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Articoli e note

n. 5/2006 - © copyright

FABRIZIO DI BELLA*

La gestione delle risorse pubbliche:
aspetti problematici e tecniche di controllo

SOMMARIO: La spesa pubblica - Gli aspetti problematici - Le decisioni di spesa pubblica e l’influenza delle lobbies - L’azione amministrativa ed i controlli ad essa dedicati - La vigilanza sui processi di spesa funzionali alla realizzazione di grandi opere pubbliche - L’Alto Commissario per la prevenzione ed il contrasto della corruzione e delle altre forme di illecito all’interno della pubblica Amministrazione - Conclusioni

La spesa pubblica

1.  La spesa pubblica può essere definita come l’insieme delle risorse impiegate dalla pubblica Amministrazione per il conseguimento dei propri obiettivi. Essa rappresenta un aspetto dell’attività finanziaria dello Stato e degli enti pubblici in genere, cioè un aspetto di quella complessa ed articolata attività posta in essere dalle pubbliche Istituzioni e diretta alla produzione di beni e servizi destinati al soddisfacimento dei bisogni pubblici, delle esigenze riferibili all’intera collettività, in una prospettiva tendente ad assicurare un adeguato sviluppo all’economia nazionale ovvero, in certi periodi, a garantire semplicemente la stabilità del reddito nazionale nonché a realizzare una certa redistribuzione dei redditi e a comporre e/o prevenire l’insorgere di conflitti sociali. In ciò consiste la finanza pubblica.

Tali finalità sono realizzate soprattutto attraverso la gestione del bilancio (rectius dei bilanci) pubblico, gestione che si manifesta proprio attraverso la spendita delle risorse finanziarie pubbliche. Tali risorse, per lo più, sono acquisite attraverso i meccanismi coercitivi del prelievo fiscale. Emerge così il secondo fondamentale aspetto dell’attività finanziaria pubblica, quello relativo al reperimento delle risorse destinate ad alimentare il bilancio pubblico. In estrema sintesi, l’attività finanziaria pubblica si sostanzia nella sottrazione di una parte del reddito nazionale all’economia di mercato. Le risorse così acquisite sono quindi destinate alla produzione di beni e servizi (oltre che alle altre finalità pubbliche di cui si è detto) non secondo libere scelte individuali ma secondo scelte politiche, scelte maturate nell’ambito di istituzionali processi di decisione pubblica.

2.  L’attività finanziaria pubblica, dunque, si configura come una particolare specie di attività economica, ossia come lo sviluppo di una complessa relazione tra una pluralità di esigenze ed una limitata disponibilità di risorse impiegabili alternativamente.

L’attività economica, infatti, presuppone il concorso di tre fondamentali condizioni: 1) una pluralità di bisogni e di scopi ai quali si tende, ordinabili in base alla loro intensità ed al senso di impellenza avvertito da chi ne è portatore; 2) la disponibilità limitata di mezzi idonei al soddisfacimento di quei bisogni, quindi insufficiente per conseguire tutti gli scopi immaginati; 3) la possibilità di impiegare alternativamente le risorse a disposizione, nel senso che queste potrebbero essere, potenzialmente, utilizzate per il soddisfacimento di più bisogni, ma una volta consumate per uno non ne rimangono per gli altri.

Ricorrendo tali condizioni, l’individuo pone in essere un’attività, logica prima ancora che fisica, che si fonda su un problematico ragionamento tendente alla scelta delle esigenze da soddisfare prioritariamente utilizzando le limitate risorse a disposizione, un ragionamento la cui conclusione è rappresentata dalla parziale composizione di due prospettive contrastanti, quella dei molti bisogni e quella dei pochi mezzi. Ciò costituisce la profonda essenza dell’attività economica degli individui.

L’attività finanziaria pubblica non si discosta molto da questo schema. Il principio di fondo è lo stesso: le pubbliche Istituzioni, ed in primo luogo lo Stato, non possono rispondere a tutte le esigenze espresse dalla collettività, essendo limitate le risorse (per lo più, come si è detto, ottenute mediante il prelievo fiscale) che alimentano il bilancio pubblico. Anche per esse, dunque, si pone il problema della scelta, cioè la necessità di ordinare in una scala di priorità i bisogni e le necessità da soddisfare.

Tuttavia la finanza pubblica assume una particolare connotazione, dovuta al fatto che il fenomeno finanziario si svolge sulla base di premesse non comuni all’attività economica privata. Il contesto in cui si realizza il fenomeno finanziario, infatti, è quello tipico dei rapporti politici: l’ambito di attività è quello proprio dell’Istituzione pubblica ed i processi decisionali come le tecniche di azione, tanto nella fase del prelievo quanto in quella della spesa, si basano sulla coazione, indefettibile complemento di tutti i meccanismi di decisione collettiva. Non è il singolo individuo che sceglie per sé stesso, rimanendo egli unico giudice delle proprie decisioni, ma, come già detto, è il decisore politico che sceglie ed impone le proprie decisioni alla collettività. Questi concetti sono magistralmente espressi da Cosciani [1] che, definendo “assetto” il complesso delle condizioni entro cui i soggetti agiscono nello svolgimento della loro attività economica e che determinano la natura dei rapporti che ne derivano, distingue due diversi tipi di assetti: quelli volontari, di natura contrattuale, nel contesto dei quali nessuno impone le proprie scelte agli altri e le stesse scelte sono condizionate solo da elementi dati dal mercato (distribuzione del reddito, prezzo dei beni, etc...) e quelli politici, di natura coercitiva. È nell’ambito di questi ultimi che si colloca l’attività finanziaria pubblica che, in uno stato democratico, tende comunque a produrre il massimo delle utilità possibili a favore dell’intera collettività.

La finanza pubblica è dunque un fenomeno molto complesso, rilevante almeno in quattro prospettive, quattro diversi punti di vista. In primo luogo vengono in considerazione i meccanismi di decisione pubblica e le dinamiche politico-sociali ad essi sottese. È in questo contesto di studio ed analisi che vengono messe in luce le forze politiche, i poteri, le classi dominanti che in un certo momento storico emergono e che, nell’ambito dell’ordinamento istituzionale, hanno la possibilità di deliberare le scelte finanziarie, cioè gli obiettivi da perseguire, la loro priorità, le risorse da destinare allo scopo e le modalità per il loro reperimento, decidendo quindi il volume ed il tipo delle entrate e delle spese pubbliche. Questo aspetto viene approfondito dalla politica economico-finanziaria e dalla sociologia.

La seconda prospettiva si riferisce all’aspetto giuridico della finanza pubblica. Esso riguarda il momento in cui le scelte pubbliche vengono tradotte in norme giuridiche ed in tal modo imposte a coloro che sono chiamati ad alimentare il bilancio pubblico con i necessari apporti finanziari. Il complesso di tali norme, ossia il sistema giuridico del prelievo delle risorse finanziarie e della gestione del bilancio pubblico, costituisce il diritto finanziario.

Il terzo punto di vista concerne l’aspetto economico-sociale della finanza pubblica.

In quest’ambito si studiano gli effetti delle scelte di politica finanziaria. Di ciò si occupa l’economia finanziaria[2]. Bisogna poi tener conto di un ulteriore ambito di attività: quello concernente l’azione amministrativa, ossia il concreto svolgimento dell’attività di spesa delle pubbliche Amministrazioni, attività attraverso cui si concretizzano gli obiettivi di finanza pubblica. Sull’atteggiamento della burocrazia e sulle conseguenti influenze che condizionano i processi di finanza pubblica, peraltro, esistono ormai numerosi studi [3].

Le considerazioni che precedono, nonostante l’accentuata semplificazione alla quale abbiamo fatto ricorso, riteniamo siano sufficienti a permettere l’ulteriore sviluppo di questo lavoro [4].

Gli aspetti problematici

3. Mantenendoci entro l’alveo segnato dal tema in discussione, limiteremo la nostra attenzione ai processi di decisione politica ed ai meccanismi burocatico-amministrativi di gestione della spesa pubblica, ossia al primo ed all’ultimo dei momenti sopra individuati. È in tali contesti, infatti, che possono annidarsi vizi tali da alterare il fisiologico svolgimento dei processi di spesa, spesso in maniera tanto grave da limitare (o impedire del tutto) lo sviluppo sociale da essi dipendente [5].

Le premesse sono analoghe a quelle che caratterizzano gli studi riconducibili alla Public Choice School, un’importante scuola economica di impostazione liberista che, impegnandosi nella ricerca dei veri interessi che sono all’origine del comportamento degli attori pubblici in campo economico, focalizza la propria attenzione sui processi decisionali e sul modo d’agire della burocrazia. Non interessano in questa sede le valutazioni espresse da chi inaugurò questo filone di ricerche (James Buchanan e Gordon Tullock) e da chi successivamente ha seguito l’orientamento della scuola, dalla quale proviene la maggior parte dei più agguerriti critici della spesa pubblica e, in generale, dell’intervento pubblico in campo economico. Quel che interessa è evidenziare le aberrazioni che effettivamente possono deteriorare i processi di spesa ed analizzare gli strumenti ulteriori, rispetto a quelli tradizionalmente utilizzati per il controllo della gestione delle risorse pubbliche, istituiti dal decisore politico al fine di permettere una più efficace attività di prevenzione (prima che di repressione) dei fenomeni distorsivi.

