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Articoli e note

n. 1/2007 - © copyright

MAURIZIO LUCCA *

L’accessibilità agli atti da parte dei Consiglieri comunali

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Prime argomentazioni generali

L’accessibilità agli atti amministrativi è espressione compiuta del principio costituzionale di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa, e più precisamente manifesta la pubblicità dell’agire pubblico scrutinabile in una prospettiva di realizzazione dell’interesse pubblico sia dal punto di vista della verifica dell’esercizio della sua concreta funzione che in una lettura del legittimo affidamento da parte del privato nel perseguimento di tale prospettiva dogmatica, potendo accertare nell’esercizio della speciale actio ad exhibendum sia un diritto partecipativo pretensivo con il procedimento amministrativo in divenire (e comunque collaborativo) che un diritto di difesa nei confronti del procedimento strutturalmente concluso.

Invero, secondo la migliore dottrina la struttura dell’accesso, così come delineato dalla legge n. 241 riformata, pone in evidenza un fattore evolutivo del rapporto tra cittadino e autorità decidente ancorato all’esigenza insopprimibile di garantire la trasparenza della pubblica amministrazione non in quanto potere pubblico, ma in quanto potere che opera all’interno di un ordinamento statuale, soggetto a regole ispirate al più ampio concetto di libertà ed uguaglianza che si afferma essere il fine di ogni democrazia [1], ritenendo per queste ragioni di sostanza che sussista la necessità non ritraibile di predisporre una serie di strumenti che consentano all’interessato, inciso dal provvedimento o dal facere pubblico, di accedere al dato informativo rectius atto amministrativo “non per effetto della natura pubblica della figura soggettiva di riferimento”, che in sé costituirebbe la potenziale controparte, “ma in conseguenza della posizione istituzionale di potere che essa occupa nella relazione giuridica con colui che richiede il documento [2].

Dal quadro sommariamente posto si potrebbe argomentare che l’accessibilità agli atti risponde in via astratta ad una funzione più informativa che partecipativa, quasi a sembrare una forma di tutela che prescinde dalla natura o dalla rilevanza dei documenti oggetto della richiesta di accesso, al punto che la giurisprudenza argomenta che “ai fini dell’accoglimento di una istanza di accesso ai documenti amministrativi non occorre che la situazione soggettiva fatta valere debba necessariamente assimilarsi a quella dell’interesse legittimo o del diritto soggettivo”, ma è esperibile almeno in presenza di elementi che evidenziano “una posizione meritevole di protezione da parte dell’ordinamento, rispetto alla quale l’ostensione del documento si dimostra utile a realizzarne la cura ovvero, più specificamente, a predisporne, se necessario, la difesa”, per giungere ad affermare in tono ieratico che “il diritto di accesso ai documenti amministrativi ha natura autonoma rispetto alla posizione giuridica posta a base della relativa istanza e sussiste anche quando l’istanza stessa sia preordinata all’utilizzazione degli atti in un giudizio nel quale sussistono poteri istruttori del giudice [3].

In altri termini, il “diritto” di richiedere il pieno accesso alla documentazione amministrativa per le ragioni sopra esposte, riconducibili ad una esigenza di trasparenza e di partecipazione alla gestione della res pubblica, si pone - senza rischio di fraintendimento - al di fuori della distinzione tra diritto soggettivo e interesse legittimo, ovvero tra aspetti di tutela personale e soggettiva rispetto a situazione di tutela solo strumentale al soddisfacimento del corretto esercizio del potere pubblico, o più semplicemente in una prospettiva che differenzia le posizioni tipiche di un sistema di “diritti” incentrati sulla sfera del singolo, contrapposto ad una pubblica amministrazione caratterizzata da poteri coercitivi capaci di incidere nella sfera giuridica del singolo, e quindi “tale situazione attiva di vasta portata… estende la capacità soggettiva e possibilità cognitiva dei singoli amministrati in direzione della P.A., nel senso più ampio, o onnicomprensivo e incondizionato del termine”, senza manlevare la possibilità dell’accesso ad una posizione collocabile all’interno dello schematismo formale dell’interesse pubblico posto a fondamento della norma agendi o del diritto soggettivo a tutela del privato [4].

Si spiega in punto il nesso eziologico che il diritto di accesso non assume carattere meramente strumentale alla difesa in giudizio della situazione sottostante, ma ha una valenza autonoma, non dipendente dalla sorte del processo principale e dalla stessa possibilità di instaurazione del medesimo [5].

