La Corte costituzionale, con sentenza n. 237 del 26 giugno 2007, seguita da varie altre pronunzie dello stesso segno, ha disatteso tutte le censure, ritenendo costituzionalmente legittima la scelta operata dal legislatore.

Siffatto, sempre più praticato, indirizzo legislativo, avallato autorevolmente dal Giudice delle leggi, di concentrare presso il T.A.R. del Lazio – Sede di Roma – svariate tipologie di contenzioso sottratte a quelli che, secondo la Costituzione formale, dovrebbero esserne i giudici naturali – i TT.AA.RR. territoriali – sta progressivamente realizzando, ad avviso di chi vi parla, un mutamento ordinamentale, riflettentesi su quella che suole definirsi la "Costituzione materiale", consistente, in buona sostanza, in un triplice livello di giurisdizione amministrativa: il Consiglio di Stato quale giudice di ultima istanza; il T.A.R. del Lazio – Sede di Roma – quale giudice di primo grado per le materie considerate di maggiore rilevanza (secondo le scelte legislative cui si è fatto cenno); i TT.AA.RR. territoriali quali giudici di primo grado per le materie ritenute di minor rilievo epperò, fatalmente destinati, se si proseguirà su questa strada, al declino collegato all’esercizio di competenze ritenute "bagattellari": destino cui si accomunerà probabilmente, in Sicilia, anche quello del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in s.g., privato correlativamente della funzione di appello nei confronti delle controversie trasferite per legge al T.A.R. di Roma.

A questo punto, portando il discorso a più avanzate conseguenze, non può non porsi il problema della opportunità della scelta di mantenere concentrato nella Capitale un sistema di doppio grado di giurisdizione amministrativa, originariamente prefigurato come diffuso in primo grado sul territorio per sovvenire ad esigenze di accessibilità ed economicità del servizio giustizia in favore del cittadino: dando così luogo, in buona sostanza, ad un circuito giurisdizionale elitario quanto a materie trattate ed a soggetti ed interessi coinvolti, quasi sempre di dimensioni rilevanti, anche economicamente, per i quali si realizza un vero e proprio sistema differenziato, quasi una giurisdizione speciale.

È un tema che mi permetto di proporre alla riflessione di giuristi ed operatori della giustizia amministrativa.

11. - Un cenno merita altresì il persistere, in tema di concorsi nell’ambito della Pubblica Amministrazione, di contrasti giurisprudenziali tra Corte di cassazione e giudice amministrativo: in particolare il difforme orientamento che sussiste in tema di giurisdizione sulle controversie relative alle procedure concorsuali per soli titoli e ad utilizzazione eventuale, caratterizzate dalla formazione di graduatorie permanenti e/o elenchi sulla base di criteri di attribuzione del punteggio rigidamente predeterminati, senza che residui all’amministrazione alcun margine di valutazione discrezionale.

In tema il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana (ord. n. 21 del 29 gennaio 2007) ha ritenuto di rimettere la relativa questione all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato in considerazione dell’esistenza di un orientamento della Corte di cassazione nel senso di attribuire le controversie riguardanti siffatte procedure al giudice ordinario, in quanto relative al diritto al lavoro, ex artt. 4 e 36 Cost., e di un opposto orientamento del giudice amministrativo, anche di secondo grado, che riconduce comunque tali graduatorie/elenchi alla nozione di procedimento concorsuale di assunzione caratterizzato dall’esercizio di pubbliche funzioni.

Al riguardo, l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (n. 8 del 24 maggio 2007) ha ritenuto che la giurisdizione spetti al giudice amministrativo anche quando la procedura concorsuale non comporti valutazioni discrezionali, ma solo attività vincolata della p.a., atteso che anche in tale ipotesi la procedura è finalizzata in via primaria alla tutela dell’interesse pubblico, sicché il privato aspirante ha comunque una posizione di interesse legittimo e non un diritto all’assunzione.

Poco meno di un mese dopo, le SS.UU. della Corte di cassazione (n. 14290 del 20 giugno 2007) – verosimilmente non ancora a conoscenza della decisione dell’Adunanza plenaria, per essere stata la questione decisa in una camera di consiglio di data anteriore alla pubblicazione di quella – hanno invece ribadito la spettanza di dette controversie al giudice ordinario argomentando:

- che la giurisdizione amministrativa sulle controversie inerenti a procedure concorsuali per l'assunzione, contemplata dal D.L.vo n. 165 del 2001, art. 63, comma 4, è limitata a quelle procedure che iniziano con l'emanazione di un bando e sono caratterizzate dalla valutazione comparativa dei candidati e dalla compilazione finale di una graduatoria, la cui approvazione, individuando i "vincitori", rappresenta l'atto terminale del procedimento;

- che esula dalla stessa la fattispecie dell'inserimento in apposita graduatoria di tutti coloro che siano in possesso di determinati requisiti e che è preordinata al conferimento dei posti di lavoro che si renderanno disponibili,

- che in tali ipotesi si è in presenza di atti estranei a vere e proprie procedure concorsuali per l'assunzione e che non potendo essere ascritti ad altre categorie di attività autoritativa (identificate dal D.L.vo n. 165 del 2001, art. 2, comma 1), restano compresi tra le determinazioni assunte con la capacità e i poteri del datore del lavoro privato (D.L.vo n. 165 del 2001, art. 5, comma 2) di fronte ai quali sono configurabili soltanto diritti soggettivi.

Si è in presenza, purtroppo, anche in questo settore, di una situazione destinata a provocare non pochi inconvenienti a ricorrenti costretti alla affannosa ricerca di un giudice per controversie relative al proprio diritto fondamentale al lavoro.

Non sembra eccessivo invocare un chiarificatore intervento del legislatore, che dirima, anche con una interpretazione autentica della normativa vigente, l’ormai cronica incertezza in materia.

Conclusivamente, attese le rilevate negative ricadute delle perduranti difficoltà di individuazione certa del giudice titolare della giurisdizione con riferimento a numerose e diversificate fattispecie, non sembra azzardato ipotizzare una modifica della composizione dei Collegi giudicanti delle SS.UU. della Corte di cassazione, quale Giudice regolatore del riparto, prevedendo l’intervento di una rappresentanza della giurisdizione speciale chiamata in causa (giudice amministrativo, giudice contabile, giudice tributario), in forme e con modalità da stabilirsi, onde perseguire il fine – di interesse pubblico – di giungere a soluzioni il più possibile condivise e, come tali, suscettibili di pronta e pacifica adesione da parte della giurisdizione interessata.

Anche su questo argomento mi permetto di richiamare l’attenzione di studiosi ed operatori del diritto affinché si compia nelle sedi competenti un adeguato approfondimento dal quale possano eventualmente scaturire proposte da sottoporre al legislatore.

12. - Prima di passare all’esame dell’attuale stato complessivo della giustizia amministrativa, sembra opportuno dare brevemente conto di taluni fra i più significativi indirizzi della giurisprudenza di questo Tribunale amministrativo regionale – Sede di Palermo – quali è dato cogliere dalle pronunce rese nel corso dell’anno 2007.

12.1. - In tema di giurisdizione, vengono in considerazione, in primo luogo, le incertezze connesse alla divergenza di orientamenti tra le SS.UU. della Corte di cassazione ed il Giudice amministrativo, di alcune delle quali si è già dato conto in precedenza.

a) Con sentenza n. 3485 del 21 dicembre 2007 – in conformità all’orientamento delle Sezioni Unite della Corte di cassazione in tema di concorsi interni ed alla già richiamata decisione dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 8 del 24 maggio 2007 n. 8, nella quale è stato precisato che "le procedure concorsuali che radicano la giurisdizione del giudice amministrativo sono quelle volte al reclutamento del dipendente, senza che abbia rilevanza a questi fini la natura della procedura concorsuale (per esami, per titoli ed esami, per soli titoli) – è stata affermata la giurisdizione di questo Tribunale per quanto riguarda le controversie in materia di conferimento di incarichi di dirigente scolastico, a nulla rilevando la circostanza che non si sia in presenza di una procedura concorsuale con prove scritte ed orali ma di una mera selezione per titoli, prodromica al conferimento di incarichi temporanei.

b) Con sentenza n. 2245 del 22 ottobre 2007 è stata ritenuta la giurisdizione di questo Tribunale a conoscere una controversia relativa ad un atto di recesso da una convenzione relativa all’affidamento/concessione di un servizio socio-assistenziale; ed invero si è ritenuto che l’impugnato provvedimento (di c.d. "recesso") si configurasse quale atto autoritativo di ritiro, a mezzo del quale la P.A. ha posto fine alla concessione del servizio in questione ed in via derivata alla stessa convenzione a suo tempo stipulata con il privato, e non atto di esercizio di diritti/facoltà contrattuali.

c) Con sentenza n. 1714 del 2 luglio 2007 si è ritenuto che rientri nella giurisdizione del giudice amministrativo la controversia relativa alla elargizione dei benefici previsti dall'art. 1 L. 20 ottobre 1990 n. 302 per le vittime o loro parenti, superstiti delle azioni terroristiche o della criminalità organizzata di tipo mafioso, giacché l'attività della Pubblica amministrazione in materia è di tipo tecnico-valutativo e rispetto alla stessa l'interessato vanta un interesse legittimo alla legittimità di detta ponderazione, e non un diritto soggettivo alla relativa elargizione.

Con la quasi contemporanea sentenza n. 1802 del 18 luglio 2007 si è invece ritenuto che rientri nella giurisdizione del giudice ordinario la controversia in tema di concessione dei benefici previsti per i familiari delle vittime del disastro di Ustica, atteso che tale concessione costituisce un obbligo a carico dell'amministrazione procedente, la cui attività è limitata alla verifica della sussistenza dei requisiti fissati dalla legge, senza esercizio di alcuna attività discrezionale.

d) Con sentenza n. 3324 del 6 dicembre 2007, è stato confermato l’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui le controversie inerenti il recupero di finanziamenti di provenienza pubblica sono devolute al giudice amministrativo solo se la ripetizione è disposta per rinnovata valutazione dell’interesse pubblico sotteso alla primitiva erogazione o per vizi propri dell’atto che la dispone, mentre spettano al giudice ordinario quelle relative al recupero derivante da inadempimento degli obblighi incombenti sul destinatario.

e) Con sentenza n. 1903 del 2 agosto 2007, si è ritenuto che la controversia relativa alla cancellazione dall’anagrafe delle ONLUS disposta dall’Agenzia delle Entrate rientri nella riconfigurata giurisdizione delle Commissioni Tributarie, in considerazione del pressoché esclusivo effetto costitutivo del "diritto ad usufruire delle agevolazioni fiscali" discendente dalla iscrizione e del carattere generale, che si radica in base alla materia, da attribuirsi alla giurisdizione tributaria.

12.2. - In tema di competenza, sono state adottate alcune decisioni dichiarative dell’incompetenza di questo Tribunale a conoscere controversie proposte avverso provvedimenti c.d. "emergenziali", in applicazione della già ricordata sentenza della Corte Costituzionale n. 237 del 26 giugno 2007, con la quale sono state dichiarate non fondate tutte le questioni di legittimità costituzionale complessivamente sollevate in relazione all’articolo 3, commi 2 bis, 2 ter e 2 quater del D.L. n. 245/2005, convertito con modifiche nella legge n. 21/2006.

In particolare, con sentenze n. 1754 del 9 luglio 2007 e 2391 del 29 ottobre 2007 ricorsi avverso atti di tale natura sono stati dichiarati puramente e semplicemente inammissibili mentre, con sentenza n. 1915 del 2 agosto 2007, altro analogo ricorso è stato dichiarato improcedibile, espressamente ritenendosi però applicabile alla fattispecie il meccanismo della translatio judicii ai fini della salvezza degli effetti sostanziali e processuali della domanda già proposta.

12.3. - In materia di pubblico impiego, con sentenza n. 2254 del 24 ottobre 2007, è stato dichiarato irricevibile un ricorso proposto in data successiva al 15 settembre 2000 sia innanzi al giudice ordinario che a quello amministrativo, in quanto, in tal caso, il termine posto perentoriamente dall’art. 69, comma 7, del D.leg.vo 30 marzo 2000, n. 165, non è stato rispettato ed il principio della translatio judicii non è stato ritenuto utile ad impedire la decadenza dall’azione. Si è infatti ritenuto che ammettendo la tempestività dell’azione in conseguenza della proposizione della azione medesima innanzi al giudice ordinario senza limiti di tempo, si sarebbe arrivati alla creazione di un meccanismo di facile elusione del termine decadenziale de quo, in quanto sarebbe sufficiente proporre, nel rispetto del termine di prescrizione del diritto, azione innanzi al giudice ordinario, per ottenere, successivamente alla pronuncia del difetto di giurisdizione, la definizione da parte del giudice amministrativo delle controversie attinenti a questioni relative al periodo del rapporto di lavoro antecedente al 30 giugno 1988, seppur instaurate in data successiva al 15 settembre 2000.