L’analisi che segue si colloca nella prospettiva aperta da una fondamentale considerazione, quella per cui gran parte delle anomalie dei processi di spesa sono agevolate da un alterno gioco di “asimmetrie informative”, intendendo con ciò quelle situazioni in cui ciascuna delle parti in causa, decisori politici, operatori della pubblica Amministrazione, contribuenti e fruitori di risorse pubbliche/elettori, gruppi di interesse, etc..., ha a disposizione informazioni incomplete e/o imperfette sulle altre parti. Ciò, da un lato, limita la capacità dei decisori politici e della pubblica Amministrazione di programmare e realizzare correttamente gli obiettivi di finanza pubblica e, dall’altro, ostacola la possibilità di un effettivo controllo sociale sulle scelte e sui comportamenti degli operatori pubblici, quindi impedisce (o comunque contrasta) la fluidità di quel processo circolare di controlli che rappresenta un elemento essenziale per il consolidamento e lo sviluppo della società in un contesto di sana democrazia [6]. Tali asimmetrie informative favoriscono le possibilità dell’agire illecito o, comunque, dell’agire in maniera non coerente rispetto all’interesse pubblico generale ovvero rispetto a quei particolari interessi pubblici specificamente affidati alle cure dell’amministrazione agente, determinando in ogni caso una perdita in termini di utilità collettiva in rapporto alle risorse consumate. Ci riferiamo a tutte quelle situazioni in cui gli operatori pubblici, sia a livello di processo decisionale che di amministrazione attiva, sono condizionati dall’esistenza di particolari interessi personali. Si pensi all’influenza esercitata dai vari gruppi di pressione che possono orientare le scelte politiche verso obiettivi diversi da quelli che discenderebbero, logicamente, da premesse di carattere meramente economico [7]; avendo poi riguardo all’attività della pubblica Amministrazione ed analizzando i comportamenti burocratici, vengono in considerazione gli ulteriori “giochi di reciprocità” che possono viziare il rapporto di agenzia esistente tra decisore politico e burocrazia pubblica, dando quindi luogo ad un assieme di condotte opportunistiche collusive che si risolvono, sostanzialmente, nel vicendevole scambio di favori tra politici, burocrati e fornitori dell’economia pubblica [8].

4. Le implicazioni connesse alle considerazioni che precedono suggeriscono di focalizzare su di esse l’attenzione.

Esiste infatti un evidente rapporto di dipendenza tra lo stato della popolazione ed il sistema finanziario pubblico, tra società e spesa pubblica. Cioè la situazione di una parte più o meno grande della popolazione è legata al modo d’essere ed alla funzionalità del sistema finanziario pubblico. Il fenomeno finanziario pubblico, con i suoi caratteri e la sua dimensione, rappresenta uno degli aspetti della società. Ed i diversi aspetti della società sono indissolubilmente legati tra loro, in un rapporto di reciproca dipendenza [9].

L’intervento pubblico, a prescindere, come già detto, dalle ricostruzioni dommatiche che tendono a giustificare (o a criticare) l’impegno dello Stato in campo economico, assume di fatto un ruolo notevole in funzione del benessere sociale e della sicurezza collettiva. Anche dal modo d’essere e, quel che più interessa in questa sede, dal regolare funzionamento del sistema finanziario pubblico dipendono la stabilità e l’ordinato sviluppo della società. In questa prospettiva non è fuori luogo evidenziare che, per un complesso di ragioni, di carattere tecnico-economico e sociologico, l’incidenza della spesa pubblica rispetto al PIL è notevolmente aumentata dal dopoguerra ad oggi fino a superare la soglia del 55% intorno alla metà degli anni ’90, con una tendenza al contenimento registrata successivamente e che si è mantenuta in questi ultimi anni; anche se, è opportuno puntualizzare, il fenomeno della progressione della spesa pubblica in parte è solo apparente, cioè dipendente da cause che non hanno modificato il rapporto tra la dimensione dell’attività finanziaria pubblica e quella del sistema economico privato (si pensi ai condizionamenti dovuti alla diminuzione di valore della moneta od all’aumento della popolazione).

In ogni caso la misura dei valori in discussione è molto grande e fa comprendere facilmente quale sia l’effettiva rilevanza del fenomeno finanziario nel nostro contesto sociale e quanto gravi possano essere, per la stessa società, le distorsioni che si determinano in sede di concreta utilizzazione delle risorse finanziarie pubbliche.

Le manipolazioni dell’economia pubblica, con particolare riguardo a quelle che viziano i processi di spesa, possono dar luogo ad un consumo di risorse pubbliche di fatto non destinato al benessere sociale bensì al soddisfacimento di interessi privati. Esse, inoltre, alimentano la sfiducia dei cittadini verso le Istituzioni (quindi perdono credibilità tutti coloro che le rappresentano). Tutto ciò frustra e debilita anche le più oneste e tenaci risorse umane che operano all’interno del sistema burocratico-amministrativo, con un inevitabile abbattimento dei livelli di professionalità.

Quanto più ampia è la dimensione dei fenomeni sopra descritti tanto più grave sarà il danno per la collettività. Con una rapida e difficilmente controllabile moltiplicazione delle conseguenze negative, rispetto ai fondamentali valori della stabilità e della sicurezza della società, che si sviluppa in tutti quei casi in cui la deviazione del processo di spesa dalla sua originaria e naturale funzione, orientata al benessere sociale, si risolve a vantaggio di consorterie criminali organizzate. Queste, riuscendo ad ingerirsi nei meccanismi di decisione e gestione della spesa pubblica, acquisiscono per tale via le risorse economico-finanziarie che sono necessarie al loro consolidamento e sviluppo, potenziano quindi la loro capacità operativa ed ampliano il loro ambito di attività, con ulteriore danno per la società civile. È noto, infatti, che la criminalità organizzata è da tempo impegnata a rinnovare i propri schemi operativi proprio in una prospettiva tendente a perfezionare le strategie di inserimento nei processi di spesa pubblica, al fine di creare comodi meccanismi per il riciclaggio delle disponibilità finanziarie provenienti da altre attività illecite e, al tempo stesso, per “intercettare” le risorse economiche destinate alla realizzazione di opere pubbliche o, in generale, alla gestione dei contratti posti in essere dalle pubbliche amministrazioni [10].

I momenti di criticità che possono compromettere la regolare funzionalità dei processi di spesa pubblica, dunque, sono quanto mai vari e diversi.

Le decisioni di spesa pubblica e l’influenza delle lobbies

5.  In una società democratica è fisiologico che esistano gruppi che si preoccupano di promuovere specifici interessi, di diversa natura (da quelli di alto valore morale o sociale a quelli egoistici di mera convenienza), ad essi riferibili. Tali gruppi, appositamente organizzati ed attrezzati per il conseguimento dei propri obiettivi, assumono la più precisa connotazione di gruppi di pressione quando, raggiunto un significativo livello di influenza, possono agire efficacemente a livello istituzionale per ottenere sostegni di vario genere, ponendo in essere attività rivolte ad orientare a loro favore le decisioni pubbliche ovvero gli atteggiamenti dei burocrati. I gruppi di interesse ed i gruppi di pressione rappresentano l’universo delle lobbies[11], espressione, questa, di origine anglosassone (da lobby, ossia corridoio o anticamera, con specifico riferimento ai passaggi ed agli spazi attigui alle aule parlamentari) con cui vengono appunto definiti i singoli individui o i gruppi di persone incaricati da varie associazioni o strutture per mantenere i contatti con le pubbliche istituzioni al fine di realizzare e/o difendere gli interessi dei loro mandanti.

L’area sulla quale le lobbies puntano la propria attenzione, dunque, è quella in cui hanno origine, maturano e si concretizzano le decisioni pubbliche, ossia l’area dei soggetti cui l’Ordinamento riconosce la facoltà (e la responsabilità) di deliberare ed operare le scelte pubbliche, di decidere il conseguimento di un fine o l’impiego di un mezzo in luogo di un altro.

Nell’ambito degli studi economici la letteratura relativa ai gruppi di interesse o di pressione segue, approssimativamente, tre indirizzi, quello ottimistico, che attribuisce ai gruppi di interesse un ruolo di “naturale” complemento rispetto ai tradizionali meccanismi di politica democratica; quello realistico, che descrive gli squilibri che possono emergere in sede di “concorrenza” tra i diversi gruppi di interesse; e quello pessimistico, riconducibile agli studi delle public choise, che riconosce all’azione dei gruppi di interesse un valore sostanzialmente negativo[12].

Prescindendo dai giudizi (o pregiudizi) di valore espressi dalle diverse dottrine economico-sociali sull’attività svolta dalle lobbies, la nostra attenzione deve esser posta sull’aspetto problematico di fondo, che si individua in tutti quei casi in cui i gruppi di pressione riescono a manipolare la pubblica attività (ovvero hanno la possibilità farlo), in modo da distorcere le scelte politiche o l’azione della pubblica Amministrazione al fine di ottenere il conseguimento di indebite situazioni di vantaggio.

