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Articoli e note

n. 2/2007

CERIMONIA DI INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO 2007

DELLA CORTE DEI CONTI

CLAUDIO DE ROSE
(Procuratore Generale della Corte dei Conti)

Relazione

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UN QUADRO D’INSIEME.

1. - Il significato dell’intervento del Procuratore generale presso la Corte dei conti nella cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario.

L’intervento del Procuratore Generale nella cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario non si esaurisce nella ricognizione dei modi con cui egli ha assolto il proprio mandato istituzionale, finalizzato al perseguimento degli illeciti amministrativo-contabili (di recente, impropriamente definiti "reati contabili" in taluni servizi giornalistici), e dei risultati ottenuti. Scopo dell’intervento è anche una valutazione d’insieme dei contenuti e delle prospettive del mandato stesso e di come esso si colloca nel contesto delle funzioni garantistiche della Corte dei conti, sancite dagli articoli 100 e 103 della Costituzione.

Per darne conto, mi limiterò, nell’intervento orale, alle considerazioni d’insieme contenute nella prima parte della relazione scritta, rinviando alle parti successive per una maggiore ampiezza di contenuti e di riflessioni, oltre che per i dati statistici.

Mi sembra importante porre preliminarmente in evidenza un aspetto di questa cerimonia, e cioè come sia coerente con l’essenza garantistica delle funzioni giurisdizionali e della par condicio delle parti nel processo l’aver previsto la presenza del rappresentante della professione forense.

Ritengo doveroso dare atto, a tale riguardo, che gli appartenenti alla professione forense dedicano particolare attenzione alla difesa nei processi contabili e ai particolari problemi di diritto processuale e sostanziale che essa implica, fornendo contributi di chiarezza e di concretezza, anche probatoria, alla discussione delle vicende oggetto dei processi medesimi, e non di rado questi contributi sono caratterizzati da elevati livelli di approfondimento scientifico e dottrinario.

2.- L’attualità e l’utilità concreta della magistratura contabile.

Come premessa del mio discorso, vorrei sottolineare che l’attualità e l’utilità concreta della magistratura contabile sono rese palesi dai risultati ottenuti.

E’ con questi ultimi che i magistrati della Corte in generale - ed in particolare i magistrati in servizio presso la Procura generale e le Procure regionali - usano confrontarsi per ulteriormente incrementarli e conformarli a fini di giustizia.

Non interessano gli echi e i clamori esterni, poiché non è da essi che ci si attende sostegno, come non scoraggiano le critiche, poiché dalle stesse possono trarsi utili indicazioni per meglio operare. E’ a questi criteri che si ispirano costantemente i nostri rapporti con la stampa e gli altri mezzi di comunicazione di massa, rapporti sempre improntati a reciproco rispetto pur se doverosamente contenuti nei limiti istituzionali.

Lo stesso posso dire anche per i dirigenti e l’altro personale amministrativo, che coadiuvano i magistrati delle Procure e delle Sezioni giudicanti con professionalità e discrezione.

Quel che, in realtà, interessa alla Corte dei conti è riuscire a corrispondere alle attese delle Istituzioni, dei cittadini e degli amministratori onesti e capaci, pervenendo, attraverso le iniziative assunte, al duplice fine di perseguire gli illeciti e di prevenirli attraverso l’effetto deterrente e l’individuazione delle situazioni a rischio.

In proposito, ritengo importante rilevare che le strutture giurisdizionali della Corte, in particolare gli organi regionali del Pubblico Ministero contabile, sono ormai ben inseriti nella realtà regionale, pur conservando la propria identità di organo giudiziario.

Con tale realtà essi si confrontano per poter acquisire la necessaria consapevolezza dell’ambiente in cui operano, ma anche per svolgere con equilibrio la propria attività, sì da assicurare, unitamente con le Sezioni giudicanti, la presenza significativa sul territorio di una funzione di giustizia intesa a contrastare in loco, in modo equo e puntuale, e possibilmente sul nascere, gli sprechi, le frodi e gli altri illeciti ai danni delle pubbliche amministrazioni.

Ciò è quanto, a parte gli immancabili dissensi, ho avuto occasione di constatare personalmente, ricevendone testimonianza diretta da autorità ed amministratori locali. Ne ricevo inoltre quotidiana conferma dalle innumerevoli richieste di intervento delle Procure stesse, che mi pervengono da cittadini, imprese, organi professionali sindacali e dall’interno stesso delle Amministrazioni in adempimento di obblighi di denuncia.

Ne ho tratta la conseguenza che, le Procure regionali della Corte dei conti possono contribuire in modo rilevante ad affrancare i cittadini e gli amministratori capaci ed onesti dal senso di solitudine e di inanità che spesso, e non soltanto nelle aree in cui alligna la criminalità organizzata, li induce al timore e alla rassegnazione.

3. - I rapporti con le altre Istituzioni alla luce di eventi recenti.

Per quel che concerne i rapporti con le altre Istituzioni, delle quali il Presidente della Repubblica è massima espressione e massima garanzia, tanto alto è in esse il livello del consenso verso la Corte dei conti quanto alto è presso le stesse il senso dello Stato, di uno Stato come il nostro, che da sempre riconosce, anche a livello costituzionale, l’importanza ed il ruolo della magistratura contabile e la tutela con l’indipendenza sua e dei suoi componenti di fronte al Governo e, naturalmente, nei confronti della Pubblica Amministrazione.

Un’indipendenza che, com’è noto, trae origine non da timori di indebite interferenze, ma dall’esigenza di giusti equilibri tra poteri, funzioni ed organi, che rappresenta uno dei "fondamentali" della nostra Costituzione e viene in evidenza nei momenti cruciali.

Ciò è quanto hanno dimostrato fatti normativi recentissimi, in cui il Governo ha prontamente corrisposto alla necessità di impedire, con decreto-legge, l’efficacia di una norma della legge finanziaria intesa a far decorrere la prescrizione quinquennale dell’azione di responsabilità da illecito contabile dal giorno in cui è stata posta in essere la condotta, alla quale è riconducibile il danno, anziché dal giorno in cui il danno stesso si è effettivamente prodotto o si è rivelato, come previsto dalla normativa vigente.

4. - La normativa concernente la Corte dei conti: esigenze da

salvaguardare.

4.1. - Necessità di provvedimenti legislativi organici e ben meditati.

Al Governo e al Parlamento devo manifestare, comunque, l’esigenza, fortemente avvertita da questo Istituto e dai suoi componenti, che alle modifiche e alle innovazioni legislative concernenti la Corte dei conti, tanto sul versante del controllo quanto su quello della giurisdizione, non si giunga con provvedimenti normativi estemporanei, se non addirittura improvvisati, per di più inseriti in contesti inappropriati come sedes materiae, ma vi si pervenga, invece, con disegni di legge organici supportati da un’adeguata analisi della realtà di fatto e di diritto su cui vanno ad incidere.

E supportati, altresì, da un adeguato dibattito dottrinario e scientifico, a livello accademico e forense, oltre che a livello politico e socioeconomico.

Lo impone la delicatezza della materia e la necessità che le modifiche dei suoi complessi tecnicismi siano rese evidenti a tutti i cittadini nonché agli amministratori, funzionari ed agenti pubblici, che ne sono i diretti destinatari ed anche alle imprese e agli altri operatori economici, oggi sempre più chiamati a sinergie con i pubblici aggregati.

4.2. - Necessità della revisione delle norme di procedura della Corte dei conti per adeguarle all’articolo 111 Cost.

La Corte stessa, d’altronde, avverte la necessità di una revisione organica del proprio regolamento di procedura, avente forza di legge ma risalente al lontano 1933, per adeguarlo alle esigenze del giusto processo di cui all’articolo 111 della Costituzione, anche sotto il profilo dello snellimento degli adempimenti formali e procedurali.

A tale riguardo, devo dare atto alle Sezioni giudicanti, in primo grado e in appello, che le stesse, in più occasioni, si sono poste questioni di sostanziale rispetto di dette esigenze di garanzia, mutuate dalla Convenzione europea dei diritti dell’Uomo firmata a Roma nel 1950 e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, adottata a Nizza nel 2000.

Le iniziative dei giudici e l’obiettiva rappresentazione agli stessi di delicati profili garantistici da parte degli organi del Pubblico Ministero contabile, in primo grado o in sede di appello, hanno indubbiamente consentito, anche con l’ausilio dei difensori e delle pronunzie delle Sezioni Riunite, della Corte di Cassazione e della Corte costituzionale, di superare formalismi o appesantimenti processuali lesivi o compressivi dei diritti delle parti, avvicinando le norme di procedura della Corte allo spirito del nuovo canone costituzionale.

Si sono così conseguiti importanti effetti, ad esempio sotto il profilo della ragionevole durata del processo contabile, come dimostra il fatto che i tempi medi dello stesso raramente superano, tra primo grado ed appello, i quattro o cinque anni. Del che è prova indiretta la constatazione che le fattispecie di equa riparazione per eccessiva durata del processo riguardanti la Corte dei conti concernono, per lo più, il contenzioso pensionistico (che soffre la pesante eredità del vecchio rito) ed assai di rado il contenzioso contabile.

Le provvide iniziative e i buoni risultati raggiunti in taluni aspetti del processo non bastano, tuttavia, a chiarire i dubbi e a colmare le lacune, che la vetustà e la sopravvenuta improprietà delle norme, rendono sempre più evidenti.

Alludo alla possibilità di introdurre principi garantistici evolutivi, in piena aderenza al mutato assetto del processo contabile basato sulla parità delle parti.

Naturalmente, un intervento normativo del genere non può che essere inserito in un disegno di legge organico e compiuto.

4.3.- Necessità di munire il Pubblico Ministero contabile di più ampi poteri istruttori.