12.4. - In materia di pubblici appalti di lavori, servizi e forniture, occorre premettere, e ricordare, che trattasi di un peculiare settore che si caratterizza per un nutrito contenzioso, molto complesso e sfaccettato per il sommarsi di problematiche sia processuali sia sostanziali. Queste ultime a loro volta sono connesse ad una normativa assai frammentaria e di tutt’altro che agevole ed univoca interpretazione, anche per la stratificazione ed il sovrapporsi di fonti comunitarie, statali e regionali. Va tenuto presente che le relative controversie rientrano nell’ambito di applicazione delle procedure cosiddette "accelerate" di cui all’art. 4 della legge 205/2000: se da un lato ciò comporta un impegno assai elevato per i collegi giudicanti (specie perché la formazione del ruolo delle udienze pubbliche finisce in buona sostanza per essere sottratto alla disponibilità dell’Ufficio, divenendo pressoché vincolata per quanto attiene alle cause in parola), dall’altro ha l’innegabile pregio di consentire la definizione delle relative controversie in tempi normalmente assai brevi: mediamente, presso questa Sede, fra i due ed i quattro mesi e comunque quasi mai oltre l’anno dalla proposizione del ricorso.

In materia, un primo nucleo di pronunzie rese da questo Tribunale riguarda il c.d. DURC – documento unico di regolarità contributiva – che costituisce l’atto unitario attestante la regolarità contributiva e retributiva dell'impresa esecutrice di lavori pubblici, rispetto all'adempimento degli obblighi relativi ai versamenti dei contributi previdenziali ed assicurativi dovuti all'INPS, all'INAIL ed alla Cassa edile.

Con sentenza n. 1645 dell’8 giugno 2007 è stato chiarito, all’esito della ricostruzione di un complesso normativo tutt’altro che semplice e lineare, che la Cassa Edile legittimata al rilascio del DURC è quella nella cui circoscrizione ha sede legale l’impresa e non quella di ubicazione del cantiere o dei cantieri attivi.

Con sentenze nn. 1041 del 29 marzo 2007 e 1692 del 22 giugno 2007 si è acclarata l’invalidità del DURC se emesso, in assenza dell’attestazione della regolarità contributiva INPS, prima del 30° giorno dell’invio dalla relativa richiesta.

Con sentenza n. 3494 del 28 dicembre 2007 - dopo avere affermato la legittimazione di un’associazione rappresentativa di interessi delle imprese edili di una provincia ad impugnare talune clausole del bando di gara nell’interesse collettivo della categoria rappresentata a che le gare si svolgano secondo regole certe e predeterminate dalla legge e col massimo confronto concorrenziale – si è circoscritto il potere della stazione appaltante di introdurre clausole ulteriori rispetto a quelle direttamente poste dalla legge e dai regolamenti, limitandolo a quelle rispondenti a criteri di logicità e ad interessi di natura pubblicistica ed escludendolo invece per quelle che comporterebbero deroghe a regole e principi chiaramente posti dal legislatore nell’interesse della par condicio dei concorrenti.

Egualmente, con sentenza n. 1837 del 20 luglio 2007 è stata ritenuta illegittima la clausola del bando che preveda l’esclusione dalla partecipazione alla gara ad evidenza pubblica delle imprese che abbiano un contenzioso in corso con l'Amministrazione appaltante. Pur essendosi ribadita la sussistenza del potere della stazione appaltante di integrare il bando di gara con clausole ulteriori ed integrative rispetto alle specifiche previsioni normative, si è sottolineata la necessaria pertinenza di dette clausole con l’oggetto della procedura e lo specifico interesse dell’amministrazione alla sua utile conclusione: si è così negata la legittimità di una clausola di esclusione che facesse generico riferimento alla pendenza di un qualsiasi contenzioso e non a contenzioso relativo ad eventuali episodi di "grave negligenza o malafede" nell’esecuzione di precedenti lavori ex art. 75, comma 1, lett. f) del D.P.R. n. 554/1999.

Con sentenza n. 1138 del 18 aprile 2007 sono state parzialmente annullate le circolari assessoriali – delle quali è stata ritenuta la natura regolamentare di completamento del quadro normativo di riferimento – attuative dell’art. 23 L. reg. 7/2002 in materia di pubblicità dei bandi di gara per appalti pubblici; e ciò nell’esercizio di un sindacato sull'adeguatezza, compiutezza e correttezza dell'acquisizione dei fatti da parte dell'Amministrazione che non deve confondersi col sindacato sul merito discrezionale della scelta, limitandosi al vaglio di non manifesta illogicità e sproporzione dell'opzione assunta dalla Pubblica amministrazione.

Con sentenza n. 3317 del 4 dicembre 2007, in materia di appalti di servizi, si è affermato che la GESIP deve applicare le procedure ad evidenza pubblica, pur trattandosi di società che non svolge direttamente attività che realizzano i fini istituzionali dell’ente pubblico di riferimento; infatti anche in questo caso rimane valida e pertinente l’affermazione della Corte di Giustizia Europea (sentenza 15 gennaio 1998: causa C44/96 Manesmann-Austria), secondo cui, anche alla luce della nozione allargata del pubblico potere, bisogna avere riguardo al carattere servente dell’attività svolta dall’ente societario privato nei confronti dell’ente pubblico di riferimento. In questo caso, infatti, il collegamento genetico e funzionale tra società per azioni privata ed ente pubblico di appartenenza (nel caso, il Comune di Palermo che esercita un controllo strutturale e funzionale sulla GESIP) comporta che la prima si ponga quale promanazione organizzativa tramite cui l’ente pubblico concorre - benché indirettamente - a realizzare le funzioni che gli sono proprie.

Con sentenza n. 3484 del 21 dicembre 2007 è stato riconsiderato, criticamente, l’orientamento giurisprudenziale introdotto dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana (decisione n. 596/2006), secondo il quale le imprese partecipanti alle gare dovrebbero rendere le dichiarazioni relative al possesso dei requisiti soggettivi ex art. 75 D.P.R. n. 554/1999 non solo per il "direttore tecnico" ma anche per il "responsabile tecnico" delle lavorazioni specialistiche, nella specie quelle di cui alla L. n. 46/1990 (impianti tecnologici), e ciò anche indipendentemente dalla esistenza nel bando di una specifica clausola.

In particolare il Tribunale ha ritenuto che, salva la legittima facoltà della stazione appaltante di introdurre al riguardo apposita clausola, l’esclusione dalla gara di un’impresa per non avere prodotto una documentazione non specificamente richiesta dalla lex specialis sarebbe una sanzione eccessivamente drastica, dovendosi invece consentire al seggio di gara di richiedere alla ditta l’integrazione documentale.

Con sentenze nn. 1682 e 1683 del 21 giugno 2007 è stata ritenuta l’illegittimità delle determinazioni comunali che – in occasione dell’affidamento a trattativa privata di servizi sociali ai sensi dell’art. 15 della L.r. n. 4/1996 – avevano circoscritto il novero delle istituzioni consultate in sede di gara informale solo a quelle aventi sede nell’ambito comunale.

In particolare il Tribunale – rivisitando il proprio precedente orientamento (sentenza n. 939/2005) – ha ritenuto che il co. 3 dell’art. 15 della L.r. n. 4/1996, secondo il quale "il Comune potrà preferire l’istituzione socio-assistenziale avente sede legale in ambito comunale ovvero, in assenza, in ambito provinciale e, quindi in ambito regionale", debba essere interpretato in conformità al principio della libera prestazione dei servizi sancito dall’art. 59 del Trattato CEE, avente diretta applicabilità nel territorio nazionale; e cioè nel senso di consentire all’amministrazione locale interessata, in caso di parità sostanziale tra le offerte pervenute, di preferire quella proveniente dall’istituzione avente maggiore vicinanza rispetto ai luoghi ove il servizio deve essere svolto (e che quindi, si può presumere, sia in condizione di poter più velocemente intervenire per la soluzione dei problemi che dovessero insorgere), ma non di consentire di escludere, a priori, quelle che non posseggano il requisito ivi indicato.

Infine, con ordinanza n. 203 del 30 luglio 2007 è stata sollevata questione di legittimità costituzionale, in relazione agli artt. 3, 41 e 97 Cost., dell'art. 21 comma 1 bis L. 11 febbraio 1994, n. 109 – come introdotto in Sicilia dalla L. reg. 2 agosto 2002, n. 7 e successive modifiche e integrazioni e, da ultimo, dall'art. 1 comma 6 L. reg. 29 novembre 2005, n. 16 – con riferimento al meccanismo ivi previsto per l'esclusione automatica, negli appalti di lavori pubblici sotto soglia comunitaria, delle offerte (di maggiore o minore ribasso) da ritenersi anomale.

In particolare si è dubitato della legittimità costituzionale dello strumento del sorteggio per pervenire alla determinazione della c.d. soglia di anomalia, comportante un effetto di esclusione di offerte del tutto casuale e non ancorato ad un riferimento economico desunto anche in via statistica e presuntiva dall’andamento del mercato dei LL.PP.

Deve darsi atto che il legislatore regionale è tempestivamente intervenuto in materia con la L.r. 20 agosto 2007, n. 20, dettando una nuova disciplina che – pur mantenendo il ricorso allo strumento casuale del sorteggio ai fini della determinazione della media di riferimento per l’aggiudicazione, in quanto ritenuto utile ad impedire, o quanto meno rendere più difficile, fenomeni di accordi finalizzati a prevedere o anche precostituire l’esito della gara – sembra escludere l’effetto diretto di esclusione di talune offerte.

12.5. - Nella tematica del procedimento amministrativo, si è riscontrata una divergenza tra due delle sezioni interne del Tribunale in ordine alla applicabilità dell’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990, articolo aggiunto dall'art. 6, L. 11 febbraio 2005, n. 15, recante l’obbligo di invio del cd. "preavviso di rigetto", alle procedure indette per la concessione di finanziamenti pubblici (c.d. bandi di finanziamento).

Con sentenza n. 809 del 13 marzo 2007 (sez. II), si è affermato che l’art. 10-bis della legge 241/1990 costituisce indubbiamente norma di principio, in quanto si inserisce nel sistema delle garanzie del cittadino nei riguardi dell'azione amministrativa introducendo un nuovo livello endoprocedimentale di tutela e di partecipazione, la cui applicazione deve essere estesa anche alle ipotesi di diniego di finanziamenti pubblici, e ciò sulla base della considerazione che non si verserebbe in una ipotesi di vera e propria procedura concorsuale e dell’esigenza di dare una interpretazione restrittiva alla deroga legislativa al principio della partecipazione procedimentale.

Con sentenza n. 1957 del 20 agosto 2007 (sez. I), si è invece ritenuto che la norma in questione non trova applicazione, secondo quanto testualmente previsto dalla disposizione stessa, nel caso di "procedure concorsuali"; con quest'ultima espressione intendendosi fare riferimento a tutte le procedure caratterizzate da una pluralità di istanze e da un concorso delle stesse ai fini del conseguimento della utilità perseguita. E ciò in considerazione:

- della indubitabile natura concorsuale di una procedura finalizzata alla selezione, tra una pluralità di progetti presentati dai privati in esito ad un bando pubblico, di quelli aventi le migliori caratteristiche in conformità ai requisiti richiesti ed alle finalità perseguite e sino a concorrenza dell’ammontare delle risorse finanziarie disponibili;

- delle esigenze di speditezza e celerità dell’azione amministrativa, anche in funzione della concorrenza di interessi privati coinvolti, rispetto ai quali l’onere procedimentale di invio del preavviso di rigetto e di successiva considerazione delle deduzioni eventualmente svolte dal privato comporterebbero un inevitabile appesantimento.

In tema di diritto di accesso ai documenti amministrativi, la giurisprudenza di questo TAR ha avuto modo di affermare:

- con sentenza n. 164 del 19 gennaio 2007, il diritto del cittadino che sia destinatario di uno specifico avviso di avvio di procedimento a conseguire tutti gli atti relativi, anche genericamente richiesti in assenza di alcuna analitica conoscenza, onde consentirgli di partecipare al procedimento di cui si è dato avviso, e ciò proprio nello spirito della "trasparenza amministrativa" che permea tutte le norme della L. n. 241/1990;

- con sentenza n. 1675 del 15 giugno 2007, il diritto del paziente ospedaliero ad accedere alla documentazione sanitaria relativa al proprio ricovero ed all’intervento chirurgico cui è stato sottoposto, con i correlativi esami diagnostici;

- con sentenza n. 3457 del 19 dicembre 2007, il diritto del privato ad accedere a tutti gli atti che siano "preparatori" di un atto non sottratto all’accesso.