L’attività dei gruppi di pressione, infatti, dà vita ad un contesto in cui è concreto il rischio che si creino situazioni di “illecito mercato”. E l’area in cui lobbying e corruzione si intersecano pericolosamente è proprio quella relativa agli interventi di economia pubblica [13]. Evidenza, questa, che appare ancor più preoccupante ove si consideri che le lobbies non operano solo a livello europeo (dove il fenomeno risulta specificamente caratterizzato dalla complessità delle procedure decisionali ed i maggiori lobbisti sono gli stessi Stati membri) e nazionale, ma anche a livello regionale e locale, ambiti in cui, seguendo l’odierna logica del decentramento politico-amministrativo di impostazione federalista, si assommeranno sempre maggiori competenze e funzioni (dunque maggiori responsabilità nell’area della finanza pubblica) e dove, di contro, soprattutto nel Mezzogiorno d’Italia, è più elevato il rischio di rovinose ingerenze nell’attività pubblica da parte di agguerrite e ben organizzate associazioni criminali.

6.                 Il lobbying è, sostanzialmente, un’attività di comunicazione. Questo è l’aspetto essenziale che caratterizza i rapporti tra portatori di interessi privati (che possono essere anche diffusi e meritevoli di considerazione) e le Istituzioni pubbliche. È proprio attraverso la comunicazione, specificamente fornendo e ricevendo informazioni, che i gruppi di interesse agiscono ed esercitano la propria influenza.

Il possesso di informazioni, è noto, è fonte di potere, permettendo a chi lo ottiene di adeguare alle circostanze -e rendere quindi più incisiva- la propria azione. Talvolta il politico non dispone delle informazioni che servono al puntuale ed efficace svolgimento del proprio ruolo istituzionale (anche al fine di prevalere sugli altri decisori), egli stesso tende quindi a ricercarle sollecitando a tal fine i soggetti che rappresentano gli interessi in quel momento in discussione, in quanto depositari di specifiche conoscenze su argomenti particolari. I portatori di interessi, di contro, hanno bisogno di informazioni, specialmente di quelle concernenti gli assetti e le dinamiche dei processi di decisione pubblica, per prevedere ed influenzare questi ultimi in modo coerente rispetto agli interessi rappresentati. Ciò li spinge al “contatto” diretto con le Istituzioni dove maturano le decisioni pubbliche, contatto che conduce, in linea di massima, all’attivazione di un rapporto privilegiato con chi opera nel loro ambito e/o le rappresenta.

Invero tale circostanza, di per sé, non può fondare alcun giudizio di valore. Non è detto, cioè, che gli organismi di interesse assumano sempre e comunque un ruolo negativamente distorsivo rispetto alle funzioni dell’economia pubblica. Si pensi, ad esempio, a quei casi in cui essi agiscono ponendo in essere una “sana” attività di intermediazione, fornendo informazioni, consulenze od altri contributi del genere al fine di far emergere e prospettare correttamente gli interessi dei propri rappresentati agli operatori politici ovvero agendo come forza controbilanciante, diretta a contrastare le pressioni distorsive esercitate a loro danno da altri organismi di interesse[14].

Resta comunque il rischio di un possibile conflitto tra l’interesse di parte e quello generale, ancorché gli interessi perseguiti attraverso attività di lobbying siano leciti.

Da non sottovalutare, poi, è l’ipotesi che le pressioni delle lobbies determinino occulti condizionamenti, anche indiretti, nei confronti dei parlamentari, tanto da indurli a sostenere (o criticare) un provvedimento non per libero convincimento ma per non scontentare fasce, anche consistenti, d’elettorato (riferibili a loro direttamente o, più in generale, all’organizzazione politica che ha espresso e sostenuto la loro candidatura), in violazione di un fondamentale principio democratico, quello del divieto di mandato imperativo, previsto dall’art. 67 della Costituzione[15].

Infine, come la storia dimostra, è concreto ed elevato il rischio che, in mancanza di qualsiasi regolamentazione e controllo, il fenomeno possa degenerare aprendo prospettive di illegalità.

7.                 Tali ragioni rendono opportuno disciplinare l’attività di rappresentanza e sostegno di interessi particolari presso le pubbliche istituzioni al fine di renderla trasparente e chiara. Ciò, peraltro, è diffusamente sostenuto dagli stessi soggetti che professionalmente svolgono tale attività e che ritengono sia utile rendere visibile la propria azione [16].

L’asimmetria informativa che è possibile rilevare osservando i fenomeni di cui si tratta è tutta sbilanciata in danno della collettività, che, invece, dovrebbe poter sempre verificare se gli interessi settoriali rappresentati dagli organismi di pressione vengano soddisfatti (o comunque presi in buona considerazione) dal decisore politico a scapito dell’interesse generale o di interessi maggiormente diffusi, specialmente, ripetiamo ancora, quando si tratta di interventi politici di natura finanziaria. Solo un efficace sistema di controllo pubblico potrà contenere l’ampiezza di quel difetto informativo e mantenere il fenomeno entro i confini segnati dai principi della democrazia in una prospettiva tendente, in ultima analisi, a collocare effettivamente il cittadino al centro della vita pubblica.

Sul punto, è opportuno ricordare, non sono mancate le iniziative della nostra classe politica (le prime risalgono alla IX legislatura) e la Regione Toscana, in particolare, si è già dotata di uno specifico strumento legislativo [17].

In questo contesto, con specifico riguardo alle iniziative parlamentari, si inserisce il testo normativo messo a punto nel corso della XIII legislatura (ma non divenuto legge) dalla Commissione speciale istituita presso la Camera dei Deputati per l’esame dei progetti di legge recanti misure per la prevenzione e la repressione dei fenomeni di corruzione. L’ipotesi legislativa di cui si tratta, infatti, ha rappresentato la sintesi di numerose proposte di legge formulate da diversi deputati, tra il 9 maggio ed il 31 ottobre 1996 (sulla base della responsabile e diffusa preoccupazione originata dalle vicende note come “tangentopoli”), anche al fine di regolare “l’attività di relazione, per fini non istituzionali o di interesse generale, svolta nel confronti dei membri delle assemblee legislative e dei responsabili degli organismi amministrativi”.

Pur condividendo l’atteggiamento critico di chi non ritiene sia stato idealmente corretto collocare la disciplina dell’attività di lobbying all’interno di un articolato normativo destinato, sostanzialmente, a contrastare la corruzione politico-amministrativa[18], valutiamo positivamente l’impostazione che ha caratterizzato quell’intervento legislativo nella parte che ci interessa.

L’impianto normativo proposto dalla Commissione si basava, essenzialmente, su due punti: la regolamentazione ed il controllo delle attività di lobbying.

La regolamentazione è fondamentale in quanto, pur non potendo, da sola, impedire il mantenimento di relazioni occulte o l’apertura di nuovi fronti di influenza informale e riservata[19], indica la via della trasparenza e permette la conoscibilità delle attività, facendo quindi da spartiacque tra le iniziative coerenti con la logica dell’evidenza e le azioni che, al contrario, non si adeguano a tale impostazione e che, per ciò stesso, devono essere osservate e controllate con particolare attenzione.

Nella prospettiva del controllo il testo licenziato dalla Commissione prevedeva l’istituzione di un’autorità indipendente ed autonoma dal potere esecutivo e dagli altri poteri dello Stato, nominata “Garante della legalità e della trasparenza dell’attività della pubblica amministrazione”. Ad essa, con specifico riferimento alla disciplina dell’attività di lobbying, il progetto di legge attribuiva poteri sanzionatori nei confronti dei soggetti privati che avessero disatteso le prescrizioni volte a garantire la conoscibilità delle iniziative di influenza nei confronti dei parlamentari e dei pubblici amministratori (veniva quindi considerata, per quanto riguarda la parte pubblica, sia l’attività legislativa che quella amministrativa).

Per la verifica dei comportamenti posti in essere dai soggetti pubblici, compresi i parlamentari, il Garante avrebbe avuto a disposizione ampi ed incisivi poteri diretti ad “acquisire tutte le notizie e gli elementi utili per la composizione di un quadro informativo quanto più ampio possibile [20], in modo da poter svolgere, su tale base, un’ efficace azione di vigilanza e controllo al fine di garantire trasparenza e correttezza all’azione di ogni pubblica istituzione.

Compito principale del Garante, come risulta dal lavoro di sintesi svolto dalla speciale Commissione parlamentare, doveva essere proprio quello di raccogliere ed elaborare dati ed informazioni sul corretto esercizio delle pubbliche funzioni, in modo da far emergere specifici elementi “sintomatici”, sia oggettivi che soggettivi (questi ultimi rinvenibili soprattutto attraverso verifiche ed analisi di natura economico-patrimoniale), di fenomeni distorsivi e di accertare quindi l’effettiva esistenza di fattispecie illecite. L’attività del Garante, poi, si sarebbe dovuta svolgere anche in una diversa direzione, ossia al fine di suggerire al decisore politico le più idonee misure da adottare per la prevenzione dei fenomeni devianti e per garantire la piena conoscibilità delle pubbliche attività.

