LexItalia.it  

 Prima pagina | Legislazione | Giurisprudenza | Articoli e note | Forum on line | Weblog

 

Articoli e note

n. 1/2005 - © copyright

ALESSANDRO EDI

La nemesi della riforma dello status dei segretari comunali

horizontal rule

L’articolo 142 del d.lgs 267/2000 non presenta problemi di compatibilità con la Costituzione novellata dalla legge costituzionale 3/2001.

Non persuadono, da questo punto di vista, le riflessioni proposte nell’interessante articolo del Mainardis [1] in merito alla sentenza del Tar Emilia Romagna - Bologna, Sez. I, 25 ottobre 2004, n. 3687, relativa alla vicenda della rimozione del sindaco di Copparo.

Per quanto, infatti, la Costituzione abbia inteso dare rilevanza all’autonomia locale, ogni lettura tendente a sopravvalutare l’operato del legislatore costituzionale, almeno finchè sia vigente il testo unico sull’ordinamento locale, non appare corretta.

Interpretazioni eccessivamente orientate a considerare l’ordinamento locale come un ordinamento realmente “federato” in uno Stato realmente “federalista” sono ontologicamente contrastanti con la situazione di diritto, per quanto caotica ed ibrida essa sia e, dunque, per quanto possa portare a letture l’una molto diversa dall’altra.

Sta di fatto che il processo federale è un meccanismo di carattere accentratore (diversamente da quello che ultimamente si afferma), che porta alcuni soggetti di diritto, indipendenti, equiordinati e dotati di sovranità a stipulare tra loro un patto (in latino, foedus, da cui derivano i termini federazione, federale, federativo), col quale ciascuno rinuncia ad esercitare alcune prerogative proprie, per assegnarle ad un nuovo soggetto di diritto, frutto della federazione, lo Stato federale, che le gestisce per il bene comune di tutti i federati.

Il sistema disegnato con la riforma costituzionale è totalmente diverso. Non c’è alcun patto federativo tra enti preesistenti sovrani, indipendenti ed equiordinati, nè il disegno tende ad unificare e concentrare soggetti di diritto in un nuovo soggetto.

Per altro verso, la riforma non apre nemmeno un movimento centrifugo contrario. In effetti, l’ispirazione generale della legge costituzionale 3/2001 è riferita al principio di sussidiarietà verticale. Lo Stato, in sostanza, rinuncia ad identificarsi con la Repubblica, riconosce e valorizza le autonomie ed applica il principio di sussidiarietà verticale, in quanto ritiene che buona parte delle funzioni proprie dell’amministrazione e della legislazione possano essere svolte da enti più vicini ai cittadini. Da qui la scelta di stabilire che, in generale, tutte le funzioni amministrative spettino ai comuni e, solo quando sussistano valutazioni di inadeguatezza organizzativa o territoriale, possano essere sussunte da provincia, città metropolitana, regioni e Stato. Nonché, la scelta di rinunciare alla diretta e generalizzata disciplina normativa di tipo legislativo, allocando una potestà legislativa generale e residuale presso le regioni.

Il corollario di tale impostazione non poteva non essere un riconoscimento costituzionale della potestà statutaria e normativa degli enti locali. Ma, se si guarda, poi, alla definizione dei contorni di tali potestà, si riscontra che la Costituzione si è limitata a riconoscerle ed enfatizzarle, senza creare alcuno spazio di particolare garanzia. Ciò, proprio perché la riforma, pur definita federalista, di federale ha davvero poco.

Sicchè, nell’impostazione attuale, nella quale la Costituzione assegna alla potestà legislativa esclusiva dello Stato la disciplina degli organi di governo, pare assolutamente legittimo dal punto di vista costituzionale che una legge statale (pur previdente alla riforma costituzionale) disciplini il controllo sugli organi degli enti locali, contemplando la loro rimozione nel caso di compimento di atti contrari alla Costituzione o per gravi e persistenti violazioni di legge.

Infatti, gli enti locali non si muovono in un ordinamento indipendente, ma debbono rispettare un ordinamento generale. L’articolo 114 della Costituzione menziona come limite per gli statuti il rispetto dei principi costituzionali, ma non ha certo considerato detto limite come l’unico. Ha, piuttosto, indirettamente inteso stabilire che le leggi sull’ordinamento locale debbano essere il meno pervasive possibile, per lasciare spazio normativo agli statuti i quali, dunque, debbono essere messi in relazione diretta con la Costituzione. Ma, i limiti di competenza posti dall’articolo 117 sulle materie nelle quali può intervenire il legislatore statale e regionale ovviamente incidono sulla potestà normativa locale, comprimendola.

