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n. 12/2008 - © copyright

PASQUALE FINELLI

Il conferimento di incarichi di collaborazione autonoma

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1. Premessa.

Il ricorso nelle pubbliche amministrazioni alle tipologie lavorative cosiddette flessibili ed alle collaborazioni esterne si è sviluppato in un contesto caratterizzato dalla assimilazione della pubblica amministrazione medesima all’impresa privata, pur nel riconoscimento della sostanziale differenza delle finalità perseguite [1].

Nell’ultimo decennio, tuttavia, il ricorso da parte delle amministrazioni pubbliche ad incarichi esterni ad esperti per collaborazioni, consulenze, studi e ricerche è stato oggetto di interventi del legislatore sempre più restrittivi in termini di limiti entro i quali tali conferimenti sono consentiti. L’intervento del legislatore si è reso indispensabile a causa di un’applicazione distorta degli istituti, come più volte denunciato dalla giurisprudenza contabile. Troppo spesso, infatti, l’attivazione di tali istituti contrattuali non è stata in linea con i principi dell’ordinamento.

Pertanto, in recepimento dei principi fissati dalla giurisprudenza, la normativa ha gradualmente ridotto i margini di discrezionalità delle amministrazioni, sia in termini di presupposti di legittimità che in termini di limiti e vincoli alla spesa. Ed inoltre sono stati notevolmente intensificati i controlli e la vigilanza da parte del Dipartimento della Funzione pubblica e della Corte dei Conti (è recentissimo, a tale proposito, il Protocollo d’intesa tra il Ministro per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione e il Presidente della Corte dei Conti, stipulato il 23 luglio 2008, per la condivisione delle banche dati e per la realizzazione di sinergie fra le rispettive attività istituzionali, che tra l’altro prevede la condivisione di strategie comuni di controllo e progressiva riduzione delle consulenze).

Invero il ricorso ad esperti esterni costituisce spesso un’esigenza obiettiva dell’amministrazione, a fronte del manifestarsi di bisogni temporanei o derivanti dall’attribuzione di nuove competenze e funzioni quasi mai correlate alla possibilità di incrementare la dotazione di personale con professionalità adeguate. Se da una parte la formazione del personale può essere uno strumento e una soluzione strategici per far fronte a tali carenze organizzative e strutturali, dall’altro i tempi richiesti di risposta sono tali da non consentire il più delle volte scelte alternative al ricorso a professionisti esterni. In realtà, le maggiori e più frequenti degenerazioni si sono manifestate quando, ai vincoli in materia di assunzioni di personale, le amministrazioni hanno risposto, invece che con gli strumenti tipici del contratto di lavoro a termine e delle convenzioni tra enti per la gestione dei servizi e delle funzioni, mediante il ricorso alle collaborazioni e alle consulenze in maniera generalizzata, anche per lo svolgimento di funzioni ordinarie e non temporanee.

Ciò detto, è indubbio che il ricorso occasionale a professionisti esterni costituisce una risorsa ed uno strumento di cui le amministrazioni hanno a volte obiettivamente bisogno di avvalersi per il perseguimento di determinati fini propri. In particolare, per gli enti locali tale strumento è tanto più indispensabile quanto più le dimensioni dell’ente e della sua dotazione organica di personale è ridotta, sia in termini quantitativi che qualitativi e di professionalità. Tanto che in talune realtà il collaboratore/consulente può essere anche portatore di un arricchimento professionale dei dipendenti dell’ente medesimo.

È evidente tuttavia che lo strumento va utilizzato con oculatezza e nel rispetto delle regole, anche perché (e lo vedremo nel prosieguo della trattazione) è ormai pacifico che l’attività dell’amministrazione deve essere sempre realizzata dai propri organi e uffici, ammettendo la possibilità di ricorrere a soggetti esterni soltanto nei casi previsti dalla legge o per far fronte a situazioni o eventi non affrontabili con risorse tecnico-giuridiche disponibili.

2. Nozione e inquadramento.

2.1. Gli incarichi di collaborazione, studio, ricerca e consulenza rientrano nella fattispecie del contratto d’opera, di cui agli articoli 2222-2238 del codice civile, costituendone tuttavia una categoria autonoma, quella delle prestazioni d’opera intellettuale disciplinate dagli articoli 2229-2238 del codice civile [2].

Il contratto d’opera, in particolare, è caratterizzato, come risulta dalla definizione testuale dell’art. 2222 del codice civile, dall’assunzione dell’obbligazione diretta “a compiere verso un corrispettivo un’opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente”. Tali sono i caratteri e gli elementi tipici anche del contratto d’opera intellettuale, fermo restando il comune riferimento all’assenza di un rapporto di subordinazione e con la precisazione che, ai sensi dell’art. 2233, comma 2, c.c., il compenso deve essere adeguato all’importanza dell’opera e al decoro della professione. L’esecuzione della prestazione intellettuale è regolata in maniera speciale soprattutto per due aspetti.

L’uno è relativo al carattere personale dell’incarico assunto; l’altro è relativo all’espressa previsione di un collegamento tra il giudizio di responsabilità e l’ipotesi in cui la prestazione implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà. Il carattere personale o fiduciario dell’attività professionale è connesso al fatto che il committente esige in tal caso un’attività qualificata, la quale rafforza la probabilità di giungere a una piena soddisfazione di aspettative altrimenti ben più incerte nell’esito [3]. Di per sé un tale carattere non è incompatibile né con l’esercizio imprenditoriale dell’attività richiesta (art. 2238, comma 1, che rinvia agli articoli 2082 e ss.), né con la possibilità che il singolo professionista si avvalga di sostituti e ausiliari (art. 2238, comma 2, che rinvia agli articoli 2094 e ss.), purché il primo continui a essere responsabile e i secondi, i quali non vantano pretesa alcuna nei confronti del committente, agiscano sotto la direzione di lui (secondo la previsione dell’art. 1228). Tuttavia, l’attività imprenditoriale o la collaborazione di terzi, se non sono previste dal contratto o dagli usi, devono essere compatibili, nelle circostanze del caso, con l’oggetto della prestazione (art. 2232).

In base alla disciplina codicistica, quindi, il prestatore d’opera intellettuale autonoma deve essere una persona fisica, che opera in proprio o con l’apporto limitato di collaboratori, in assenza di un vincolo di subordinazione nei confronti del committente, il quale di conseguenza non può esercitare il potere direttivo, organizzativo e disciplinare.

2.2. Il contratto d’opera e quello di prestazione d’opera intellettuale, riconducibili al modello della locatio operis [4], si distinguono dal contratto d’appalto, in quanto gli elementi qualificanti di quest’ultimo sono costituiti: a) dal compimento dell’opera o del servizio verso un corrispettivo in denaro; b) dall’assunzione di tale obbligo da parte di un imprenditore (appaltatore), ossia da parte di un soggetto che agisce in maniera autonoma rispetto al committente e a tal fine organizza i mezzi necessari a proprio rischio (art. 1655 c.c.). L’elemento principale che differenzia il contratto d’opera da quello di appalto è l’assenza nel primo dell’organizzazione imprenditoriale dell’attività necessaria ai fini del compimento dell’opera o del servizio. Infatti, nell’appalto l’obbligo della prestazione viene assunto da un’impresa che si vale di un’organizzazione di mezzi, ed è posta in secondo piano la prestazione del lavoro diretto dell’appaltatore.

Tanto nel contratto d’opera, quanto nell’appalto, la prestazione di un bene o di un servizio si intende sempre come risultato, e non come attività lavorativa subordinata (tipica del lavoro subordinato – locatio operarum); il rischio è cioè sempre a carico del prestatore d’opera o dell’appaltatore.

Norme comuni ai due contratti regolano poi la misura del corrispettivo, che, se non è determinata dalle parti e neppure determinabile secondo le tariffe o gli usi, è stabilita dal giudice (artt. 1657, 2225 c.c.). In entrambi i contratti, inoltre, uguale è la garanzia dovuta per i difetti dell’opera (con diversi termini, però, di decadenza e di prescrizione); in entrambi l’accettazione dell’opera libera la controparte dalla responsabilità per difformità e dalla garanzia per vizi conosciuti o riconoscibili (artt. 1667, 1668, 2226 c.c.). Il committente può recedere dall’uno o dall’altro contratto, anche dopo l’inizio del lavoro, purché ne paghi le conseguenze (artt. 1671, 2227 c.c.).

Altre norme sono diverse: così la morte dell’appaltatore non scioglie di regola il contratto, perché nella vastità dell’impresa è riconosciuto minor rilievo all’attività individuale, sia pure del titolare, mentre quando muore il prestatore d’opera, il rapporto si estingue.

È importante, infine, rilevare la limitazione di responsabilità prevista dall’art. 2236 c.c., relativa al prestatore d’opera intellettuale, per cui “se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave”.

2.3. Con delibera del 15 febbraio 2005 [5], la Corte dei Conti ha specificato i contenuti degli incarichi di studio, ricerca e consulenza, riconducendo tali tipologie di incarichi nell’ambito della fattispecie del contratto di prestazione d’opera intellettuale previsto appunto dagli articoli 2229-2238 del codice civile.

In particolare, gli incarichi di studio sono definiti come quelli che, ai sensi dell’art. 5 del D.P.R. 18.04.1994, n. 338, consistono nello svolgimento di un’attività di studio nell’interesse dell’amministrazione e sono adempiuti con la consegna dei risultati dello studio e delle soluzioni ai problemi sottoposti entro il termine stabilito nella lettera di incarico. I risultati devono essere accompagnati da una relazione illustrativa dell’attività svolta e del prodotto finale della stessa.

Gli incarichi di ricerca presuppongono la preventiva definizione del programma da parte dell’amministrazione e si articolano nella raccolta organica di materiale che consenta agli organi dell’ente di reperire contenuti di conoscenza utili per la realizzazione di finalità istituzionali. Essa deve concretizzarsi in un esito ben definito, ossia in una relazione scritta che evidenzi la raccolta delle fonti reperite, ne fornisca la sistemazione organica e riassuma le conclusioni dell’incarico.

Gli incarichi di consulenza, infine, riguardano la richiesta di pareri a esperti. Mediante la consulenza l’ente intende acquisire un giudizio finale idoneo ad orientare l’azione dei propri organi.

Anche il Ministero dell’Economia e delle Finanze [6] si è pronunciato sul punto, precisando che “gli incarichi di consulenza sono quelli affidati, ai sensi delle disposizioni legislative citate, ad esperti estranei all'amministrazione, dotati di particolare competenza in campo tecnico, giuridico e amministrativo, mediante la stipula di convenzioni o di contratti di collaborazione coordinata e continuativa. Si tratta, in particolare, delle fattispecie riconducibili agli articoli 2222 e 2229 del codice civile, in cui l'elevata professionalità della prestazione richiesta e la particolare autonomia nello svolgimento della stessa trovano massima espressione, tanto da ricondurre le ipotesi alla tipologia del rapporto di lavoro autonomo inteso in senso stretto. Trattasi generalmente di prestazioni occasionali oppure limitate ad una o più questioni distinte e preventivamente determinate, in cui l'attività prestata è considerata nella sua unitarietà, prescindendo da un carattere continuativo”.

Ritornando alla delibera sopra citata, la Corte dei conti ha precisato, altresì, che dalle tipologie contrattuali dello studio, della ricerca e della consulenza si distinguono i contratti di collaborazione coordinata e continuativa, che vengono definiti come una fattispecie intermedia fra il lavoro autonomo, proprio dell’incarico professionale, e il lavoro subordinato, ai sensi dell’art. 409, n. 3, del codice di procedura civile e dell’art. 61 del D.Lgs. 10.09.2003, n. 276 [7] [8].

2.4. La Funzione Pubblica [9], dal canto suo, sostiene che l’art. 7, comma 6, del D.Lgs. 165/2001, e successive modificazioni e integrazioni, opera una sola distinzione in tema di collaborazioni, quella fra collaborazione occasionale e collaborazione coordinata e continuativa, “riconducibili sia alle prestazioni ex art. 2222 che all’art. 2230 del codice civile”. Infatti, la collaborazione occasionale si caratterizza per una prestazione episodica resa dal collaboratore “in maniera saltuaria e autonoma”, che si esaurisce “in una sola azione o prestazione che consente il raggiungimento del fine” con un “contatto sociale” con il committente caratterizzato dalla sporadicità. La collaborazione coordinata e continuativa, invece, è sempre una prestazione di lavoro autonomo, quando il committente sia una pubblica amministrazione; e si caratterizza “per la continuazione della prestazione e la coordinazione con l’organizzazione ed i fini del committente, dove, pertanto, quest’ultimo conserva non un potere di direzione, ma di verifica della rispondenza della prestazione ai propri obiettivi attraverso un potere di coordinamento spazio-temporale”.