Tuttavia, come già riferito, il progetto non è divenuto legge e le più recenti iniziative portate all’attenzione delle assemblee parlamentari seguono un’impostazione parzialmente diversa, impostazione che qualcuno definisce “minimalista” poiché interviene semplicemente sull’aspetto riguardante la registrazione, su dichiarazione, delle attività[21]. Va detto comunque che tali iniziative attribuiscono la giusta rilevanza alla possibilità che le azioni di lobbying siano mirate non solo alle attività parlamentari ma anche alla funzione di governo come all’attività amministrativa ed evidenziano la necessità che le Regioni disciplinino con proprie leggi il fenomeno anche rispetto alle attività politico-amministrative di competenza dei minori enti territoriali [22].

L’azione amministrativa ed i controlli ad essa dedicati.

8.                 Quando si parla di azione amministrativa, ed in particolare di amministrazione attiva, si fa riferimento a quelle attività mediante cui la pubblica Amministrazione agisce operativamente in vista della concreta realizzazione degli interessi pubblici[23].

Tale attività, che come si è inizialmente detto implica il consumo di risorse pubbliche, è ordinariamente soggetta a controllo.

Attraverso le puntualizzazioni che seguono cercheremo di rappresentare, sia pur sommariamente, il sistema dei controlli sull’azione amministrativa in modo da ricostruire un quadro complessivo sufficientemente completo ed in base al quale proporre alcune considerazioni conclusive.

Al termine controllo, che sostanzialmente indica il riesame di un atto ovvero di un’attività considerata nel suo complesso, può essere attribuito un duplice significato, in quanto ben rappresenta due concetti che esprimono differenti funzioni: una di verifica e l’altra di direzione.

Nella prima accezione, inteso quindi come controllo-verifica, il termine è di derivazione francese (da contròle, forma contratta di contre-ròle, una specie di registro a madre e figlia) e viene utilizzato per indicare la verifica della conformità di un atto a regole predeterminate. In questo caso il controllo è costituito da due elementi giudizio (di conformità o meno alla regola) e misura (esito del giudizio).

Nel secondo significato, collegato ad una funzione di direzione, il termine è di derivazione inglese (control) e viene comunemente utilizzato come sinonimo di governo, indirizzo, conduzione, guida, gestione, etc... . È proprio in questo senso che il termine viene utilizzato nell’espressione controllo di gestione, per esprimere l’idea di un controllo la cui finalità non è solo quella di verificare la regolarità di un atto ma anche quella di fornire alla funzione che corrisponde alla “direzione” di una gestione un efficace strumento per intervenire sui momenti critici di quest’ultima ed adottare le necessarie misure correttive per il continuo miglioramento del sistema gestito, sia in termini di efficacia che di efficienza ed economicità[24].

9.                 Sino alla fine degli anni ’80 i controlli amministrativi riguardavano per lo più gli atti e rientravano nello schema del controllo-verifica. Essi erano affidati alla Corte dei conti (sugli atti delle amministrazioni dello Stato e di quattro Regioni ad autonomia speciale: Sicilia, Sardegna, Trentino A.A. e Friuli V.G.), alle Commissioni statali di controllo sulle amministrazioni regionali (sugli atti delle Regioni a statuto ordinario e della Regione Val d’Aosta) nonché ai Comitati regionali di controllo (sugli atti delle Province, dei Comuni e degli altri enti locali, con specifiche peculiarità nelle Regioni dotate di speciale autonomia). In ogni caso la logica su cui si fondava il sistema era quella del controllo preventivo di legittimità esercitato da un organo esterno rispetto all’amministrazione agente ed esteso, praticamente, a tutti gli atti prodotti da quest’ultima. L’esito positivo del controllo preventivo di legittimità, il “visto”, era condizione di efficacia dell’atto. Il controllo di legittimità talvolta era previsto soltanto in via successiva ed erano sempre eccezionali i casi in cui l’attività di controllo poteva estendersi ai profili di opportunità, ossia al merito dell’atto.

10.            A partire dai primi anni ’90 il sistema dei controlli amministrativi ha subito profonde modificazioni introdotte da una serie continua di interventi legislativi, alcuni di rango costituzionale. Tali interventi sono stati determinati da una diffusa volontà politica tendente al pieno decentramento politico-amministrativo ed alla più ampia valorizzazione dell’autonomia delle Regioni e degli enti locali nonché dalla ferma convinzione che fosse ormai assolutamente necessario passare da un’amministrazione formale, impostata (e valutata) su parametri di mera legalità ad un’amministrazione di risultati, cioè funzionale all’effettiva soddisfazione degli interessi della collettività e valutabile per ciò che produce rispetto ai bisogni dei cittadini, delle famiglie, delle imprese e, in generale, della società al cui servizio è chiamata ad operare[25].

Con quegli interventi normativi è stata formalizzata la crisi del sistema di verifica basato sulla generalizzazione dei controlli preventivi di legittimità sugli atti della pubblica Amministrazione.

La ristrutturazione del sistema dei controlli amministrativi è stata impostata privilegiando (o semplicemente meglio considerando) il modello del controllo-direzione.

La funzione di controllo sulle pubbliche attività, infatti, è oggi prevalentemente orientata sugli aspetti gestionali (piuttosto che sulla verifica dei singoli atti prodotti da ogni Amministrazione), in una prospettiva tendente a rilevare e valutare l’efficienza, l’economicità e l’efficacia dei processi nonché il corretto funzionamento di ciascuna organizzazione in termini di capacità di soddisfare effettivamente gli interessi pubblici specificamente affidati alle proprie cure. Si tratta di “...un tipo di controllo che ha ad oggetto non già i singoli atti amministrativi, ma l’attività amministrativa considerata nel suo concreto e complessivo svolgimento e che deve essere eseguito non già in rapporto a parametri di stretta legalità, ma in riferimento ai risultati effettivamente raggiunti collegati agli obiettivi programmati nelle leggi o nel bilancio, tenuto conto delle procedure e dei mezzi utilizzati per il loro raggiungimento[26].

I meccanismi di controllo, in altri termini, si sono evoluti al fine di permettere la valutazione dei risultati dell’azione amministrativa complessivamente intesa e rendere maggiormente responsabile (potremmo dire, utilizzando un’espressione di origine anglosassone che ben esprime questo concetto, accountable) la gestione delle risorse pubbliche. Nello stesso tempo, in base alla considerazione che conformità a legge non significa necessariamente soddisfacimento degli interessi della collettività né garanzia di oculatezza nella gestione delle risorse pubbliche, l’ambito dei controlli preventivi di legittimità sui singoli atti ha subito notevoli tagli. La stessa nozione di legittimità, intesa come conformità di un atto alle norme vigenti, ha assunto una diversa connotazione. Essa non rappresenta più un valore assoluto, per sé stesso rilevante, ma uno strumento di buona amministrazione, la via da seguire per la produzione di buoni risultati nell’interesse della collettività. In questo senso si parla di legalità sostanziale.

Efficacia (capacità di raggiungere gli obiettivi prefissati), efficienza (capacità di realizzare gli obiettivi assegnati con il minor consumo di risorse ovvero realizzare il miglior risultato con l’impiego delle risorse assegnate) ed economicità (capacità di acquisire ed utilizzare razionalmente le risorse umane e materiali necessarie all’esercizio della funzione assegnata) sono divenuti i criteri prevalenti per la valutazione dell’azione amministrativa.

Gli ordinari controlli sull’attività delle pubbliche Amministrazioni impostati su tale logica possono essere interni (affidati ad uffici od organi incardinati nella struttura che svolge compiti di amministrazione attiva) ovvero esterni (affidati ad istituzioni estranee all’Amministrazione agente).

11. Per quanto riguarda i controlli interni, la normativa di riferimento è dettata dal D. Lgs. 30 luglio 1999 n. 286, deliberato dal Governo -in base alla delega legislativa di cui all’art. 11 della legge 15 marzo 1997 n. 59- al fine del riordino e del potenziamento dei meccanismi e degli strumenti di monitoraggio e valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell’attività svolta dalle pubbliche Amministrazioni.

L’ambito dei controlli interni è articolato in quattro aree: 1) controllo di regolarità amministrativa e contabile; 2) controllo di gestione; 3) valutazione della dirigenza; 4) valutazione e controllo strategico.

L’impostazione normativa è perfettamente coerente con la nozione di controllo interno elaborata dall’INTOSAI (International Organization of Supreme Audit Institutions), l’Organizzazione internazionale delle Istituzioni superiori di controllo che comprende sia le Corti dei conti che le strutture di auditing degli ordinamenti anglosassoni, che definisce tal genere di controlli come l’insieme delle strutture, metodiche, procedure, politiche del personale ed altre misure idonee a garantire con ragionevole certezza il raggiungimento dei seguenti obiettivi generali:

-          svolgimento delle funzioni in modo regolare, economico, efficiente ed efficace e produzione di risultati e servizi di qualità compatibile con le finalità dell’organizzazione;

-          salvaguardia delle risorse contro scorrettezze gestionali, perdite, sprechi, abusi, errori, frodi ed irregolarità;

-          rispetto delle leggi, dei regolamenti e delle direttive;

-          sviluppo e mantenimento di un sistema di dati finanziari affidabili e corretta comunicazione degli stessi agli organi responsabili della gestione [27].

Con lo stesso significato, poi, l’espressione “controllo interno” viene adottata in ambito UE.