La revisione del regolamento di procedura è urgente e necessaria anche per munire gli organi del Pubblico Ministero contabile della possibilità di avvalersi, nell’impiego a fini istruttori degli organi di polizia, della stessa ampiezza di poteri di delega di cui dispone il Pubblico Ministero penale.

Devo precisare che l’esigenza qui rappresentata non nasce dallo stato dei rapporti del Pubblico Ministero contabile con i predetti organi di polizia, che sono ottimi ed ispirati alla massima disponibilità a collaborare, di cui do volentieri atto pubblicamente.

Né nasce l’esigenza stessa da problemi nei rapporti con il Pubblico Ministero penale, che sono anch’essi ispirati alla massima collaborazione reciproca, pur rimanendo prevalente il criterio delle istruttorie distinte e parallele, in relazione alla sostanziale diversità strutturale tra l’illecito contabile e quello penale, tra le rispettive sanzioni ed i rispettivi regimi probatori, fatta salva l’utilizzabilità, del tutto libera ed autonoma, del rispettivo materiale istruttorio.

Le modifiche normative sui poteri istruttori del Pubblico Ministero contabile si invocano, invero, per conseguire una maggiore incisività ed efficacia dell’attività ispettiva ed inquirente, alla quale al tempo stesso non può non corrispondere una maggiore garanzia nella posizione degli inquisiti. L’una e l’altra alla luce di due importanti novità.

La prima è costituita dall’assoggettamento del privato percettore di fondi comunitari o nazionali alla giurisdizione di responsabilità della Corte dei conti per colposo o doloso inutilizzo o cattivo utilizzo o appropriazione dei fondi stessi, il che implica esercizio di poteri di accesso ed istruttori particolarmente delicati ed assistiti dalle necessarie garanzie.

La seconda ragione è che l’Unione europea conta sulla Corte dei conti per la tutela giudiziale dei suoi interessi, giuridici ed economici, attraverso la collaborazione con l’OLAF, che è l’organismo comunitario per la lotta antifrode. Con quest’ultimo ho a tal fine stipulato un apposito protocollo di collaborazione e di scambio reciproco di dati.

La collaborazione concerne non solo le frodi caratterizzate dai richiamati fenomeni di mancato o cattivo utilizzo o illecita appropriazione di fondi europei, ma anche la tutela del bilancio comunitario sul versante delle entrate, ed implica, nel quadro dello Spazio europeo di libertà sicurezza e giustizia, il coinvolgimento del Pubblico Ministero contabile nelle tematiche della cooperazione giudiziaria, che il Trattato UE prevede come terzo pilastro dell’Unione, e per la quale essa ha istituito un apposito organismo, denominato Eurojust.

Per una migliore comprensione della cennata problematica e delle sue dimensioni, mi limiterò a ricordare che v’è motivo di ritenere che, attraverso le frodi IVA e comunitarie in genere, a carattere c.d. "trasversale" o per "triangolazioni", la criminalità organizzata e forse anche il terrorismo internazionale potrebbero assicurarsi importanti fonti di finanziamento, e che, nella logica europea, per ora solo istituzionale e in futuro anche costituzionale, attraverso Eurojust si perverrà al Procuratore Europeo, organo superiore di promozione di giustizia presso tutte le giurisdizioni degli Stati membri.

Alla luce di quanto precede, mi sembra molto importante che il Commissario italiano presso la Commissione CE, oltre che della Vice Presidenza, sia investito della delega per il predetto Spazio di libertà, sicurezza e giustizia.

4.4.- Necessità di riattivare il parere preventivo della Corte dei conti sui provvedimenti legislativi che la concernono.

Il rispetto tra Istituzioni più volte raccomandato dal Capo dello Stato dovrebbe altresì indurre a ripristinare l’applicazione dell’articolo 1 del R.D.L. 9 febbraio 1939 n. 273, in base al quale ogni provvedimento legislativo concernente la Corte dei conti, ancorché non promosso da essa ma di iniziativa del Governo o del Parlamento, deve essere sottoposto al vaglio preventivo della Corte stessa, a sezioni riunite: una norma antica, ma sempre attualissima e dalle evidenti finalità garantistiche nella dialettica istituzionale.

Questa Corte non mancherebbe di rendere pareri obiettivi e meditati, che eviterebbero senz’altro il ripetersi di vicende normative con effetti dirompenti, quale quella – già richiamata - dell’emendamento sulla prescrizione o quella, non meno negativa, del c.d. condono o concordato erariale, previsto dai commi 231, 232 e 233 della legge finanziaria per il 2006.

Rinviando, per quest’ultimo, a quanto più analiticamente esposto in apposito paragrafo, mi limiterò qui ad osservare che il condono applicato alle condanne per danno erariale, oltre a causare una forte riduzione dei recuperi di pubblico denaro cui potevano dar luogo le condanne medesime, ha creato sfasature e anomalie processuali, quali il rinvio di molte cause in attesa della prova dell’intervenuto pagamento della minor somma addebitata, con ingiusto danno per la funzione di giustizia, a causa dell’ingorgo dei ruoli di udienza, e per le parti che non abbiano fatto domanda di condono.

Su un piano più generale, inoltre, l’istituto del condono, del tutto inedito per la giustizia contabile, destabilizza la funzione deterrente della medesima, inducendo chi si appresta a comportamenti amministrativi con possibili effetti dannosi per il pubblico patrimonio a confidare in futuri "perdoni" legislativi e ad abbassare, quindi, la guardia nei confronti del rischio di errori o di cedimenti alla tentazione di condotte dolosamente dannose, anche se finora il giudice contabile ha negato il condono in presenza di dolo.

5. - Le difficoltà organizzative e finanziarie in cui versa l’Istituto: la necessità di superarle.

5.1.- Carenze di bilancio e organizzative.

Da quanto ho detto sin qui traspare evidente l’indispensabile necessità che la Corte sia in grado di esercitare in pieno le sue funzioni, in particolare quella giurisdizionale e, nell’ambito di questa, le funzioni, inquirente e requirente, affidate agli organi del Pubblico Ministero contabile.

Occorre, a tal fine, che la Corte venga al più presto affrancata da una situazione organizzativa e di bilancio perversa, assolutamente inadeguata alle esigenze sin qui rappresentate. Lo stato di emergenza della finanza pubblica può indurre ad esigere scelte prioritarie, e a sacrifici di attività essenziali, ma per la Corte dei conti è istituzionalmente da escludere la scelta di priorità, perché tutte le sue funzioni sono prioritarie, in quanto essenziali funzioni di garanzia.

Mi sembra, anzi, di poter dire che quanto più ci si determina, a livello di Governo e di Parlamento, a contenere la spesa pubblica, ad assicurare maggiori entrate, anche a riduzione del mostruoso debito pubblico da cui continuiamo ad essere afflitti, e a contrastare le evasioni fiscali e le frodi ai danni dell’Erario e dell’Unione europea, tanto più si deve potenziare la Corte dei conti, consentendole le risorse finanziarie ed umane necessarie perché essa possa utilmente vigilare sulla puntuale e fedele applicazione delle misure di contenimento e di risanamento, prevenendo e, se necessario, sanzionando gli eventuali scostamenti ed illeciti.

Si tratta di bisogni crescenti, ove appena si consideri la più recente legislazione finanziaria, che impone agli amministratori, anche regionali e locali, oltre che a quelli delle società a capitale pubblico, di rendere edotta la Corte - e per essa il Pubblico Ministero contabile - di aspetti sensibilissimi delle pubbliche gestioni, quali i debiti fuori bilancio, i riconoscimenti di debito, l’affidamento di incarichi e consulenze, i rinnovi contrattuali, ecc. Altrettanto può dirsi per la legge finanziaria del 2007: si veda, ad esempio, il comma 444 sul monitoraggio del personale di supporto delle agenzie e degli enti pubblici non economici.

A sua volta, la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha di recente ricondotto all’alveo della responsabilità amministrativa, e quindi alla giurisdizione della Corte, ambiti gestionali e fattispecie di danno che ne erano esclusi, quali quelli attinenti all’attività degli enti pubblici economici e delle società a capitale pubblico, e, come sopra accennato, ha altresì ritenuto che siano assoggettati alla diretta giurisdizione della Corte dei conti e quindi alle iniziative del Pubblico Ministero contabile, i privati percettori di contributi finanziari, nazionali e comunitari.

5.2.- Effetti sulla funzionalità e sull’immagine.

Ciononostante, molte sedi regionali e non pochi Uffici della sede romana accusano vistose carenze di personale, e pressoché generalizzata è l’inadeguatezza dei mezzi finanziari a disposizione per sopperire alle esigenze strutturali di molte sedi ed ai cosiddetti consumi intermedi, il che produce effetti decisamente debilitanti per tutte le funzioni della Corte, in particolare per quelle del Pubblico Ministero contabile.

Ciò è tanto più grave e inammissibile per tre precisi ordini di motivi:

perché impedisce al Pubblico Ministero contabile di adempiere al suo mandato istituzionale, non solo nei riguardi degli illeciti tradizionali ma anche con riferimento alle nuove competenze che, come si è visto, gli sono in misura crescente attribuite dal legislatore o riconosciute dalla giurisprudenza;

perché assicura una sostanziale immunità a chi agisce con dolo o colpa grave;

perché lede il prestigio e la credibilità della Corte dei conti ed in specie del Pubblico Ministero contabile, non solo nell’opinione comune e nei rapporti con le altre Istituzioni, soprattutto in loco, ma anche nei rapporti con le Istituzioni comunitarie.

6. - Profili dell’attività del Pubblico Ministero contabile a tutela degli interessi comunitari.