In tema di esercizio del potere di autotutela, la sentenza n. n. 2047 del 2 ottobre 2007 ha rilevato che in presenza della c.d. "illegittimità comunitaria" del provvedimento, l’interesse pubblico specifico si connota anche in relazione all’esigenza di evitare che l’azione amministrativa anticomunitaria produca effetti economici pregiudizievoli per la collettività territoriale di riferimento, in conseguenza del possibile esercizio dell’azione di rivalsa da parte dello Stato, responsabile sul piano internazionale dell’inadempimento regionale degli obblighi comunitari, ai sensi dell’art. 1, c. 1215, della L. 296/2006.

Infine due interessanti affermazioni relative a peculiari aspetti dello svolgimento del procedimento amministrativo:

- con sentenza n. 3486 del 21 dicembre 2007, si è affermato che l’avvenuta comunicazione dell’ammissione alla concessione del premio per l’insediamento dei giovani agricoltori previsto dall’art. 10 del Regolamento Ce n. 2328/1991 e successive modificazioni, sebbene non possa ancora considerarsi succedanea del provvedimento finale vero e proprio, è tale da costituire un "contatto sociale" ossia il sorgere di una aspettativa qualificata alla positiva conclusione del provvedimento, per cui nell’ulteriore corso del relativo procedimento amministrativo, come nelle trattative che precedono la conclusione del contratto, le parti (pubblica e privata) sono tenute a comportamenti di buona fede e di tutela reciproca;

- con sentenza n. 1775 del 9 luglio 2007, in relazione alla pretesa di corresponsione di indennizzo ex art. 21- quinquies L. 241/1990 in seguito alla revoca dell’autorizzazione all’installazione di un chiosco per l’esercizio dell’attività di informazioni turistiche e di vendita di prodotti tipici, il Tribunale ha considerato che il legislatore – nel campo del diritto pubblico – opera la previsione di una indennità o di un indennizzo, in luogo di un risarcimento, allorché la fonte che causa il danno debba essere ricondotta alla categoria dell’atto lecito dannoso; è stato, quindi, ritenuto che l’elemento discretivo dell’indennizzo, rispetto al risarcimento, non è costituito dalla misura dell’ammontare (eventualmente inferiore), ma da una tecnica di tutela compensativa resa necessaria dalla natura della fattispecie e del pregiudizio, impregiudicata la determinazione del valore da riparare. Pertanto si è riconosciuto alla ricorrente il diritto alla corresponsione di un indennizzo pari alle spese sostenute per l’approntamento dell’attività in questione, debitamente documentate con le fatture prodotte in giudizio, oltre interessi compensativi al tasso legale, calcolati sulla somma rivalutata annualmente secondo gli indici I.S.T.A.T., dalla data di adozione del provvedimento di revoca fino all’effettivo saldo.

12.6. - Numerose le pronunzie rese nella materia elettorale.

Con sentenza n. 1461 del 4 maggio 2007 è stato riconfermato l’orientamento dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (n. 10/2005), secondo cui è da ritenere inammissibile un ricorso in materia elettorale proposto immediatamente contro la esclusione di una lista dalla competizione elettorale (ritenuta mero atto infraprocedimentale), dovendosi invece attendere l’atto finale della procedura stessa, costituito dalla proclamazione degli eletti, per potere proporre ricorso unitariamente avverso l’atto finale e quelli infraprocedimentali.

In senso contrario a detto indirizzo, per l’immediata impugnabilità degli atti infraprocedimentali si è pronunziato T.A.R. Catania, ord. 10 maggio 2007 n. 570. Peraltro anche T.A.R. Lombardia – Milano, sentenza 6 novembre 2007 n. 1135, ha interpretato la pronuncia dell’Adunanza plenaria nel senso che risulterebbe ammissibile il ricorso elettorale immediatamente proposto avverso l’atto di esclusione di una lista dalla competizione elettorale, mentre occorrerebbe attendere l’atto di proclamazione degli eletti per proporre gravame avverso l’atto di ammissione di una lista alla competizione elettorale stessa.

Si segnalano inoltre le seguenti sentenze:

- n. 2206 dell’11 ottobre 2007, che riconosce la possibilità nei comuni con più di 10.000 abitanti di attribuire un numero superiore al 60% dei seggi alla lista o alle liste collegate al sindaco risultato eletto, in applicazione del solo criterio proporzionale sulla base dei voti effettivamente riportati;

- n. 2309 del 26 ottobre 2007, che ribadisce la inammissibilità di censure che si pongano in palese contrasto con quanto risulta nei verbali delle sezioni elettorali e che, per la loro genericità, non consentano al giudice amministrativo di disporre una mirata e circoscritta istruttoria onde evitare che la verificazione del materiale elettorale si risolva in una mera occasione di ripetizione dello spoglio dei voti;

- n. 3092 del 19 novembre 2007, che ha chiarito come l’art. 4 della L.r. n. 35/1997, e successive modifiche ed integrazioni, nel disciplinare l’elezione del consiglio comunale nei comuni con popolazione superiore a 10.000 abitanti, sia assolutamente chiaro nel prevedere distinte fasi, secondo una scansione progressiva delle varie operazioni che, in prima battuta, richiede la determinazione della cifra elettorale complessiva di ciascun raggruppamento (o di ciascuna delle liste non collegate), quindi la successiva graduazione decrescente dei quozienti ottenuti, ed infine la ripartizione dei seggi tra le liste nell’ambito di ciascuna coalizione di liste;

- n. 3094 del 19 novembre 2007, che ha confermato la legittimità della non-ammissione alla competizione elettorale per l’elezione a sindaco dell’aspirante candidato sindaco, e della lista collegata, se non siano state prodotte le dichiarazioni del candidati consiglieri ex art. 7, comma 8, della L.r. n. 7/1992 e dall’art. 15, comma 1, della L. n. 55/1990.

12.7. - Anche nel corso del 2007 sono risultati frequenti i ricorsi in materia di di tutela dell’ambiente e/o paesaggistica.

Le problematiche di maggiore rilievo, sia giuridico che economico e sociale, sono emerse in tema di impianti eolici di produzione di energia elettrica, per la rilevanza dei contrapposti interessi in gioco, entrambi pubblici: quello alla salvaguardia del paesaggio (valore costituzionalmente riconosciuto: art. 9 Cost.) e quello alla utilizzazione di energie rinnovabili e "pulite", per i riflessi positivi che possono derivarne alla salvaguardia dell’ambiente, e proprio per questo oggetto di una normativa statale di incentivazione.

Si tratta, peraltro, di un contenzioso che si perpetua di anno in anno e del quale avevo già dato ampiamente atto nella relazione dell’anno precedente.

Nell’ambito di detta problematica merita di essere segnalata la sentenza n. 1252 del 4 maggio 2007, nella quale, nel censurare la motivazione del diniego frapposto da una Soprintendenza ai Beni culturali ed ambientali, si è precisato che:

- la nozione di paesaggio - oggetto di tutela costituzionale e dei poteri amministrativi in esame - almeno a partire dal Congresso di geografia di Amsterdam del 1938 implica l’inclusione dei processi di antropizzazione fra i fattori che contribuiscono a plasmare la forma del territorio;

- l’amministrazione, in presenza dei presupposti, deve motivare il diniego comparando le specifiche caratteristiche dell’impianto e le peculiari ragioni di tutela paesaggistica del sito in cui tale impianto dovrebbe sorgere, e non allegando viceversa una pregiudiziale ed assoluta contrarietà sia a qualsiasi forma di antropizzazione morfologica del territorio, sia alla struttura degli impianti.

Tuttavia con altra pronunzia, n. 3502 del 28 dicembre 2007, si è affermato che l’amministrazione preposta alla tutela del paesaggio, pur chiamata ad una ponderazione procedimentale consapevole del grado di rilevanza degli interessi antagonisti, non può abdicare al proprio ruolo istituzionale, obliterando del tutto la valutazione dei profili ambientali e paesaggistici ostativi alla soddisfazione integrale delle esigenze connesse all’attività economico-produttiva in parola, sol perché l’esito finale della comparazione è parzialmente confliggente con le aspettative della società ricorrente (nel caso specifico, la Soprintendenza per i beni culturali ed ambientali non aveva, infatti, posto il divieto assoluto di realizzare impianti eolici nei siti d’importanza comunitaria, ma aveva inquadrato la realizzazione di detti impianti nel contesto, specifico, del sito di riferimento, argomentandone la parziale incompatibilità con riferimento ad elementi concreti ed eliminando soltanto tre aerogeneratori sui diciotto progettati).

Deve, peraltro, darsi atto che nel corso dell’anno 2007 il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana (decisioni nn. 711/07, 1057/07 e 1058/07) ha riformato alcune delle sentenze di questo Tribunale che avevano affermato il principio secondo il quale l’amministrazione preposta alla tutela dei valori paesaggistici deve valutare la compatibilità dell’attività autorizzanda rispetto al vincolo, ponendo in comparazione detti valori con gli interessi antagonisti.

Mostrando di non condividere una tale impostazione, che era stata anche sostanzialmente recepita dall’Assessorato reg.le ai Beni Culturali ed Ambientali con la circolare 26 maggio 2006 n. 14, il giudice di appello ha ritenuto che il diniego apposto dalla Soprintendenza risulta legittimo ove sia riscontrabile una sufficiente ricostruzione e valutazione degli elementi in fatto rilevanti nella fattispecie, non essendo l’organo tutorio del paesaggio chiamato a valutare ulteriori interessi d’altro genere, valutazione per la quale neppure dispone delle competenze tecniche specificamente necessarie; dunque, non rientrerebbe nelle competenze della Soprintendenza, al di là di una attenta comparazione dell’interesse paesaggistico (rispetto agli interventi progettati), sacrificare il detto interesse per perseguire altri interessi non affidati alle sue cure (nella specie sviluppo delle fonti energetiche alternative e più in generale sviluppo economico della zona).

Deve, infine, segnalarsi come nell’anno appena trascorso si sia instaurato un consistente contenzioso proposto degli operatori del settore avverso due atti adottati in materia dall’Amministrazione regionale:

- la Circolare n. 17 del 14 dicembre 2006, emanata dell’Assessorato Regionale del Territorio ed Ambiente e dell’Assessorato per i Beni Culturali ed Ambientali e della Pubblica Istruzione della Regione Siciliana, pubblicata nella G.U.R.S. del 5 gennaio 2006, avente ad oggetto "Impianti di produzione di energia eolica in Sicilia in relazione alla normativa di salvaguardia dei beni paesaggistici";

- il Decreto del 25 giugno 2007 n. 91/GAB dell'Assessore regionale per il Territorio e l'Ambiente recante "Adozione delle misure idonee a garantire la tutela dell’Ambiente e del paesaggio ai fini del rilascio dei provvedimento di cui al D.P.R. 12 aprile 1996 per gli impianti per lo sfruttamento dell’energia eolica, nelle more dell’approvazione del piano energetico regionale e dei piani paesaggistici d’ambito previsti dall’art. 143 del D.L.vo 42/2004", pubblicato per estratto nella G.U.R.S. del 13 luglio 2007.

Avverso dette nuove disposizioni, nonché contro i provvedimenti adottati dalle Soprintendenze in esecuzione delle stesse, sono stati presentati numerosi ricorsi giurisdizionali con relativa istanza di sospensione degli effetti. In sede cautelare, questo Tribunale ha accolto le relative domande (cfr. tra le tante ordd. n. 1722 del 23 ottobre 2007 e n. 1754 del 6 novembre 2007). Tale orientamento è stato altresì confermato dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, che ha respinto gli appelli proposti dell’Amministrazione (in ultimo, ex multis, ordd. nn. 863 e 865 del 7 novembre 2007).

Sempre in materia di tutela ambientale e/o paesaggistica, questo Tribunale si è pronunciato sulla natura ricettizia del provvedimento con il quale la Soprintendenza esita, in termini di accoglimento o di rigetto, la richiesta di N.O. per opere da realizzare in contesto vincolato. Il rilievo di siffatta qualificazione attiene alla circostanza che la mancata comunicazione all’istante del provvedimento, anche tempestivamente emesso nel termine di cui all’art. 46 L.r. n. 17/2004, comporta il consolidarsi del silenzio-assenso introdotto dalla medesima norma, salvi gli eventuali provvedimenti in autotutela della stessa Amministrazione da adottarsi nelle forme di legge.