3. Evoluzione normativa.

3.1. La normativa in materia di incarichi di collaborazione affidati dalle pubbliche amministrazioni è stata caratterizzata nel corso degli ultimi anni da un affastellarsi di norme e disposizioni, che sono intervenute sui presupposti, sui limiti, sulle condizioni, sui vincoli. Già il Decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 aveva disciplinato la materia degli incarichi di prestazioni intellettuali, al comma sesto dell’art. 7 (che è la norma generale cui fare riferimento in materia di collaborazioni esterne, a prescindere dal loro contenuto, ivi comprese quindi le attività di studio, ricerca e consulenza. Mentre, per gli enti locali, si fa riferimento anche all’art. 110, comma 6, del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 – TUEL), nel testo successivamente sostituito dall’art. 5 del D.Lgs. 23.12.1993, n. 546, che stabiliva che “per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali ad esperti di provata competenza, determinando preventivamente durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione”.

La disposizione ha in seguito trovato collocazione nell’art. 7 del testo unico approvato con Decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, che ha abrogato il D.Lgs. n. 29/1993. A sua volta, anche l’art. 7 del D.Lgs. n. 165/2001 è stato ripetutamente modificato e integrato. Una prima modifica è stata disposta mediante la sostituzione del comma 6, con i commi 6, 6-bis e 6-ter [10], dall’art. 13 del Decreto legge 10 gennaio 2006, n. 4, poi soppresso dalla successiva legge di conversione 9 marzo 2006, n. 80. La norma introduceva una serie di presupposti, di derivazione giurisprudenziale, sulla base dei quali è possibile conferire incarichi ad esperti esterni, ossia: l’oggetto della prestazione deve corrispondere ad obiettivi e progetti specifici e determinati dell’amministrazione; l’amministrazione deve avere preliminarmente accertato l’impossibilità di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno; l’esigenza deve essere di natura temporanea e per prestazioni altamente qualificate; devono essere preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione (quest’ultimo presupposto era già previsto dal previgente testo dell’art. 7, comma 6, del D.Lgs. 165/2001).

In seguito l’art. 32 del Decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, come modificato dalla relativa legge di conversione 4 agosto 2006, n. 248, ha nuovamente disposto la sostituzione del citato comma 6 del D.Lgs. 165/2001, con i commi 6, 6-bis e 6-ter [11] che, salvo qualche differenza, hanno riproposto le norme introdotte e poi soppresse dell’art. 13 del D.L. 4/2006. In particolare, la nuova disposizione ha specificato che l’impossibilità di utilizzare le risorse umane disponibili all’interno dell’amministrazione deve essere oggettiva; ed ha sostituito la lettera c) del comma 6 dell’art. 7 del D.Lgs. 165/2001, facendo più propriamente riferimento alla prestazione, che deve essere sia temporanea che altamente qualificata.

Nel frattempo, l’esigenza di arginare il frequente e spesso disinibito ricorso ad incarichi esterni da parte delle amministrazioni pubbliche, con il duplice effetto negativo di una spesa aggiuntiva e della mancata utilizzazione delle ordinarie strutture amministrative, ha indotto il legislatore alla formulazione, nel quadro del più ampio Decreto legge 12 luglio 2004, n. 168, convertito con modifiche dalla Legge 30 luglio 2004, n. 191, cosiddetto “taglia spese”, di  disposizioni normative limitative del fenomeno in questione (art. 1, commi 9 e 11).

Infatti, l’art. 1, comma 9, stabiliva che le spese delle amministrazioni pubbliche (escluse le università ed il settore della ricerca) per studi e consulenze non dovessero essere superiori per l’anno 2004 alla spesa annua media nel biennio 2001-2002, ridotta del 15%, salvo deroghe per eventi straordinari; che i relativi provvedimenti dovessero essere motivati e consentiti solo nei casi previsti dalla legge [12]; che in assenza di questi presupposti l’adozione del provvedimento poteva costituire illecito disciplinare e determinare responsabilità erariale. La norma prevedeva, inoltre, che il provvedimento fosse comunque comunicato in via preventiva agli organi di controllo ed agli organi di revisione di ciascun ente.

Per le Regioni e gli Enti locali con popolazione superiore ai 5.000 abitanti, il comma 11 dell’art. 1 stabiliva, nell’ambito del più complessivo taglio della spesa per l’acquisto di beni e servizi, che la “spesa per studi ed incarichi di consulenza conferiti a soggetti estranei all’amministrazione, inclusi quelli ad alto contenuto di professionalità conferiti ai sensi del comma 6 dell’articolo 110 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267” [13], sostenuta nell’anno 2004 non potesse essere superiore alla spesa annua mediamente sostenuta negli anni dal 2001 al 2003, ridotta del 10%. Il comma 9 stabiliva anche che le pubbliche amministrazioni, nell’esercizio dei diritti dell’azionista nei confronti delle società di capitali a totale partecipazione pubblica, dovessero adottare le opportune direttive per conformarsi ai principi sanciti dalla norma medesima; e che le direttive dovessero essere comunicate in via preventiva alla Corte dei conti [14].

Va precisato che, con sentenza 9 – 14 novembre 2005, n. 417, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle disposizioni  del cosiddetto decreto legge “taglia – spese” del 2004 (art. 1, commi 9, 10, 11, D.L. 12 luglio 2004, n. 168) nella parte in cui dette disposizioni non si limitano a fissare l’entità massima del disavanzo o del complesso della spesa corrente, ma introducono vincoli su singole voci di spesa (acquisto di beni e servizi, missioni all’estero, rappresentanza, relazioni pubbliche, consulenze, ecc.), in quanto tali limitazioni non possono essere considerate un principio fondamentale in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica, ma si traducono nell’imposizione di un precetto specifico e puntuale sull’entità della spesa con invasione, quindi, da parte della legge statale dell’area di competenza riservata alle autonomie locali, “alle quali  la legge statale può prescrivere criteri … ed obiettivi …, ma non imporre nel dettaglio gli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi (Corte costituzionale n. 390 del 2004)”.

In continuità con il D.l. 168/2004, i cui effetti sono cessati al 31 dicembre 2004 [15], la Legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Finanziaria 2005), ai commi 11 e 42, ha dettato nuove limitazioni al conferimento di incarichi di studio o di ricerca, ovvero di consulenze. In particolare, per gli enti locali (province e comuni) con popolazione superiore a 5.000 abitanti, il combinato disposto dei commi 11 e 42 stabiliva che il limite della spesa per tali incarichi non potesse essere superiore a quello sostenuto nell’anno 2004 e il relativo affidamento dovesse “essere adeguatamente motivato con specifico riferimento all’assenza di strutture organizzative o professionalità interne all’ente in grado di assicurare i medesimi servizi, ad esclusione degli incarichi conferiti ai sensi della (allora vigente, n.d.r.) Legge 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni”.

Le limitazioni imposte dalla norma avevano, altresì, carattere procedurale, prevedendo l’obbligo della motivazione del provvedimento di incarico, che doveva essere corredato della valutazione dell’organo di revisione economico-finanziaria dell’ente e doveva essere trasmesso alla Corte dei conti. Al pari del comma 9 dell’art. 1 del D.l. 168/2004, anche il comma 42 della legge 311/2004 prevedeva che l’affidamento di incarichi in difformità dalle previsioni della norma costituisse illecito disciplinare e determinasse responsabilità erariale.

In sede interpretativa delle disposizioni in questione, la Corte dei conti, Sezioni riunite in sede di controllo [16], ha sancito l’obbligo di certificazione del rispetto del limite di spesa, a cura dei servizi di ragioneria, sugli atti di affidamento degli incarichi; ha definito il contenuto degli incarichi; ha individuato le prestazioni non rientranti nella previsione dei commi 11 e 42, e, tra le altre, gli incarichi di collaborazione coordinata e continuativa, ritenendoli “(…) quindi utilizzabili per le esigenze ordinarie proprie del funzionamento delle strutture amministrative e non” riguardanti “perciò il ricorso agli incarichi esterni”; ha stabilito, infine, che l’esame dell’atto di conferimento da parte del collegio dei revisori dei conti deve essere effettuato, ai sensi dell’art. 239, lettera b), del D.Lgs. 267/2000, con riferimento alla regolarità contabile, finanziaria ed economica, con particolare riguardo all’osservanza del limite di spesa posto dalla Legge 311/2004.

Con la Legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Finanziaria 2006), sono state introdotte ulteriori norme restrittive in materia di incarichi di studio e di consulenza. Lo scopo è sempre quello di limitarne il ricorso in funzione del contenimento della spesa pubblica nella specifica materia. Per espressa disposizione del comma 12 dell’art. 1, la nuova disciplina non è stata dichiarata applicabile alle regioni e agli enti locali. Ed inoltre, essa sostituiva ed abrogava, “per evidenti motivi di incompatibilità, l’art. 1, commi 11 e 42, della Legge n. 311 del 2004 (legge finanziaria per il 2005)” [17]. È importante precisare che, con l’abrogazione dei commi 11 e 42 dell’art. 1 della Legge 311/2004, è venuto meno l’obbligo di corredare il provvedimento di incarico della valutazione dell’organo di revisione economico-finanziaria dell’ente, con un conseguente alleggerimento del relativo procedimento amministrativo.

Di rilievo per le Regioni e gli enti locali è, tuttavia, il comma 173 della Legge 266/2005, tuttora vigente, che  stabilisce che gli atti di spesa relativi a studi e incarichi di consulenza (e ad altre voci di spesa ivi previste) di importo superiore a 5.000 euro, devono essere trasmessi alla competente sezione della Corte dei conti per l’esercizio del controllo successivo sulla gestione.

Sull’argomento, la Corte dei conti [18] ha statuito che sono soggetti all’obbligo di trasmissione anche le Regioni e gli enti locali, in quanto “non può esservi dubbio che il rinvio contenuto nel comma 173 ai commi 9, 10, 56 e 57 (della Legge 266/2005) debba ritenersi limitato alla sola individuazione della tipologia degli atti da trasmettere alla Corte (…) e non ai soggetti obbligati e, quindi, non è invocabile, in questo caso, la norma di salvaguardia fissata dai commi 12 e 64, il cui valore precettivo si esaurisce nell’esclusione di tetti e limiti alle spese in questione” nei confronti di Regioni ed enti locali. Pertanto, l’obbligo di trasmissione riguarda i provvedimenti d’impegno o di autorizzazione e gli atti di spesa, in quanto comportino, singolarmente nel loro ammontare definitivo, una spesa eccedente i 5.000 euro. L’obbligo di trasmissione riguarda anche i comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti, in quanto il comma 173 non ha confermato l’esenzione prevista dal comma 42 della Legge 311/2004; e la trasmissione deve avvenire alla competente sezione regionale di controllo della Corte dei conti per l’esercizio del controllo sulla gestione da effettuare con le modalità e secondo i principi e i procedimenti propri del controllo medesimo.

Di rilievo per regioni ed enti locali è anche il comma 198 dell’art. 1 della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (finanziaria per il 2006), che disponeva che le spese di personale di tali amministrazioni, per ciascuno degli anni 2006, 2007 e 2008, non potesse superare il corrispondente ammontare dell’anno 2004 diminuito dell’1%, comprendendo tra le spese di personale anche quelle per compensi corrisposti al personale con contratto di collaborazione coordinata e continuativa. Parimenti anche il comma 557 dell’art. 1 della Legge 27 dicembre 2006, n. 296 (finanziaria per il 2007), con la modifica intervenuta per effetto dell’art. 76, comma 1, del Decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, prevede che “(…) costituiscono spese di personale anche quelle sostenute per i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa (…)”.

Da ultimo, l’art. 3, comma 76, della Legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Finanziaria 2008) è intervenuto a modificare e integrare nuovamente il comma 6 dell’art. 7 del D.Lgs. 165/2001, prescrivendo che gli esperti cui è consentito conferire gli incarichi siano in possesso di particolare e comprovata specializzazione universitaria. Tale qualificazione della specializzazione richiesta agli esperti per l’espletamento di incarichi conferiti dalle pubbliche amministrazioni ha fatto sorgere diversi dubbi interpretativi in merito. Sul punto però è stato precisato che “l’espressione ‘esperti di particolare e comprovata specializzazione universitaria’ deve far ritenere quale requisito minimo necessario il possesso della laurea magistrale o del titolo equivalente” [19].