6.1.- Recuperi di fondi a carico dell’Italia: individuazione delle

responsabilità.

Come ho accennato, l’attività del Pubblico Ministero contabile è mirata anche alla tutela degli interessi dell’Unione europea.

Un rilevante profilo di connessione dell’attività requirente con la sfera di interessi comunitaria è costituito dalla adozione, da parte della Commissione europea, della determinazione di recuperare direttamente a carico dello Stato membro gli importi dei finanziamenti non andati a buon fine, o che hanno costituito oggetto di frodi o irregolarità.

Quindi, oltre ad esigere che frodi vengano accertate e perseguite (come specificato in altro paragrafo della presente relazione), l’Unione effettua il recupero dei relativi importi, il che avviene attraverso trattenute sui successivi finanziamenti spettanti, allo stesso titolo, allo Stato membro.

Di recente, con decisione del 3 ottobre 2006 la Commissione europea ha recuperato a carico dell’Italia circa 317 milioni di euro per frodi in agricoltura, somma che rappresenta il 50% di importi per i quali non è stata data la dimostrazione di aver esperito tutte le possibili iniziative per recuperare dai percettori i contributi non dovuti, con riferimento ad irregolarità e frodi accertate nel periodo 1998-2002. Altri recuperi sarebbero in corso di valutazione sempre con riferimento a contributi in agricoltura.

Si tratta di fattispecie che meritano attenzione da parte del Pubblico Ministero contabile, sotto il profilo del danno erariale e della sua eventuale imputabilità, tanto più che contestualmente per altri Paesi il recupero non supera i 3 milioni di euro.

6.2.- Infrazioni all’ordinamento comunitario: danni che ne conseguono.

Ulteriori aspetti di attinenza dell’attività del Pubblico Ministero agli interessi comunitari concernono fatti, situazioni ed evenienze riconducibili al paradigma dell’infrazione alle regole comunitarie.

Le più frequenti negli ultimi tempi hanno riguardato la materia dell’ambiente, degli appalti, degli aiuti di Stato, della vigilanza bancaria, della tutela della concorrenza anche da parte delle Società a capitale pubblico, ecc.

Con riferimento a tali infrazioni va tenuto presente che la Corte di Giustizia delle Comunità europee ha sollecitato in più occasioni la collaborazione dei giudici nazionali, e quindi dei sistemi di giustizia in cui essi operano, nella individuazione dei fenomeni di inosservanza del diritto comunitario e delle incertezze interpretative ed applicative dello stesso.

Ciò implica, da parte del Pubblico Ministero contabile, la necessità di un esteso ed approfondito monitoraggio delle fattispecie di infrazione e delle connesse implicazioni di danno, al fine, oltre che di perseguirle, anche di segnalare al giudice nazionale l’eventuale riferibilità dell’inosservanza a dubbi interpretativi da sottoporre in via pregiudiziale al giudice comunitario ai sensi dell’articolo 234 del Trattato CE.

A questi fini, sto raggiungendo le opportune intese con il Rappresentante Permanente d’Italia presso l’Unione europea in Bruxelles per ottenerne la tempestiva segnalazione delle procedure d’infrazione iniziate dalla Commissione nei riguardi del nostro Paese e dei relativi seguiti ed esiti, sia presso la Commissione sia, eventualmente, davanti alla Corte di Giustizia.

Di quanto sopra ho informato il Ministro per le politiche comunitarie, anche per ottenerne la collaborazione istituzionale, per quanto di sua competenza.

Ne ho resi edotti anche i Procuratori regionali, perché, com’è noto, l’infrazione o il sospetto di essa, si concreta nei comportamenti non della sola Amministrazione centrale, ma anche delle Regioni e delle autonomie territoriali, nonostante che l’imputazione comunitaria sia a carico dello Stato.

In conseguenza dell’accertamento dell’infrazione con sentenza della Corte di giustizia, lo Stato può subire condanne pecuniarie ai sensi dell’articolo 228 del Trattato, nonché subire condanne da parte di giudici nazionali su istanze risarcitorie di cittadini o imprese che, a causa dell’infrazione, abbiano visto ingiustamente compromessi i propri interessi.

Questi due tipi di eventi, implicando esborsi di pubblico denaro, concretano fattispecie di illeciti contabili, che compete alla Corte dei conti di accertare e perseguire nei riguardi di quegli amministratori, funzionari ed agenti, che abbiano determinato i presupposti dell’infrazione ovvero non l’abbiano impedita.

La legge finanziaria per il 2007 ha previsto – ai commi dal 1213 al 1222 - un meccanismo di rivalsa dello Stato nei riguardi delle Regioni e degli altri Enti cui sia imputabile l’infrazione.

Tuttavia, ciò risolve il problema sul piano dei rapporti interistituzionali, ma non elimina il danno per le pubbliche sostanze e per il cittadino contribuente, perché l’esborso dell’Ente, per così dire, "finale" resta ingiusto rispetto all’obbligo di sana e buona gestione, incombente sui pubblici operatori che agiscono per l’Ente medesimo.

Di conseguenza, resta salvo il principio della doverosa individuazione dei responsabili.

Inoltre, occorre che Stato, Regioni ed Enti locali avvertano sempre più la necessità di adeguarsi alle norme comunitarie, e di rispettarle, come previsto in più punti del novellato Titolo V della Costituzione.

7. - Accenni ad altri aspetti significativi della giurisdizione contabile.

7.1.- Questioni di giurisdizione.

Costituisce un dato acquisito che la Corte di Cassazione, negli ultimi tempi, ha allargato, come ho accennato in precedenza, i confini della giurisdizione della Corte dei conti, estendendola alle società partecipate ed ai privati percettori di contributi pubblici, nazionali e comunitari, aprendo, così, nuovi orizzonti all’osservatorio della Procura Generale sulle pubbliche gestioni, sulle disfunzioni in esse ricorrenti e sulle anomalie dei trasferimenti di fondi pubblici alle imprese.

In tale contesto, le attività e i risultati che hanno caratterizzato nel decorso anno della Procura Generale mostrano due diversi profili: l’uno essenzialmente di natura confermativa dei nuovi e rilevanti indirizzi giurisprudenziali di questi ultimissimi anni, l’altro di natura "propositiva", nel senso di ulteriori, possibili sbocchi interpretativi sul riparto della giurisdizione, nascenti da novelle legislative recentissime, scarne e generiche nelle relative disposizioni.

Sotto il suindicato primo profilo, infatti, la Suprema Corte, con tre diverse pronunce – ord. n. 4511/06, sent. n. 22513/06 e sent. n. 20886/06 - rispettivamente:

ha confermato la giurisdizione della Corte dei conti in materia di gestione di denaro pubblico da parte di enti privati dotati di autonomia imprenditoriale;

ha parimenti affermato la giurisdizione del Giudice contabile nei confronti di amministratori di enti privati destinatari di finanziamenti regionali per l’attuazione di programmi relativi alla "promozione della cooperazione";

ha confermato la giurisdizione di questa Corte relativamente alle responsabilità di dipendenti e amministratori di Aziende municipalizzate, ripercorrendo, ancora una volta, la propria evoluzione giurisprudenziale, con riferimento ad ogni tipologia di ente pubblico.

Sotto il secondo profilo, va rilevata la proposizione di alcuni ricorsi per regolamento preventivo di giurisdizione, in ordine alla applicabilità, da parte del Pubblico Ministero contabile, delle azioni previste dal codice di procedura civile a tutela delle ragioni del creditore, ed estese esplicitamente anche al predetto Pubblico Ministero dall’articolo 1, comma 174, della legge 23 dicembre 2005 n. 266.

Altri ricorsi per questioni di giurisdizione sono stati promossi innanzi alla Suprema Corte avverso decreti delle Sezioni centrali d’appello di questa Corte, con i quali è stato negato il beneficio del "condono" o "concordato erariale", previsto, come ho detto, dalla stessa legge n. 266/2005, ai commi 231, 232 e 233.

Meritano, infine, particolare sottolineatura altre tre pronunce della Suprema Corte (n. 7024/06, 6582/06 e 4582/06) con le quali si è, rispettivamente: puntualizzato e approfondito ulteriormente il tema della censurabilità – in sede di giudizi per responsabilità amministrativa – delle "scelte discrezionali"; dichiarata la giurisdizione della Corte dei conti nei confronti tanto dei magistrati ordinari per danno allo Stato, conseguente a fatto reato, quanto di parlamentari, per la percezione, nell’esercizio della relativa funzione, di "contributi" indebiti da parte di imprese, con grave pregiudizio del prestigio e del decoro del Parlamento e dello Stato-comunità.

Il giudice regolatore di giurisdizione, inoltre, risolvendo la nota questione della "pregiudiziale amministrativa", ha affermato la competenza del giudice amministrativo ad assicurare ai cittadini la tutela risarcitoria in caso di danni ad essi causati da attività provvedimentale illegittima.

Detta tutela è ottenibile nel termine prescrizionale di cinque anni ed è indipendente dal previo annullamento dell’atto amministrativo ritenuto illegittimo.

L’approdo giurisprudenziale in tal modo raggiunto, oltre ad essere un confortante segnale sul piano della certezza del diritto e della effettività delle tutele giurisdizionali, apre uno scenario di particolare interesse per le attività delle Procure regionali.

Infatti, le sentenze definitive emesse dai giudici amministrativi (TAR o Consiglio di Stato) che pronuncino condanne risarcitorie per danni inferti dalle Pubbliche Amministrazioni ai cittadini e alle imprese (ad esempio in materia di esclusione illegittima da gare d’appalto) possono costituire la base per dare corso ad indagini del PM contabile circa eventuali responsabilità soggettive imputabili a pubblici funzionari.