Il controllo interno si configura quindi come un sistema, un complesso di metodi e strumenti che la direzione di un’Amministrazione ha a disposizione per il governo di quest’ultima, per verificarne il corretto funzionamento, per controllare l’acquisizione e l’impiego delle risorse e per accertare il raggiungimento degli obiettivi.

Nell’ambito di tale sistema, il controllo di regolarità amministrativo-contabile (art. 1, 1° comma, lett. a) corrisponde agli obiettivi concernenti la salvaguardia delle risorse contro scorrettezze gestionali, il rispetto delle leggi nonché l’elaborazione e la tenuta di un sistema contabile affidabile. Le rimanenti tipologie di controllo interno, ossia il controllo di gestione, la valutazione della dirigenza e la valutazione ed il controllo strategico (art. 1, 1° comma, lett. b, c e d) corrispondono invece agli obiettivi riconducibili alla necessità che le funzioni amministrative si svolgano secondo i canoni dell’efficacia, dell’efficienza e dell’economicità ed in modo da permettere la produzione di risultati e servizi la cui qualità sia coerente con la mission che caratterizza l’Amministrazione governata.

12.            I controlli esterni sull’attività delle pubbliche Amministrazioni sono affidati in primo luogo, ai sensi delle norme di cui alla Legge 14/1/1994 n. 20, alla Corte dei conti, Istituzione che la nostra Costituzione pone in posizione di autonomia ed indipendenza rispetto agli altri Poteri dello Stato. Tali controlli hanno carattere successivo (salvo alcune precise eccezioni), ancorché siano svolti in corso d’esercizio. Essi possono riguardare la gestione del bilancio e del patrimonio delle Amministrazioni pubbliche (e degli enti finanziariamente sostenuti da queste ultime [28]) come le gestioni fuori bilancio e l’utilizzo dei fondi di provenienza comunitaria. In questa prospettiva la Corte dei conti verifica la legittimità e la regolarità delle gestioni nonché il funzionamento dei controlli interni a ciascuna Amministrazione ed accerta, anche in base all’esito di altri controlli, la corrispondenza dei risultati dell’attività amministrativa agli obiettivi stabiliti dalla legge, valutando comparativamente costi, modi e tempi dello svolgimento dell’azione amministrativa.

Al fine del generale coordinamento della finanza pubblica, con particolare riguardo all’esigenza del rispetto del patto di stabilità interno e dei vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea [29], la legge 5/6/2003 n. 131 (nota anche come legge La Loggia) ha confermato la necessità del controllo della Corte anche nei confronti delle Regioni e degli enti locali [30]. Le norme di cui all’art. 7, infatti, prevedono che la Corte verifichi il rispetto degli equilibri di bilancio da parte di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni. In particolare l’attenzione del Legislatore è rivolta al perseguimento degli obiettivi posti da leggi statali e regionali di principio e di programma nonché a garantire la sana gestione finanziaria degli Enti locali ed il funzionamento dei loro sistemi di controllo interno.

Il contesto normativo è in linea con la posizione sostenuta dalla Corte Costituzionale [31], che ha definito la Corte dei conti “...organo posto a tutela degli interessi obiettivi della pubblica amministrazione, sia statale sia regionale o locale”, precisando che la funzione di controllo ad essa affidata non può essere considerata come espressione di un potere statale che si contrappone alle autonomie locali, ma come espressione di un compito essenzialmente collaborativo posto al servizio di esigenze pubbliche costituzionalmente tutelate e specificamente volto a garantire che ogni settore della pubblica Amministrazione risponda al modello ideale tracciato dall’art. 97 della Costituzione, quello di un apparato pubblico realmente operante sulla base dei principi di legalità, imparzialità ed efficienza.

Nell’esercizio delle proprie funzioni di controllo, di regola svolte in base a programmi e criteri di riferimento definiti annualmente, la Corte dispone di ampi poteri istruttori.

L’esito del controllo si risolve nella predisposizione di relazioni ed osservazioni destinate alle Amministrazioni controllate. In caso di giudizio negativo esse dovranno attenersi alle indicazioni della Corte ed ovviare agli inconvenienti riscontrati. L’esito del controllo, inoltre, costituisce oggetto di referto alle assemblee elettive, ed in primo luogo al Parlamento, così da permettere agli organi rappresentativi di esercitare consapevolmente ed efficacemente il proprio ruolo istituzionale.

La funzione di verifica sopra delineata si basa, dunque, sulla stretta connessione tra il sistema del controllo interno e le attività di controllo esterno, in una prospettiva tendente a conciliare le due diverse e fondamentali logiche di controllo di cui si è inizialmente detto, quella del controllo-verifica e quella del controllo-direzione [32].

13.  Nel contesto del complessivo sistema di ordinari controlli descritto attraverso i due precedenti paragrafi devono essere considerate le funzioni che la vigente normativa attribuisce ai collegi sindacali o di revisione contabile operanti presso la generalità degli enti pubblici. Tali organi, infatti, si collocano in una posizione che è interna all’organizzazione controllata ma esterna rispetto all’attività amministrativa svolta da questa ed alla relativa funzione di direzione.

Essi svolgono funzioni prevalentemente orientate al controllo di regolarità amministrativo-contabile delle gestioni pubbliche, anche a scopo di referto nei confronti degli organi elettivi di riferimento e degli enti vigilanti.

Questa particolare funzione di controllo nel tempo si è evoluta in una direzione che ha portato i Collegi ad assumere un ruolo maggiormente “collaborativo” verso la struttura amministrativa e la direzione dell’ente pubblico [33].

L’Attività ed i riscontri dei Collegi sindacali e di revisione rappresentano, insieme al sistema dei controlli interni, un preciso riferimento per il controllo esterno affidato alla competenza della Corte dei conti.

14.  In una prospettiva diversa si collocano i controlli ispettivi, per via della straordinarietà che li caratterizza.

Le ispezioni, infatti, si risolvono in interventi di controllo mirati e temporanei, esercitati da un organo di un’Amministrazione sull’attività svolta da altri organi della stessa Amministrazione ovvero sull’attività svolta da altre Amministrazioni.

In ordine a tal genere di controlli, particolare attenzione meritano le funzioni svolte da due importanti Uffici: l’Ispettorato Generale di Finanza (I.G.F.) e l’Ispettorato della Funzione Pubblica (I.F.P.).

L’Ispettorato Generale di Finanza è un’articolazione della Ragioneria Generale dello Stato, fondamentale Istituzione strutturata nell’ambito del Ministero dell’Economia e delle Finanze. L’Ispettorato svolge funzioni di vigilanza e controllo sulle pubbliche Amministrazioni in materia finanziaria e contabile. I controlli ispettivi, in particolare, sono affidati ai Servizi Ispettivi di Finanza Pubblica (S.I.Fi.P.) i quali, oltre all’attività ispettiva interna, effettuano verifiche amministrativo-contabili nei confronti di ogni altra pubblica Amministrazione e, in genere, dove vi sia gestione di risorse pubbliche.

L’Ispettorato della Funzione Pubblica opera alle dipendenze del Ministro per la funzione pubblica [34]. Esso vigila sul corretto funzionamento delle pubbliche Amministrazioni, con particolare riguardo agli aspetti concernenti il lavoro pubblico.

15. In generale, poi, quando tra due enti esiste un rapporto di dipendenza funzionale, all’ente cui l’Ordinamento attribuisce la responsabilità della funzione competono poteri di controllo sull’attività svolta dall’ente strumentale.

Le modalità di tale controllo sono stabilite dalle diverse, specifiche, norme di settore che normalmente ripetono i generali modelli di riscontro e verifica sopra delineati.

16. Il disegno che stiamo tracciando al fine di evocare, sia pur in maniera sintetica, le diverse ipotesi di controllo che il nostro Ordinamento prevede nei confronti dell’azione amministrativa, non può non tener conto di quei particolari controlli che rientrano nell’ambito di competenza delle Autorità amministrative indipendenti.

I limiti imposti dal tema in discussione non ci permettono di approfondire alcuna delle questioni concernenti le c.d. Authorities[35]. Ci limiteremo a dire che le motivazioni che hanno determinato la loro introduzione nel nostro ordinamento sono comunemente individuate nella necessità di affidare la tutela di rilevanti valori collettivi ad Istituzioni dotate di elevata capacità tecnico-professionale e poste in posizione di terzietà rispetto a tutti gli interessi in gioco. Le Autorità indipendenti si configurano quindi come organismi istituiti, con compiti di regolazione e garanzia, a presidio di specifici ambiti di attività notoriamente esposti al rischio di pesanti e deleterie ingerenze di parte, ambiti in cui gli interventi dei tradizionali apparati burocratico-amministrativi spesso “..costituivano il risultato di equilibri, raggiunti a fatica, tra diversi fattori esterni, primi tra essi la politica, la burocrazia e l’impresa [36]. A tali Autorità l’Ordinamento riconosce generalmente potestà regolamentare e di controllo. Le Istituzioni di cui si tratta, nonostante la diversa origine e l’eterogeneità organizzativo-funzionale, si caratterizzano per un tratto comune rappresentato proprio dalla loro indipendenza, intesa non solo come autonomia rispetto alla linea di azione del potere politico-governativo ma anche come “neutralità”, ossia come indifferenza rispetto agli interessi coinvolti[37].