Infine, l’art. 46, rubricato “Riduzione delle collaborazioni e consulenze nella pubblica amministrazione”, del Decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, ha nuovamente sostituito il comma 6 dell’art. 7 del D.Lgs. 165/2001 [20]. La norma, come riscritta, contiene modifiche piuttosto limitate rispetto alle precedenti versioni, intervenendo con ritocchi, alcuni dei quali suggeriti dai problemi evidenziati nella fase di prima applicazione della norma (che era stata, come detto, appena modificata dalla Finanziaria del 2008). In particolare, viene confermato che il conferimento di incarichi ad esperti esterni può essere disposto solo in presenza di tutti i requisiti e presupposti di legittimità previsti dalla norma novellata. In primo luogo, quindi, l’oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall’ordinamento all’amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità dell’amministrazione conferente.

Poi, deve essere preliminarmente accertata l’impossibilità oggettiva di far ricorso per lo svolgimento della prestazione a personale disponibile all’interno dell’ente. Tale impossibilità, si ritiene, può derivare tanto da una inesistenza di quella figura professionale richiesta dalla prestazione tra il personale in servizio presso l’ente, quanto dalla difficoltà di utilizzare una figura analoga esistente nell’ambito del personale dell’ente: può essere il caso di una carenza di esperienza o di qualche requisito particolare oppure l’eccessivo carico di lavoro. Viene, inoltre, confermato che la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata, e che devono essere preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione.

Una novità significativa riguarda invece il requisito del titolo di studio richiesto all’esperto esterno. Ancorché sia ancora previsto il titolo di studio della laurea, vengono contemplate delle eccezioni relative a quelle collaborazioni che non sono ascrivibili ai contratti d’opera o che hanno come oggetto attività che possono essere svolte da iscritti in albi professionali o da soggetti che operano nel mondo dello spettacolo o da artigiani di comprovata esperienza. In concreto viene significativamente modificato un vincolo (quello del titolo di studio della laurea) che si era dimostrato nella esperienza concreta troppo rigido.

3.2. Alla luce del quadro normativo appena delineato, che recepisce, come detto, codificandoli, gli orientamenti ormai consolidati della giurisprudenza contabile e amministrativa [21], l’affidamento di incarichi esterni di studio, ricerca o consulenza, indipendentemente dalla forma che assumono di prestazione coordinata e continuativa piuttosto che di prestazione saltuaria ed occasionale, deve, dunque, rispettare quattro regole fondamentali, ovvero:

  1. l’oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità dell'amministrazione conferente. Pertanto, l’oggetto dell’incarico esterno deve essere attentamente definito, circoscritto e predeterminato e indicare i risultati attesi, gli obiettivi cui è specificatamente preordinato e ogni altro dettaglio idoneo ad individuare il risultato [22]. L’oggetto dell’incarico deve, quindi, recare il risultato atteso dal professionista esperto incaricato; risultato che non può riguardare lo svolgimento di attività ordinaria (peraltro ora espressamente sanzionato dal comma 6 dell’art. 7 del D.Lgs. 165/2001, come da ultimo sostituito dall’art. 46 del D.L. 112/2008 convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133), perché ad essa l’amministrazione deve attendere con la propria organizzazione, in base al principio dell’autosufficienza [23];

  2. l’amministrazione deve avere preliminarmente accertato l'impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno. Tale accertamento deve essere effettuato a livello di ente, e non di singolo settore o struttura o servizio. È evidente che il ricorso a rapporti di lavoro autonomo è totalmente preclusa se l’amministrazione può realizzare i propri obiettivi di studio, ricerca e di acquisizione di pareri mediante risorse interne. Ciò anche in attuazione del generale principio di buon andamento dell’amministrazione sancito dall’art. 97, comma 1, della Costituzione;

  3. la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata. Ovviamente la prestazione di lavoro autonomo non può protrarsi oltre tempi fisiologici, in quanto altrimenti si trasformerebbe in un rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato o anche indeterminato. Infatti, la durata del rapporto deve essere coerente con lo scopo e con la natura degli obiettivi dedotti nel contratto di collaborazione esterna, a prescindere dalla sua forma. Per quanto attiene all’alta qualificazione, essa richiede una particolare e comprovata specializzazione anche universitaria (ai sensi dell’art. 7, comma 6, del D.Lgs. 165/2001, come sostituito dall’art. 46 del D.L. 112/2008, convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133) [24];

  4. devono essere preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione. Ciò rientra nelle usuali regole previste in tema di determinazione dell’oggetto del contratto dal combinato disposto degli articoli 1325, num. 3) e 1346 del codice civile. In particolare, il compenso deve essere proporzionato all’attività svolta e all’utilità conseguita dall’amministrazione, non essendo consentita una liquidazione in maniera forfetaria.

4. Disciplina specifica per gli enti locali ai sensi della Finanziaria per l’anno 2008, e successive modifiche.

4.1. L’art. 3 della Legge 24 dicembre 2007, n. 244 (finanziaria per il 2008), ai commi 55 e 56, come successivamente sostituiti dall’art. 46, commi 2 e 3, del decreto legge 112/2008, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, è intervenuto sul tema degli affidamenti di incarichi a soggetti estranei alle amministrazioni da parte degli enti locali.

4.2. Il comma 55, come sostituito, dispone che “gli enti locali possono stipulare contratti di collaborazione autonoma, indipendentemente dall'oggetto della prestazione, solo con riferimento alle attività istituzionali stabilite dalla legge o previste nel programma approvato dal Consiglio ai sensi dell'articolo 42, comma 2, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267”.

Il comma 55, nel suo contenuto originario, prevedeva che l’affidamento di incarichi di studio, ricerca e consulenza da parte degli enti locali a soggetti estranei potesse avvenire solo nell’ambito di un programma approvato dal Consiglio ai sensi dell'articolo 42, comma 2, lett. b), del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. Ora la norma, come novellata, si estende a tutti i contratti di collaborazione autonoma, indipendentemente dall’oggetto della prestazione, e sembra non prescrivere più in via generalizzata l’obbligo di approvazione di un programma specifico. Infatti, la stipula di contratti può avvenire solo con riferimento alle attività istituzionali stabilite dalla legge o previste nel programma approvato dal Consiglio.

La nuova versione amplia, quindi, le fattispecie di collaborazioni su cui delibera il Consiglio, ma non obbliga all’adozione di un atto specifico su finalità e tipologia dei singoli incarichi. Sembrerebbe legittimo l’affidamento di incarichi di collaborazione autonoma di cui sia dimostrabile la funzionalità ai fini strategici delineati negli atti fondamentali del Consiglio, consentendo così di ricondurre le competenze del Consiglio nell’alveo dell’azione di indirizzo e controllo politico-amministrativo, demandando alla Giunta e alla dirigenza la programmazione e attuazione degli atti gestionali conseguenti.

Come nella versione precedente, la norma non definisce il livello di approfondimento e le modalità con le quali il programma debba essere redatto. Spetta a ciascun ente, nell’ambito della propria autonomia, definire i contenuti e le modalità di predisposizione del programma. Sicuramente esso deve essere il frutto di un processo interno, che vede coinvolti i dirigenti e la Giunta, in sede di definizione dei fabbisogni, in funzione della elaborazione di un atto programmatico da sottoporre all’approvazione del Consiglio. Tale atto può tanto costituire un allegato al bilancio di previsione, alla stregua del programma dei lavori pubblici di cui all’art. 128 del D.Lgs. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici), quanto un atto di programmazione a sé stante, che comunque deve tenere conto delle disponibilità e delle risorse finanziarie previste dal bilancio. Sul livello di approfondimento sono possibili scelte diverse.

Sicuramente il programma deve essere esaustivo, ma potrà limitarsi a individuare le materie per le quali è indispensabile il ricorso ad incarichi esterni o invece entrare nel merito dei singoli incarichi attraverso un’elencazione dettagliata. È evidente che più si scende nel dettaglio, tanto più saranno necessari ulteriori passaggi consiliari ogni qualvolta risulti l’esigenza di apportare variazioni o integrazioni alle tipologie di incarico da conferire. Sul punto la Corte dei conti, Sezione delle autonomie [25], ha precisato che “(…) gli incarichi di cui si parla debbono essere previsti nel loro oggetto da documenti programmatici, che scontino con adeguata motivazione la necessità/opportunità di ricorrere all’incarico in relazione agli obiettivi ed ai programmi da attuare”.

Quindi, alla luce della norma in commento, “(…) i dirigenti preposti (cui spetta la competenza all’affidamento degli incarichi, ai sensi dell’art. 107 del D.Lgs. 267/2000, n.d.r.) possono valutare il ricorso ad una collaborazione solo nell’ambito della programmazione delle attività dell’amministrazione, con riferimento ad aspetti o fasi della medesima programmazione, così come determinata dall’art. 42 del D.Lgs. 267/2000. Resta ferma la possibilità di conferire incarichi di collaborazione per le competenze e le attività specificamente previste da norme di legge, sempre nel rispetto di tutte le altre disposizioni richiamate, compresa la necessità della verifica tecnica sulla mancanza della professionalità interna necessaria” [26]: è il caso, ad esempio, degli incarichi di progettazione di lavori pubblici, disciplinati dagli articoli 90 e 91 del D.Lgs. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici).

4.3. Il comma 56, come sostituito, dispone che “con il regolamento di cui all'articolo 89 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, sono fissati, in conformità a quanto stabilito dalle disposizioni vigenti, i limiti, i criteri e le modalità per l'affidamento di incarichi di collaborazione autonoma, che si applicano a tutte le tipologie di prestazioni. La violazione delle disposizioni regolamentari richiamate costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale. Il limite massimo della spesa annua per incarichi di collaborazione è fissato nel bilancio preventivo”. Come il comma 55, anche il nuovo comma 56 si riferisce a tutti gli incarichi di collaborazione autonoma, senza distinzioni. Ribadisce che i limiti, i criteri e le modalità per l’affidamento sono fissati nel regolamento, di cui all’art. 89 del D.Lgs. 267/2000, per essere applicati a tutte le tipologie di prestazioni.

La norma impone agli enti locali l’obbligo di approvare un regolamento che, comunque rispettoso delle disposizioni generali vigenti in materia di incarichi, definisca i limiti, i criteri e le modalità per l’affidamento di incarichi di collaborazione, di studio o di ricerca, ovvero di consulenze, a soggetti estranei all’amministrazione, nonché il limite massimo della spesa annua sostenibile. Di fatto l’obbligo, già previsto dall’art. 7, comma 6-bis, del D.Lgs. 165/2001 (che obbliga le amministrazioni pubbliche a disciplinare e rendere pubbliche, secondo i propri ordinamenti, procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione), viene ribadito dalla norma in commento con la novità di prevedere, al fine del contenimento della spesa, la necessità di fissare il limite massimo della spesa annua per gli incarichi e le consulenze. La norma incide peraltro sul regolamento previsto dal comma 6 dell’art. 110 del D.Lgs. 267/2000 – TUEL, cui già fa riferimento il comma 6-ter dell’art. 7 del D.Lgs. 165/2001, che sancisce l’obbligo che tale regolamento sia adeguato e conforme ai principi stabiliti dal comma 6 del medesimo art. 7 (cfr. Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Lombardia, deliberazione del 19 febbraio 2008, n. 10/pareri/2008).

Ai sensi del combinato disposto degli articoli 42, comma 2, lett. a), e 48, comma 3, del D.Lgs. 267/2000, la competenza all’adozione del regolamento spetta alla Giunta nel rispetto dei criteri generali stabiliti dal Consiglio. Il regolamento, in ogni caso, va ad integrare quello sull’ordinamento degli uffici e dei servizi. È possibile tanto elaborare uno specifico articolato, quanto una norma integrativa del vigente regolamento. Inoltre, i criteri generali possono essere contenuti tanto nello statuto comunale, quanto in un provvedimento amministrativo specifico, quanto in una norma contenuta nel regolamento per la disciplina dei contratti. Sul punto la Corte dei conti, Sezione delle autonomie [27], ritiene che “il testo del comma 56 citato sembra, in ogni caso, presupporre la necessità, comunque, di rivalutare in sede regolamentare la materia degli incarichi di collaborazione per stabilire più stringenti criteri ed in ogni caso il limite massimo della spesa (complessiva) per incarichi e consulenze. Può, pertanto, affermarsi che, sia nell’ipotesi in cui non siano state precedentemente inserite nel regolamento di organizzazione sia nell’ipotesi in cui sia necessario modificare in parte qua detto regolamento, il Consiglio comunale deve previamente fissare i criteri ai quali la Giunta dovrà attenersi nell’adozione delle norme regolamentari”.

Nel regolamento vanno, fra l’altro, disciplinate le procedure comparative per il conferimento degli incarichi (cfr. art. 7, comma 6-bis, del D.Lgs. 165/2001). La necessità di ricorrere, di norma, a procedure comparative per la scelta dei collaboratori esterni si impone in ossequio ai principi di buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione sanciti dall’art. 97 della Costituzione. Le procedure comparative trovano fondamento nei principi di derivazione comunitaria di non discriminazione, parità di trattamento, proporzionalità e trasparenza di cui all’art. 91, comma 2, del D.Lgs. 163/2006 [28].