In tale prospettiva, le Procure regionali della Corte dei conti hanno titolo ad intraprendere iniziative volte all’accertamento di siffatte responsabilità individuali, anche indipendentemente da denunce qualificate provenienti dalle amministrazioni interessate e sulla base delle sentenze conoscibili attraverso la consultazione della banca dati informatizzata della Giustizia Amministrativa, liberamente accessibile.

7.2 – L’obbligo di denuncia.

L’ampliamento dei confini della giurisdizione contabile offre l’occasione per riflettere sul problema generale della necessità di un’organizzazione interna che consenta alle amministrazioni pubbliche e, di conseguenza, com’è auspicabile, all’Organo requirente presso il giudice contabile, di pervenire, con tempestività, alla conoscenza di illeciti che potrebbero comportare una responsabilità amministrativa. Ciò per evitare facili prescrizioni del diritto al risarcimento dei danni erariali.

Un ausilio a tal fine, deve essere l’istituzione e lo stimolo al funzionamento dei previsti, ma non sempre funzionanti, organi di controllo interno, non solo di quelli competenti al riscontro della regolarità amministrativa e contabile dell’azione amministrativa, ma, soprattutto, di quelli addetti al controllo di gestione.

Vero è che la vigente normativa (articolo 1, comma 6, del d.lgs n. 286 del 1999) esclude per gli addetti al controllo di gestione, strategico e di valutazione dei dirigenti, un obbligo di denuncia di eventuali danni erariali, rilevati nell’esercizio delle funzioni, al P.M. presso il giudice contabile. Tale circostanza, però, non esclude, ovviamente, un’evidenziazione degli stessi nelle relazioni indirizzate dagli addetti a tali funzioni ai dirigenti ed agli organi di vertice delle amministrazioni pubbliche.

In capo a questi ultimi, sussiste, poi, un diretto dovere di denuncia di possibili fatti lesivi del patrimonio degli enti amministrati (inteso in senso ampio, comprensivo, perciò, anche del bene dell’immagine e della reputazione degli stessi), all’Organo requirente presso il giudice contabile. L’inadempimento di tale obbligo è sanzionato, dall’articolo 1, comma 3, della legge n. 20 del 1994, a titolo di responsabilità amministrativa, nel caso di prescrizione del diritto al risarcimento del danno erariale, non segnalato o segnalato in ritardo.

L’obbligo in esame è previsto, per i dipendenti statali, dal tuttora vigente articolo 20 del D.P.R. n. 3 del 1957; riguardo agli amministratori e funzionari delle regioni a statuto ordinario dall’articolo 32 della legge n. 335/1976; per quelli delle regioni a statuto speciale dalle norme previste nei rispettivi statuti; per i revisori, gli amministratori ed i dipendenti degli enti locali, rispettivamente, dagli articoli 239 e 93 del testo unico n. 267 del 2000, che sul punto rinvia alle disposizioni vigenti per gli impiegati civili dello Stato; per i vertici amministrativi degli enti pubblici istituzionali dall’articolo 90 del d.p.r. n. 97 del 2003.

I soggetti obbligati sono tenuti a denunciare non solo i danni conosciuti, ma anche quelli oggettivamente conoscibili usando l’ordinaria diligenza.

Necessaria al fine in discorso è anche la collaborazione di due nuovi organismi:

l’Alto Commissario per la prevenzione ed il contrasto della corruzione e delle altre forme di illecito all’interno della pubblica amministrazione, istituito con la legge n. 3 del 2003, che è tenuto a denunciare al Pubblico Ministero presso il giudice contabile possibili ipotesi di responsabilità amministrativa, che potrebbero evidenziarsi a seguito di accertamenti diretti o delegati presso le amministrazioni pubbliche;

l’Ispettorato operante presso il Dipartimento della funzione pubblica, ai sensi dell’articolo 60, comma 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001, le cui competenze sono state, recentemente, ampliate grazie all’articolo 10 bis della legge n. 248 del 2005, che ha anche previsto un obbligo di denuncia al Pubblico Ministero presso il giudice contabile, di irregolarità, ritardi o inadempienze delle amministrazioni pubbliche (anche a seguito di segnalazioni di privati cittadini o pubblici dipendenti), dalle quali possono derivare danni alle stesse.

Non bisogna, poi, dimenticare l’indispensabile raccordo che deve sussistere fra l’azione del Pubblico Ministero penale e quello presso il giudice contabile, sia attraverso l’informativa, prevista dall’articolo 129, comma 3, delle norme di attuazione del c.p.p., da parte del primo in merito all’esercizio dell’azione penale, nel caso di reati che hanno cagionato un danno all’erario, che attraverso la trasmissione delle sentenze di condanna per delitti contro la pubblica amministrazione, obbligo, quest’ultimo, previsto dagli articoli 6 e 7 della legge n. 97 del 2001.

Sarebbe comunque utile, un intervento del legislatore che preveda con chiarezza l’obbligo di cui si discute anche in capo a tali nuovi soggetti sottoposti alla giurisdizione contabile.

Infine, il notevole e significativo ampliamento delle aree di intervento del Pubblico Ministero contabile riapre, a mio avviso, il discorso sui rapporti tra attività requirente ed attività di controllo svolta dalla Corte dei conti: si impone, mi pare, una rilettura della sentenza n. 29/95 della Corte Costituzionale, che, a ben vedere, ha posto una distinzione ma non una separazione tra le funzioni. Nel senso che dal controllo ben possono pervenire gli input su fatti o tipologie di fatti, mentre l’acquisizione del materiale probatorio sarebbe di esclusiva competenza delle Procure requirenti.

7.3.- Il danno da "malagestio" delle società a partecipazione pubblica.

La materia, di rilievo primario nell’attuale assetto amministrativo, è in fase di approfondimento, sotto vari profili, tra i quali quello della individuazione dei confini tra l’azione contro gli amministratori per danni arrecati alla società e l’azione intesa a risarcire l’ente finanziatore dei danni arrecatigli dalla gestione societaria.

Dibattuto è, tra le altre questioni, anche l’ambito della responsabilità degli amministratori e dipendenti del socio pubblico per le determinazioni concernenti le vicende della società partecipata, come, ad esempio, la ricapitalizzazione di una società che presenti perdite di esercizio o la cessione delle quote di partecipazione pubblica.

Un’importante novità è costituita dal comma 466 della legge finanziaria per il 2007, che stabilisce un tetto massimo agli emolumenti degli amministratori di società, ma non prevede sanzioni in caso di superamento dello stesso, a differenza del comma 593 della stessa legge finanziaria che, nell’ancorare allo stipendio del primo presidente della Corte di Cassazione, la retribuzione dei consulenti, dei membri di commissioni o collegi di dette società come dei titolari di loro incarichi, dispone che gli amministratori inadempienti ed il percettore sono tenuti al rimborso, a titolo di danno erariale, di una somma pari a dieci volte l’ammontare eccedente la cifra consentita.

Una sorta di tariffazione del danno erariale, che indirettamente sembra riaffermare, peraltro, la natura risarcitoria della responsabilità da illecito contabile, sempre che tale debba considerarsi la fattispecie in questione.

7.4.- La sanzione per indebitamento in contrasto con l’articolo 119 della Costituzione.

Di tipo sanzionatorio è invece la giurisdizione nei confronti degli amministratori regionali o di enti locali che violino il divieto, sancito espressamente dall’articolo 119 della Costituzione e ribadito dall’articolo 39 della legge 27 dicembre 2002 n. 289, di indebitarsi per scopi diversi dagli investimenti.

Le poche pronunzie finora emesse oscillano, peraltro, tra l’affermazione e, all’opposto, la negazione della necessità che per infliggere la sanzione occorra la verifica che si sia realizzato un danno patrimoniale e che la condotta non abbia scusanti o attenuanti.

Di recente, peraltro, nell’ambito dell’esercizio delle attività di mia competenza concernenti il giudizio di regolarità del rendiconto generale dello Stato, sono emerse alcune perplessità in ordine a iniziative assunte da talune Regioni in materia di cartolarizzazione dei crediti dei terzi nel settore sanitario, proprio in relazione alla compatibilità delle stesse con il divieto di cui al precetto costituzionale, se e in quanto si traducano in indebitamento del bilancio regionale.

Ne ho fatto menzione nel mio intervento nel predetto giudizio di regolarità del rendiconto generale dello Stato e ne ho resi edotti i Procuratori regionali per gli accertamenti e gli eventuali seguiti di competenza.

Soggiungo che in ambito comunitario si ritiene che questo tipo di indebitamento debba essere conteggiato nel debito pubblico ai fini del Patto di stabilità e crescita.

7.5. - I riconoscimenti di debito.

L’articolo 23 comma 5 della legge 27 dicembre 2002 n. 289 impone, a tutte le pubbliche Amministrazioni che deliberino riconoscimenti di debito, l’obbligo di farne denuncia al Pubblico Ministero contabile.

La ratio della norma è chiara ed inequivocabile: si tratta di un accadimento assolutamente abnorme e quindi da evitare, che presenta sempre, almeno potenzialmente, profili di danno per il pubblico erario, la cui effettiva sussistenza deve essere di volta in volta vagliata dal Pubblico Ministero contabile e, se del caso, da questi deferita alla competente sezione giurisdizionale della Corte.

A giudicare dal gran numero di riconoscimenti che pervengono, tanto dalle amministrazioni statali quanto dalle amministrazioni territoriali, e dai loro ingenti importi, (nel caso delle Amministrazioni statali ammontano, per il 2006, a circa 84 milioni di euro e per gli enti locali a circa 155 milioni di euro) sembrerebbe, innanzitutto, che si sia perso di vista l’aspetto principale e cioè che, come dicevo, si tratta pur sempre di un’anomalia palesemente in contrasto con le regole, anche costituzionali, che presidiano gli equilibri di bilancio.