Il Tribunale, con sentenze nn. 1155 del 19 aprile 2007 e 1289 del 7 maggio 2007, ha quindi motivatamente pronunziato l’illegittimità dei provvedimenti tardivamente comunicati.

Sul punto è, però, intervenuto il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana sia con le ordinanze n. 558 del 11 luglio 2007 (di sospensione della sentenza n. 1289/07 cit.) e n. 559 (di sospensione della sentenza n. 1155/07) che con la decisione n. 724 del 4 settembre 2007, con la quale ultima ha ritenuto che, ai fini dell’adozione nei termini del provvedimento ex art. 111 L.r. n. 4/2003 (ora art. 46 L.r. n. 17/2004), il termine di riferimento sia quello di adozione del provvedimento e non la data di notifica dello stesso, non ravvisandosi la natura ricettizia del provvedimento della Soprintendenza.

In materia di valutazione di impatto ambientale (V.I.A.), va segnalata la sentenza n. 1971 del 20 agosto 2007 che ha precisato come in Sicilia trovi applicazione il meccanismo del silenzio-assenso nel procedimento di (previa) verifica di assoggettamento alla procedura di V.I.A. ex art. 10 D.P.R. 12/04/96. Infatti: "L'art. 91 L. reg. 26 gennaio 1991 n. 6, piuttosto che normare autonomamente il procedimento di verifica dell'assoggettamento di un'opera pubblica alla procedura di valutazione di impatto ambientale, ha disciplinato la materia effettuando un rinvio recettizio non solo ai principi contenuti nel D.P.R. 12 aprile 2006 (recante atto di indirizzo e coordinamento di cui all'art. 40 L. 22 febbraio 1994 n. 146) ma anche alle singole disposizioni stabilite con l'atto di indirizzo, ivi comprese quelle di cui all'art. 10 D.P.R. cit.; pertanto, anche in detto ambito regionale è applicabile il meccanismo del silenzio-assenso, in caso di mancata tempestiva pronuncia da parte dell'Autorità competente".

Nella stessa materia, con la coeva sentenza n. 1959 si è precisato altresì che "Il procedimento di verifica semplificata e accelerata di valutazione d'impatto ambientale ai sensi dell'art. 10 D.P.R. 12 aprile 1996, in ragione della sua ratio e natura, non necessita di alcun preavviso di rigetto nei casi in cui l'Amministrazione ritiene opportuno avviare il progetto sottopostole alla ordinaria V.I.A., tenendo presente che detta pronuncia non comporta alcun rigetto nel merito della iniziativa o del progetto in questione, ma solo la necessità di un rinvio dello stesso alla procedura ordinaria che, in quanto tale, non può considerarsi aggravamento procedimentale ma sede nella quale potrà essere effettuata una più ampia istruttoria in ragione della rilevanza delle questioni sottese.

A conclusione dell’esame degli orientamenti giurisprudenziali nella tematica che qui ci occupa, occorre segnalare quanto da ultimo affermato dalla Corte Costituzionale con la recente sentenza n. 367 del 7 novembre 2007, anche con specifico riguardo al riparto di competenze Stato-Regioni ai sensi del novellato art. 117 Cost.: "…il concetto di paesaggio indica, innanzitutto, la morfologia del territorio, riguarda cioè l’ambiente nel suo aspetto visivo. Ed è per questo che l’art. 9 della Costituzione ha sancito il principio fondamentale della tutela del paesaggio senza alcun’altra specificazione. In sostanza, è lo stesso aspetto del territorio, per i contenuti ambientali e culturali che contiene, che è di per sé un valore costituzionale. Si tratta peraltro di un valore primario, come ha già da tempo precisato questa Corte (sentenza n. 151 del 1986; ma vedi anche sentenze n. 182 e n. 183 del 2006), ed anche assoluto, se si tiene presente che il paesaggio indica essenzialmente l’ambiente (sentenza n. 641 del 1987). L’oggetto tutelato non è il concetto astratto delle bellezze naturali, ma l’insieme delle cose, beni materiali, o le loro composizioni, che presentano valore paesaggistico. Sul territorio gravano più interessi pubblici: quelli concernenti la conservazione ambientale e paesaggistica, la cui cura spetta in via esclusiva allo Stato, e quelli concernenti il governo del territorio e la valorizzazione dei beni culturali ed ambientali (fruizione del territorio), che sono affidati alla competenza concorrente dello Stato e delle Regioni".

12.8. - Altra materia su cui soffermarsi è quella dell’ordinamento degli enti locali, nella quale sono state rese alcune interessanti pronunzie nell’ambito dei rapporti interni tra gli organi degli enti locali stessi.

Con sentenza 4 aprile 2007 n. 1075 si è affermato che il Sindaco, in quanto tale, non è legittimato ad agire contro l'Amministrazione di appartenenza, in quanto il processo amministrativo è finalizzato alla risoluzione di controversie intersoggettive e non è, di regola, aperto anche a quelle tra organi o componenti di organi dello stesso ente; conseguentemente è stato dichiarato inammissibile un ricorso giurisdizionale proposto dal Sindaco avverso la deliberazione con cui il Consiglio comunale ha approvato un bilancio di previsione e pluriennale non condiviso.

Con sentenza n. 1955 del 20 agosto 2007, nell’ambito della tematica connessa alle mozioni di sfiducia dell’organo consiliare al Sindaco, si è affermato:

- che il calcolo per la determinazione della maggioranza necessaria all’approvazione della mozione di sfiducia nei confronti del Sindaco (o del Presidente della Provincia), di cui all’art. 10, co. 1, L.r. n. 35/1997, come modificato dall’art. 2 L.r. n. 25/2000, va riferita al numero dei consiglieri effettivamente in carica e non a quelli che in origine componevano l'organo consiliare e siano successivamente venuti meno;

- e che l'ampia maggioranza qualificata richiesta per l'approvazione della mozione di sfiducia (ben quattro quinti per i Comuni con popolazione non superiore a 10.000 abitanti) non è suscettibile di essere ridotta in ragione di arrotondamenti arbitrariamente effettuati al ribasso.

Con sentenza n. 2019 del 17 settembre 2007, è stato confermato l’orientamento già espresso da questo Tribunale secondo il quale, ove nello statuto di un ente locale manchi del tutto un’espressa norma che preveda alcuna forma di sfiducia politica nei confronti del Presidente (o del Vice Presidente) del Consiglio comunale, deve ritenersi inammissibile (oltre che illegittimo) un provvedimento di rimozione da tali cariche adottato dal Consiglio medesimo per il venir meno della fiducia politica; e ciò tenuto conto delle prerogative del Presidente e del Vice Presidente del Consiglio comunale, ai quali è riconosciuta non solo una funzione strumentale all’attuazione di un indirizzo politico, ma sopratutto una posizione di garanzia e di rappresentanza dell’intero Consiglio, con connessi compiti finalizzati al corretto funzionamento dell’istituzione.

Detto orientamento è stato, peraltro, di recente confermato in appello dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana con decisione n. 1175 del 31 dicembre 2007.

In materia di rapporti tra Regione ed Enti Locali, si segnala la sentenza n. 1407 del 22 maggio 2007, nella quale si è affermato che, in base all’art. 24, comma 1, della L.r. 3 dicembre 1991, n. 44, qualora gli organi delle province e dei comuni omettano o ritardino, sebbene previamente diffidati a provvedere entro congruo termine, o non siano comunque in grado di compiere atti obbligatori per legge, deve ritenersi legittima la nomina da parte dell'Assessore regionale per gli enti locali di un Commissario per l’intervento sostitutivo.

Con sentenza 18 maggio 2007, n. 1374 si è, inoltre, affermato che nel caso di provvedimenti di nomina di un commissario ad acta in applicazione del potere sostitutivo previsto nel caso di inerzia dell’ente, soltanto l’ente pubblico colpito dalla manifestazione di tale potere di surroga può ritenersi legittimato a contrastare in sede giudiziale gli atti inerenti, poiché i provvedimenti stessi si pongono come certamente lesivi di quell’autonomia della quale l’ente stesso è dotato.

12.9. - Nell’ambito del processo amministrativo, sono state affrontate numerose problematiche.

In tema di legittimazione attiva, oltre alle già citate pronunzie relative ai rapporti interorganici all’interno degli enti locali, con sentenza n. 1305 dell’8 maggio 2007 è stata dichiarata l’inammissibilità di un ricorso proposto dall’IRCAC - Istituto regionale per il credito alla cooperazione - nei confronti dell’Assessorato regionale dell’Industria avverso un decreto di concessione di un credito di esercizio previsto dall’art. 13, punto 4) L.r. 37/78 in favore di una cooperativa giovanile; si è infatti affermato che tale Istituto si configura giuridicamente come ente strumentale della Regione Siciliana per il cui conto e sotto la cui vigilanza agisce, sicché risulta integrato nell’apparato organizzativo regionale, al quale compete in via esclusiva la potestà amministrativa di valutare e decidere riguardo alla sussistenza dei presupposti per la concessione del contributo e nei confronti del quale l’I.R.C.A.C. non può esercitare alcun anomalo controllo eventuale sulla legittimità dei provvedimenti concessori.

In tema di motivi aggiunti, la sentenza n. 1830 del 20 luglio 2007 ha affermato che con gli stessi non è consentito modificare il petitum del ricorso principale ed ampliare l’originario spettro del thema decidendum, con elusione del termine decadenziale di sessanta giorni, essendo consentita dall’art. 21, 1° comma, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, come sostituito dall'art. 1 della legge 21 luglio 2000, n. 205 soltanto l’impugnazione di provvedimenti adottati in pendenza di ricorso tra le parti (nel caso esaminato, dopo avere censurato con il ricorso principale esclusivamente il mancato superamento delle prove scritte, con i motivi aggiunti la ricorrente aveva chiesto l’annullamento dell’intero procedimento concorsuale), né il giudice amministrativo può essere chiamato a compiere un complessivo esame della correttezza del procedimento amministrativo e, quindi, un riscontro generalizzato anche per profili di illegittimità del provvedimento impugnato non specificamente dedotti nel relativo ricorso.

In tema di poteri decisori del Giudice amministrativo, la sentenza n. 187 del 23 gennaio 2007 ha ritenuto che l’effettività della tutela giurisdizionale possa essere garantita solo attraverso un sindacato, anche sull’esercizio della c.d. discrezionalità tecnica, che non sia meramente estrinseco, limitato ad una verifica dell’assenza di palesi travisamenti o di manifeste illogicità. Infatti, tramontata l’equazione "discrezionalità tecnica" = "merito insindacabile" a partire dalla sentenza n. 601/1999 della IV Sezione del Consiglio di Stato, il sindacato giurisdizionale sugli apprezzamenti tecnici della p.a. può oggi svolgersi in base non al mero controllo formale ed estrinseco dell'iter logico seguito dall'autorità amministrativa, bensì alla verifica diretta dell'attendibilità delle operazioni tecniche sotto il profilo della loro correttezza quanto a criterio tecnico ed a procedimento applicativo, potendo il giudice utilizzare per tale controllo sia il tradizionale strumento della verificazione, che la consulenza tecnica d’ufficio. Si è, quindi, affermato che, in linea di principio, non sussiste alcun ostacolo alla piena e completa conoscibilità e sindacabilità dei provvedimenti soprintendentizi che, per il dover essere correlati sia alla effettiva situazione fattuale dei luoghi che al concreto quadro normativo (sia dal punto di vista del regime urbanistico che degli ambiti di tutela esistenti), non possono essere considerati "liberi".

12.10. - Nella materia del risarcimento del danno sono state affrontate numerose problematiche.

In primo luogo, il Tribunale, con riferimento alla già citata contrapposizione tra Adunanza plenaria del Consiglio di Stato e Sezioni Unite della Corte di cassazione in tema di pregiudizialità amministrativa, ha ripetutamente affermato (sentenze 19 aprile 2007 n. 1158 e 7 giugno 2007, n. 1629) l’indispensabilità del previo annullamento del provvedimento asseritamente lesivo al fine di accedere alla tutela risarcitoria, non potendo essere accolta una domanda di risarcimento del danno innanzi al Giudice amministrativo nel caso in cui non sia stata preventivamente esperita, con successo, l’azione giurisdizionale di annullamento del provvedimento amministrativo ritenuto lesivo.