Lo svolgimento di procedure comparative per la scelta del contraente non comporta l’applicazione di procedure di gara, come disciplinate dal D.Lgs. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici), ovvero procedure aperte, ristrette o negoziate, bensì un confronto basato su elementi documentali (curricula, incarichi precedenti e analoghi, volume economico dei precedenti incarichi, caratteristiche qualitative e metodologiche dell’offerta, compenso richiesto) ed eventualmente su un colloquio. In ogni caso, tuttavia, il confronto deve essere attivato mediante la pubblicazione, a cura del dirigente competente, di un avviso indicante il progetto, l’oggetto dell’incarico e le attività richieste; la durata dell’incarico; il compenso; il luogo di svolgimento della prestazione richiesta; i criteri per la valutazione e la comparazione delle candidature [29]; il termine entro cui devono essere presentate le candidature. La comparazione delle candidature può essere eseguita dal dirigente competente oppure da un’apposita commissione all’uopo nominata.

Quindi, il regolamento conterrà il richiamo ai principi generali in materia di incarichi di collaborazione, la disciplina per la definizione dei fabbisogni, il richiamo al programma approvato dal Consiglio, i criteri per l’individuazione delle professionalità, la disciplina delle procedure comparative, le esclusioni, il contratto, che deve avere forma scritta ad substantiam (ai sensi degli articoli 16 e 17 del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440) [30], e la sua durata e la determinazione del compenso, le verifiche e le disposizioni sulla pubblicità, trasparenza ed efficacia dei contratti di affidamento.

Nella sua versione originaria il comma 56 stabiliva, inoltre, che “con il medesimo regolamento è fissato il limite massimo della spesa annua per gli incarichi e consulenze”. Nel testo novellato il limite della spesa annua per incarichi di collaborazione (senza distinzione) è fissato – più coerentemente – nel bilancio preventivo, e non più nel regolamento.

La norma nella sua laconicità lascia ampio spazio all’autonomia degli enti. Ed in questo senso è stata interpretata dalla Corte dei conti, Sezione delle autonomie [31], che, in vigenza della disposizione come originariamente introdotta dalla Finanziaria del 2008, ha precisato che “il limite massimo di spesa (…) deve essere fissato discrezionalmente dall’ente con particolare riguardo alla spesa per il personale, attraverso una previsione annuale”.

Più puntualmente la Funzione Pubblica [32] ha precisato che “per l’individuazione del limite massimo della spesa annua per gli incarichi e le consulenze occorrerà riferirsi, uniformando i bilanci di previsione, alla spesa registrata in un anno base, ad esempio stabilendo un tetto ricavabile dall’attuazione dei principi in materia di riduzione della spesa per il personale, oppure stabilendo una percentuale in riferimento alla spesa per servizi e per collaborazioni sostenuta in un dato periodo annuale, in modo da porre limiti certi a regime alla discrezionalità dell’ente di ricorrere alle collaborazioni ed evitare futuri incrementi delle relative spese. Il limite così determinato si applicherà a tutte le forme di collaborazione e pertanto sia alle collaborazioni coordinate e continuative sia alle collaborazioni occasionali”. Una soluzione pratica può essere quella di determinare il limite massimo di spesa complessiva annua per gli incarichi, nel limite delle risorse disponibili sui capitoli del P.E.G., in misura non superiore al 10% della spesa del personale desunta dal rendiconto del penultimo esercizio finanziario precedente e calcolata al fine del rispetto dei parametri del patto di stabilità.

4.4. Un ultimo cenno, infine, al comma 57 dell’art. 3 della Finanziaria del 2008, che stabilisce che “le disposizioni regolamentari di cui al comma 56 sono trasmesse, per estratto, alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti entro trenta giorni dalla loro adozione”.

Se da una parte la norma è chiara nel suo contenuto letterale, dall’altro essa non contiene previsioni sulle ricadute dell’obbligo di trasmissione alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti. Sul punto si è espressa la Sezione delle autonomie della Corte dei conti [33], precisando che le ricadute dell’obbligo di trasmissione vanno ricostruite applicando i principi generali. Pertanto, muovendo dal presupposto che “funzione tipica delle Sezioni regionali della Corte dei conti rispetto agli enti locali è l’esercizio di un controllo di natura ‘collaborativa’” [34], la Sezione delle autonomie sancisce che:

-         l’efficacia delle disposizioni regolamentari non è subordinata al loro esame da parte della Corte dei conti; e deve, quindi, escludersi l’effetto tipico del controllo preventivo di legittimità, che è integrativo dell’efficacia dell’atto (e sarebbe comunque incompatibile con la riforma costituzionale del Titolo V);

-         tuttavia, la trasmissione dei regolamenti deve ritenersi strumentale al loro esame e ad una eventuale pronuncia della Corte dei conti;

-         il controllo della Corte dei conti è ascrivibile alla categoria del riesame di legalità e regolarità, in una prospettiva non più statica ma dinamica (secondo l’orientamento della Corte costituzionale), volta a finalizzare il confronto tra fattispecie e parametro normativo all’adozione di effettive misure correttive (da parte degli enti);

-         strumento per raggiungere siffatto risultato in una tipologia di controllo di natura collaborativa può essere individuato nell’applicazione dei principi e dell’iter procedurale dettati dall’art. 1, comma 168, della legge n. 266/2005 [35];

-         a parametro delle disposizioni regolamentari vanno altresì assunti i limiti normativi di settore ed in particolare l’art. 7 del D.Lgs. n. 165/2001 e l’art. 110 del D.Lgs. n. 267/2000, che, positivizzando principi affermati da una giurisprudenza ormai univoca, costituiscono regole di organizzazione non derogabili da disposizioni regolamentari ed, in gran parte, neppure da norme di rango superiore in quanto trovano fondamento in principi costituzionali.

5. Incarichi di collaborazione per attività ordinaria. Impossibilità.

L’art. 7, comma 6, del D.Lgs. 165/2001, come da ultimo sostituito dall’art. 46, comma 1, del D.L. 112/2008, convertito dalla Legge 133/2008, dispone che “il ricorso a contratti di collaborazione coordinata e continuativa per lo svolgimento di funzioni ordinarie o l'utilizzo dei collaboratori come lavoratori subordinati è causa di responsabilità amministrativa per il dirigente che ha stipulato i contratti”.

Tale norma pone di fatto un divieto assoluto alla possibilità di conferire incarichi di collaborazione coordinata e continuativa per lo svolgimento di funzioni ordinarie. Il legislatore ha codificato quello che si era rivelato l’orientamento interpretativo della Corte dei conti in vigenza della legge finanziaria del 2008. Orientamento che negli ultimi quattro anni è andato sempre più irrigidendosi.

Infatti, in vigenza della legge finanziaria del 2005 (legge 311/2004), la Corte dei conti, Sezioni riunite in sede di controllo [36], sosteneva che, nell’ambito degli incarichi di collaborazione, quelli aventi natura coordinata e continuativa potessero essere utilizzati “per le esigenze ordinarie proprie del funzionamento delle strutture amministrative”. Tali incarichi, secondo la Corte, si differenziavano, per la disciplina applicabile all’epoca, dagli incarichi esterni, in quanto le collaborazioni coordinate e continuative, “per la loro stessa natura che prevede la continuità della prestazione e un potere di direzione dell’amministrazione, appaiono distinte dalla categoria degli incarichi esterni, caratterizzata dalla temporaneità e dall’autonomia della prestazione”.

Con l’entrata in vigore della legge finanziaria per il 2008 (legge 244/2007), invece, la Corte dei conti [37] ha ritenuto che le collaborazioni coordinate e continuative, di cui all’art. 409, n. 3, c.p.c., riconducibili alla categoria degli incarichi di studio o di ricerca o di consulenza, sono le uniche soggette al limite di spesa, alla motivazione, ai controlli ed alle altre prescrizioni imposte dalla normativa generale sugli incarichi, conformemente alle disposizioni dell’art. 7, comma 6, del D.Lgs. 165/2001 e successive modificazioni e integrazioni ed alle varie leggi finanziarie.

Mentre le collaborazioni coordinate e continuative per lo svolgimento di funzioni ordinarie non sarebbero praticamente più possibili, in quanto sono in contrasto con l’obiettivo del legislatore “di evitare il formarsi di precariato nella P.A., anche attraverso un rigido contenimento del lavoro flessibile (art. 3, comma 79, che ha sostituito l’art. 36 del D.Lgs. 165/2001, (successivamente nuovamente sostituito dall’art. 49 del D.L. 112/2008 convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, n.d.r.) , con la conseguenza che per l’espletamento delle ordinarie attività amministrative varrà il principio generale dell’autosufficienza” [38].

In maniera ancora più netta si è espressa la Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Lombardia [39], che, in riferimento al regolamento di cui all’art. 3, comma 56, della legge 244/2007, ha affermato che, se da un lato “le collaborazioni ad elevata professionalità rientrano nell’ambito di applicazione del comma 56 dell’art. 3 della legge finanziaria per il 2008 e quindi necessitano della disciplina ad opera del regolamento dell’ente locale, dall’altro le ‘semplici’ co.co.co., al contrario, ne sono escluse”; anche perché “l’utilizzo di queste ultime non risulta conforme alla logica sottostante alla legge finanziaria 2008, che è quella di limitare l’instaurazione di rapporti di lavoro parasubordinato e/o flessibile per l’esercizio di attività amministrative ordinarie”.

La Sezione lombarda [40] ha anche sostenuto che “per le tipologie degli incarichi esterni (di consulenza, di studio e di ricerca) e per le relative forme contrattuali (contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa), il tratto comune è la sostanziale riconducibilità di tali fattispecie alla categoria del contratto di prestazione d’opera intellettuale disciplinato dagli articoli 2229-2238 c.c.. Mentre restano escluse le collaborazioni coordinate e continuative utilizzate per le esigenze ordinarie proprie del funzionamento delle strutture amministrative”, in quanto non richiedenti la particolare e comprovata specializzazione (universitaria), e potendosi far fronte alle esigenze ordinarie mediante il ricorso al lavoro flessibile disciplinato dall’art. 36 del D.Lgs 165/2001 e successive modificazioni e integrazioni.

La Sezione ritiene, quindi, che “il ricorso a tali forme di collaborazione, a seguito dell’entrata in vigore della nuova disciplina, deve considerarsi illegittimo e foriero di responsabilità amministrativa per chi stipula contratti in violazione dei presupposti di legge”. In questo senso, la Sezione lombarda ha confermato il suo orientamento già precedentemente espresso [41], per cui, in base alle disposizioni della legge finanziaria del 2008, viene ribadito ed irrigidito il principio generale della cosiddetta “autosufficienza” dell’organizzazione degli enti, i quali devono svolgere le funzioni e i servizi di loro competenza mediante il personale in servizio. Secondo la Corte, il requisito della “particolare e comprovata specializzazione universitaria, unito al presupposto dell’assenza di competenze analoghe all’interno dell’amministrazione, depone per l’impossibilità di ricorrere a rapporti di collaborazione esterna per attività ordinaria, con la conseguente illegittimità dei contratti stipulati in violazione di tali presupposti” [42].

 6. Pubblicità degli incarichi.

 

6.1. Sono molteplici le disposizioni che prevedono oneri di pubblicità per gli incarichi a carico delle amministrazioni in attuazione del principio di trasparenza. Intanto, già dalla norma generale sugli incarichi (art. 7, comma 6-bis, del D.Lgs. 165/2001 e successive modificazioni e integrazioni) è previsto che “le amministrazioni pubbliche disciplinano e rendono pubbliche, secondo i rispettivi ordinamenti, procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione”. Ciò comporta che ciascuna amministrazione disciplinerà la materia mediante un apposito regolamento. Altre norme prescrivono a carico delle amministrazioni l’obbligo di pubblicazione sul proprio sito di informazioni più o meno ampie, sanzionandone l’omissione, relative ad incarichi retribuiti a soggetti estranei all’amministrazione medesima.

 

Tra queste, l’art. 53, comma 14, del D.Lgs. 165/2001, come integrato dall’art. 34, comma 2, del decreto legge 223/2006, convertito dalla legge 248/2006, prevede che “le amministrazioni rendono noti, mediante inserimento nelle proprie banche dati accessibili al pubblico per via telematica, gli elenchi dei propri consulenti indicando l’oggetto, la durata ed il compenso dell’incaricato”. Obblighi che si aggiungono a quelli già originariamente previsti dal medesimo comma 14 in merito ai dati che debbono essere trasmessi periodicamente al Dipartimento della funzione pubblica.