Soprattutto sorprende ed allarma il fatto che taluni Ministeri effettuino da anni dichiarazioni di debito perché occupano "sine titulo", cioè senza contratto, immobili a fini d’ufficio, sottostando quindi alle condizioni del proprietario e senza porsi neppure il problema di regolarizzare la situazione o di verificare la convenienza a protrarre l’occupazione irregolare anziché ricorrere ad altre soluzioni, quali l’acquisto o l’affitto di altri immobili.

Situazioni simili si registrano anche presso altri Enti o Amministrazioni.

Anche a prescindere, quindi, dai profili di danno, che in molti casi sono in corso di accertamento da parte delle Procure regionali, e con riserva di tornare sull’argomento in sede di intervento nel giudizio di parificazione del conto dello Stato, sin d’ora invito le Amministrazioni interessate a darsi carico di provvedere ed, in generale, a tutti gli Enti e a tutte le Amministrazioni di ricorrere ai riconoscimenti di debito solo in via di assoluta eccezione e con effetti limitati nel tempo.

7.6.- Il danno all’immagine.

A proposito di danno all’immagine, condivido la tendenza delle Sezioni giudicanti a farne un’applicazione basata su un’adeguata valutazione della sussistenza di una condotta dolosa, della sua capacità lesiva e della liquidabilità del danno, anche in via equitativa.

Non condivido, invece, le critiche di principio, che talvolta si levano nei riguardi di questo aspetto della giurisdizione della Corte.

Non si tratta di appagare moralismi di maniera, ma, molto più pragmaticamente, si tratta di ripristinare, nell’opinione pubblica e nell’interno stesso dell’Amministrazione, il senso della dignità delle pubbliche funzioni e la consapevolezza della necessità di assicurare un contesto pubblico sano ed efficiente. Un contesto, cioè, in cui la corruzione, l’accettazione di tangenti, gli artifizi, i raggiri, la noncuranza verso le leggi e i doveri di ufficio e di servizio rimangano allo stadio di episodi e non si consolidino in sistema, sì da incoraggiare all’interno atteggiamenti emulativi, reiterativi e lassisti e, all’esterno, tra i cittadini, tendenze all’evasione dei doveri contributivi e fiscali e alle truffe in danno del settore pubblico.

Va poi considerato che non poche Amministrazioni, anche territoriali, sono presenti sul mercato dei titoli e certamente lo sono le società partecipate dal capitale pubblico, talune di esse anche quotate in borsa: mi pare evidente che, nei loro riguardi, il danno all’immagine costituisce un concreto fattore di deprezzamento dei titoli, con conseguente indebito vantaggio per le manovre speculative ai danni del capitale pubblico.

7.7.- L’equa riparazione prevista dalla c.d. "legge Pinto".

Il continuo afflusso al mio Ufficio, per l’eventuale esercizio dell’azione di responsabilità amministrativa, dei decreti con i quali le varie Corti di appello hanno accolto le istanze per ottenere l’equa riparazione per l’irragionevole durata dei processi, di cui alla legge 24 marzo 2001 n. 89 (c.d. legge Pinto), mi induce a ritenere che la normativa interna, seppur non completamente condivisa in sede europea, abbia suscitato l’evidente interesse dei ricorrenti, sempre più numerosi, e dello stesso mondo forense.

Tuttavia, non posso sottacere la circostanza, fattami personalmente presente da alcuni presidenti di Corte d’appello, che le istanze in questione hanno ancor di più ingolfato i già saturi ruoli delle cause civili, provocando un ulteriore rallentamento dei relativi processi. Si è dunque realizzato un circolo vizioso che sta producendo un risultato paradossale, nel quale lo stesso strumento ideato per sanzionare la lentezza del nostro sistema giudiziario e, soprattutto, per evitare pesanti condanne in sede europea, si sta rivelando esso stesso, suo malgrado, causa o, quanto meno, concausa dei ritardi che poi comportano l’erogazione dell’equa riparazione.

Per quanto poi mi riguarda sul piano istituzionale, a ciò si aggiungono le notevoli difficoltà, già in passato più volte segnalate proprio in questa stessa sede, di esperire l’azione risarcitoria di responsabilità amministrativa, cosicché non è stato finora possibile recuperare alcunché delle somme pagate a tale titolo, restando quindi a totale carico della collettività i relativi importi.

Si tratta, dunque, di una materia sulla quale occorrerà riflettere con attenzione.

7.8.- Il giudizio sui conti dei pubblici agenti contabili.

Mi sembra opportuno richiamare l’attenzione sulla più antica competenza giurisdizionale della Corte dei conti: la pronuncia sui conti giudiziali, cioè sui conti resi dai pubblici agenti contabili, quali gli esattori, i tesorieri, i consegnatari e i custodi di pubblici beni e valori, che, per legge sono soggetti all’esame della Corte nelle forme e con le finalità della giurisdizione.

Una pronuncia che può sfociare nell’approvazione del conto ovvero nella condanna dell’agente, per mancata resa del conto o per perdite, ammanchi, deterioramenti dei beni, ecc., attraverso un processo in cui l’agente è parte necessaria e il Pubblico Ministero rappresenta l’interesse dell’ordinamento.

Questa competenza, per lungo tempo non adeguatamente considerata, ma a torto, andrebbe rivisitata tenuto conto del forte rilievo che oggi si attribuisce alla rivalutazione dei patrimoni pubblici, a fini di conservazione come a fini di utili cessioni a riduzione del debito pubblico.

E tenuto conto, altresì, della rilevanza che ha la conoscenza della movimentazione contabile di ingenti importi di pubblico denaro in ambiti gestori di notevole entità, quali quelli attinenti alla riscossione di pubbliche entrate, anche non tributarie, ovvero attinenti alla tenuta di titoli rappresentativi delle quote di partecipazione degli enti pubblici a società di capitali.

Particolare importanza hanno i conti degli enti locali, per i quali l’attuale legislazione limita l’oggetto del giudizio alla sola gestione di tesoreria, escludendo la pronuncia sui risultati di bilancio, come invece accadeva in passato.

Detta limitazione è stata oggetto di deferimento alla Corte costituzionale da parte della Sezione giurisdizionale di questa Corte per l’Abruzzo, anche per contrasto con le nuove esigenze garantistiche connesse al coordinamento della finanza pubblica ai sensi dell’articolo 119 della Costituzione.

7.9 .- Comparazione tra tipologie di danno nelle citazioni del 2006 rispetto al 2005.

La decrescita del dato relativo alle citazioni per consulenze esterne

- 24 nel 2006 rispetto a 49 nel 2005 - non è di per se rappresentativa di una diminuzione del fenomeno e dei suoi profili patologici, anche se non può escludersi che i limiti ed i vincoli introdotti lo scorso anno abbiano sortito un certo effetto deflattivo.

All’inverso, si è registrato un forte aumento delle citazioni per danni al patrimonio, in particolare per uso indebito di mobili ed immobili (248 citazioni nel 2006 contro 65 nel 2005), mentre in tema di accertamento di entrate continuano ad evidenziarsi danni da tangente con annesso danno all’immagine.

In entrambi i casi si tratta di dati meritevoli di approfondimento analitico, anche sotto il profilo dei seguiti processuali.

B) RISULTATI E PROSPETTIVE DELL’ATTIVITA’ REQUIRENTE DELLA CORTE DEI CONTI.

1. – Il presupposto della colpa grave.

Con le modifiche introdotte, ormai da oltre un decennio, dalla decretazione di urgenza, la limitazione della responsabilità, ferma restando l’ipotesi del dolo, alla sola colpa grave per danni all’Erario è diventata non più un’ipotesi eccezionale, giustificata dalla peculiarità di talune fattispecie, ma un tratto caratteristico e generale dell’istituto.

Per colpa grave si intende ormai per giurisprudenza consolidata la sprezzante trascuratezza dei propri doveri da parte del pubblico dipendente, che si manifesta con comportamenti connotati dalla massima imprudenza, negligenza, imperizia, noncurante superficialità nell’applicazione delle norme di diritto.

Peraltro, ai fini della valutazione di tale presupposto, si reputa comunemente che debba tenersi conto delle eventuali, gravi disfunzioni della struttura amministrativa nell’ambito della quale il presunto responsabile agisce, anche al fine di accertare la possibile scusabilità degli errori professionali commessi.

Conseguentemente, l’elemento psicologico viene vagliato secondo un criterio soggettivo, che considera la situazione concreta in cui l’agente opera (incarichi, mansioni, ruolo ricoperto, circolari, ordini di servizio, situazione ambientale e quant’altro) contribuendo a rendere sempre più difficile la valutazione discrezionale del giudice e a determinare il proliferare di motivi di appello.

Il sistema quindi consente che la colpevole condotta del dipendente, se valutata come non grave, ricada interamente sulla Pubblica Amministrazione.

Stante l’evanescenza del parametro, rimesso in buona sostanza alla discrezionale valutazione del giudice contabile, si appalesa indubbiamente problematica la relativa individuazione degli indici di riconoscimento della graduazione psicologica e si profila il rischio di allargare sempre più l’ambito di non punibilità degli amministratori e dipendenti pubblici, essendo stato di fatto codificato il criterio che nella cura dei pubblici affari possa prescindersi dalla diligenza dovuta, ex art. 1176 c.c., dal buon padre di famiglia, già di antica memoria.

2. - Condono erariale

2.1 – Aspetti generali e problemi applicativi.