In questa sede assume particolare rilevanza l’attività di controllo svolta dall’Autorità per la Vigilanza sui Lavori Pubblici, istituita dalla legge 11/2/1994 n. 109 (nota anche come legge Merloni), al fine di garantire l’efficienza, l’efficacia, la trasparenza e la correttezza dell’azione amministrativa nonché la libera concorrenza tra le imprese nel delicatissimo settore delle opere e dei lavori pubblici. L’Autorità svolge la propria attività di vigilanza, in primo luogo, acquisendo ed elaborando quei dati e quelle informazioni che le Amministrazioni, in base alla legge, sono tenute a comunicare e poi richiedendo ulteriori documenti, informazioni o chiarimenti a queste ultime ovvero a qualsiasi altra pubblica Amministrazione, impresa o persona che ne sia in possesso. Inoltre, anche su richiesta motivata di chiunque ne abbia interesse, l’Autorità può disporre accertamenti ed ispezioni avvalendosi del proprio Servizio ispettivo ovvero facendo ricorso alla collaborazione di altri organi dello Stato.

La vigilanza sui processi di spesa funzionali alla realizzazione di grandi opere pubbliche.

17. Recentemente, rispetto ai processi di spesa funzionali alla realizzazione di grandi opere pubbliche, sono stati attivati particolari meccanismi di controllo particolarmente sofisticati e complessi, tanto da rappresentare, a nostro avviso, una estrema evoluzione dei concetti di controllo inizialmente delineati: non semplicemente un controllo-verifica orientato ad accertare l’esattezza, la correttezza o la validità di un atto o di una serie di atti, né un controllo-direzione, ossia uno strumento destinato a permettere al responsabile di una gestione di aver piena padronanza di questa, ma un controllo-vigilanza, affidato ad un soggetto che non è titolare della funzione di direzione alla quale è riconducibile l’attività controllata e che rappresenta un interesse pubblico, la sicurezza della società e la salvaguardia dei principi democratici, di più elevato rango rispetto agli interessi di settore affidati alle cure dell’Amministrazione procedente, un tipo di controllo specificamente mirato alle “contiguità” tra azione amministrativa e contesto ambientale, destinato quindi non solo a far emergere eventuali anomalie degli specifici processi “sorvegliati” ma anche ad impedire, attraverso una speciale attività di prevenzione, che quei processi possano essere “contaminati” da elementi patogeni in grado di generare fenomeni distorsivi, con particolare riguardo alla possibilità che alle gare pubbliche d’appalto partecipino imprese espressione di associazioni delinquenziali od imprese comunque sottoposte a condizionamenti criminali ovvero che il processo di spesa subisca, ad un qualsiasi altro livello, penetrazioni criminali.

Rientrano in questa logica di controllo alcune iniziative ed attività che rappresentano la specifica risposta dell’Esecutivo ad alcune esigenze manifestate dal Parlamento con la legge 21/12/2001 n. 443 “Delega al Governo in materia di infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici ed altri interventi per il rilancio delle attività produttive”.

In questa prospettiva viene in considerazione, in primo luogo, l’istituzione del Servizio per l’Alta Sorveglianza per le grandi opere[38]. Si tratta di una struttura posta alle dirette dipendenze del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti quale strumento per la corretta ed efficace vigilanza sul mercato delle pubbliche commesse. Attraverso tale Servizio si è voluto attivare un adeguato sistema di controllo per tener lontano dai processi di spesa le imprese mafiose, per evitare ogni altra forma di condizionamento criminale e per bloccare ogni manovra di riciclaggio o di speculazione. Il controllo si basa su tecniche operative finalizzate a permettere la conoscenza preventiva delle iniziative criminali orientate ad aggredire i processi di spesa, tecniche incentrate sulla raccolta, la valutazione e l’analisi delle informazioni. L’istituzione del Servizio per l’Alta Sorveglianza, infatti, è funzionale alla gestione di un sistema informativo complesso, riguardante tutto il panorama conoscitivo in materia di appalti pubblici, destinato a sostenere un’attività, che potremmo definire di intelligence applicata, specificamente orientata verso i gruppi criminali presenti sul territorio al fine di conoscerne il modus operandi e le dinamiche evolutive interne ed esterne, con particolare riguardo ai rapporti con l’intermediazione finanziaria e con l’area delle istituzioni pubbliche[39], un’attività finalizzata alla individuazione di ogni potenziale forma di condizionamento dei processi di spesa e, quindi, alla prevenzione ed al contrasto dei tentativi di infiltrazione da parte della criminalità organizzata.

Nello stesso ambito funzionale si colloca l’istituzione del Comitato di coordinamento per l’Alta Sorveglianza delle grandi opere[40], un organismo collegiale operante presso il Ministero dell’Interno per il governo delle procedure finalizzate al monitoraggio dei processi relativi alla realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici e di interesse nazionale. Il Comitato è costituito da alte professionalità espressione delle diverse Amministrazioni competenti in materia (Ministero dell’Interno, Direzione Investigativa Antimafia, Servizio per l’Alta Sorveglianza per le Grandi Opere, Ministero dell’Economia e delle Finanze, Direzione Nazionale Antimafia) [41].

Definito l’ambito di monitoraggio ed individuata la rete dei soggetti chiamati ad alimentare i flussi informativi, il Comitato, essenzialmente, ha la responsabilità di raccordare le attività informative, esercitando a tal fine una funzione di impulso e di indirizzo nei confronti di ciascuno dei soggetti che partecipano alla rete di monitoraggio. Il sistema di controllo per la prevenzione ed il contrasto dei tentativi di infiltrazione criminale nei processi di realizzazione dei maggiori lavori ed opere pubbliche è completato, secondo la logica della “localizzazione” delle attività di sorveglianza e della costante connessione funzionale tra le diverse competenze tecnico-amministrative ed investigative coinvolte, con l’istituzione, a livello provinciale, presso gli Uffici territoriali del Governo interessati, di gruppi interforze costituiti da tre funzionari/ufficiali in rappresentanza delle tre principali forze di polizia, da un funzionario della Direzione Investigativa Antimafia, da un funzionario del Provveditorato alle opere pubbliche e da un funzionario dell’Ispettorato del lavoro. I gruppi operano in stretto collegamento con la Direzione Investigativa Antimafia e con il Servizio per l’Alta Sorveglianza per le Grandi Opere.

18. La circostanza che il Governo, peraltro sulla base di specifiche indicazioni provenienti dal Parlamento, abbia ritenuto necessario attivare speciali meccanismi per garantire un’adeguata vigilanza su particolari processi di spesa, quelli maggiormente rilevanti e perciò esposti al rischio di ingerenze mafiose, conferma che contro la volontà a delinquere gli ordinari sistemi di controllo sull’attività amministrativa non sono del tutto efficaci [42]. L’evoluzione di questi ultimi, sopra sinteticamente descritta, come pure l’aumento dell’attività giudiziaria penale, estremo baluardo a garanzia della legalità, non hanno prodotto gli effetti sperati, ossia il netto abbattimento dei livelli di illiceità nello svolgimento dei processi di spesa pubblica e dei casi di infiltrazione delinquenziale [43].

Tale considerazione fonda l’opportunità di ampliare l’ambito delle attività di controllo basate sulla effettiva “conoscenza” di tutte le criticità, attuali o potenziali, dei processi di spesa pubblica, attività finalizzate a fornire un quadro informativo idoneo a sostenere efficaci azioni per la prevenzione (anzitutto) ed il contrasto di ogni tentativo di lucrare illeciti profitti dalla manipolazione di quei processi.

È vero che l’ambito maggiormente esposto ai tentativi di infiltrazione criminale è quello dei lavori pubblici, con particolare riguardo a quelli finalizzati alla realizzazione delle più importanti infrastrutture, in considerazione sia dei notevoli valori economico-finanziari in gioco che della particolare complessità ed articolazione dei relativi processi. È vero anche che i condizionamenti volti a “parassitare” quei processi rappresentano una minaccia particolarmente grave, poiché provengono, di regola, da agguerrite organizzazioni di tipo mafioso (che così sviluppano ulteriore potenziale criminale e si collocano ad un sempre più elevato livello di pericolosità sociale), pregiudicano in ogni caso la qualità delle stesse opere, che perciò nascono (se nascono) difettose, spesso inutilizzabili e sempre bisognose di continue manutenzioni, ed infine ritardano lo sviluppo socio-economico che dalla loro realizzazione dovrebbe dipendere. Ma è altrettanto vero che aree di scarsa trasparenza, di inefficienza e, soprattutto, di illegalità dei processi di spesa possono configurarsi anche oltre l’ambito dei lavori pubblici, per cui ogni iniziativa di spesa è esposta al rischio di deleteri condizionamenti.

Anche l’affidamento di contratti per la fornitura di beni e servizi, infatti, spesso risulta “interessante” secondo logiche criminali, a volte pericolosissime anche se non di matrice mafiosa, che devono essere, sempre ed efficacemente, contrastate. È certamente aleatorio, riteniamo, considerare l’impianto di qualche dozzina di valvole cardiache difettose da parte di un medico corrotto circostanza meno grave rispetto all’affidamento dei lavori per la realizzazione di un tratto autostradale ad un’impresa esposta a condizionamenti mafiosi.