 

L’art. 1, comma 593, della legge 296/2006 (finanziaria 2007), successivamente sostituito dall’art. 3, comma 44, della legge 244/2007 (finanziaria 2008), nello stabilire un tetto alla retribuzione, fra gli altri, ai collaboratori esterni delle pubbliche amministrazioni, ha previsto che “nessun atto comportante spesa ai sensi dei precedenti periodi (trattamento economico omnicomprensivo relativo a rapporti di lavoro dipendente o autonomo erogato dalle pubbliche amministrazioni) può ricevere attuazione, se non sia stato previamente reso noto, con l’indicazione nominativa dei destinatari e dell’ammontare del compenso, attraverso la pubblicazione sul sito web dell’amministrazione o del soggetto interessato, nonché comunicato al Governo e al Parlamento. In caso di violazione, l’amministrazione che abbia disposto il pagamento e il destinatario del medesimo sono tenuti al rimborso, a titolo di danno erariale, di una somma pari a dieci volte l’ammontare eccedente la cifra consentita”.

 

Inoltre, l’art. 1, comma 127, della legge 662/1996 (finanziaria 1997), come modificato dall’art. 3, comma 54, della legge 244/2007 (finanziaria 2008), dispone che le pubbliche amministrazioni che si avvalgono di collaboratori esterni o che affidano incarichi di consulenza per i quali è previsto un  compenso sono tenute a pubblicare sul proprio sito web i relativi provvedimenti completi di indicazione dei soggetti percettori, della ragione dell’incarico e dell’ammontare erogato. In caso di omessa pubblicazione, la liquidazione del corrispettivo per gli incarichi di collaborazione o consulenza di cui al presente comma costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale del dirigente preposto”.

 

La Funzione Pubblica [43] ritiene che la norma in commento, in ragione del carattere omnicomprensivo dell’art. 7, comma 6, del D.Lgs. 165/2001, sia applicabile “a tutti gli incarichi a soggetti esterni all’amministrazione committente anche nel caso che siano previsti da specifiche disposizioni legislative”. In questo senso è anche l’orientamento della Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Puglia [44], che ritiene che “dall’ampia terminologia adoperata dal legislatore, che si riferisce a pubbliche amministrazioni che si avvalgono di collaboratori esterni o che affidano incarichi di consulenza, discende l’applicazione di tale normativa in ogni caso di conferimento di incarichi per i quali è previsto un compenso”.

 

Infine, il comma 18 dell’art. 3 della legge 244/2007 (finanziaria 2008) dispone che “i contratti relativi a rapporti di consulenza con le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, sono efficaci a decorrere dalla data di pubblicazione del nominativo del consulente, dell’oggetto dell’incarico e del relativo compenso sul sito istituzionale dell’amministrazione stipulante”. La norma introduce una condizione sospensiva dell’efficacia del contratto di cui tenere conto in sede di stipula, in quanto potrebbero derivarne responsabilità a carico del dirigente preposto. Inoltre, come sancito dalla Funzione Pubblica [45], “tale vincolo sull’efficacia si applica a tutti gli incarichi sottoscritti dal 1° gennaio 2008, mentre l’obbligo di pubblicazione più volte sancito dal legislatore trova già applicazione sui contratti in essere a tale data”.

 

Tutti questi obblighi di pubblicità si aggiungono, infine, ai contenuti necessari dei siti web istituzionali indicati dall’articolo 54 del D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82 (Codice dell’amministrazione digitale).

 

L’attuazione di tali adempimenti comporta la necessità di organizzare all’interno dell’ente il processo di pubblicazione dei dati richiesti dalle norme. Non è una questione irrilevante, in quanto l’omessa pubblicazione comporta conseguenze gravi a carico dei soggetti responsabili. In genere, all’interno degli enti esiste una struttura preposta alla gestione del sito web: è indispensabile che tra i vari settori e servizi dell’ente sia attivata una rete di comunicazione e di collegamento con questa struttura che consenta la pubblicazione tempestiva ed esaustiva dei dati.

 

6.2. L’obbligo di pubblicità e trasparenza, nonché di pubblicazione di dati in Internet, impone all’ente, in funzione della tutela dei dati personali, nell’impiego delle nuove tecnologie, di assicurare sempre l’esattezza, l’aggiornamento e la pertinenza dei dati pubblicati in rete. Sul punto, il Garante per la protezione dei dati personali, con provvedimento a carattere generale del 19 aprile 2007 (deliberazione n. 17), relativo a comuni e province, ha sancito l’obbligo del rispetto da parte dell’ente locale del diritto all’oblio dell’interessato una volta perseguite le finalità poste alla base del trattamento dei dati (art. 11, comma 1, lett. c), d) ed e), del D.Lgs. 30.06.2003, n. 196 – Codice in materia di protezione dei dati personali). Il Garante sottolinea che “nel rispetto di eventuali disposizioni di legge o di regolamento che impongano specificamente la messa a disposizione su Internet di dati personali per puntuali periodi, l’ente può trovarsi di fronte all’esigenza di stabilire in via amministrativa per quali congrui periodi di tempo mantenere in rete documenti contenenti dati personali. In tal caso l’ente, dopo avere valutato se è giustificato includere i documenti diffusi in eventuali sezioni del sito che li rendano direttamente individuabili in rete a partire anche da motori di ricerca esterni al sito stesso, deve individuare – opportunamente, con regolamento – periodi di tempo congrui rispetto alle finalità perseguite. Decorsi tali periodi, determinati documenti o sezioni del sito dovrebbero rimanere in rete, ma essere consultabili solo a partire dal sito stesso” [46].

 

7. Esclusioni. Incarichi professionali e appalti di servizi.

 

L’art. 3, comma 77, della Legge 244/2007 (finanziaria 2008) ha aggiunto il comma 6-quater all’art. 7 del D.Lgs. 165/2001, che ha disposto l’inapplicabilità delle disposizioni dei commi 6, 6-bis e 6-ter dell’art. 7 medesimo ai componenti degli organismi di controllo interno e dei nuclei di valutazione, nonché degli organismi operanti per le finalità di cui all’art. 1, comma 5, della legge 17 maggio 1999, n. 144. Si tratta di fattispecie escluse in quanto “gli incarichi in questione corrispondono per loro stessa natura ai presupposti di legge, quali il possesso di una competenza altamente qualificata, la corrispondenza alle attività istituzionali, la durata ed il contenuto dell’incarico predeterminati. Inoltre, il regime di pubblicità previsto dal comma 6-bis contraddice le disposizioni speciali vigenti relative alla procedura di nomina, ai requisiti e, talvolta, alla natura della loro funzione di supporto all’indirizzo politico” [47].

 

La Funzione pubblica sostiene, inoltre, che anche “le collaborazioni meramente occasionali che si esauriscono in una sola azione o prestazione”, conferite intuitu personae, che comportano una spesa equiparabile ad un rimborso spese, “quali ad esempio la partecipazione a convegni e seminari, la singola docenza, la traduzione di pubblicazioni e simili, non debbano comportare l’utilizzo delle procedure comparative per la scelta del collaboratore, né gli obblighi di pubblicità”.

 

Tale orientamento trova supporto nella stessa normativa che, all’art. 53, comma 6, del D.lgs. 165/2001, elenca tali fattispecie rendendole compatibili con lo stretto regime autorizzatorio per i dipendenti pubblici.

 

Sono poi esclusi gli incarichi di cui all’art. 90 del D.Lgs. 267/2000 – TUEL, relativi agli uffici di supporto agli organi di direzione politica, ossia le cosiddette “collaborazioni di staff”, in quanto per espressa disposizione della norma riguardano dipendenti dell’ente ovvero collaboratori assunti con contratto a tempo determinato, quindi, figure professionali sostanzialmente riconducibili al rapporto di lavoro subordinato, cui si applica il contratto collettivo nazionale di lavoro del personale degli enti locali [48].

 

Sempre in materia di esclusioni, sia la dottrina che la giurisprudenza hanno affrontato il tema della applicabilità delle disposizioni dell’art. 7, comma 6, del D.Lgs. 165/2001, e successive modificazioni e integrazioni, alla disciplina degli incarichi di progettazione di cui agli articoli 90 e 91 del D.Lgs. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici).

 

Intanto, le prestazioni relative alla progettazione rientrano nei servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria, all’urbanistica e alla paesaggistica, di cui alla categoria 12 dell’allegato IIA del D.Lgs. 163/2006. E le modalità, i criteri e i requisiti per l’affidamento trovano compiuta esplicitazione negli articoli 90, commi 6 e 7, e 91 del citato D.Lgs. 163/2006.

 

Ciò posto, la Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per il Piemonte [49], ha ritenuto doversi applicare alla disciplina degli incarichi di cui agli articoli 90 e 91 del citato decreto legislativo, i principi generali in materia di conferimento di incarichi e consulenze, come delineati dalle previsioni normative (art. 7, comma 6, del D.Lgs. 165/2001) ed enucleati dalla giurisprudenza in materia. Secondo la Sezione piemontese, infatti, le disposizioni di cui all’art. 90 del D.Lgs. 163/2006 sono coerenti con la disciplina degli incarichi professionali come delineata dall’art. 7, comma 6, del D.Lgs. 165/2001. Invero, l’affidamento della redazione del progetto preliminare, definitivo ed esecutivo, nonché lo svolgimento di attività tecnico-amministrative connesse alla progettazione, a soggetti estranei all’amministrazione è ammessa, ai sensi del citato art. 90, solo nel caso di carenza in organico di personale tecnico, ovvero di difficoltà di rispettare i tempi della programmazione dei lavori o di svolgere le funzioni di istituto, ovvero in caso di lavori di speciale complessità o di rilevanza architettonica o ambientale o in caso di necessità di predisporre progetti integrali, così come definiti dal regolamento, che richiedono l'apporto di una pluralità di competenze, casi che devono essere accertati e certificati dal responsabile del procedimento. In sostanza anche la norma del Codice dei contratti pubblici persegue l’obiettivo del contenimento della spesa in materia di incarichi e collaborazioni esterne ed in questo senso non esclude l’applicazione della disciplina generale in materia di incarichi.

 

Sempre in materia di distinzione tra incarichi professionali e incarichi di progettazione, la Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per l’Abruzzo [50], dopo avere premesso che, in base al quadro normativo [51] ed agli orientamenti ministeriali e giurisprudenziali, la disciplina degli incarichi in materia di lavori pubblici esula dalla disciplina delle collaborazioni esterne genericamente intese, ha ritenuto che gli incarichi di progettazione si distinguono da quelli di collaborazione generica fondamentalmente per la natura della spesa cui si riferiscono, che per i primi è una spesa in conto capitale, mentre per i secondi di parte corrente. Secondo la Sezione abruzzese, “non si tratta di materia omogenea, ma, al più, affine, per quanto riguarda l’ottimizzazione e la razionalizzazione dell’impiego delle risorse professionali disponibili, e, in mancanza, delle risorse finanziarie. Ma, per il resto, il quadro di riferimento è profondamente diverso, attenendo, in un caso, alle attività di investimento (finanziabili con entrate in conto capitale, ivi compreso il ricorso all’indebitamento), e, nell’altro all’attività di funzionamento (finanziabile solo con entrate correnti)”.

 

Secondo la Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Lombardia [52], la distinzione attiene invece al contenuto della prestazione, per cui “(…) esemplificativamente con riferimento all’incarico conferito ad un libero professionista avvocato esterno all’amministrazione, va distinta l’ipotesi della richiesta di una consulenza, studio o ricerca, destinata sostanzialmente a sfociare in un parere legale, rispetto alla rappresentanza e patrocinio giudiziale. La prima ipotesi rientra sicuramente nell’ambito di previsione dell’art. 3, commi da 54 a 57, della legge finanziaria per il 2008. La seconda, invece, esorbita concettualmente dalla nozione di consulenza, e quindi ad essa non potrà applicarsi la disciplina della legge finanziaria per il 2008 sopra indicata. Peraltro, appare possibile ricondurre la rappresentanza/patrocinio legale nell’ambito dell’appalto di servizi, dovendosi fare in generale riferimento alla tipologia dei ‘servizi legali’ di cui all’allegato IIB del D.Lgs. 163/2006 …” (cfr. anche Corte dei conti, Sezione delle autonomie, deliberazione del 14 marzo 2008, n. 6/AUT/2008, cit).