Un altro rischio di affievolimento della deterrenza dell’azione di responsabilità amministrativa è costituito nel condono erariale, cui ho già accennato. Esso nasce dalla legge finanziaria per l’anno scorso la quale ha previsto, nei commi da 231 a 233 dell’articolo 1, la possibilità di chiedere "in sede d’impugnazione" la definizione dei giudizi contabili pendenti dinanzi al giudice di appello mediante il pagamento di una somma calcolata, a valutazione del giudice, tra il 10 ed il 30 per cento del "danno quantificato nella sentenza" di primo grado. La sezione di appello, come previsto ancora nelle menzionate disposizioni, pronuncia con decreto in camera di consiglio, sentito il Pubblico Ministero, e, se accoglie l’istanza, fissa la percentuale ed il termine per il pagamento, che va provato dall’interessato mediante deposito della relativa quietanza nella segreteria della sezione stessa. La definizione del processo si verifica, dispone infine detta normativa, a decorrere da siffatto deposito.

Nella Relazione del Presidente della Corte già si è dato conto delle dimensioni quantitative dell’impatto che tale nuovo modo di definizione ha avuto sul lavoro ordinario delle sezioni giurisdizionali di appello, nonché del sostanziale appesantimento delle procedure che si è verificato, giacché, come è stato detto, la previsione di una nuova fase processuale incidentale ha allungato, anziché diminuito, i normali tempi di definizione del processo di responsabilità amministrativo-contabile.

Il tutto, come emerge anche dalla Relazione del Presidente, a fronte di un notevole impegno lavorativo da parte sia dei magistrati addetti alla giurisdizione in grado di appello che da parte delle relative strutture del personale amministrativo.

La concreta applicazione di citata normativa – nella prassi, indicata, con qualche approssimazione, come "condono" o "concordato" contabile - ha posto problemi interpretativi di non facile soluzione e non ha affatto agevolato lo smaltimento dei processi, dei quali ha anzi complicato, e non di poco, la definizione.

Come effetto immediato della nuova normativa si è, infatti, verificata, e si verifica tuttora, la presentazione di una "valanga" di istanze che va – di fatto – raddoppiando la pendenza delle sezioni di appello, ove appena si consideri che, sia pure in via subordinata, la gran parte dei ricorrenti presenta detta istanza ed anzi si vanno verificando, con sempre maggiore frequenza, casi di reiterazione, sia pure per diversi motivi, di istanze già respinte, nonché di reclamo avverso decreti già pronunciati e, in alcuni giudizi, si è registrata anche la proposizione di ricorsi in Cassazione per motivi di giurisdizione.

Si aggiunga che, nella maggior parte dei casi, le istanze di concordato sono state presentate dopo la fissazione delle udienze di discussione dei giudizi, cagionandone quindi il rinvio, data l’evidente necessità di trattare anzitutto i procedimenti camerali in questione.

Siffatti rinvii e conseguenti ritardi hanno interessato, ovviamente, anche i processi con pluralità di parti, anche quando soltanto una di esse avesse proposto l’istanza di concordato, data la necessità posta per legge – ex articolo 335 c.p.c. - di definire in un unico processo tutte le impugnazioni avverso la stessa decisione.

La Sezione di appello per la Sicilia ha sollevato questioni di costituzionalità delle disposizioni di che trattasi, ravvisando nell’assenza di criteri e parametri normativi dubbi di costituzionalità, ritenuti non manifestamente infondati, per violazioni degli artt. 3, 24, 97, 101, 103 e 111 Cost. In tal modo, lungi dal costituire un’accelerazione dei processi, l’applicazione del "concordato" ha comportato la sospensione di un rilevante numero di giudizi.

Nelle altre sezioni di appello, l’evidente atecnicità delle suddette norme ha reso necessaria la soluzione di non facili problemi interpretativi sia in ordine alle modalità d’introduzione di questo procedimento incidentale, sia in ordine al suo carattere di domanda necessariamente principale, da trattare in un previo procedimento camerale, rispetto alla domanda di assoluzione da delibare nell’ordinario processo di impugnazione.

Quanto allo svolgimento del procedimento camerale, non può non farsi menzione della non irrilevante difformità che è emersa nella prassi operativa delle Sezioni di appello e che è di notevole rilevanza, in quanto incide sul diritto di difesa delle parti.

Mi riferisco alla non uniformità nell’ammettere il Pubblico Ministero e le parti alla camera di consiglio; con siffatta prassi operativa si viene ad incidere sui diritti di difesa dello stesso Pubblico Ministero e delle parti, anche perché, data l’assenza di termini dilatori per il deposito dei pareri e l’estrema accelerazione sovente impressa alla procedura, non è possibile difendere adeguatamente le proprie ragioni nel procedimento camerale se non presentando oralmente le argomentazioni del caso nella stessa camera di consiglio.

Se infatti può dirsi ormai consolidato l’orientamento che consente alla parte di depositare l’istanza di che trattasi direttamente presso la sezione, conseguendo mediante tale deposito l’effetto di comunicazione alla controparte ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 170 c.p.c., vi sono oscillazioni giurisprudenziali riguardo alla necessità, che l’istanza di concordato debba essere, in quanto proponibile in "sede d’impugnazione", contestuale rispetto all’impugnazione stessa.

Non si mancherà perciò, di porre in essere tutte le sollecitazioni necessarie per giungere ad orientamenti condivisi sulla specifica questione, che – come ho detto – incide non tanto sulle prerogative del Pubblico Ministero quanto sul diritto di difesa di tutte le parti.

Ulteriori dubbi interpretativi si sono posti quanto all’ammissibilità delle istanze di concordato in fattispecie processuali in cui siano in atto appelli sia delle parti private istanti che del Pubblico Ministero. In alcuni casi si è ritenuto che l’efficacia estintiva del pagamento effettuato a seguito dell’accoglimento dell’istanza di concordato abbia effetto anche sull’appello della parte pubblica: il che equivale a dire che una manifestazione di volontà di una delle parti può acquisire, sia pure con il consenso del giudice, efficacia estintiva sull’appello della controparte.

Quanto al merito delle istanze in questione, può dirsi consolidato l’orientamento che nega il beneficio per chi sia stato condannato per illeciti caratterizzati da dolo o frode, e quindi in solido in caso di pluralità di responsabili, e per le responsabilità di tipo "restitutorio", quali quelle proprie degli Esattori. In caso di responsabilità per colpa grave, e quindi di condanne non in solido, il beneficio è solitamente accordato dalle Sezioni centrali, che concordano sul fatto che la definizione agevolata concerne soltanto il danno quantificato con la condanna e non già le voci accessorie, quali la condanna alle spese che restano a carico dell’istante, così come le spese del processo di secondo grado.

2.2 – Deferimento delle questioni interpretative alle Sezioni Riunite della Corte dei conti.

Talune delle esposte questioni, essendo particolarmente controverse e coinvolgendo delicati aspetti di principio sono state deferite dalla Procura Generale alle Sezioni Riunite della Corte come questioni di massima.

In particolare, oltre a rilevare le discordanze nei modi di celebrazione del rito camerale e nei contenuti dei decreti, la Procura Generale ha fatto presente che la disciplina dei provvedimenti di cui agli artt. 737-742-bis (relativi alla procedura camerale) è, di norma, applicata osservando i principi costituzionali, laddove con essa si regolino diritti soggettivi.

Sicché, pur in un contesto diverso dalla volontaria giurisdizione per la quale il rito camerale è stato introdotto, appare necessario che il rito stesso sia sommario, ove con siffatto termine si intenda un procedimento o processo a cognizione sommaria in tempi ristretti, non implicante una cognitio plena. Tale sommarietà, comunque, non può pregiudicare né ledere i diritti soggettivi ed i principi costituzionali. Pertanto, per la tutela dei diritti soggettivi mediante procedimento camerale è necessario l’adeguamento imposto dal nostro sistema giurisdizionale a detti principi, assicurando in ogni caso il contraddittorio tra le parti, ed il loro diritto di difesa.

Di conseguenza sono stati formulati i seguenti quesiti alle Sezioni Riunite:

se la Sezione designata e adita possa procedere alla definizione abbreviata del procedimento di appello ai sensi dell’articolo 1, commi 231-233 della legge n. 266/2005, nonostante la produzione di impugnativa (principale o incidentale) della Parte pubblica;

se sussista (o meno) la facoltà delle controparti a partecipare e ad intervenire nella camera di consiglio nel rito camerale celebrato per la definizione del procedimento di appello ai sensi dell’articolo 1, commi 231-233, della legge n. 266 del 2005, considerata anche la non univoca conduzione del rito camerale da parte delle singole Sezioni di appello.

2.3. – Reclamabilità dei decreti delle Sezioni di appello.

In sede di deferimento delle questioni di massima, la Procura Generale ha altresì accennato al problema della reclamabilità dei decreti delle Sezioni di appello. In proposito, è stato rappresentato come sia evidente che, nel silenzio della legge, operano le norme dettate dal codice di rito per i procedimenti in camera di consiglio. Tra di esse, in base ai rinvii previsti, rispettivamente, dall’articolo 26 del R.D. n. 1038/1933 e dall’articolo 742-bis, sono da richiamare gli att. 739 e 740 c.p.c., che ammettono il rimedio del reclamo.

2.4. – Questioni prospettate dalle parti alla Corte di Cassazione.

Molte parti interessate al "condono", vistasi negata per ragioni di merito la richiesta di definizione agevolata del processo di appello, hanno ricorso in Cassazione, ipotizzando un eccesso di potere giurisdizionale, a loro avviso individuabile per pronunce delle Sezioni di appello che hanno, per un verso, riconosciuta la ritualità delle istanze e, per altro verso, negato un diritto soggettivo perfetto al condono, quale, a loro dire, sarebbe stato riconosciuto dal legislatore.

La Procura Generale ha resistito – con controricorsi – a tali gravami in Cassazione.