Ciò posto, può risultare del tutto privo di riscontro positivo il voler qualificare giuridicamente la situazione del privato quando si stabilisce che l’istanza di accesso si colloca nel quadro delle nuove relazioni tra pubblica amministrazione e amministrato, ed anche per ragioni di buon funzionamento dell’azione amministrativa si deve consentire il suo controllo da parte di terzi incisi, in un piano fattuale di reciproca correttezza e legittimo affidamento collegabile al diritto di difesa qualora tale esercizio del potere pubblico non risulti coerente con in principi posti a base del procedere istituzionale per antonomasia (ergo finalizzazione dello scopo perseguito ex art. 97 Cost.), dovendo rispondere alla ratio legis protesa ad assicurare all’amministrato la trasparenza della pubblica amministrazione, indipendentemente dalla lesione, in concreto, di una determinata posizione di diritto o di interesse legittimo.

Giova in codesto sceltume chiarire che l’apporto dei privati, nell’ambito del procedimento amministrativo, viene valorizzato non solo in termini di mera collaborazione nell’adozione dei provvedimenti che incidano direttamente la loro sfera giuridica, ma anche ai più generali fini della gestione della stessa funzione amministrativa codificata dalla norma per renderla più adeguata rispetto agli interessi pubblici perseguiti, e l’interesse alla conoscenza dei documenti amministrativi viene così elevato a bene della vita autonomo, meritevole di tutela separatamente dalle posizioni sulle quali abbia poi ad incidere l’attività amministrativa, eventualmente in modo lesivo rilevante ai fini della verifica della legittimità dell’agire perseguito.

In tale prospettiva esegetica, la tutela giurisdizionale concessa alla parte istante è tesa ad assicurare la protezione dell’interesse giuridicamente rilevante e, al contempo, quell’esigenza di stabilità delle situazioni giuridiche e di certezza delle posizioni dei controinteressati che sono pertinenti ai rapporti amministrativi scaturenti dai principi di pubblicità e trasparenza dell’azione amministrativa, insiti in un sistema che si profili coerente con i principi di concentrazione e non aggravamento[6].

Nella fattispecie delineata si deve arguire che per assicurare la trasparenza dei meccanismi amministrativi deve essere riconosciuta una permanente garanzia al pieno funzionamento della regola partecipativa insita nel diritto di accesso, assumendo coerentemente l’accessibilità di ogni documento rappresentativo dell’attività della p.a., a prescindere dal fatto che essa sia stata o meno concretamente utilizzata con rilevanza esterna, giacché il privato è detentore di una pretesa informativa idonea a valutare l’intero procedimento, sia che esso trovi soluzione di continuità che nel caso non pervenga a fine [7].

La completezza della disamina impingendo su valutazione di merito collocano il diritto di accesso in una posizione di tutela che attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza, ed attiene ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, con il vigore che possiede il valore di un principio generale, che attua sia i canoni costituzionali di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione (art. 97, primo comma, Cost.), sia la tutela di altri interessi costituzionalmente protetti, come il diritto di difesa nei confronti dell’amministrazione (artt.24 e 113 Cost.) nella piena rappresentazione del giusto procedimento di derivazione comunitaria.

Ne consegue per specificità e completezza che la pubblicità del procedimento amministrativo che trova pieno ingresso con il diritto di accesso viene inoltre considerato come un principio del patrimonio costituzionale comune dei Paesi europei, principio stabilito dall’art. 253 del Trattato istitutivo delle Comunità europee, che impone l’obbligo di motivazione degli atti comunitari, corrispettivo di un diritto alla piena conoscenza dei presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria, corollario dell’attivazione partecipativa ispettiva o collaborativa [8].

Il diritto di accesso dei consiglieri comunali

Se quindi il diritto di accesso risponde ad una funzione costituzionale di imparzialità e buon andamento della p.a. nell’ambito dei nuovi rapporti tra potere pubblico e privato cittadino, come si colloca il diritto di accesso dei consiglieri comunali delineato dall’articolo 43, del D.Lgs. n. 267/2000 che viene annoverato in relazione a “tutte le notizie e le informazioni... utili all’espletamento del proprio mandato”, con una interpretazione estensiva e non esaustiva del diritto stesso, al punto da ricomprendere nella fattispecie puntata anche l’eventuale elaborazione dei dati e delle informazioni in loro possesso qualora tali “notizie” e “informazioni” non si possano reperire in un unico documento, dovendo la pubblica amministrazione intestata procedere con un’attività istruttoria che viene negata tassativamente dalla legge se rivendicata dal privato [9].

Per altri versi, da termine “utili” contenuto nella citata norma non consegue, quindi, alcuna limitazione al diritto di accesso dei consiglieri comunali, bensì l’estensione di tale diritto a qualsiasi atto ravvisato utile all’espletamento del mandato non può essere disconosciuta in presenza di una richiesta relativa a documentazione risalente ad un’epoca antecedente rispetto al periodo di espletamento del mandato, rispettando l’assunto che la strumentalità della istanza ostensiva è funzionale all’esercizio del munus pubblico [10].