 

In materia di regolamentazione degli incarichi a professionisti esterni ed al rapporto con gli appalti di lavori o di beni o di servizi, la Corte dei conti, Sezione delle autonomie [53], è intervenuta precisando che in particolare le disposizioni regolamentari, di cui al comma 56 dell’art. 3 della legge 244/2007 (finanziaria 2008), “non trovano applicazione a quelle materie, come l’appalto di lavori o di beni o di servizi, di cui al D.Lgs. 163/2006 (cosiddetto “codice dei contratti pubblici”) già autonomamente disciplinata. Infatti, secondo la giurisprudenza amministrativa consolidata (da ultimo Consiglio di Stato, Sezione V, sentenza n. 263/2008, cit.) l’incarico professionale (di consulenza, studio o ricerca) in linea generale si configura come contratto di prestazione d’opera ex artt. 2222-2238 c.c. riconducibile al modello di locatio operis, rispetto al quale assume rilevanza la personalità della prestazione resa dall’esecutore”. In questo senso si è sostanzialmente espressa anche la Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Lombardia [54].

 

Pertanto, gli incarichi professionali sono assoggettati alla disciplina dell’art. 7, comma 6 e seguenti, del D.Lgs. 165/2001 (e per gli enti locali anche alle disposizioni dell’art. 110, comma 6, del D.Lgs. 267/2000), che costituisce una norma di organizzazione del lavoro pubblico; mentre gli appalti di servizi sono assoggettati alle disposizioni del D.Lgs. 163/2006 (e relativi allegati IIA e IIB), quale norma che l’ordinamento dedica alla materia della garanzia di principi di concorrenza e tutela del mercato, in recepimento delle direttive comunitarie e del Trattato.

 

In conclusione, sono esclusi dall’applicazione dell’art. 7 del D.Lgs. 165/20001, e successive modificazioni e integrazioni:

 

1. gli incarichi ai componenti degli organismi di controllo interno e dei nuclei di valutazione, per espressa disposizione normativa;

 

2. le “collaborazioni di staff”, trattandosi di figure professionali sostanzialmente riconducibili al rapporto di lavoro subordinato;

 

3. gli incarichi di progettazione, di direzione e collaudo di opere e lavori pubblici e quelli di pianificazione urbanistica e attinenti alla salvaguardia ambientale, alla tutela del paesaggio e del territorio, che sono sottoposti alla specifica disciplina prevista dal Codice dei contratti pubblici di cui al D.Lgs. 163/2006;

 

4. gli appalti di servizi, caratterizzati da una prestazione imprenditoriale di un risultato resa da soggetti con organizzazione strutturata e prodotta senza caratterizzazione personale (che è invece tipica della locatio operis). Tali prestazioni trovano la loro disciplina nel Codice dei contratti pubblici di cui al D.Lgs. 163/2006 e relativo elenco contenuto nell’allegato II.

 


 

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[1] Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica – Circolare 15 luglio 2004, n. 4/04, recante: “Collaborazioni coordinate e continuative. Presupposti e limiti alla stipula dei contratti. Regime fiscale e previdenziale. Autonomia contrattuale”.

[2] Corte dei conti, Sezioni riunite in sede di controllo, deliberazione n. 6/CONTR/0 del 15 febbraio 2005, recante: “Linee di indirizzo e criteri interpretativi sulle disposizioni della Legge 30 dicembre 2004, n. 311 (finanziaria 2005) in materia di affidamento d’incarichi di studio o di ricerca ovvero di consulenza (art. 1, commi 11 e 42)”.

[3] ASSANTI, Le professioni intellettuali e il contratto d’opera, Trattato Rescigno, 15. Impresa e lavoro. 1, Torino, 1986, pag. 1488.

[4] Consiglio di Stato, Sezione IV, sentenza 29 gennaio 2008, n. 263: “Il conferimento di un incarico professionale di consulenza non rientra nell’ambito della disciplina degli appalti di lavori pubblici, trattandosi appunto di un’atrtività professionale, qualificata locatio operis, riferibile ad una scelta eminentemente fiduciaria del professionista, né in quella degli appalti di servizi, non rinvenendosi i caratteri propri del contratto di appalto (ex art. 1655 del codice civile e art. 3 del D.Lgs. 157/1995, ora art. 3 del D.Lgs. 163/2006), giacché tale negozio si distingue dal contratto d’opera in quanto l’appaltatore deve essere una impresa”. La decisione conferma una linea interpretativa consolidata nella giurisprudenza amministrativa, la quale rileva anche che l’affidamento non è sottoposto alle regole degli appalti, poiché questi si distinguono dal contratto di prestazione d’opera, in quanto l’appaltatore deve essere una media o grande impresa. Tale profilo di analisi evidenzia la necessaria distinzione degli elementi soggettivi riferibili al prestatore di servizi.

[5] Sezioni riunite in sede di controllo, deliberazione n. 6/CONTR/0 del 15 febbraio 2005, cit..

[6] Circolare 11 febbraio 2005, n. 5, recante: “Legge finanziaria 2005 – Riflessi sulla gestione del bilancio dello Stato di talune disposizioni volte ad assicurare il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica”.

[7] L’art. 409, n. 3) recita: “Si osservano le disposizioni del presente capo nelle controversie relative a (…) rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato”. E l’art. 61, comma 1, recita: “Ferma restando la disciplina per gli agenti e i rappresentanti di commercio, i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione, di cui all'articolo 409, n. 3, del codice di procedura civile devono essere riconducibili a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con la organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l'esecuzione della attività lavorativa”.

[8] Il pronunciamento della Corte va comunque contestualizzato, in quanto è la stessa Legge 311/2004 che, all’art. 1, comma 116, specifica che i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa restano fuori dall’oggetto dei commi 11 e 42 della medesima legge. Sul punto, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, con circolare 11 febbraio 2005, n. 5 cit., ha precisato che “circa i contratti di collaborazione coordinata e continuativa nonché le convenzioni, il riferimento di cui al comma in parola (comma 116, n.d.r.) è alle prestazioni di cui all'art. 409 c.p.c., n. 3, che, sempre in un contesto di autonomia professionale, hanno un carattere continuativo, inteso come non occasionale, che si esplicano in maniera pressoché costante in un arco di tempo definito in sede negoziale. Trattasi di prestazioni che, fermo restando il loro carattere autonomo, sono comunque coordinate in quanto inserite funzionalmente nel contesto dell'organizzazione dell'Amministrazione che ha, tra l'altro, possibilità di indicare le modalità ed i criteri di svolgimento dell'incarico e di verificare periodicamente la coerenza dell'attività svolta dal contraente con le finalità indicate”.

[9] Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica – Ufficio Personale Pubbliche Amministrazioni, Circolare 11 marzo 2008, n. 02, recante “Legge 24 dicembre 2007, n. 244, disposizioni in tema di collaborazioni esterne”.

[10] L’art. 13 del D.L. n. 4/2006, rubricato “Contratti di collaborazione” recitava:

1. Al fine di ridurre il numero delle collaborazioni coordinate continuative nelle pubbliche amministrazioni, all’articolo 7 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, il comma 6 è sostituito dai seguenti:

                “6. Per esigenze cui non possono fare fronte con personale in servizio, le pubbliche amministrazioni possono conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, ad esperti di provata competenza in presenza dei presupposti di seguito specificati:

a)      l’oggetto della prestazione deve rispondere alle competenze attribuite dall’ordinamento all’amministrazione conferente e, altresì, corrispondere ad obiettivi e progetti specifici e determinati;

b)      l’amministrazione deve avere preliminarmente accertato l’impossibilità di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno;

c)      l’esigenza deve essere di natura temporanea e richiedere prestazioni altamente qualificate;

d)      devono essere preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione.

6-bis. Con appositi regolamenti, da trasmettere alla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della funzione pubblica, le amministrazioni definiscono procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione.

6-ter. Le disposizioni di cui al comma 6 costituiscono norme di principio per l’attribuzione degli incarichi di cui all’articolo 110, comma 6, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267”.

[11] L’art. 32 del D.L. 223/2006, rubricato “Contratti di collaborazione” recitava:

1. Ai fini del contenimento della spesa e del coordinamento della finanza pubblica, all’articolo 7 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, il comma 6 è sostituito dai seguenti:

“6. Per esigenze cui non possono fare fronte con personale in servizio, le pubbliche amministrazioni possono conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, ad esperti di provata competenza in presenza dei seguenti presupposti:

a)      l’oggetto della prestazione deve rispondere alle competenze attribuite dall’ordinamento all’amministrazione conferente e ad obiettivi e progetti specifici e determinati;

b)      l’amministrazione deve avere preliminarmente accertato l’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno;

c)      la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata;

d)      devono essere preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione.

6-bis. Le amministrazioni pubbliche disciplinano e rendono pubbliche, secondo i propri ordinamenti, procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione.

6-ter. I regolamenti di cui all’articolo 110, comma 6, del decreto legislativo 18 agosto 2000,. N. 267, si adeguano ai principi di cui al comma 6”.

[12] Il secondo periodo del comma 9, che testualmente recitava: “L’affidamento di incarichi di studio o di ricerca ovvero di consulenza a soggetti estranei all’amministrazione in materie e per oggetti rientranti nelle competenze della struttura burocratica dell’ente, deve essere adeguatamente motivato ed è possibile soltanto nei casi previsti dalla legge ovvero nell’ipotesi di eventi straordinari”, è stato successivamente abrogato dall’art. 7, comma 6, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165.

[13] Il comma 6 dell’art. 110 del TUEL recita: “Per obiettivi determinati e con convenzioni a termine, il regolamento (sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, n.d.r.) può prevedere collaborazioni esterne ad alto contenuto di professionalità”.

[14] Sul punto, la Corte dei conti, Sezione delle autonomie, con deliberazione del 22 ottobre 2004, n. 16/AUT/04, ha statuito, per Regioni ed Enti locali, che “si deve ritenere che: la comunicazione (delle direttive) deve essere effettuata alla Sezione regionale di controllo competente per territorio (…); tale comunicazione non attiva un autonomo procedimento di controllo preventivo, ma costituisce un elemento istruttorio di controllo successivo; ciascuna Sezione regionale potrà valutare l’opportunità di richiedere agli enti obbligati l’elenco delle società a totale partecipazione pubblica di cui detengano, anche se in parte, pacchetti azionari, per assicurare la più estesa attuazione di questa disposizione; qualora gli enti territoriali destinatari della norma non provvedano all’invio delle direttive ovvero emanino direttive non coerenti con le prescrizioni della legge, la Sezione regionale deve segnalare la inadempienza ai Consigli regionali, provinciali o comunali ovvero agli organi di direzione degli altri enti, salvo le ulteriori deliberazioni che si ritengano necessarie”.

[15] In tal senso anche la Corte dei conti, Sezioni riunite in sede di controllo, nella deliberazione n. 6/CONTR/0 del 15 febbraio 2005, cit., ai sensi della quale “Le disposizioni dei commi 9 e 11 dell’art. 1 della Legge 191/2004 hanno cessato di essere in vigore il 31 dicembre 2004 e sono state sostituite, a decorrere dal 1° gennaio 2005, dall’art. 1, commi 11 e 42, della Legge 30 dicembre 2004, n. 311”.

[16] Deliberazione n. 6/CONTR/0 del 15 febbraio 2005, cit..

[17] Corte dei conti, Sezione delle autonomie, delibera del 17 febbraio 2006, n. 4/AUT/2006, recante: “Linee guida per l’attuazione dell’art. 1, comma 173, della legge n. 266 del 2005 (legge finanziaria per il 2006) nei confronti delle Regioni e degli enti locali”.

[18] Corte dei conti, Sezione delle autonomie, delibera del 17 febbraio 2006, n. 4/AUT/2006, cit..

[19] Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica – Ufficio Personale Pubbliche Amministrazioni, parere del 21 gennaio 2008, n. 3487. Nel medesimo parere la Funzione Pubblica ritiene anche che “conseguentemente le amministrazioni non potranno stipulare contratti di lavoro autonomo con persone con una qualificazione professionale inferiore”. Con successivo parere del 28 gennaio 2008, n. 4361, la Funzione Pubblica ribadisce l’orientamento interpretativo, sostenendo che “la formulazione utilizzata dal legislatore riconduce il requisito alla laurea specialistica rilasciata dal nuovo ordinamento universitario, ferma restando l’equiparazione prevista per la laurea del vecchio ordinamento. Non sono tuttavia da escludere altre specializzazioni frutto di percorsi universitari completi e definiti formalmente dai rispettivi ordinamenti in aggiunta alla laurea triennale”. Nei medesimi termini, ancora Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica – Ufficio Personale Pubbliche Amministrazioni, Circolare 11 marzo 2008, n. 02, recante: “Legge 24 dicembre 2007, n. 244, disposizioni in tema di collaborazioni esterne”.

[20] Il primo comma dell’articolo 46 recita:

1.  Il comma 6 dell'articolo 7 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, come modificato dal decreto-legge 4 luglio 2006, n. 233, convertito dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, e da ultimo dall'articolo 3, comma 76, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, è così sostituito: «6. Per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria, in presenza dei seguenti presupposti di legittimità:

a)  l'oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità dell'amministrazione conferente;

b)  l'amministrazione deve avere preliminarmente accertato l'impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno;

c)  la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata;

d)  devono essere preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione.