3. - La responsabilità amministrativa relativa alle frodi nei settori di rilievo comunitario.

3.1 – Profili generali.

Come già accennato nel corso del 2006 si è confermato il crescente rilievo assunto dai giudizi di responsabilità amministrativa relativi a danni erariali connessi ad irregolare percezione o utilizzazione, frodi o mancati recuperi di risorse erogate nell’ambito di programmi di interesse comunitario, con utilizzo dei fondi strutturali europei. Data la natura usualmente cofinanziata di tali programmi, il danno si configura normalmente sia nei confronti della Comunità europea, sia nei confronti delle amministrazioni pubbliche nazionali (Stato, regioni, altri enti pubblici) sia infine con riguardo alla stessa comunità amministrata che nello spreco delle pubbliche risorse vede vanificati gli scopi di sviluppo sottesi ai finanziamenti.

Le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno confermato l’orientamento secondo il quale per il percettore di fondi pubblici nell’ambito di programmi di sviluppo si configura un rapporto di servizio con l’ente erogatore tale da determinare la sussistenza della giurisdizione contabile.

In tal senso è la citata pronuncia contenuta in Cassazione SS.UU. civili n. 4511 ord. del 1° marzo 2006, proprio con riguardo a finanziamenti erogati nell’ambito di un programma operativo comunitario diretto allo sviluppo regionale secondo cui sussiste la giurisdizione della Corte dei conti nei confronti di società privata che abbia beneficiato di fondi pubblici nazionali e comunitari nell’ambito di un programma operativo multiregionale diretto alla promozione dello sviluppo imprenditoriale e abbia realizzato uno sviamento dalle finalità perseguite dalla pubblica amministrazione così determinando un danno erariale.

Le Sezioni Unite della Cassazione nell’affermare la giurisdizione della Corte dei conti nei confronti della società che aveva percepito i fondi, incidentalmente hanno anche affermato che non è "…ovviamente in discussione tale giurisdizione…" nei confronti dell’istituto di credito ugualmente convenuto nel giudizio di responsabilità nella qualità di concessionario per omessa vigilanza.

Le citate pronunce della Suprema Corte regolatrice della giurisdizione, costituiscono elementi fondamentali per l’ampliamento delle azioni di responsabilità in tema di frodi comunitarie, anche nella prospettiva di un incremento della quota di recupero delle somme frodate.

Sotto tale profilo ho in precedenza segnalata la vicenda concernente la rettifica finanziaria operata dalla Commissione nel settore dei fondi FEOGA nel corso del 2006 (Decisione del 3 ottobre 2006 in G.U.C.E. L 278 del 10 ottobre 2006, pagina 24); la vicenda ha rilevanti dimensioni finanziarie per l’Italia ed è giunta anche all’attenzione dell’opinione pubblica.

Come ho detto, colpisce in particolare la differenza fra la rettifica finanziaria imposta all’Italia (317,3 milioni di euro) e le rettifiche imposte ad altri Paesi (2,4 milioni alla Spagna; 2 milioni al Regno Unito; 1,3 milioni alla Francia; 0,6 milioni alla Germania).

La vicenda inoltre, costituisce una attualizzazione della tipologia di danno da ineseguito recupero che pone in evidenza la necessità di attuare efficaci misure di contrasto e di recupero delle somme di cui sia stata segnalata l’irregolare erogazione.

Invero, al riguardo può osservarsi come la nuova giurisdizione della Corte, potendo incidere anche sul percettore finale, determina che la sentenza del giudice contabile diviene titolo giudiziario non soltanto con riferimento alle eventuali responsabilità di pubblici funzionari per omissioni, dolose o gravemente colpose, di controllo, ma anche con riguardo al soggetto percettore, nei limiti del suo rapporto funzionale con la Pubblica amministrazione nazionale e comunitaria, e conseguentemente titolo per il recupero o per la definizione di ulteriori posizioni di debito–credito dello stesso soggetto in relazione ad eventuali altre erogazioni.

Ciò senza determinare interferenza con le azioni da attuarsi, doverosamente, da parte delle amministrazioni erogatrici, essendo consolidato nella giurisprudenza contabile il principio per il quale il potenziale recupero in via amministrativa non impedisce l’esercizio dell’azione di responsabilità amministrativa, incidendo le eventuali restituzioni soltanto nella sede esecutiva.

3.2 – Tipologie di danno e relativi provvedimenti giudiziari.

Le decisioni intervenute nel 2006 hanno riguardato in particolare il settore della formazione professionale cofinanziato dal FSE. In tal modo Sezione I centrale n. 7 dell’11 gennaio 2006 ha affermato la responsabilità del presidente di società cooperativa; sez. giur. Marche, con sentenza 564 del 7 giugno 2006 ha pronunciato condanna di un amministratore di società a prevalente capitale pubblico per un danno di euro 72.813,61 (progetti ADAPT); sezione Trentino Alto Adige, sede di Trento, con la sentenza 31 del 2 maggio 2006 ha condannato il legale rappresentante di una s.r.l. e un docente dipendente della stessa società in relazione all’indebito utilizzo di fondi per la formazione professionale (con collegata vicenda penale per il reato di truffa aggravata – articolo 640 bis c.p.). La sentenza presenta profili di novità, sia nella considerazione che si tratta di "società di capitali" (s.r.l) sia perché il rapporto di servizio è stato individuato anche nei confronti del docente del corso, avendo il medesimo cooperato, con condotta anche penalmente rilevante nella "malagestio" delle pubbliche risorse; la sez. Liguria ha emesso, nel corso del 2006 sei sentenze di condanna di enti privati per indebita percezione di fondi per la formazione professionale (FSE) con condanne per un importo complessivo di circa 10 milioni di euro (n. 678/2006; n. 682/2006; n. 692/2006; n. 817/2006; n. 865/2006; n. 1016/2006); sez. Molise, sent. n. 126 del 26 ottobre 2006, con condanna al risarcimento di euro 656.000, a carico di assessore regionale per aver indebitamente consentito e promosso una rimodulazione delle obbligazioni della associazione temporanea di imprese percettrice del contributo relativo ad un’attività di marketing territoriale (attrazione di investimenti produttivi) finanziata nell’ambito del Programma regionale plurifondo Molise, nemmeno interamente realizzata.

Per il settore dei fondi per lo sviluppo regionale (FESR), ovvero per casi di Programmi regionali plurifondo (POR), la sezione Veneto, con sentenza n. 67/06 del 9 febbraio 2006 ha condannato il presidente di società a prevalente capitale pubblico per la somma di euro 1.100.000,00 a titolo di danno patrimoniale ed euro 50.000 quale danno all’immagine relativamente alla distrazione di somme erogate nell’ambito di un programma rientrante nel Documento unico di programmazione per gli anni 1997-1999, per gli interventi strutturali comunitari nella regione Veneto.

Le decisioni citate evidenziano l’ampliamento degli ambiti di intervento dell’azione di responsabilità amministrativa, nel senso espresso dall’evoluzione giurisprudenziale della Corte di cassazione, notandosi una sempre più marcata tendenza alla individuazione di responsabilità non soltanto con riferimento alle carenze di controllo da parte degli organi amministrativi, ma con riferimento diretto ai soggetti che hanno indebitamente percepito o utilizzato i fondi. In tal modo l’azione di responsabilità tende a procedere sostanzialmente in parallelo con le iniziative di carattere penale o amministrativo, salve le specifiche peculiarità.

In tale senso risultano orientate numerose iniziative giudiziarie.

Al riguardo si richiama l’ordinanza assunta il 10 marzo 2006, con la quale il giudice designato della sezione regionale della Corte dei conti per la Campania ha confermato il sequestro conservativo eseguito nei confronti di un soggetto privato, percettore di risorse pubbliche erogate in base alla legge 488/1992, per l’importo di 65 mila euro, nei confronti del quale erano emersi illeciti, sotto il profilo penale e di danno per l’erario, in considerazione della rilevata falsità di dichiarazioni autocertificative prodotte al fine di ottenere il finanziamento. La Procura regionale per la Campania ha inoltre adottato tre atti di citazione relativi ad indebita percezione di fondi FESR nell’ambito delle procedure di cui alla legge 488/92, convenendo in giudizio, rispettivamente: una società in accomandita ed il socio accomandatario, per un importo di euro 76.126, e proponendo contemporaneamente azione revocatoria per atti di disposizione patrimoniale compiuti dalla persona fisica convenuta; il legale rappresentante di una s.r.l., sia in proprio che per conto della società, per importo di euro 87.112,86, nonché la banca concessionaria dell’istruttoria per euro 43.556 in relazione a gravi omissioni di controllo (responsabilità sussidiaria); il legale rappresentante di s.n.c., sia in proprio che per conto della società per euro 24.240, nonché atti di invito a dedurre, sempre per indebite percezioni di fondi FESR–legge 488/92, nei confronti di tre soggetti privati e del legale rappresentante di s.r.l. per importo di euro 121.651 (indebita percezione di fondi relativa ad ammodernamento di impianti sciistici in Piedimonte Matese), nei confronti di s.r.l. del settore alberghiero nonché due soggetti privati con importo di danno patrimoniale di euro 941.976 e danno all’immagine di euro 470.000, nei confronti di componenti di un nucleo familiare e s.n.c. per importo di euro 820.294; per s.r.l. e legale rappresentante della stessa, anche in proprio per euro 259.158; la Procura regionale per la Calabria ha emesso tre atti di citazione nei confronti di soggetti privati percettori di fondi rispettivamente nel settore agricolo (fondi FEOGA) per aiuti alla zootecnia con un danno di circa 290 mila euro, per aiuti alla produzione dell’olio d’oliva con danno di euro 92.000, nonché nel settore dei finanziamenti per le imprese (legge 488/92) per un danno di oltre due milioni di euro (in questo caso sono stati convenuti sia i soci amministratori della s.r.l. beneficiaria del finanziamento sia funzionari pubblici per omissione dei dovuti controlli); è stato inoltre emesso invito a dedurre nei confronti di dirigente della regione e componenti di un gruppo familiare, con connotazioni che fanno emergere collegamenti con la criminalità organizzata, che aveva posto in essere una serie articolata di truffe comunitarie nel settore degli aiuti all’agricoltura con danno per euro 453.964,18; la Procura regionale per le Marche ha convenuto in giudizio una s.r.l. beneficiaria di finanziamento sul fondo FEOGA orientamento nell’ambito del POR Marche, per la quale sono emerse irregolarità procedurali nonché indebite erogazioni a fronte di false fatturazioni per un importo complessivo di circa 450 mila euro, con ulteriore richiesta di risarcimento di danno per l’immagine per euro 50.000. In tal caso all’istruttoria della procura regionale hanno anche partecipato funzionari OLAF, le cui relazioni sono state depositate agli atti del giudizio contabile. La Procura Marche ha anche comunicato che per effetto di iniziative istruttorie condotte unitamente alla Guardia di finanza sono intervenuti recuperi in via amministrativa per euro 944.705,63 oltre a revoche di contributi già disposti per euro 207.675,04, ad evidenziare che l’attività delle Procure regionali nel settore può costituire un valido stimolo all’autonoma azione di recupero delle somme da parte delle amministrazioni interessate. Anche la Procura regionale Friuli Venezia Giulia ha segnalato che nel corso di istruttoria riguardante la costruzione di un porticciolo turistico finanziata con fondi UE (FESR-POR Friuli Venezia Giulia) è intervenuta la revoca da parte della Regione di una quota del contributo pari ad euro 177.662 attualmente in corso di recupero.