Con sentenza n. 1347 dell’11 maggio 2007, si è affermato che:

- non può essere accolta una domanda risarcitoria per asserita "perdita di chance", conseguente all’accertamento dell’illegittimità dell’azione dell’amministrazione, nel caso in cui la relativa pronuncia implichi un nuovo esercizio del potere da parte dell’amministrazione; è, infatti, all’esito di esso, e solo all’esito di esso, che può essere valutata la fondatezza o meno della domanda risarcitoria;

- la domanda di risarcimento del danno da attività provvedimentale illegittima proposta nel processo amministrativo non soggiace all’onere del principio di prova, ma all’onere della piena prova degli elementi costitutivi dell’illecito, fra i quali il pregiudizio patrimoniale di cui si chiede il risarcimento per equivalente monetario; conseguentemente, giacché la consulenza tecnica d’ufficio non può supplire all’onere delle parti di allegare ed introdurre processualmente i fatti, la dimostrazione della componente di pregiudizio ascrivibile alla categoria del danno emergente può essere condotta mediante la documentazione delle spese affrontate per la partecipazione al procedimento; quanto al lucro cessante il privato deve dimostrare, non solo che la sua sfera giuridica ha subito una diminuzione per effetto dell’atto illegittimo, ma che non si è accresciuta nella misura che avrebbe raggiunto se il provvedimento viziato non fosse stato adottato o eseguito.

Con la già citata sentenza 19 aprile 2007 n. 1158 il Tribunale ha inoltre ritenuto che vada risarcito il soggetto illegittimamente depennato dalla lista degli avviati al lavoro nel pubblico impiego e nei confronti del quale la costituzione del rapporto di lavoro sia quindi tardivamente avvenuta.

L’ammontare del risarcimento, peraltro, non è stato limitato alle retribuzioni non percepite e alle contribuzioni non fruite ma è stata esteso anche ai danni non patrimoniali.

Premesso che l'art. 2059 Cod. civ. non va più restrittivamente interpretato e applicato in via esclusiva ai casi tradizionali del danno morale ai sensi dell'art. 185 Cod. pen., ma costituisce categoria ampia, nella quale trovano collocazione tutte le ipotesi di lesione di valori inerenti alla persona, e cioè sia il danno morale soggettivo che il danno biologico in senso stretto (o danno all'integrità fisica e psichica, coperto dalla garanzia dell'art. 32 Cost.) ed il c.d. danno esistenziale (o danno conseguente alla lesione di altri beni non patrimoniali di rango costituzionale), è stato disposto il risarcimento del danno morale soggettivo (c.d. patema d’animo), liquidato in via equitativa, ma non quello del danno esistenziale.

Con la sentenza n. 3345 del 10 dicembre 2007, il Tribunale – premessa l’inammissibilità di un’azione ex art. 21-bis L. n. 1034/1971 (c.d. ricorso contro il silenzio) nella materia risarcitoria, trattandosi di diritto soggettivo e non di interesse legittimo – ha accolto una domanda di risarcimento del danno da occupazione acquisitiva relativo alla trasformazione ed alla conseguente perdita della proprietà di un immobile facendo applicazione della citata sentenza n. 349/2007 della Corte costituzionale e liquidando, quindi, un risarcimento pari al valore venale del bene e non decurtato ai sensi dell'art. 5-bis, comma 7-bis, del D.L. n. 333 del 1992, convertito, con modificazioni, nella legge n. 359 del 1992, introdotto dall'art. 3, comma 65, della legge n. 662 del 1996, dichiarato costituzionalmente illegittimo.

12.11. - In materia di diritto allo studio, con sentenze nn. 1433 e 1434 del 24 maggio 2007, nonché n. 1637 del 7 giugno 2007, è stato affermato il principio della piena utilizzazione dell’intero contingente annuale di posti determinato in sede di programmazione nazionale degli accessi universitari (c.d. numero chiuso) ed oggetto di bando per la immatricolazione al primo anno di corso, dichiarandosi disponibili per lo scorrimento delle relative graduatorie di aspiranti alla immatricolazione sia i posti rimasti vacanti, perché riservati a studenti extracomunitari non residenti e non coperti per mancanza di concorrenti, sia quelli resisi vacanti per iscrizione di alcuni dei vincitori ad anni di corso successivi al primo.

12.12. - In materia di accesso alla professione forense, il Tribunale ha ritenuto di conformarsi al prevalente orientamento giurisprudenziale (ripetutamente ribadito dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana), secondo il quale, anche dopo l’entrata in vigore della legge 7 agosto 1990, n. 241, il voto numerico attribuito dalla Commissione esaminatrice esprime e sintetizza il giudizio tecnico – discrezionale della Commissione medesima, contenendo in sé la sua motivazione, senza bisogno di ulteriori spiegazioni e chiarimenti.

In particolare, nella sentenza n. 1255 del 4 maggio 2007, ha precisato che la normativa in tema di motivazione di cui al D.L.vo 24 aprile 2006, n. 166 (contenente norme sul concorso notarile) non appare espressione di un principio generale in materia di professioni, e comunque non appare estensibile, per tipologia di impiego e per struttura del concorso, all’esame di abilitazione per la professione forense (in tal senso, invece, T.A.R. Sicilia, Catania, sez. VI, 20 luglio 2007, n. 1260).

Vi è da rilevare che, in applicazione di siffatto ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, il Tribunale ha definito tutto il contenzioso relativo alla sessione degli esami di abilitazione professionale per l’anno 2006 con sentenze succintamente (ma non troppo) motivate ex artt. 21 e 26 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, nel testo risultante dalle modifiche ed integrazioni introdotte dalla legge 21 luglio 2000, n. 205, (c.d. sentenze brevi): per tutte, nn. 2304 e 2305 del 25 ottobre 2007.

12.13. - Nella materia sanitaria, possono segnalarsi:

la sentenza n. 1185 del 26 aprile 2007, nella quale, a proposito dell’ampliamento di una casa di cura privata con nuovi posti letto per riabilitazione - in conformità a C.G.A., dec. 2 marzo 2007 n. 102 ed ai principi espressi dalla Corte Costituzionale nella sentenza 17 luglio 2002, n. 355 resa in tema di limiti al diritto di iniziativa economica privata soggetta ad autorizzazione, in presenza dell’obbligo di previa pianificazione di settore - si è ritenuto legittimo l’assoggettamento delle autorizzazioni sanitarie non comportanti oneri per il sistema sanitario pubblico alla verifica di compatibilità del progetto da parte della Regione, in relazione al fabbisogno complessivo ed alla localizzazione territoriale delle strutture, in considerazione del fatto che "lo strumento pianificatorio mira ad escludere che le autorizzazioni possano essere rilasciate in maniera casuale, arbitraria e comunque senza una visione di insieme degli ambiti territoriali in cui si riscontrano carenze di strutture o di capacità produttiva";

la sentenza n. 3505 del 28 dicembre 2007, con la quale – relativamente a richiesta di riconoscimento dello status di soggetto preaccreditato - si è affermato che, in base all’art. 1 della L.r. n. 15/2004 (misure straordinarie per il pareggio del bilancio delle aziende unita sanitarie locali e delle aziende ospedaliere), la portata dell’autorizzazione sanitaria per l’esercizio di nuove strutture ambulatoriali deve essere rigidamente limitata all’espletamento di attività libero-professionali non comportanti alcun costo a carico del Servizio sanitario nazionale.

12.14. - In materia di cittadini extracomunitari, il Tribunale è stato particolarmente attento nell’esaminare i relativi ricorsi, stante la delicatezza delle situazioni coinvolte (al riguardo, deve segnalarsi la costante, attenta collaborazione prestata dalla Questura di Palermo in sede istruttoria).

In particolare:

- con sentenze n. 347 del 5 febbraio 2007 e n. 787 del 13 marzo 2007, si è affermato che, in base all’art. 5, comma 5, del D.L.vo 25 luglio 1998, n. 286, l’Amministrazione, in sede di rinnovo o di revoca del permesso di soggiorno, deve valutare i nuovi elementi sopraggiunti che ne consentano il rilascio (in particolare l’inserimento nel mondo del lavoro del cittadino straniero);

- con sentenza n. 1113 dell’11 aprile 2007, si è affermato che, in caso di rapporto di lavoro avente natura fittizia, la Questura non può procedere al rinnovo del permesso di soggiorno, mancando il presupposto essenziale per consentire allo straniero di permanere nel territorio nazionale;

- con sentenza n. 3487 del 21 dicembre 2007, si è affermato che la concessione della cittadinanza italiana è configurabile quale potere, ampiamente discrezionale, che implica l'accertamento di un interesse pubblico da valutarsi in relazione ai fini della società nazionale e non già il semplice riconoscimento dell'interesse privato di chi si risolve a chiedere la cittadinanza per comodità di carriera, di professione o di vita. Ed invero, l’attribuzione del nuovo status di cittadino, comporta l’inserimento dello straniero a tutti gli effetti nella collettività nazionale acquisendo a pieno titolo i diritti ed i doveri che competono ai suoi membri, tra i quali quelli connessi all’obbligo di concorrere alla realizzazione delle finalità che lo Stato persegue.

12.15. - In materia di provvedimenti adottati dai Questori ex art. 6 L. 401/89 al fine di reprimere e prevenire inqualificabili episodi di violenza durante le manifestazioni sportive, questo Tribunale (sentt. nn. 1814, 1815, 1816, 1817, 1818, 1819 dell’1 giugno 2007; sent. n. 1771 del 9 luglio 2007; sent n. 1970 del 20 agosto 2007):

- ha, preliminarmente, limitato la propria cognizione alla sola impugnazione di quella parte dei provvedimenti concernenti il divieto imposto dal Questore di accesso negli stadi e nei luoghi limitrofi, non sussistendo la giurisdizione del giudice amministrativo in relazione alla impugnazione degli obblighi di presentazione presso gli organi di Polizia, trattandosi di atti restrittivi della libertà personale, che, mediante la convalida, assumono forza e valore di provvedimento giurisdizionale ed avverso i quali – stante la riserva di giurisdizione sancita per tali provvedimenti dall’art. 13, co. 2, Cost. - è previsto espressamente, quale specifico rimedio, il ricorso per cassazione (art. 6, co. 4, L. 13 dicembre 1989 n. 401);

- ha riconosciuto che la normativa in premessa risulta conforme alla risoluzione del Parlamento Europeo dell'11 maggio 1985, sulle misure necessarie per combattere il vandalismo e la violenza nello sport.

In base alla norma citata, al Questore è infatti attribuito il potere di inibire immediatamente l'accesso ai luoghi ove si svolgono manifestazioni sportive a quanti risultino coinvolti in episodi in violenza in occasione o a causa di manifestazioni sportive: ciò trova fondamento nelle ineludibili ragioni di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica durante le manifestazioni sportive ed è finalizzato ad evitare che chi sia stato coinvolto in precedenti episodi di violenza torni a frequentare i luoghi ove potrebbe reiterare le medesime condotte.

Ed invero si è precisato che tale disciplina normativa non è volta alla prevenzione di specifici reati, (es. minacce, lesioni, danneggiamento, resistenza etc.) per i quali i soggetti rispondono eventualmente in sede penale, ma è destinata a contrastare e punire le condotte che comportano situazioni di tumulto, di allarme e di pericolo, anche a livello di semplice incitamento. Di conseguenza, la pericolosità del soggetto richiesta dall’articolo 6 citato non è necessariamente collegata alla colpevolezza per un reato, ma si ricava da concrete previsioni ragionevolmente idonee a sorreggere un giudizio prognostico di pericolosità.

13. - Passando agli aspetti concreti dell’attuale stato complessivo della giustizia amministrativa non può non segnalarsi ancora una volta come questo rimanga caratterizzato, a tutt’oggi, da un notevole arretrato, anche se con una leggera tendenza alla riduzione: tendenza, questa, determinata sia da un decremento del complessivo tasso di litigiosità amministrativa che da un complessivo incremento della produttività, in termini decisori, del sistema di Giustizia amministrativa.

Risultano in atto pendenti circa 600.000 ricorsi presso i vari TT.AA.RR. e circa 21.000 ricorsi presso il Consiglio di Stato (compreso in questo dato anche il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana): il che non rappresenta certo una situazione confortante.