Si prescinde dal requisito della comprovata specializzazione universitaria in caso di stipulazione di contratti d'opera per attività che debbano essere svolte da professionisti iscritti in ordini o albi o con soggetti che operino nel campo dell'arte, dello spettacolo o dei mestieri artigianali, ferma restando la necessità di accertare la maturata esperienza nel settore.

Il ricorso a contratti di collaborazione coordinata e continuativa per lo svolgimento di funzioni ordinarie o l'utilizzo dei collaboratori come lavoratori subordinati è causa di responsabilità amministrativa per il dirigente che ha stipulato i contratti. Il secondo periodo dell'articolo 1, comma 9, del decreto-legge 12 luglio 2004, n. 168 è abrogato.».

[21] Cfr.: Corte dei conti, Sezione Campania, sentenza 5 ottobre 1996, n. 63: “Il ricorso a consulenze e professionalità esterne all’Amministrazione comunale deve ritenersi ammissibile in via di principio, salvo ad accertare nelle singole fattispecie la razionalità della scelta amministrativa, in rapporto ai parametri che debbono ispirare l’esercizio del potere discrezionale”; Corte dei conti, Sezione Veneto, sentenza 25 febbraio 1993, n. 2337: “Il ricorso alle prestazioni intellettuali di soggetti estranei all’amministrazione è legittimo solo per problemi specifici aventi carattere contingente e speciale e sempre che manchino all’apparato strutture organizzative idonee”; Corte dei conti, Sezioni riunite, 2 luglio 1996, n. 36: “La possibilità di conferire incarichi è subordinata alla non disponibilità di figure professionali equivalenti del personale (…) e allorché si tratti di attività richiedenti una specializzazione” ed ancora “anche se la legge dispone in via generale che l’ente pubblico deve realizzare le finalità istituzionali mediante le proprie strutture organizzative ed avvalendosi di proprio personale, deve ritenersi ammissibile il ricorso alla collaborazione di tecnici e di consulenti estranei ove si verifichino particolari condizioni, previo adeguato e motivato accertamento delle esigenze occasionali che ne determinano la necessità (…)”; Corte dei conti, Sezione Piemonte, sentenza 10 marzo 1998, n. 119: “Non sussiste, per carenza del requisito della colpa grave, la responsabilità per danno erariale del segretario generale del comune che ha formulato parere favorevole, non sorretto da congrua motivazione, al conferimento di incarico di consulenza ad un esperto esterno all’amministrazione, disattendendo i criteri di cui all’art. 7, comma 6, del D.Lgs. 165/2001, in considerazione della situazione di gravissimo disagio amministrativo in cui versava il comune”; Corte dei conti, Sezione Emilia Romagna, sentenza 16 maggio 1997, n. 291: “Non configura danno erariale l’esborso per consulenze esterne per lo svolgimento di un corso di formazione che richiedeva competenze tecniche non rientranti nelle professionalità presenti all’interno dell’amministrazione”; Corte dei conti, Sezione II Giurisdizionale Centrale, sentenza 22 aprile 2002, n. 137: “Ogni ente pubblico, dallo Stato all’ente locale, deve provvedere ai suoi compiti con la propria organizzazione e il proprio personale. Tale principio, confortato con l’estensione analogica di norme dettate specificamente per l’amministrazione statale, come l’art. 380 del t.u. 10 gennaio 1957, n. 3, o l’art. 152 del D.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1077, o col più valido richiamo all’art. 97 della Costituzione, trova in realtà il suo fondamento nella considerazione che – atteso che ogni ente pubblico ha una sua organizzazione e un suo personale – è con questa organizzazione e con questo personale che l’ente deve attendere alle sue funzioni. La possibilità di far ricorso a personale esterno può essere ammessa se, nei limiti e alle condizioni in cui la legge lo preveda, od anche – dato che, come suol dirsi, la necessità fa legge – quando sia impossibile provvedere altrimenti ad esigenze eccezionali e impreviste, di natura transitoria”; Corte dei conti, Sezione Abruzzo, sentenza 28 ottobre 2004, n. 750: “Il ricorso ad un’attività di consulenza deve essere del tutto eccezionale e temporanea, altrimenti ha l’effetto di demotivare e svilire il personale che è entrato a far parte dell’organico dell’ente stesso, a seguito di un concorso o di equivalente selezione aperta a tutti; il ricorso a una struttura esterna per lo svolgimento non occasionale di attività che devono essere svolte dal personale dell’ente suscita, nella comunità amministrata, l’impressione (se non il sospetto) che si sia voluto in questo modo favorire questo o quel consulente esterno”, ed ancora “non è consentito ad un comune dare corso a forme di collaborazione esterna, che, per il loro oggetto indeterminato e per la loro durata, tendono a realizzare una forma di attività di carattere continuativo e sostitutiva di quella demandata al personale assunto a seguito di pubblica selezione”; Corte dei conti, Sezione Abruzzo, sentenza 14 settembre 2004, n. 679: “Il ricorso di un ente locale alle consulenze esterne a favore di soggetti estranei all’apparato amministrativo deve essere consentito soltanto nei casi previsti dalla legge o in relazione a eventi temporanei e straordinari non fronteggiabili con le disponibilità tecnico-burocratiche esistenti; infatti, ogni amministrazione pubblica deve caratterizzarsi per una struttura snella che impieghi, anzitutto, le risorse umane già esistenti all’interno dell’apparato e che, solo nella documentata e motivata assenza delle stesse, possa far ricorso a professionalità esterne, peraltro, da individuare in base a criteri predeterminati, certi e trasparenti. Tutto questo risponde alla necessità di evitare che per le attività rientranti nei compiti ordinari dell’ente si crei una struttura parallela rispetto a quella del personale in organico”; Corte dei conti, Sezione Marche, sentenza 22 maggio 2003, n. 489: “La giurisprudenza di questa Corte ha, da lungo tempo, affermato il principio basilare secondo cui ogni ente pubblico, dallo Stato all’ente locale, deve provvedere ai propri compiti con la propria organizzazione e il proprio personale. Il principio trova il suo fondamento nella considerazione che – atteso che ogni ente pubblico ha una sua organizzazione e un suo personale – è con questa organizzazione e con questo personale che l’ente deve attendere alle sue funzioni. La possibilità di far ricorso a personale esterno può essere ammessa, nei limiti e alle condizioni in cui la legge lo preveda, quando non sia possibile provvedere altrimenti ad esigenze eccezionali e impreviste, di natura transitoria. (…) pertanto, l’incarico a soggetti esterni all’amministrazione non deve implicare uno svolgimento di attività continuativa ma la soluzione di specifiche problematiche ovvero il raggiungimento di un determinato obiettivo: deve caratterizzarsi cioè per la specificità e temporaneità; deve dimostrarsi l’impossibilità di adeguato assolvimento dell’incarico da parte delle strutture dell’ente per mancanza di personale idoneo; non deve rappresentare uno strumento per ampliare surrettiziamente i ruoli organici dell’ente; il compenso connesso all’incarico deve essere proporzionato all’attività svolta e non corrisposto in maniera forfetaria; la delibera di conferimento deve essere adeguatamente motivata al fine di consentire l’accertamento della sussistenza dei requisiti previsti”; Corte dei conti, Sezione Calabria, sentenza 8 aprile 2004, n. 273: “Nel caso di incarichi e consulenze esterne, la P.A. deve costantemente uniformare i propri comportamenti a criteri di legalità, economicità, efficienza ed imparzialità, dei quali è corollario, per ius receptum, il principio per cui essa, per l’assolvimento dei compiti istituzionali, deve prioritariamente avvalersi delle proprie strutture organizzative e del personale ad esso preposto, residuando la possibilità di ricorrere a consulenti esterni solo per eventi straordinari, non sopperibili con la struttura burocratica dell’ente”; Corte dei conti, Sezione Emilia Romagna, sentenza n. 463/04/el: “La giurisprudenza della Corte dei conti, condivisa anche da questo collegio, ha ritenuto che, per la nomina dei consulenti esterni, debbano essere rispettati i seguenti principi: a) che i conferimenti di incarichi di consulenza a soggetti esterni possono essere attribuiti ove i problemi di pertinenza dell’amministrazione richiedano conoscenze ed esperienze eccedenti le normali competenze del personale dipendente e conseguentemente implichino conoscenze che non si possono nella maniera più assoluta riscontrare nell’apparato amministrativo; b) che l’incarico stesso non implichi uno svolgimento di attività continuativa bensì la soluzione di specifiche problematiche già individuate al momento del conferimento dell’incarico del quale debbono costituire l’oggetto espresso; c) che l’incarico si caratterizzi per la specificità e la temporaneità dovendosi altresì dimostrare l’impossibilità di adeguato assolvimento dell’incarico da parte delle strutture dell’ente per mancanza di personale idoneo; d) che l’incarico non rappresenti uno strumento per ampliare surrettiziamente compiti istituzionali e ruoli organici dell’ente al di fuori di quanto consentito dalla legge; e) che il compenso connesso all’incarico sia proporzionato all’attività svolta e non liquidato in maniera forfetaria; f) che la delibera di conferimento sia adeguatamente motivata al fine di consentire l’accertamento della sussistenza dei requisiti previsti; g) che l’organizzazione dell’amministrazione sia comunque caratterizzata per il rispetto dei principi di razionalizzazione, senza duplicazione di funzioni e senza sovrapposizione all’attività ed alla gestione amministrativa, per la migliore utilizzazione e flessibilità delle risorse umane nonché per l’economicità, trasparenza ed efficacia dell’azione amministrativa, per il prioritario impiego delle risorse umane già esistenti all’interno dell’apparato; h) che l’incarico non sia generico o indeterminato al fine di evitare un evidente accrescimento delle competenze e degli organici dell’ente, il che presuppone la previa ricognizione e la certificazione dell’assenza effettiva nei ruoli organici delle specifiche professionalità richieste; i) che i criteri di conferimento non siano generici perché la genericità non consente un controllo sulla legittimità dell’esercizio dell’attività amministrativa di attribuzione degli incarichi”; Corte dei conti, Sezioni riunite in sede di controllo, delibera 15 febbraio 2005, n. 6/CONTR/05: “(…) la giurisprudenza della Corte dei conti, in sede di controllo e in sede giurisdizionale, ha elaborati i seguenti criteri per valutare la legittimità degli incarichi e delle consulenze esterni: a) rispondenza dell’incarico agli obiettivi dell’amministrazione; b) inesistenza, all’interno della propria organizzazione, della figura professionale idonea allo svolgimento dell’incarico, da accertare per mezzo di una reale ricognizione; c) indicazione specifica dei contenuti e dei criteri per lo svolgimento dell’incarico; d) indicazione della durata dell’incarico; e) proporzione fra il compenso corrisposto all’incaricato e l’utilità conseguita dall’amministrazione”; T.A.R. Puglia – Bari, Sezione II, sentenza 20 giugno 2003, n. 2535: E’ illegittimo il conferimento di un incarico di consulenza legale affidato dalla Giunta comunale ad un soggetto esterno all’apparato burocratico del Comune, nel caso in cui la struttura pubblica locale sia dotata di un funzionante ufficio contenzioso, atteso che, da un lato, le predette funzioni esterne, oltre a doppiare inutilmente quelle legali interne all’ente, possono compromettere la funzionalità stessa dell’ufficio del contenzioso e l’unità d’indirizzo nella questione degli affari, e, dall’altro, l’esborso finanziario che ne deriva è privo di alcuna giustificazione, viola la regola di economicità di gestione che presiede alla spesa pubblica, e ne compromette il buon andamento”; T.A.R. Puglia – Lecce, Sezione II, sentenza 16 febbraio 2007, n. 479: “E’ illegittima una delibera con la quale una AUSL ha autorizzato la stipula di una convenzione con una Azienda ospedaliera al fine, tra l’altro, di avvalersi della consulenza specialistica di medici della predetta A.O. in materia di chirurgia vascolare, che non dia conto né delle ragioni di straordinaria urgenza che giustificano il conferimento di un incarico di consulenza esterna (come invece prevede l’art. 1, comma 11, della L. n. 311/2004  - legge finanziaria 2005), né del fatto che l’incarico affidato non potesse essere svolto da medici dipendenti della stessa AUSL (come previsto dall’art. 32 della recente L. n. 248/2006, recante la conversione in legge del c.d. decreto Bersani)”; Cassazione civile, Sezioni Unite, sentenza 25 gennaio 2006, n. 1376 (rigetta e dichiara la giurisdizione della Corte dei conti Roma, 8 gennaio 2003): “(…) da una parte, infatti, il conferimento di una consulenza continuativa, indefinita nel contenuto e non destinata ad esaurirsi in relazione a singole, specifiche situazioni, contrasta con il principio sotteso all’art. 7 (del D.Lgs. 165/2001) della necessaria specificità, in presenza di ben determinati presupposti, dell’incarico da conferire – l’incarico in esame aveva comportato la creazione di una struttura burocratica, parallela a quella ufficiale, affidata a persona che, pur mantenendo lo status di libero professionista, intratteneva con l’azienda (ospedaliera) un rapporto permanente con i caratteri della parasubordinazione –, e dall’altra, alla collaborazione di un consulente esterno all’azienda si sarebbe potuto ricorrere, secondo  la norma richiamata, solo in ipotesi di inadeguatezza del personale interno in servizio”.