In buona sostanza, la società civile viene gravemente danneggiata in ogni caso in cui vi sia deviazione dei processi di spesa dalla loro fisiologica funzione.

Alle stesse conclusioni giungiamo pure seguendo altre considerazioni, riguardanti alcuni fondamentali aspetti di finanza pubblica. Non c’è dubbio, infatti, che la corruzione, come ogni altra forma di sviamento dei processi di spesa, danneggia l’economia del Paese, ed in primo luogo -per il consequenziale aumento dei prezzi delle opere, dei beni e dei servizi- le finanze dello Stato. Una prospettiva, questa, inaccettabile, assolutamente in contrasto con gli obiettivi prioritari che il Governo si è dato in materia di economia e di finanza pubblica: l’aggiustamento strutturale dei conti pubblici e l’innalzamento del tasso di crescita economica[44]. Il conseguimento di tali obiettivi richiede l’attivazione di nuovi e più efficaci meccanismi di tutela nei confronti di tutti i processi di impiego del denaro pubblico, meccanismi utili non solo per contrastare la criminalità ma anche per garantire la credibilità e la competitività del Paese (cioè la via da percorrere per raggiungere i traguardi fissati dall’Unione Europea) in una prospettiva orientata ad assicurare l’equilibrato sviluppo socio-economico delle diverse aree regionali.

Quest’ultima riflessione conduce il nostro intervento verso un’ulteriore area di possibili criticità, collegata all’evoluzione dell’Ordinamento della Repubblica verso forme organizzative di tipo federalistico. Il riferimento riguarda alcuni aspetti di tale evoluzione, quelli funzionali alla solidarietà del sistema. La connotazione solidaristica è messa in risalto dal nuovo testo dell’art. 119 della Costituzione, che prevede l’istituzione, da parte dello Stato, di un fondo perequativo destinato a sostenere il completo esercizio delle pubbliche funzioni in ogni area territoriale nonché la possibilità che lo stesso Stato destini risorse aggiuntive ovvero effettui speciali interventi in favore di determinate Regioni od enti locali al fine agevolare lo sviluppo e rimuovere gli squilibri economico-sociali che affliggono le aree territoriali di loro competenza. Ciò, se da un lato rappresenta espressione di una irrinunciabile funzione dello Stato [45] nel contesto di una Repubblica che rimane sempre “una ed indivisibile”, dall’altro apre scenari di possibili tensioni di natura politica, economica e sociale.

Il sistema che si delinea, infatti, pone in contrapposizione gli enti esponenziali delle aree territoriali più svantaggiate -che necessitano di interventi perequativi- e gli enti esponenziali delle aree territoriali che hanno raggiunto un maggior livello di sviluppo e di occupazione -che invece vedrebbero ridotta la misura delle risorse disponibili per migliorare ulteriormente i propri servizi pubblici o le proprie infrastrutture ovvero per ridurre i propri tributi-. Alla luce di queste considerazioni, appare ancor più evidente ed impellente la necessità che tutte le pubbliche Amministrazioni rafforzino la propria capacità di governare e di gestire nel miglior modo possibile le risorse pubbliche disponibili, che non possono e non devono assolutamente servire a finanziare il disservizio, l’inefficienza od il mero assistenzialismo [46]. Non meno evidente ed impellente, tuttavia, appare la necessità che lo Stato appronti e renda operativi tutti gli strumenti necessari a potenziare la capacità delle pubbliche Amministrazioni di difendersi dalla corruzione e dalle aggressioni del crimine organizzato.

L’Alto Commissario per la prevenzione ed il contrasto della corruzione e delle altre forme di illecito all’interno della pubblica amministrazione.

19. In quest’area d’intervento si colloca l’Alto Commissario per la prevenzione ed il contrasto della corruzione e delle altre forme di illecito all’interno della pubblica amministrazione, istituito con legge 16/1/2003 n. 3 “Disposizioni ordinamentali in materia di pubblica Amministrazione” che, dal punto di vista funzionale, ha posto tale Organismo alla diretta dipendenza del Presidente del Consiglio dei Ministri.

L’Istituzione è divenuta operativa con l’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri, nella seduta del 29/9/2004, di un regolamento [47] che, oltre a definire l’assetto della sua struttura di supporto, ne specifica le attribuzioni ed i compiti.

Il ruolo che dovrà sostenere l’Alto Commissario è rivolto, come si può agevolmente intuire dalla stessa denominazione scelta in sede legislativa, alla prevenzione ed al contrasto della corruzione e di ogni altra forma di illecito condizionamento, interno ed esterno, dell’azione amministrativa. Sul piano funzionale la Struttura svolgerà attività di sorveglianza e monitoraggio sulle procedure contrattuali e di spesa della pubblica Amministrazione, elaborando analisi e studi sui momenti di criticità -reali o potenziali- rilevati, con particolare riguardo ai pericoli di condizionamento ed infiltrazione da parte di organizzazioni criminali. Gli studi e le analisi potranno riguardare sia l’adeguatezza e la congruità del quadro normativo che le concrete iniziative poste in essere dalle pubbliche Amministrazioni per prevenire ed, eventualmente, contrastare le degenerazioni dei processi affidati alle loro cure. A tal fine, gli Uffici dell’Alto Commissario potranno svolgere indagini, anche di natura conoscitiva, volte ad accertare l’esistenza di fenomeni di corruzione o comunque distorsivi dell’azione amministrativa e le cause, dirette od indirette, che li hanno sostenuti. Gli stessi Uffici avranno la possibilità di svolgere tali indagini non solo avvalendosi di altre strutture amministrative dotate di poteri ispettivi e di verifica o dei servizi di controllo interno delle Amministrazioni vigilate, ma anche mediante accertamenti diretti che possono estendersi fino all’audizione di persone estranee alla pubblica Amministrazione ed interessate alle procedure amministrative o contabili oggetto di esame. Nell’esercizio delle proprie funzioni, gli Uffici dell’Alto Commissario potranno accedere a tutti i documenti ed alle banche dati delle pubbliche Amministrazioni, con il solo limite del segreto di Stato.

20.            Alcuni passaggi della regolamentazione deliberata dal Consiglio dei Ministri lasciano intendere come si sia voluto attribuire all’Alto Commissario un ruolo molto delicato e non facilmente riconducibile ad alcuno dei tradizionali modelli di controllo amministrativo. Ci riferiamo alla circostanza per cui il monitoraggio delle attività amministrative e, soprattutto, le indagini dell’Alto Commissario, dovranno essere mirate non solo all’accertamento ma anche alla profonda comprensione dei fenomeni di corruzione e di illecito nonché a ridurre il rischio di influenze criminali nei confronti delle pubbliche Amministrazioni. In quest’ottica molto significativo è il compito di elaborare analisi e studi allo scopo di fornire al sistema amministrativo pubblico opportuni suggerimenti per tutelarsi da illeciti condizionamenti esterni, per fronteggiare adeguatamente il rischio di fenomeni distorsivi endogeni nonché per migliorare la capacità di governare gli ambiti di propria competenza. Sul piano degli strumenti messi a disposizione dell’Alto Commissario, poi, emerge la possibilità della Struttura di accedere a tutte le fonti e le banche dati pubbliche come pure l’autorizzazione ad acquisire informazioni attraverso interviste e colloqui con soggetti privati che vengano “a contatto” con la pubblica Amministrazione.

In altri termini, per contrastare i fenomeni più nascosti di abuso ed illegalità che interessano la pubblica Amministrazione, il Governo ha creato una struttura, definita anche “organismo di intelligence economico-amministrativa[48], la cui attività sembra destinata, principalmente, alla produzione di analisi informative basate su dati acquisibili da fonti aperte o comunque da fonti, principalmente istituzionali, alle quali essa può accedere in maniera legale ed eticamente corretta, in una prospettiva tendente alla prevenzione degli abusi e delle illecite ingerenze nei confronti dell’attività amministrativa (e dei conseguenti danni, sia finanziari che d’immagine).

Conclusioni.

21. Le considerazioni che precedono ci portano a sostenere la necessità di rivedere l’intero panorama dei controlli riguardanti i processi d’impiego delle risorse pubbliche, al fine del generale coordinamento del sistema stesso.

Per evitare il rischio di duplicazioni e sovrapposizione di interventi (e, paradossalmente, di sprechi) nonché per rendere più efficace la complessiva attività di controllo, si dovrebbe seguire con rigore la logica dello stretto collegamento funzionale dei diversi Organismi preposti al monitoraggio ed al riscontro dell’azione amministrativa. Ognuno di tali Organismi, pur mantenendo le proprie specifiche competenze, poteri e correlate professionalità, dovrebbe esser parte di un’unica architettura, concepita e messa a punto in modo da permettere di cogliere precocemente tutti gli aspetti critici di quei processi al fine di prevenirne le devianze ed i conseguenti danni.