Ciò, del resto, è quanto ha deciso la Corte costituzionale con la sentenza 24.7.2003, n. 274, ove si afferma che “Lo stesso art. 114 della Costituzione non comporta affatto una totale equiparazione fra gli enti in esso indicati, che dispongono di poteri profondamente diversi tra loro: basti considerare che solo allo Stato spetta il potere di revisione costituzionale e che i Comuni, le Città metropolitane e le Province (diverse da quelle autonome) non hanno potestà legislativa”.

Enti locali, regioni e Stato, quindi, non sono affatto equiordinati, ma sono una rete di soggetti che, con pari dignità e tendenzialmente con spazi di competenza per materie riservati (che per gli enti locali riguardano esclusivamente la funzione amministrativa), formano un quadro di soggetti che costituisce la Repubblica.

In questo quadro, l’ordinamento generale non può fare a meno di strumenti che lo garantiscano da violazioni della Costituzione o della legge, da parte di organi di enti locali che non dispongono di spazi per disporre ed operare in modo contrario a Costituzione e legge.

D’altra parte, la leale collaborazione invocata dal Mainardis è presente, implicitamente, nell’articolo 142 che richiede “gravi e persistenti” violazioni di legge, ai fini della rimozione di un sindaco. La persistenza implica necessariamente un avviso o una diffida da parte dell’autorità competente, il Governo, a non proseguire con le violazioni. Ciò che si è puntualmente verificato nel caso di specie.

D’altra parte, l’articolo 120, comma 2, della Costituzione, nel consentire al Governo di sostituirsi agli organi dei comuni quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica, pare fissare un principio rispetto al quale gli articoli 141 e 142 del testo unico sono molto probabilmente compatibili. Infatti, la rimozione del sindaco avviene per atto di un componente del Governo, per violazioni di legge e, dunque, per atti concreti che costituiscano un vulnus all’unità giuridica.

Molto persuasiva ed efficace, invece, è la domanda che il Mainardis pone: “la mancata nomina del Segretario titolare di un Comune pregiudica un principio (o un valore) così significativo da fondare l’adozione della misura massimamente invasiva per l’autonomia comunale? Esiste cioè un chiaro rapporto di proporzionalità in senso stretto, un bilanciamento ragionevole tra i valori in gioco?”.

Qui sta la nemesi del diritto. La riforma dello status dei segretari comunali è stata acclamata dai sindaci, come strumento di autonomia e libertà di azione. Non più segretari imposti da terzi, ma segretari nominati, sia pure nell’ambito di un albo, in quanto funzionali ad un disegno politico-amministrativo.

Un disegno la cui conformità agli articoli 97 e 98 della Costituzione appare ancora controversa, ma che opera ed è immanente.

I sindaci hanno esultato, perché posti in grado di formare uno staff, che risponde a loro, dipende da loro.

Ma che può causarne la rimozione.

Talmente stretto è il nodo che il legislatore ha creato tra sindaci e segretari, talmente pervasiva la funzione dell’Agenzia (certamente non minore delle vituperate prefetture), che il meccanismo ha mostrato di incepparsi gravemente, mandando a casa un’amministrazione che ha tentato, comunque, di applicare la legge.

Infatti:

1)   la legge 127/1997 aveva creato uno spazio molto ad personam per consentire ad alcuni vice segretari di passare direttamente alla carriera dei segretari presso l’ente in cui lavoravano. Ciò è stato possibile in alcuni enti. Ci ha provato anche Copparo, ma non è riuscito. Legittimamente, sostiene il Tar Bologna. Ma, il sospetto che quella norma, così specifica, così particolare, che ha consentito ad alcuni vicari di entrare nella carriera dei segretari non sia stata proprio un esempio di legge generale ed astratta, rimane. E legittimamente l’Agenzia si è opposta ad un’estensione oltre misura, visto che già la misura era discutibile.

2) la legge aveva creato un potere di nomina fortissimo in capo al sindaco. E il sindaco di Copparo, puntando sulla norma relativa ai vice segretari, ha tentato di “scegliersi” il segretario, l’unico ritenuto idoneo a garantire la linea politico-amministrativa.

Il risultato, però, è che la riforma, portata alla sua applicazione estrema, come in un caso di scuola, ha determinato il paradosso. Invece della rimozione del segretario, perché non conforme all’idea di segretario del sindaco, è stato rimosso il sindaco, perché il suo segretario “ideale” tale non poteva essere.

Alla domanda posta, se ne può aggiungere un’altra: quale vantaggio ha avuto la cittadinanza di Copparo dalla vicenda di specie, dalla rimozione del sindaco, dalla riforma dei segretari comunali?

 

horizontal rule


Stampa il documento Clicca qui per segnalare la pagina ad un amico