[22] Cfr.: Tribunale di Milano, sentenza del 10 novembre 2005; Tribunale di Ravenna, sentenza del 24 novembre 2005; Tribunale di Modena, sentenza del 21 febbraio 2006; Tribunale di Genova, sentenza del 7 aprile 2006; Tribunale di Milano, sentenza del 2 agosto 2006.

[23] Corte dei conti, Sezione delle autonomie, Deliberazione del 14 marzo 2008, n. 6/AUT/2008, recante “Linee di indirizzo e criteri interpretativi dell’art. 3, commi 54-57, della legge 24.12.2007, n. 244 (legge finanziaria 2008) in materia di regolamenti degli enti locali per l’affidamento degli incarichi di collaborazione, studio, ricerca e consulenza”.

[24] A proposito della particolare e comprovata specializzazione universitaria è interessante notare che, in vigenza della disposizione come introdotta dalla legge finanziaria per il 2008, prima cioè della modifica intervenuta per effetto dell’art. 46 del d.l. 112/2008, gli orientamenti delle Sezioni di controllo della Corte dei conti non erano univoci. Si andava, infatti, dalla interpretazione più restrittiva, per cui la specializzazione universitaria (anche per i comuni più piccoli) costituiva un requisito minimo e imprescindibile (ex pluris, cfr. Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per  il Veneto, deliberazione del 2 aprile 2008, n. 9/2008/cons), a quella meno “formale e restrittiva”, per cui per quelle professioni richiedenti esami abilitativi ed iscrizioni ad albi, nonché specializzazione universitaria e non, la disposizione di cui all’art. 3, comma 76, della legge 244/2007 (finanziaria per il 2008) si applica come norma che determina il quadro di fondo. Mentre la disciplina di settore “mantiene intatto il suo vigore normativo, continuando a regolare la vita professionale e le potenzialità lavorative degli iscritti, anche con riferimento ai rapporti di consulenza e collaborazione a vario titolo instaurabili con la pubblica amministrazione. In ultima analisi, si deve osservare che l’impossibilità per gli enti pubblici di servirsi della professionalità degli iscritti in albi professionali, in ossequio ad un’interpretazione formale e restrittiva dell’art. 3, comma 76, della legge 244/2007, sarebbe contraria ai principi di efficacia, efficienza ed economicità dell’azione amministrativa e finirebbe per ottenere l’effetto perverso di aumentare, anziché contenere la spesa pubblica” (cfr. Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Lombardia, deliberazione del 7 maggio 2008, n. 29/pareri/2008), e quindi “si ritiene che possa legittimamente essere oggetto di incarico esterno anche un’attività che può essere svolta da un professionista regolarmente iscritto ad un albo per il quale la legge non ritiene necessario il titolo della laurea” (cfr. Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Lombardia, deliberazione del 7 maggio 2008, n. 28/pareri/2008).

[25] Deliberazione del 14 marzo 2008, n. 6/AUT/2008, recante: “Linee di indirizzo e criteri interpretativi dell’art. 3, commi 54-57, della legge 24.12.2007, n. 244 (legge finanziaria 2008) in materia di regolamenti degli enti locali per l’affidamento degli incarichi di collaborazione, studio, ricerca e consulenza”.

[26] Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica – Ufficio Personale Pubbliche Amministrazioni, Circolare 11 marzo 2008, n. 02, cit..

[27] Deliberazione del 14 marzo 2008, n. 6/AUT/2008, cit..

[28] Peraltro, ritengo che, nel caso di affidamento di incarichi di importo inferiore a 20.000 euro, IVA esclusa, nel rispetto comunque dei principi sopra richiamati, nonché del criterio della rotazione, possa essere applicabile la disciplina delle forniture di servizi in economia di cui all’art. 125, comma 11, del D.Lgs. 163/2006, che consente l’affidamento diretto.

[29] “È del tutto illegittima una determinazione (o deliberazione) avente ad oggetto l’affidamento di un incarico esterno qualora non venga data particolare pubblicità (ergo evidenza pubblica), ossia in assenza della doverosa procedura selettiva, considerato che elementari e indefettibili canoni di legalità (ex art.97 Cost.) impongono sempre alla pubblica amministrazione, allorquando essa si determini a ricercare sul libero mercato, regolato dal diritto privato, le forniture di cui ha bisogno per il suo funzionamento (siano esse forniture di servizi, di beni, di lavori, oppure di mano d’opera e di collaborazione professionale), di agire in modo imparziale e trasparente, predefinendo criteri di selezione, assicurando un minimo di pubblicità della propria intenzione negoziale e un minimo di concorso dei soggetti in astratto interessati e titolati a conseguire l’incarico o, comunque, a stipulare il contratto” (cfr. T.A.R. Campania – Napoli, Sezione V, sentenza del 24 gennaio 2008, n. 382). “L'emanazione di criteri per la valutazione delle candidature logicamente presuppone la contemporanea fissazione di criteri per la comparazione dei diversi titoli di professionalità evidenziati dai concorrenti: fissazione che, nondimeno, non può essere arbitrariamente devoluta alla competenza del responsabile del procedimento, ma debitamente esternata, nei suoi parametri, già in sede di emanazione dell'avviso pubblico, rendendo presente un vizio di difetto di istruttoria e, conseguentemente, di motivazione, laddove non risulta né l'avvenuta pubblicizzazione di un bando o avviso relativo al conferimento dell'incarico, né la predisposizione di criteri valutativi, né la valutazione comparativa del curriculum professionale” (cfr. T.A.R. Veneto Sezione I, sentenza del 16 marzo 2007, n. 797; T.A.R. Puglia Lecce, Sezione II, sentenza del 19 febbraio 2007, n. 494, idem T.A.R. Piemonte, Sezione I, sentenza del 25 ottobre 2007, n. 3230).

[30] Resta inteso che la forma (redazionale) negoziale è quella scritta, giacché il contratto d’opera professionale, quando ne sia parte committente una P.A., e pur ove questa agisca “iure privatorum ”, è richiesta, in ottemperanza al disposto degli art. 16 e 17 r.d. 18 novembre 1923 n. 2440, la forma scritta “ad substantiam ” (cfr. T.A.R. Campania – Salerno, Sezione I, sentenza del 2 novembre 2006, n. 1949), che è strumento di garanzia del regolare svolgimento dell’attività amministrativa nell’interesse sia del cittadino, costituendo remora ad arbitri, sia della collettività, agevolando l’espletamento della funzione di controllo, e, per tale via, espressione dei principi di imparzialità e buon andamento della P.A. posti dall’art. 97 Cost. (cfr. T.A.R. Campania – Salerno, Sezione I, sentenza del 17 gennaio 2008, n. 44, idem Cassazione civile, Sezione I, sentenza 26 gennaio 2007, n. 1752 e del 2 maggio 2007, n. 10123).

[31] Deliberazione del 14 marzo 2008, n. 6/AUT/2008, cit..

[32] Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica – Ufficio Personale Pubbliche Amministrazioni, Circolare 11 marzo 2008, n. 02, cit..

[33] Deliberazione del 14 marzo 2008, n. 6/AUT/2008, cit..

[34] La legge 5 giugno 2003, n. 131, all’art. 7, comma 7, fa riferimento alla natura collaborativa del controllo sulla gestione svolto dalle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti. Il controllo sulla gestione, com’è noto, è l’unica forma di controllo esterno sull’attività dei comuni e delle province, ed è previsto dall’articolo 148 del testo unico degli enti locali, che rinvia alla legge 14 gennaio 1994, n. 20 (art. 3, c. 8).

[35] Il comma 168 stabilisce che “Le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, qualora accertino, anche sulla base delle relazioni di cui al comma 166, comportamenti difformi dalla sana gestione finanziaria o il mancato rispetto degli obiettivi posti con il patto, adottano specifica pronuncia e vigilano sull'adozione da parte dell'ente locale delle necessarie misure correttive e sul rispetto dei vincoli e limitazioni posti in caso di mancato rispetto delle regole del patto di stabilità interno”.

[36] Delibera del 15 febbraio 2005, n. 6/CONTR/0, cit..

[37] Sezione delle autonomie, deliberazione del 14 marzo 2008, n. 6/AUT/2008, cit..

[38] Deliberazione del 14 marzo 2008, n. 6/AUT/2008, cit..

[39] Deliberazione del 4 marzo 2008, n. 37/2008.

[40] Deliberazione del 7 maggio 2008, n. 29/pareri/2008.

[41] Deliberazione del 19 febbraio 2008, n. 10/pareri/2008.

[42] In tal senso anche Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Basilicata, deliberazione del 12 giugno 2008, n. 23/2008.

[43] Circolare 11 marzo 2008, n. 02, cit..

[44] Deliberazione del 28 febbraio 2008, n. 4/PAR/2008.

[45] Circolare 11 marzo 2008, n. 02, cit..

[46] Deliberazione 19 aprile 2007, n. 17. Il Garante richiama anche un precedente provvedimento del 10 novembre 2004, concernente le modalità di diffusione, tramite Internet, di dati personali e le misure necessarie a garantire il diritto all’oblio.

[47] Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica – Ufficio Personale Pubbliche Amministrazioni, Circolare 11 marzo 2008, n. 02, cit..

[48] Cfr. Corte dei conti, Sezione delle autonomie, deliberazione del 14 marzo 2008, n. 6/AUT/2008, cit..

[49] Parere del 21 febbraio 2008, n. 3/Par./2008.

[50] Deliberazione del 3 aprile 2008, n. 262/2008.

[51] La Sezione abruzzese precisa, infatti, che “gli incarichi in materia di progettazione, direzione dei lavori e collaudo hanno sempre costituito oggetto di un corpus normativo a sé stante (…) costituendo un genus proprio, autonomamente disciplinato”.

[52] Deliberazione del 4 marzo 2008, n. 37/2008, cit., ma anche deliberazione del 7 maggio 2008, n. 29/pareri/2008, cit.: la questione sottoposta all’attenzione della Corte riguardava la possibilità di attribuire incarichi tramite contratti individuali ai sensi dell’art. 7, comma 6, del D.Lgs. 165/2001, come modificato dall’art. 3, comma 76, della legge finanziaria 2008, nonché in ordine all’eventualità di commissionare i servizi di cui all’allegato 2° del D.Lgs. 163/2006 (codice dei contratti pubblici). La Corte sostiene che “con specifico riguardo all’incarico conferito ad un libero professionista, avvocato o notaio, esterno all’amministrazione, va distinta l’eventualità della richiesta di una consulenza di studio o di ricerca destinata a sfociare in un parere ricognitivo di una data questione, rispetto al patrocinio o alla rappresentanza legale, ovvero ancora al magistero notarile. La prima ipotesi rientra nell’alveo della previsione di cui all’art. 3, commi da 54 a 57, della legge finanziaria per il 2008. La seconda serie di casi, di contro, esorbita dal concetto di consulenza, apparendo più adeguato ricondurre la fattispecie nell’ambito dell’appalto di servizi legali specificati nell’allegato 2B del D.Lgs. 163/2006, assoggettati alle sole norme richiamate dall’art. 20 del citato decreto, nonché ai principi stabiliti dal successivo art. 27 (trasparenza, economicità, efficacia, imparzialità, proporzionalità e non discriminazione)” (cfr. Corte dei conti, Sezione delle autonomie, deliberazione 14 marzo 2008, n. 6/AUT/2008, cit.).

[53] Deliberazione del 14 marzo 2008, n. 6/AUT/2008, cit..

[54] Nella deliberazione del 4 marzo 2008, n. 37/2008, cit., la Sezione lombarda sostiene, infatti, che “concettualmente distinto rimane, pertanto, l’appalto di servizi, il quale ha ad oggetto la prestazione imprenditoriale di un risultato resa da soggetti con organizzazione strutturata e prodotta senza caratterizzazione personale. Ciò fatto salvo quanto disposto dall’art. 91 del D.Lgs. 163/2006 per gli incarichi di progettazione”.


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