Le cause del fenomeno – che si proietta, ovviamente, anche sulla nostra sede – sono molteplici, e basterà solo accennarvi: la inadeguata considerazione, all’atto della istituzione dei TT.AA.RR., nel 1971, dell’effetto espansivo che, sull’andamento generale del contenzioso, avrebbe determinato il più agevole accesso alla tutela giurisdizionale, in conseguenza della diffusione sul territorio del giudice amministrativo di primo grado; la progressivamente più ampia sfera di intervento dei poteri pubblici nella vita sociale, che ha comportato sempre più numerose occasioni di incontro (o, peggio, di "scontro") fra cittadini ed organi amministrativi, incrementando la conflittualità, che oggi vede in primo piano, accanto alla categoria tradizionale degli "interessi oppositivi", quella, sempre crescente, dei c.d. "interessi pretensivi", di chi, cioè, mira a conseguire, anche attraverso una pronuncia giurisdizionale, un qualche ampliamento della propria sfera giuridica.

Purtroppo a ciò ha contribuito – e continua a contribuire – il proliferare di normative (primarie e secondarie, nazionali, regionali e locali) sempre più frammentarie, imprecise quanto a formulazione tecnica, oscure sotto il profilo linguistico, spesso farraginose e contraddittorie nei contenuti: con buona pace degli intenti semplificatori e chiarificatori ripetutamente enunciati nelle più autorevoli sedi, rimasti puntualmente senza riscontro nella realtà: anzi, se vogliamo, clamorosamente disattesi dagli ultimi esempi di "tecnica legislativa", fra i quali spiccano le recenti leggi finanziarie per il 2007 e per il 2008.

Ancora, non può farsi a meno di rilevare, quale concausa dell’accrescimento del contenzioso, il progressivo deterioramento della "qualità" dell’azione amministrativa conseguente al diffondersi di fenomeni non certamente di segno positivo (reclutamento di personale senza adeguata selezione, ampliamento del "precariato" e della correlata insicurezza e demotivazione dei lavoratori della Pubblica Amministrazione, generalizzato decentramento di funzioni verso enti e strutture, spesso di incerta natura giuridica, non adeguatamente attrezzati, anche sul piano culturale, per svolgerle al meglio).

Aggiungasi, altresì, che non sempre le amministrazioni pubbliche, specialmente quelle di minori dimensioni, informano la loro attività all’esigenza di prevenire, in quanto possibile, la conflittualità con gli amministrati, ad esempio con una adeguata utilizzazione degli strumenti partecipativi che pure l’ordinamento oggi appresta a tal fine, preferendo di fatto – forse per malintese esigenze di cautela (" a scanso di responsabilità", come suol dirsi) – l’instaurazione di contenziosi giurisdizionali (nei quali spesso trascurano anche di essere presenti, non costituendosi in giudizio e venendo meno sovente all’obbligo di collaborazione istruttoria con il giudice amministrativo, costretto non infrequentemente ad applicare, ai fini probatori, l’art. 116, 2° c., C.P.C.), onde conseguire una pronuncia giurisdizionale purchessia dietro la quale "trincerarsi".

Come ho avuto occasione di osservare anche in precedenti analoghe occasioni, il fenomeno si presenta particolarmente vistoso – in questa Regione – per taluni settori dell’attività pubblica, quali l’urbanistica, l’edilizia, la tutela ambientale, la spesa sanitaria.

13.1 - A tutto questo si aggiunge, e ne costituisce certo una delle cause principali, l’insufficienza di strutture che ha caratterizzato il settore della Giustizia amministrativa, segnato da croniche e tutt’ora vistose carenze di organico di personale, sia di magistratura che, soprattutto, di segreteria e collaborazione.

Detto tutto questo, bisogna doverosamente evidenziare anche taluni elementi positivi che, già manifestatisi negli ultimi anni, si sono ulteriormente consolidati.

La favorevole inversione di tendenza per quanto attiene alle dotazioni di supporto, già segnalata nelle precedenti relazioni, è infatti proseguita anche in quest’ultimo anno, attraverso la sempre più ampia attivazione ed utilizzazione di strumenti informatici sia collettivi che individuali.

É ormai realizzata ed a regime la rete INTRANET della Giustizia amministrativa, grazie alla quale i magistrati amministrativi sono posti in grado, tra l’altro, di accedere direttamente ad una serie di banche dati costantemente aggiornate, oltre che di interconnettersi fra di loro e con gli uffici della propria giurisdizione nell’intero territorio nazionale.

Funziona a regime anche il sistema informativo nazionale collegato ad INTERNET (nel sito istituzionale accessibile www.giustizia-amministrativa.it) che consente di avere notizia, in tempo reale contestualmente alla pubblicazione, delle pronunce del Giudice amministrativo, nonché dei dati pubblici concernenti i singoli ricorsi, dei calendari delle adunanze, dei collegi.

É in fase di realizzazione, attraverso anche la sperimentazione presso alcuni Uffici giurisdizionali "pilota", il c.d. NSIGA - Nuovo Sistema Informativo della Giustizia Amministrativa – che dovrebbe dare un decisivo impulso, una volta a regime (superati taluni inconvenienti registratisi nella fase di sperimentazione), all’avvio, quanto meno tendenziale, del tanto atteso "processo telematico": cioè quel sistema integrato che consentirà di trasmettere e ricevere documenti "on line", approntando veri e propri fascicoli virtuali.

É innegabile comunque che l’operatività dei sistemi informativi ricordati comporta una notevole riduzione dei tempi che, in precedenza, sia gli operatori (avvocati, pubbliche amministrazioni) che le segreterie dei vari Uffici giurisdizionali erano costretti a dedicare all’informazione sullo stato e sull’andamento dei ricorsi.

13.2. - Non può tuttavia sottacersi come l’ulteriore sviluppo del sistema " Giustizia amministrativa " sia stato e sia fortemente condizionato – in negativo – dalla cronica e perdurante penuria di mezzi finanziari a disposizione.

Finora, purtroppo, si è dovuta registrare una situazione finanziaria tutt’altro che positiva per il settore della giustizia amministrativa. Nel contesto della generalizzata riduzione di (talune) spese dello Stato, le risorse finanziarie dedicate alla giustizia amministrativa, modeste da sempre, si sono vieppiù assottigliate.

Lo stanziamento complessivo per il Consiglio di Stato (compreso il Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione Siciliana) ed i Tribunali amministrativi regionali è stato caratterizzato negli ultimi anni finanziari da dimensioni assolutamente trascurabili rispetto alla spesa globale dello Stato (nell’ordine dello 0,0030/32% contro l’1,796% di spesa complessiva per la giustizia: dati Ministero della Giustizia, 2007); un’entità insignificante nel contesto del bilancio dello Stato, peraltro ampiamente compensata dalle entrate tributarie riferibili al settore (gettito del contributo unificato di iscrizione a ruolo delle cause, oggetto di ripetuti sensibili aumenti nell’ultimo periodo; imposte pagate dal personale in servizio ed in quiescenza, dai professionisti e loro collaboratori e dagli operatori dell’indotto).

La situazione finanziaria si è ulteriormente deteriorata negli ultimi tempi: i ripetuti "giri di vite" sulla spesa pubblica, effettuati in maniera indiscriminata anche sul già magro bilancio della giustizia amministrativa, hanno avuto ricadute negative sulla spesa per l’ordinario funzionamento dei servizi, con l’effetto di ritardare anche l’espletamento dei concorsi per l’assunzione di nuovi magistrati, essenziali per tamponare i sempre più ampi vuoti di organico.

Senza dire dei problemi minori, ma non meno importanti, sul piano della quotidianità: si pensi che presso quest’ufficio siamo stati costretti a ridurre drasticamente anche il servizio di pulizia dei locali!

Non è chi non veda come l’insufficienza di disponibilità finanziarie sia suscettibile di porre ancora più in crisi l’intero sistema della Giustizia amministrativa, con evidenti riflessi negativi, quanto meno in termini temporali, sul proseguimento dei programmi di potenziamento strutturale ed operativo.

13.3. - Con riferimento all’aspetto delle risorse finanziarie non può tuttavia non segnalarsi un qualche recente, se pur "timido", segnale di inversione di tendenza, che può cogliersi in talune previsioni contenute sia nella legge finanziaria 2007 (legge 27 dicembre 2006, n. 296), che in quella 2008 (legge 24 dicembre 2007, n. 244).

Verosimilmente tenendo presenti anche i pressanti appelli che il Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa ha ripetutamente rivolto alle competenti Sedi istituzionali per un ampliamento delle risorse finanziarie a disposizione del bilancio autonomo della giustizia amministrativa, il Legislatore, che già aveva previsto, all’art. 1, c. 47 della legge finanziaria 2006 (L. 23 dicembre 2005, n. 296) la devoluzione, allo stesso bilancio della giustizia amministrativa, anche del gettito specifico del contributo unificato dovuto per la proposizione dei ricorsi giurisdizionali, nella legge finanziaria relativa al 2007 (art. 1, co. 1309) ha specificamente destinato parte delle maggiori entrate derivanti dall’incremento del contributo unificato predetto al finanziamento di un programma straordinario di assunzioni "fino a cinquanta unità di personale appartenente alle figure professionali strettamente necessarie ad assicurare la funzionalità dell’apparato amministrativo di supporto agli uffici giurisdizionali, con corrispondente incremento della dotazione organica".

Nella stessa legge finanziaria 2007, al c. 518 dell’art. 1, è consentita in deroga al blocco generale delle assunzioni tuttora vigente (previsto dall’art. 1, c. 95 della L. 30 dicembre 2004, n. 311), il reclutamento di magistrati amministrativi, contabili e di avvocati e procuratori dello Stato entro il limite di spesa di 1.370 milioni di euro per l’anno 2007 e di 5.670 milioni di euro a decorrere dal 2008.

Alla ripartizione delle previste assunzioni si provvederà con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze.

Altro intervento finanziario destinato all’assunzione di magistrati amministrativi è previsto anche nella legge finanziaria 2008 (L. 24 dicembre 2007, n. 244) che, al c. 355 dell’art. 1 autorizza, a tal fine, la spesa di 1,75 milioni di euro per l’anno 2008, di 4,5 milioni di euro per l’anno 2009 e di 6 milioni di euro a decorrere dall’anno 2010.

14. - Passando ad esporre brevemente la situazione esistente presso questo Tribunale amministrativo, devo innanzitutto segnalare che il complessivo carico di lavoro del T.A.R. - Sicilia (sede di Palermo e sezione staccata di Catania), risultante di n. 6.164 nuovi ricorsi depositati nell’anno 2007 (pari al 10,93% dell’intero carico di lavoro di tutti i TT.AA.RR. della Repubblica: vedi tabella allegata "A/1-2-3") pone il T.A.R. della Sicilia al 3° posto della graduatoria nazionale, dopo il T.A.R. del Lazio e il T.A.R. della Campania, con un leggero decremento del 2,27% stimato rispetto all’anno precedente (ed un decremento del 42,05% nell’arco del periodo 2000-2007).

Si sintetizza la specifica situazione esistente al 31 dicembre 2007 presso questa Sede di Palermo, ordinata su tre Sezioni interne.

Mi limiterò a segnalare gli aspetti più significativi, lasciando a chi desideri farlo un più approfondito esame della esposizione analitica dei dati contenuti nelle tabelle allegate alla relazione.

Risultano iscritti a ruolo nel 2007, n. 2.761 procedimenti, che, rispetto ai 2.646 iscritti a ruolo nell’anno precedente, registrano un incremento delle sopravvenienze pari al 9,41% (cfr. tab. B.-1).

Tuttavia, in relazione anche al numero di procedimenti esauriti nel corso dell’anno 2007, (3.524 esauriti contro 2.761 sopravvenuti – cfr. tab. D), si registra, alla fine del periodo considerato, un decremento, rispetto all’anno precedente, del numero complessivo dei ricorsi pendenti di 763 unità (quantificabile in termini percentuali nel dato complessivo - 2,41% rispetto alla pendenza dell’anno precedente).

Il totale dei procedimenti pendenti, al 1° gennaio 2008, risulta essere di 30.857 unità.

Nello specifico si rileva un incremento di ricorsi in materia di:

"Edilizia e urbanistica" (+ 13,13%);

"Igiene, sanità ed ecologia" (+ 31,18%);

"Istruzione, antichità, belle arti, etc." (+ 111,65%);

"Pubblico Impiego" (+24,19%);

"Elezioni" (+ 522,22%);

decremento, invece per i ricorsi in materia di:

"Agricoltura, foreste, caccia e pesca" (- 15,38%);

"Industria, commercio e artigianato" (- 15,79%);

"Lavori pubblici" (- 43,68%);

"Attività della Pubblica Amministrazione" (- 15,79%);

"Trasporti" (- 100,00%);

"Altre Materie" (P.S., leva, tributaria, etc.) (- 18,18%);

"Ottemperanza al giudicato" (- 15,53%).