Al di là delle acclamazioni di merito, una recente sentenza di prime cure [11] risponde al quesito posto allineandosi con un consolidato orientamento secondo il quale esiste una differenza profonda tra il diritto di accesso previsto in via generale dagli articoli 22 e seguenti della legge n. 241 del 1990 e la speciale forma di accesso del consigliere comunale, di cui all’articolo 43 del T.U.E.L.: “il primo è un istituto che consente ai singoli soggetti di conoscere atti e documenti, al fine di poter predisporre la tutela delle proprie posizioni soggettive eventualmente lese, mentre il secondo è un istituto giuridico posto al fine di consentire al consigliere comunale di poter esercitare il proprio mandato, verificando e controllando il comportamento degli organi istituzionali decisionali del Comune [12], non potendo opporre alcun sindacato circa il collegamento tra le informazioni richieste e lo svolgimento del mandato di consigliere determinandosi altrimenti un illegittimo ostacolo al concreto esercizio della sua funzione, che è quella di verificare il corretto esercizio della funzione pubblica esercitata dagli organi di governo dell’ente [13], e da questa titolarità del diritto “muneris causa”, discende pertanto l’assenza dell’onere della motivazione da parte del consigliere comunale [14].

Su queste basi prospettiche viene stabilito che non è necessario dare ulteriori dimostrazioni circa l’interesse ad ottenere la documentazione, essendo sufficiente la mera circostanza che la richiesta provenga dal consigliere comunale che intenda utilizzarla per espletare il proprio mandato, disegnando un “diritto soggettivo pubblico che è espressione del principio democratico dell’autonomia locale e della rappresentanza esponenziale della collettività dalla quale riceve legittimazione e pieno mandato e, in quanto tale, è direttamente funzionale non tanto ad un interesse personale del consigliere comunale o provinciale, quanto alla cura di un interesse pubblico selettivamente assunto [15].

Si ricava da queste prime osservazione che l’ampia latitudine oggettiva dell’articolo 43, comma 2, del D.Lgs. n. 267/2000, e la specificità del titolo abilitante dei consiglieri all’esercizio del diritto di accesso rispetto a quello generale di cui all’articolo 22, comma 1, lett. b) della legge n. 241 del 1990 non consentono di apporre alla predetta facoltà conoscitiva - informativa limitazioni che non siano espressamente contemplate dalla pertinente disciplina legislativa [16], né possibilità di vedersi opporre esigenze di tutela della riservatezza dei terzi, essendo, nei casi specificamente previsti dalla legge, i consiglieri comunali tenuti al segreto [17].

Accanto a queste soluzioni estensive ed evolutive, non può nemmeno ritenersi legittimo il diniego dell’accesso nella forma della riproduzione fotostatica motivato dall’ingiustificato aggravio che costituirebbe tale attività riproduttiva sulla normale organizzazione amministrativa essendo obbligo istituzionale dell’amministrazione di acquisire un apparato burocratico e tecnico in grado di soddisfare gli adempimenti di propria competenza, al punto da ritenere che la notevole mole della documentazione da consegnare può, nel caso, giustificare la disseminazione nel tempo del rilascio delle copie richieste, anche attraverso la predisposizione di orari per accedere agli atti (e agli uffici), e tali limitazioni devono essere comunque proporzionate alle esigenze di servizio per non discriminare o sovvertire la funzione pubblica esercitata dal consigliere comunale e provinciale [18].

È anche ammissibile l’imposizione, in talune circostanze, dell’utilizzo di supporti informatici da parte dell’Amministrazione comunale al fine di sovvenire alle richieste di accesso da parte dei consiglieri comunali e tale forma di accesso non si configura quale oggettivo ostacolo - sia sotto il profilo degli adempimenti materiali richiesti agli aventi titolo all’accesso medesimo, sia sotto il profilo dei costi ad essi addossati compatibili con l’esercizio del diritto [19].

Alla luce di tutte queste considerazione prospettiche, i giudici del T.A.R. Sardegna con la sentenza 12 gennaio 2007, n.29 vanno oltre, statuendo che i consiglieri comunali debbano rispettare il limite di carattere generale - valido per qualsiasi richiesta di accesso gli atti - della non genericità della richiesta medesima [20] pur in presenza di una norma regolamentare che non si allinea con tale pronunciamento, dovendo conseguentemente disapplicare la fonte secondaria nella parte in cui contrasta con la norma legislativa, nel caso di specie, è rappresentata dall’articolo 43, comma II, del D.Lgs. n.267 del 18 agosto 2000, statuendo nel merito la piena legittimità del diniego di atti (copia di tutte le ordinanze sindacali e le determinazioni dei responsabili di settore) in presenza di una richiesta affetta da palese genericità, essendo onere dei Consiglieri comunali interessati di avanzare richieste di accesso circostanziate e specifiche.