Nella stessa prospettiva condividiamo, poi, l’opinione di chi ritiene sia essenziale ed improcrastinabile spingere la generalità delle pubbliche Amministrazioni al trattamento ed alla gestione informatizzata degli atti posti in essere, quale necessario presupposto per rendere condivisibili le informazioni relative alla attività svolte, con particolare riguardo alla gestione dei processi di spesa. L’obiettivo specifico da perseguire è individuabile nella realizzazione di un network federato di banche dati delle pubbliche Amministrazioni, esteso ed articolato al punto da riguardare tutti i fenomeni di impiego di risorse pubbliche o, quantomeno, quelli il cui valore superi una determinata soglia, cioè di una rete di raccolta di informazioni, opportunamente governata da un’unica “cabina di regia” ed alla quale dovrebbero poter accedere, sulla base di specifici meccanismi autorizzativi, sia gli stessi titolari delle funzioni di amministrazione attiva (che in tal modo potrebbero individuare le migliori esperienze e far riferimento ad esse in una prospettiva orientata al miglioramento continuo della qualità dell’azione amministrativa generale) che dalle strutture cui l’Ordinamento attribuisce funzioni di controllo (agevolando l’esercizio di tali funzioni e alleggerendo l’impegno a tal fine imposto alle Amministrazioni controllate) [49].


 

[1] C. Cosciani “Scienza delle finanze”, Torino, 1987, pp. 11-19.

[2] C. Cosciani, op. cit., pp. 3-4.

[3] F. Forte “Burocrazia e gruppi di interesse nei processi di decisione pubblici” in Principi di economia pubblica, Milano, 2000, pp. 195-223.

[4] Per un approfondimento delle questioni concernenti le ragioni ed i limiti dell’intervento pubblico in campo economico nonché per quel che riguarda il concetto stesso di bisogno pubblico, rinviamo agli studi di chi si è specificamente occupato dell’argomento, ad es. W. Santagata, “Le ragioni dell’attività economica dello Stato, i beni pubblici ed i cittadini” in Trattato di economia pubblica - La spesa pubblica, Milano, 1987.

[5] Significativo, ci sembra, il richiamo al concetto di “spreco” fatto dal Procuratore Generale della Corte dei conti in sede di apertura dell’anno giudiziario 2005. Lo spreco, comune denominatore di tutte le ipotesi di danno erariale, si identifica “nell’uso scorretto di risorse per la produzione di beni e servizi, da cui dipende la frustrazione dei bisogni della collettività , deviati quanto a realizzazione, sia nel numero quanto nell’intensità dei benefici erogabili”. L’intervento è disponibile sul sito www.corteconti.it

[6] P. Vagliasindi, “Alcuni problemi generali di finanza pubblica”, Università degli Studi di Parma, Dipartimento di diritto, economia e finanza internazionale, Corso di scienza delle finanze, A.A. 2002/2003.

[7] C. Cosciani, op. cit., p. 9.

[8] F. Forte, op. cit., pp. 216-220.

[9] A. Scotto, “Finanza pubblica”, Milano, 1983, pp. 9-13.

[10] Sul punto si vedano le più recenti relazioni sulla politica informativa e della sicurezza presentate dal Governo ai sensi della Legge 24/10/1977 n. 801, art. 11 (disponibili sul sito www.serviziinformazionesicurezza.gov.it) ovvero le ultime relazioni annuali rese dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno mafioso (disponibili sul sito www.parlamento.it)

[11] M. Caligiuri, “Le lobbies: queste conosciute”, Soveria Mannelli, 2001, pp. 14-17.

[12] F. Forte, op. cit., pp. 224-227.

[13] L. Graziano, “Attività di lobbying e interesse pubblico” in Le lobbies: queste conosciute, op. cit., pp. 35-36.

[14] F. Forte, op. cit., p. 240.

[15]Relazione della Commissione Speciale per l’esame dei progetti di legge recanti misure per la prevenzione e la repressione dei fenomeni di corruzione” disponibile sul sito www.parlamento.it, nella sezione dedicata ai lavori della XIII Legislatura.

[16] S. Rattazzi, “Le lobbies viste da vicino” in Le lobbies: queste conosciute, op. cit., pp. 59-63. Si vedano anche gli atti del convegno “Lobby: più trasparenza e più democrazia nelle istituzioni”, Camera dei Deputati, Roma 14/10/2003.

[17] L.R. Toscana 18/1/2002 n. 5.

[18] M. Caligiuri “Le lobbies: queste conosciute”, op. cit., pp. 20-22.

[19] G. Zagrebelsky “Questa Repubblica”, Firenze, 2000, p. 258

[20]Relazione della Commissione Speciale per l’esame dei progetti di legge recanti misure per la prevenzione e la repressione dei fenomeni di corruzione” disponibile sul sito www.parlamento.it, nella sezione dedicata ai lavori della XIII Legislatura.

[21] G. Mazzei “Lobby della trasparenza”, Roma, 2004.

[22] Il riferimento, relativo alla XIV legislatura, riguarda la proposta di legge n. C1567 d’iniziativa del deputato Pisicchio e la proposta di legge n. C3485 d’iniziativa dei deputati Galli ed altri.

[23] A.M. Sandulli “Manuale di diritto amministrativo”, Napoli, 1989, pp. 581-591.

[24] I concetti richiamati sono stati espressi in maniera particolarmente chiara da G. Cogliandro nel corso della giornata di studi “La responsabilità dei dirigenti pubblici e i nuovi controlli esercitati dalla Corte dei conti”, Milano, 1/3/1996. L’intervento è stato pubblicato su Funzione Pubblica n. 3/1996.

[25] V. Cerulli Irelli “Corso di diritto amministrativo”, Torino, 1999, pp. XXII-XXIV.

[26] Corte Costituzionale, sentenza n. 29/95.

[27] M. Graffeo, intervento al convegno di studi “Le funzioni di garanzia delle finanza pubblica tra rispetto delle autonomie e principi del giusto processo”, Palermo, 24-25/11/2000, in www.amcorteconti.it

[28] Legge 21/3/1958 n. 259.

[29] In una prospettiva, come ha puntualizzato il Procuratore Generale della Corte dei conti in sede di apertura dell’anno giudiziario 2004, “...tendente a coniugare due fondamentali esigenze: l’autonomia delle Regioni e degli Enti locali, da un lato, e l’unità della Repubblica, dall’altro”. L’intervento è disponibile sul sito www.corteconti.it

[30] Rispetto ai quali, peraltro, già il Testo Unico sulle autonomie locali (D. Lgs 18/8/2000 n. 267, art. 148) richiama le norme della legge 14/1/1994 n. 20.

[31] Sentenza n. 29/1995

[32] Vedi supra § 8.

[33] Circolare Ragioneria Generale dello Stato - IGF n. 27 del 25/6/2001 “Attività di riscontro dei Collegi dei revisori dei conti e dei Collegi sindacali”

[34] Legge 17/8/2005 n. 168, art. 14 septies.

[35] Sull’argomento la letteratura è vastissima. Un riferimento sufficientemente “profondo” e sicuro è rappresentato dal documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sulle Autorità amministrative indipendenti svolta dalla Commissione Affari Costituzionali della Camera dei deputati nel corso della XIII legislatura (approvato nella seduta del 4 aprile 2000).

[36] L. Cardia, “Il ruolo delle Autorità indipendenti nell’ordinamento italiano fra controllo, garanzia e regolamentazione”, Roma, 23 gennaio 2002. Intervento disponibile sul sito www.consob.it

[37] S. De Felice, “Sulla natura giuridica delle autorità indipendenti, sulla ratio della loro esistenza e sul loro ruolo nell’ambito del mercato”, in GiustAmm.it n. 7/2004.

[38] D.M. Infrastrutture e Trasporti del 15/4/2002..

[39] La specifica mission affidata al Servizio per l’Alta Sorveglianza è ben evidenziata sul sito del Ministero: www.infrastrutturetrasporti.it

[40] D.M. Interno 14/3/2003 e s.m.i.

[41] D.M. Interno 8/6/2004.

[42] A tal proposito ci sembrano particolarmente significative le considerazioni espresse dalla Corte dei conti con la sentenza delle SS.RR. 12/10/1985 n. 441/A, nella parte in cui riconosce i limiti dei controlli amministrativo-contabili, anche dei più attenti, di fronte ai raggiri ed agli artifizi posti in essere con particolare “abilità criminale” da un amministratore pubblico.

[43] Sul punto si veda, sul sito del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, la presentazione che introduce la sezione dedicata al Servizio per l’Alta Vigilanza delle grandi opere.

[44] Documento di programmazione economico-finanziaria 2005-2008

[45] Come stabilito dall’art. 117 Cost., lo Stato al riguardo dispone di potestà legislativa esclusiva.

[46] A. Nenna, “Federalismo solidale e controlli”, in www.rivistacorteconti.it

[47] D.P.R. 6/10/2004 n. 258.

[48] In questi termini si è espresso il Ministro Frattini facendo riferimento all’iniziativa legislativa orientata all’istituzione dell’Alto Commissario. Notizia ANSA del 16/11/2001 riportata da M. Caligiuri in sede di Introduzione all’edizione italiana di “Intelligence” di R.D. Steele, Soveria Mannelli, 2002, p. 67.

[49] F. Fraioli “Il controllo degli investimenti pubblici: il contesto nel quale si inserisce l’art. 24 della legge finanziaria 2003”, articolo pubblicato sul sito www.telediritto.it.


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