Nelle materie rimanenti il numero di ricorsi non si discosta significativamente da quello dell’anno precedente.

Per una visione complessiva del fenomeno si rinvia all’allegata tab. C.

Si evidenzia, in continuità con la tendenza già manifestata nel corso dell’anno precedente, un apprezzabile decremento del numero dei ricorsi per ottemperanza al giudicato - passati dai 320 del 2004, ai 162 del 2005 (- 49,38%), ai 103 del 2006 (- 36,42%), scesi ulteriormente agli 87 del 2007 (- 15,53% rispetto all’anno precedente e – 72,81% rispetto al 2004), che evidenzia una progressiva attenuazione della "tradizionale" tendenza delle Amministrazioni a sottrarsi il più possibile, almeno in termini temporali, al "dictum" giudiziario, con ulteriore aggravio per i cittadini e, in definitiva, per le stesse Amministrazioni esposte a condanne alle spese e commissariamenti: evidentemente l’indirizzo seguito dalla giurisprudenza del TAR Sicilia, di nominare commissari ad acta nei casi di inadempimento, condannare alle spese processuali le strutture amministrative inadempienti, nonché di trasmettere periodicamente alla Procura Regionale della Corte dei Conti, per le eventuali iniziative di competenza sul versante delle responsabilità, le pronuncie di accoglimento di ricorsi per ottemperanza, dà i frutti sperati.

Sono state tenute nel corso dell’anno 2007 63 udienze pubbliche e 212 adunanze camerali, per un totale di 2.551 procedimenti trattati in udienza pubblica e 2.490 in adunanze camerali (di cui 2.149 concernenti misure cautelari).

Sono stati conclusi con sentenza definitiva 2.490 procedimenti, con 2.436 sentenze, delle quali 253 emesse, nella forma di sentenze c.d. "brevi", in sede di esame, in camera di consiglio, di istanze di misure cautelari.

Giova evidenziare che l’utilizzo di tale strumento processuale introdotto dalla legge 205/2000 ha consentito, presso questa Sede, di portare a rapida definizione (mediamente, dal deposito del ricorso alla pubblicazione della sentenza, non più di 60/120 giorni) il 9,1% del contenzioso di nuovo impianto.

Va segnalato che, nel corso dell’anno di riferimento (2007), sono state gravate di appello 148 sentenze (pari al 6,07% del totale).

Sono stati trattati complessivamente 1.289 procedimenti riconducibili alle tipologie previste dagli artt. 3, 8, 9, della L. 205/2000 (cfr. tabella "B", quadri 11, 12 e 13), tutti definiti con pronuncia in forma di decreto monocratico.

A seguito dei mutati orientamenti in materia di giurisdizione indotti dalla più volte ricordata sent. n. 204/2004 della Corte Costituzionale si è praticamente esaurito il fenomeno dei decreti ingiuntivi concernenti spese a carico del servizio sanitario che, specie nel 2002, nel 2003 e nel 2004, sino alla pubblicazione nel mese di luglio della sentenza n. 204/2004 della Corte Costituzionale, già ricordata, era stato caratterizzato da un elevato numero di richieste, in conseguenza dei cronici ritardi nella liquidazione, da parte delle competenti A.U.S.L., dei crediti per spese farmaceutiche, centri clinici convenzionati con il S.S.N. e quant’altro.

A partire dalla sentenza "capofila" n. 1543 del 6 luglio 2004 questo Tribunale ha declinato la giurisdizione in materia e ciò ha determinato la sostanziale cessazione del fenomeno.

Purtuttavia è da segnalare un significativo incremento del numero dei ricorsi ex art. 8, L. 205/00 (decreti ingiuntivi) concernenti materie diverse (per lo più pubblico impiego non contrattualizzato), passati dai 6 del 2006 ai 134 del 2007 (+ 2.133,33%).

In materia sanitaria, comunque, va ricordato che questo Tribunale amministrativo, anche successivamente alla nota sentenza costituzionale n. 204 del 6 luglio 2004, ha ritenuto la propria giurisdizione in tema di determinazione dei "budgets" annuali (sentt. n. 2128 e segg. del 30 settembre 2004) riconoscendo il carattere autoritativo dei provvedimenti di fissazione dei tetti di spesa delle strutture sanitarie, avuto anche riguardo ai particolari vincoli finanziari ed amministrativi che circoscrivono l’astratta fase di negoziazione normativamente prevista.

Anche questa soluzione ha, successivamente, avuto l’avallo della Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con decisione n. 8 del 2 maggio 2006.

Particolare attenzione è stata dedicata anche alla individuazione dei ricorsi ultradecennali, agli effetti di cui al comma 2 dell’art. 9 della L. 205/2000.

Utilizzando lo strumento della contrattazione decentrata, progetti finalizzati di interesse locale, già portati a definizione, hanno consentito l’emissione nel 2007 di 854 decreti di perenzione, nel contesto di un totale di 1.048 decreti decisori (dei quali ad oggi opposti soltanto 32).

Sono stati adottati 258 provvedimenti istruttori collegiali (nella forma di sentenze od ordinanze) e 44 ordinanze istruttorie presidenziali, oltre ad ulteriori 310 decreti presidenziali di vario contenuto processuale.

Si è mantenuta sostanzialmente sui livelli dell’anno precedente l’utilizzazione del mezzo istruttorio della consulenza tecnica d’ufficio (la cui ammissibilità nel processo amministrativo è stata generalizzata dalla legge 205/2000), con il relativo aggravio di adempimenti sia a carico dei magistrati delegati che delle Segreterie giurisdizionali.

I dati concernenti il numero degli affari assegnati complessivamente ai magistrati ed il numero dei provvedimenti dagli stessi depositati sono analiticamente descritti nei quadri 20 e 21 dell’allegata tabella "B".

Va evidenziato, al riguardo, come tutti i magistrati abbiano continuato a dimostrare la più ampia disponibilità a superare i limiti di carico di lavoro previsti, dando prova di elevato spirito di servizio e di grande senso dello Stato.

Analogo riconoscimento è dovuto a tutto il personale di segreteria e collaborazione che, pur in numero assai sparuto, ha sempre fronteggiato le esigenze dell’Ufficio con grande dedizione ed efficienza.

15. - La situazione degli organici presso questa sede continua ad essere deficitaria.

Per quanto concerne il personale di Magistratura, come già riferito in precedenza (cfr.§ 2.1.), la situazione è lievemente migliorata allo spirare dell’anno decorso: la dotazione complessiva "di fatto" dell’Ufficio è ritornata ai livelli del 2005, annoverando 16 magistrati, incluso il Presidente del T.A.R.

Si è ancora tuttavia lontani dal realizzare il completamento dell’organico di Magistrati previsto per la Sede di Palermo, che dovrebbe contare su complessive 18 unità, oltre il Presidente titolare: e l’effettiva copertura dell’organico si profila di non rapida realizzazione, attesi anche i tempi medi delle procedure concorsuali e l’esito delle medesime, che finora ha frequentemente registrato un numero di vincitori inferiore ai posti messi a concorso.

Comunque, un (timido) segnale di attenzione del Legislatore nei confronti del problema degli organici dei magistrati amministrativi poteva già cogliersi nella legge finanziaria 2007 (L. 27 dicembre 2006, n.296) che, al c. 518 dell’art. 1, consente, in deroga al blocco generale delle assunzioni tuttora vigente (art. 1, c. 95 della L. 30 dicembre 2004, n. 311), il reclutamento di magistrati amministrativi, contabili e di avvocati e procuratori dello Stato entro il limite di spesa di 1.370 milioni di euro per l’anno 2007 e di 5.670 milioni di euro a decorrere dal 2008.

Un ulteriore intervento finanziario per l’assunzione di magistrati amministrativi è previsto anche nella legge finanziaria 2008 (L. 24 dicembre 2007, n. 244) che, al c. 355 dell’art. 1 autorizza, a tal fine, la spesa di 1,75 milioni di euro per l’anno 2008, di 4,5 milioni di euro per l’anno 2009 e di 6 milioni di euro a decorrere dall’anno 2010.

Non resta da auspicare, a questo punto, che le procedure relative vengano portate rapidamente a compimento, essendo sempre presente, in questi casi, il rischio che la lodevole iniziativa si impantani in quella che una volta, con felice eufemistica definizione, venne descritta come "la vischiosità della complessa azione amministrativa".

Quanto alle strutture di segreteria delle tre Sezioni qui operanti, avevo già segnalato, nella relazione concernente l’anno 2005, e confermato in quella relativa all’anno successivo, come la perdurante carenza di personale amministrativo e di collaborazione renda cronici i problemi di organizzazione complessiva degli uffici, essendosi dovuto inevitabilmente sottrarre operatori alle due preesistenti strutture di segreteria giurisdizionale per realizzarne una terza, a supporto, appunto, della terza Sezione, attivata dal 1° aprile 2005: con inevitabili ricadute negative sulla complessiva efficienza dei servizi, finora comunque assicurati per l’impegno e lo spirito di sacrificio degli operatori.

Non può escludersi tuttavia, perdurando l’attuale situazione di grave carenza di personale, che possano presto porsi seri problemi di mantenimento dello "standard" di rendimento dell’Ufficio: che, al momento, ha raggiunto, a prezzo di uno sforzo non comune di tutti gli operatori (magistrati e personale di segreteria), risultati elevatissimi, non a lungo ulteriorermente perseguibili con le risorse disponibili.

Ed invero la situazione, per quanto concerne il personale di Segreteria e collaborazione, è tutt’altro che confortante, ove si consideri che, su scala nazionale, nel nostro settore, il rapporto attuale tra tale categoria di personale e quello di magistratura è di appena 1,5/1,9 addetti per magistrato: ben al di sotto di quello esistente presso le altre magistrature e, comunque, lontano dal rapporto minimo di cinque unità di collaborazione per ogni unità di magistratura, ritenuto accettabile dalle più recenti analisi di efficienza del settore.

Questa Sede non fa eccezione alla regola generale, dal momento che la pianta organica attualmente in vigore prevede appena 33 unità suddivise fra le varie aree professionali (la situazione del personale addetto ai Servizi giurisdizionali risulta dal quadro 18 dell’allegata tabella B).

Siffatta dotazione organica, già di per se inadeguata alle attuali necessità siccome determinata in epoca non recente, è stata nel tempo incisa negativamente dalla mancata sostituzione di varie unità di personale collocate a riposo o cessate dal servizio negli ultimi anni, nonché da ulteriori recenti depauperamenti conseguenti al trasferimento ad altri uffici per mobilità interna al settore.

In particolare, nelle relazioni concernenti gli ultimi due anni, avevo segnalato che questo Ufficio ha perduto (negli ultimi mesi del 2005) il dirigente amministrativo con funzioni di Segretario generale, (transitato nella Magistratura della Corte dei Conti avendo vinto il concorso relativo), nonché tre funzionari di area direttiva, uno dei quali con qualifica apicale, collocati a riposo, e, nell’aprile 2006, anche un "operatore esperto – area B-2", già addetto all’archivio della Segreteria giurisdizionale - Sez. 2ª - parimenti, collocato a riposo: a tutt’oggi nessuno è stato sostituito. Devo dare atto, per quanto attiene al Segretario Generale, che dallo scorso mese di giugno 2007 ha assunto stabilmente servizio presso questa Sede il nuovo titolare, come ho detto già in precedenza (cfr. § 2.2).

Comunque, la conseguenza - paradossale - della descritta situazione è che la disponibilità complessiva di personale di segreteria e di collaborazione, presso questa Sede, era ben maggiore (superando di più di dieci unità quella attuale) in epoca anteriore all’ampliamento delle competenze ed alla accelerazione delle procedure introdotte con le innovazioni legislative concernenti la giurisdizione amministrativa (basti pensare alla L. 205/2000 ed alle norme sul procedimento amministrativo, recentemente modificate), che hanno inciso pesantemente anche sul lavoro delle strutture di supporto del settore.

Più volte questa Presidenza ha posto con forza il problema all’attenzione degli Organi di vertice della Giustizia amministrativa, purtroppo fino ad oggi senza successo.

Non resta quindi che sollecitare ulteriormente un rapido adeguamento della dotazione organica della Sede di Palermo che, rispetto alla previsione in atto, andrebbe incrementata, a giudizio di questa Presidenza, di non meno del 50%, da ripartire proporzionalmente nelle varie posizioni funzionali.

Non mi nascondo, tuttavia, con realismo, come, alla stregua delle più recenti teorizzazioni sul blocco del "turn over" e sulla riduzione generalizzata del personale del comparto pubblico, una tale aspettativa sia tutt’altro che realistica.