Tuttavia, il Tribunale trova una soluzione all’indeterminatezza dell’istanza atteso che il consigliere comunale non debba (o non possa) necessariamente “indicare gli estremi o il contenuto specifico dei documenti richiesti, elementi che può ovviamente non conoscere, essendo sufficiente - al fine di evitare la genericità della richiesta di accesso - il riferimento ad una determinata e specifica questione oggetto dell'attività amministrativa del Comune”.

Così facendo, spiega il Collegio giudicante, viene individuato e specificato il corpo della richiesta di accesso con riguardo ad una specifica pratica amministrativa del Comune, senza che sia necessario indicare gli estremi dei documenti o conoscere il contenuto degli stessi, riscontrando l’obbligatorietà della p.a. di un facere finalizzato alla ricerca delle informazioni utili ed evitare che la genericità dell’istanza possa precludere il rilascio della documentazione alla quale il consigliere è interessato, per cui risulta sufficientemente circostanziata e specificata la questione sostanziale in ordine alla quale si avanza la richiesta di accesso alla relativa documentazione ove sia possibile individuare un argomento o contenuto, pur nella indeterminatezza puntuale degli atti.

A margine viene confermato che il rilascio della documentazione richiesta comporta la consegna di copia integrale della documentazione - senza cancellazioni di sorta - posto che i consiglieri comunali sono comunque tenuti al segreto, ai sensi dell’art. 43, secondo comma, del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, e per tali motivi possono prendere visione del protocollo generale e di quello riservato del Sindaco, qualora in sua dotazione senza alcun esclusione di oggetti e notizie riservate e di materie coperte da segreto [21].

 

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(*) Direttore – Segretario Generale del Comune di Vigonza

[1] Infatti, una caratteristica della libertà, nella concezione aristotelica della democrazia, consiste nell’uguaglianza di potere godere della libertà secondo il numero e non secondo il merito, con la conseguenza “che la folla sarà sovrana e che fine della città e giusto sarà quello che sarà parso ai più”, confidando che ogni cittadino deve avere quanto qualsiasi altro secondo una definizione che rifiuta l’autorità che non contribuisce alla realizzazione della libertà come uguaglianza, ARISTOTELE, La politica, Bari, 1979, pag. 107.

[2] TULUMELLO, Brevi note sulla attuale disciplina dell’accesso agli atti amministrativi, in www.giustamm.it., 2006, n. 9.

[3] Cons. Stato, sez. IV, 2 ottobre 2006, n. 5752.

[4] TESSARO, Diritto di accesso: una nuova puntata della telenovela sulla natura, La Gazzetta degli Enti Locali, 9 maggio 2006.

[6] Cons. Stato, Adunanza Plenaria, 18 aprile 2006, n. 6.

[7] Cfr. T.A.R. Lazio, sez. I quater, 11 ottobre 2004, n. 10675.

[8] Cfr. Corte Cost., 17 marzo 2006, n .104.

[9] Vedi, il comma secondo, dell’articolo 2, del D.P.R. 12 aprile 2006, n. 184 che recita: “la pubblica amministrazione non è tenuta ad elaborare dati in suo possesso al fine di soddisfare le richieste di accesso”.

[10] Cons., Stato, sez. V, 20 ottobre 2005, n. 5879.

[11] T.A.R. Sardegna, sez. II, 12 gennaio 2007, n. 29.

[12] Cons. Stato, sez. IV, 21 agosto 2006, n. 4855.

[13] T.A.R. Piemonte, sez. II, 4 ottobre 2006, n. 3324.

[14] Cons. Stato, sez. V, 2 aprile 2001, n. 1893 e 13 novembre 2002, n. 6293.

[15] Cons., Stato, sez. V, 20 ottobre 2005, n. 5879. Vedi, T.A.R. Campania - Salerno, sez. II, 7 novembre 2006, n. 1961 per gli atti in itinere.

[16] T.A.R. Campania - Salerno, sez. II, 7 novembre 2006, n. 1961.

[17] T.A.R. Sardegna, 29 aprile 2003, n. 495.

[18] T.A.R. Veneto, Ord., 27 ottobre 2004, n. 2754; T.A.R. Lombardia - Brescia, 1 marzo 2004 n. 163; Cons. Stato, sez. V, 13 novembre 2002, n. 6293.

[19] T.A.R. Veneto, sez. I, 23 novembre 2006, n. 3897.

[20] Cfr. Cons. Stato, sez. V, 2 settembre 2005, n .4471 e 13 novembre 2002, n. 6293.

[21] Cfr. T.A.R. Piemonte, sez. II, 4 ottobre 2006, n. 3324.


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