Non resta, in atto, che confidare nella sollecita attuazione della già ricordata previsione del c. 1309 dell’art. 1 della legge finanziaria 2007, la quale consente l’adozione di un programma straordinario di assunzioni "fino a 50 unità" di personale amministrativo e di collaborazione, che andrebbero ripartite, ovviamente, fra i vari Uffici giurisdizionali dislocati sul territorio nazionale (ma di cui, ad oggi, non si ha notizia con riferimento a questa Sede) (2).

Sul punto, tuttavia, non può non ricordarsi come sia rimasta a suo tempo inattuata una analoga disposizione contenuta nella la legge finanziaria per il 2004 (L. 24 dicembre 2003, n. 350), che all’art. 3, c. 71, aveva previsto, per sopperire a straordinarie esigenze di supporto amministrativo del Consiglio di Stato, dei Tribunali Amministrativi Regionali, della Corte dei Conti e dell’Avvocatura dello Stato,la possibilità per detti uffici di avvalersi, su base volontaria, nel limite complessivo di 300 unità, del personale del CONI e di altri enti pubblici interessati da procedure di liquidazione o soppressione, nonché del personale dell’Agenzia del demanio che ha esercitato l’opzione per il passaggio ad altra Amministrazione "anche in soprannumero ed in deroga alle vigenti disposizioni legislative e contrattuali in materia di mobilità" (in tal modo consentendo, tra l’altro, di superare i limiti discendenti delle piante organiche in atto vigenti, finora opposti come ostacolo insormontabile, da parte dell’Amministrazione centrale, ad ogni richiesta di ampliamento).

Purtroppo, nel settore della Giustizia amministrativa la norma in parola è rimasta inspiegabilmente inattuata, per difficoltà burocratiche diverse, di volta in volta opposte alle ripetute richieste di chiarimenti rivolte alle strutture centrali, cui sono state in più occasioni segnalate le esigenze di questa Sede di una più congrua dotazione di personale di collaborazione.

É stata, viceversa, data pronta attuazione, anche nel settore considerato, alla norma contenuta nella successiva legge finanziaria 2005 (art. 1, c. 93 della L. 30 dicembre 2004, n. 311) che ha imposto a tutte le Amministrazioni dello Stato – compresa quella della Giustizia amministrativa – una riduzione non inferiore al 5% della spesa complessiva relativa al numero dei posti in organico: con il risultato di rendere sempre più evanescente la prospettiva di incrementare le scarse dotazioni esistenti.

É auspicabile, quindi, una pronta inversione di tendenza, che porti ad un rapido utilizzo del meccanismo delineato nel citato c. 1309 dell’art. 1 della legge finanziaria 2007, anche nei confronti della Sede di Palermo.

Deve altresì evidenziarsi l’ulteriore aggravio di lavoro che è derivato dalla applicazione della norma contenuta nel c. 1308 del più volte richiamato art. 1 della L.fin. 2007, che istituisce presso gli Organi giurisdizionali amministrativi, centrali e periferici, una commissione per il patrocinio a spese dello Stato, composta di magistrati amministrativi ed avvocati ed assistita, per i compiti di segreteria, da un funzionario amministrativo della giustizia amministrativa: commissione chiamata ad esaminare – a titolo gratuito – le istanze di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, con le connesse implicazioni, anche di responsabilità patrimoniale.

Presso questa Sede la commissione, già istituita con D.P. n. 02/07 del 16 gennaio 2007, e rinnovata con D.P. 4 dicembre 2007, n. 30/07 è in piena attività (cfr. tab. B, n. 17).

Per concludere sull’argomento del personale di collaborazione, va ricordato che la Regione siciliana si era data carico del problema delle carenze strutturali degli organi giurisdizionali, ordinari e speciali, operanti in Sicilia, con l’approvazione di un disegno di legge, predisposto dal Governo della Regione, contenente provvedimenti di sostegno dell’attività giurisdizionale realizzantisi con l’assegnazione, senza alcun onere finanziario per le Amministrazioni statali destinatarie, di contingenti di personale di collaborazione nonché di attrezzature strumentali in comodato (3).

L’iniziativa, bloccata in un primo tempo da una impugnativa del Commissario dello Stato, è stata giudicata costituzionalmente legittima dalla Corte costituzionale, con sentenza n. 207 del 26 maggio 2006.

La Regione, con la legge finanziaria del 2006 ( in attuazione delle legge regionale più volte ricordata), ha stanziato in favore degli Uffici giudiziari ordinari due milioni di euro, utilizzati per attrezzature informatiche, fisse e mobili, stampanti, abbonamenti a banche dati giuridiche e quant’altro.

Nei confronti di questo Ufficio il competente Dipartimento della Presidenza della Regione Siciliana ha, in tempi successivi, disposto l’assegnazione, in comodato d’uso, di un totale di dieci P.C. completi di stampanti laser, nonché di due stampanti multifunzione: materiale già in esercizio.

Si tratta, per quanto riguarda la sede di Palermo del T.A.R. – Sicilia, di un segnale di attenzione del quale non può che prendersi atto con compiacimento : il che non esaurisce, tuttavia, le aspettative indotte dalla legge regionale citata nei confronti delle più volte rappresentate esigenze di funzionalità del Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, che in questa occasione desidero riconfermare, sopratutto sul versante del personale di collaborazione, estremamente deficitario.

Peraltro, iniziative in sede regionale a sostegno dell’amministrazione della giustizia si registrano anche presso altre Regioni d’Italia. Ricordo, a mo’ di esempio, il protocollo d’intesa siglato dal Ministero della Giustizia con la Presidenza della Regione Friuli – Venezia Giulia nel dicembre 2006.

È auspicabile che la nostra Regione, che ha avuto il merito di portare fra le prime attenzione all’argomento, continui a manifestare lo stesso impegno nella fase attuativa.

16. - In conclusione malgrado i notevoli risultati conseguiti il carico di lavoro cui bisogna far fronte presso questa Sede rimane ingente: e ciò in presenza di un ancora inadeguato organico di personale in servizio, sia di Magistratura che di Segreteria. In tale situazione continua ad essere tutt’altro che agevole cercare di contemperare l’esigenza di venire in qualche modo incontro alle pressanti richieste delle parti volte ad una sollecita trattazione degli affari per i quali esistono obiettive ragioni di urgenza, con quella di osservare i criteri sui carichi di lavoro dei Magistrati fissati nelle deliberazioni adottate al riguardo dal Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa (da ultimo, in data 18 dicembre 2003), e con quella, non meno pressante, di osservare i ristretti termini temporali introdotti per una serie di ipotesi contenziose previste dalla L. 205/2000 e successive integrazioni.

Il protrarsi di queste condizioni non agevolerà certamente una significativa riduzione del numero dei ricorsi pendenti in attesa di giudizio, con grave nocumento per l’ordinato esercizio della giurisdizione amministrativa ed ulteriori esposizioni a censure e sanzioni presso le competenti sedi, sia europee che nazionali, a causa dell’ eccessiva durata dei processi.

A quest’ultimo riguardo ritengo debba essere ricordato l’ormai consolidato indirizzo interpretativo introdotto dalle SS.UU. della Corte di Cassazione (sent. n. 28507 del 23 dicembre 2005) secondo cui, con riferimento al tema del risarcimento del danno, il principio della ragionevole durata del processo, applicato all’attività giurisdizionale amministrativa, fa sì che la lesione del diritto corrispondente va ritenuta sussistente anche per le cause proposte dinanzi al giudice amministrativo, senza che sulla valutazione del periodo di tempo decorso dalla instaurazione del processo possa incidere, quale esimente del ritardo, la mancata o tardiva presentazione della c.d. "istanza di prelievo", nella (condivisibile) considerazione che la presenza – o meno – di attività sollecitatorie delle parti non sospende né differisce il dovere dello Stato di pronunciare sulla domanda, né comporta il trasferimento sulle parti medesime della responsabilità connessa al superamento del termine ragionevole per la definizione del giudizio.

Di tal che, continuando a permanere le attuali vistose carenze di strutture e mezzi, si raggiungerà presto il paradossale risultato che le risorse non impiegate per migliorare il servizio giurisdizionale dovranno essere destinate, forse in misura anche maggiore, a risarcire i danni per i ritardi nella definizione dei processi!

Ad una tale conclusione induce anche la considerazione dell’andamento esponenziale dei giudizi risarcitori introdotti in base alla legge n. 89 del 2001 (c.d. "legge Pinto") con riferimento a processi presso questa Sede: si è passati infatti dalle poco numerose richieste dei primi anni di operatività della legge citata (anno 2001, 4 richieste; anno 2002, 8 richieste; anno 2003, nessuna richiesta, anno 2004, 2 richieste; anno 2005, 8 richieste) alle 80 richieste dell’anno 2006, ed alle 150 richieste relative all’anno 2007; e la curva del fenomeno, a quanto è dato desumere dalle richieste già incardinate nei primi giorni di quest’anno, non sembra attenuarsi.

Non mi stancherò di sottolineare ancora una volta – so di essere ripetitivo, ma il tema lo merita - come l’area territoriale nella quale opera questo Tribunale, caratterizzata, come è ben noto, da elevati indici di criminalità mafiosa, che tende ad estendere i propri "interessi" verso settori dell’attività amministrativa di notevole rilevanza economica (quali le opere pubbliche, le pubbliche forniture, gli interventi sul territorio, segnatamente quelli in materia ecologica ed ambientale, etc.), comporta la necessità di "standars" di efficienza aggiuntiva rispetto a quelli normalmente ritenuti sufficienti in aree territoriali meno esposte al rischio del crimine organizzato.

Il che postula che la risposta dello Stato in questo territorio, anche attraverso i propri organi di giurisdizione amministrativa nei settori di competenza, deve essere rapida e qualitativamente e quantitativamente adeguata, onde contribuire ad alimentare la fiducia dei cittadini e degli operatori economici nella efficienza della giustizia (non soltanto quella repressiva penale ma anche quella, in qualche misura preventiva, amministrativa) epperò a contenere ed auspicabilmente eliminare spazi alternativi che una poco efficace risposta giudiziaria può oggettivamente dischiudere a poteri illegali.

Non può quindi che ribadirsi l’auspicio, che è anche una pressante richiesta, affinché gli Organi Legislativi e di Governo rivolgano una maggiore attenzione ai problemi di questo settore della giustizia, onde far si che possa concretamente realizzarsi anche nel processo amministrativo il principio, ora espressamente enunciato in Costituzione (art. 111), della "ragionevole durata", nella consapevolezza che ritardare giustizia equivale, sovente, a denegarla.

 

horizontal rule

[1] European Judicial Training Network: Rete Europea di Formazione Giudiziaria.

[1] La “Gazzetta Ufficiale” della R.I., n. 44 del 17 gennaio 2008, pubblica il D.P.Rep. 29 novembre 2007, che, per l’anno 2007, fra le assunzioni autorizzate presso le varie Amministrazioni, annovera 13 unità per il Consiglio di Stato.

[3] D.d.l. n. 805 approvato dall’Assemblea regionale siciliana nella seduta del 12 aprile 2005 concernente “disposizioni urgenti per il rafforzamento dell’azione amministrativa a tutela della legalità”  e promulgato in pendenza di impugnativa (ai sensi dell’art. 29 dello Statuto speciale della Regione Siciliana), se pur non attuato in attesa della pronuncia della Corte costituzionale: L.reg. 31 maggio 2005, n. 6, pubblicata nella “Gazzetta ufficiale” della Regione Siciliana n. 24 del 3 giugno 2005.

horizontal rule

Documenti correlati:

GIALLOMBARDO G., Inaugurazione dell'anno giudiziario 2007 del T.A.R. Sicilia, in LexItalia.it n. 2/2007, pag. http://www.lexitalia.it/articoli/giallombardo_relazione2007.htm

GIALLOMBARDO G., Inaugurazione dell’anno giudiziario 2005 del T.A.R. Sicilia, in LexItalia.it n. 2/2005, pag. http://www.lexitalia.it/articoli/giallombardo_2005.htm

GIALLOMBARDO G., Inaugurazione dell’anno giudiziario 2004, in LexItalia.it n. 3/2004, pag. http://www.lexitalia.it/articoli/giallombardo_inaugurazione2004.htm

GIALLOMBARDO G., Inaugurazione dell'anno giudiziario 2003 del T.A.R. Sicilia., in LexItalia.it n. 2/2003, pag. http://www.lexitalia.it/articoli/giallombardo_ag2003.htm

Pagina relativa all'inaugurazione dell'anno giudiziario 2008


Stampa il documento Clicca qui per segnalare la pagina ad un amico