La Procura regionale Lazio ha emesso atto di citazione per indebite percezioni di fondi FESR, nei confronti di funzionari del Ministero attività produttive e soggetto privato titolare di fatto della società che ha percepito i finanziamenti per un danno complessivo di 31 milioni e 281 mila euro. Ha inoltre emesso invito a dedurre con sequestro conservativo per indebita percezione di fondi FESR per euro 3,6 milioni da parte di un gruppo di s.r.l. facenti parte di un'unica organizzazione finalizzata alla frode con la partecipazione di funzionari dell’IPI e con profili connessi di corruzione; è stato emesso inoltre atto di citazione nei confronti di funzionario AGEA per danno all’immagine connesso a fatti di corruzione collegati all’erogazione di contributi percepiti irregolarmente da impresa sita nel Veneto. Anche presso la Procura per la Puglia sono state attivate attività istruttorie relative all’erogazione di fondi nell’ambito del POR Puglia che ha visto la partecipazione di funzionari OLAF.

La Procura regionale per l’Umbria ha emesso atto di citazione nei confronti del responsabile finanziario di un Comune con riferimento a ritardata rendicontazione relativa a contributo FESR per aree terremotate (Obiettivo 5b per lo sviluppo rurale del programma 1994-1999), per un importo di euro 24.200, rimasto a carico delle finanze comunali in relazione a interventi comunque effettuati.

In data 26 aprile 2006, ha emesso invito a dedurre nei confronti di s.r.l. destinataria di finanziamenti FSE in relazione a gravi irregolarità, anche con profili di falsificazioni dolose, nella realizzazione di corsi di formazione professionale per un importo di euro 167.693,82.

3.3 – Le attività di accertamento.

Il quadro complessivo è particolarmente ampio ed interessante e riguarda i profili del danno, l’espansione delle figure soggettive, l’aspetto delle polizze fideiussorie, e, in definitiva una sostanziale tutela degli interessi finanziari comunitari e nazionali e degli interessi collettivi connessi ad un corretto impiego delle comunque scarse risorse spendibili nello sviluppo e nel sostegno all’economia, in connessione con il contrasto all’indebita appropriazione di dette risorse da parte di soggetti interni o esterni alla Pubblica Amministrazione nonché di associazioni criminose.

Al riguardo è ormai da tempo operativo un valido sistema di comunicazioni da parte del Comando Generale della Guardia di finanza, che invia sistematicamente copia delle segnalazioni da essa inoltrate a varie amministrazioni in seguito alla conclusione di indagini relative alle frodi comunitarie. Tali sintetiche informative sono raccolte dalla Procura Generale ed ordinate per fattispecie e ambiti regionali e trasmesse alle Procure regionali.

Inizialmente tale attività aveva fini meramente conoscitivi riguardando tali informazioni tutti gli episodi di frode accertati dalla Guardia di finanza, a prescindere dall’immediata riconoscibilità nella specifica fattispecie di ipotesi tipiche di responsabilità amministrativa, relative al coinvolgimento di funzionari pubblici e pertanto a suo tempo non rientranti, in linea generale, nei casi di obbligatoria denuncia di danno erariale (articolo 83 del r.d. 2440/1923; articolo 53 t.u. 1214/1934; articolo 20 t.u. n. 3/1957; articolo 1 legge 20/1994).

L’evoluzione giurisprudenziale prima ricordata ha determinato che dette segnalazioni costituiscano ormai denuncia di danno per l’erario.

Nel corso del 2006 sono pervenute segnalazioni relative a complessive 207 verifiche, per un importo di danno totale di circa 96,3 milioni di euro. I maggiori importi riguardano le regioni Campania (28,1 milioni), Sicilia (21,1 milioni) e Calabria (16,7 milioni).

L’importo complessivamente maggiore delle violazioni si è registrato nel settore degli aiuti ai settori produttivi attuati con il fondo di sviluppo regionale (FESR) per un importo complessivo di euro 60,5 milioni, con una massima incidenza nella regione Campania (24,4 milioni).

Rilevanti sono ancora anche le violazioni riscontrate nel settore degli aiuti all’agricoltura (FEOGA-Garanzia), per un importo di 22,7 milioni, con la maggiore incidenza nella regione Sicilia, per 17,09 milioni Il settore della formazione professionale, finanziato dal FSE, ha registrato violazioni per 5,7 milioni, con la maggiore incidenza nella regione Lombardia (1,9 milioni). Per quanto attiene al fondo di sostegno per la pesca (SFOP), è risultato un importo di euro 2,7 milioni, con maggiore incidenza in Campania (1,1 milioni).

Ciò implica che non soltanto gli organi investigativi ma anche tutte le amministrazioni coinvolte nella gestione dei fondi comunitari inviino alle Procure regionali della Corte dei conti, le denunce di frode o irregolarità relativa ai fondi comunitari.

3.4. – Collaborazione tra giudici nella lotta antifrode.

Analogamente per l’autorità giudiziaria penale si pone la necessità di applicare l’articolo 129 comma 3° disp. att. c.p.p. anche con riguardo ai casi di frode comunitaria relativa a soggetti privati percettori dei fondi. Ciò sia con riferimento alle comunicazioni in caso di esercizio dell’azione penale sia con riferimento alle misure cautelari adottate (articolo 129 comma 3° bis disp. att. c.p.p.). Non risolta normativamente è peraltro la situazione connessa a provvedimenti di archiviazione per fatti dai quali risultino comunque situazioni di danno erariale, per le quali, nella prassi, numerosi pubblici ministeri penali comunque inoltrano comunicazioni alle Procure regionali della Corte. Ciò nella prospettiva di una più efficace ed anticipata assunzione di iniziative, anche cautelari da parte delle Procure medesime.

Si auspica che la prossima revisione del codice di procedura penale possa apportare le opportune modifiche nel senso di rendere più agevole e tempestiva la collaborazione fra gli uffici del Pubblico Ministero penale e di quello contabile, in particolare rivisitando in senso ampliativo le previsioni di cui all’articolo 117 del codice di procedura penale.

Nel quadro di tale ampliamento di prospettiva si colloca il già ricordato perfezionamento del protocollo di collaborazione con l’OLAF, formalmente da me sottoscritto il 23 giugno 2006 a Bruxelles, al termine della 4^ conferenza dei procuratori europei antifrode, che assicura la realizzazione di una rete di contatto fra magistrati delle Procure, generale e regionali, e l’Olaf-Unità magistrati.

Il Protocollo prevede una costante collaborazione informativa fra Procure della Corte dei conti ed OLAF, sulla base delle previsioni dell’articolo 8 del regolamento (CE) 1073/1999 istitutivo dell’OLAF e nel rispetto della disciplina nazionale e comunitaria in tema di tutela dei dati personali e si è già concretizzato in collaborazioni operative fra l’OLAF ed alcune Procure regionali (in particolare Marche, Lombardia, Puglia).

4. - Riscossione di tributi: vicende processuali, sanatorie e profili di riforma.

4.1 – Cenni introduttivi.

In analoghe occasioni e in recenti referti al Parlamento6, si è avuto modo di richiamare l’attenzione di Parlamento e Governo sulle modeste percentuali di riscossione delle entrate erariali e non erariali (le percentuali complessive non raggiungono il 10% delle iscrizioni a ruolo) nonché sulla inadeguata qualità dei servizi offerti dalle Società (per lo più istituti di credito) concessionarie della funzione.

Per un verso, era stata richiamata l’attenzione della Agenzia delle Entrate ad effettuare più attenti controlli; per altro verso, ci si era rivolti al legislatore per una rivisitazione dell’intero sistema. Nel contempo, le Procure regionali della Corte dei conti non hanno cessato le loro indagini dirette a reprimere le irregolarità commesse nella espletazione del servizio. Negli anni passati (e le attività di intelligence più recenti ne hanno dato conferma) era, infatti, emersa una realtà sconcertante che presentava, come elevate a sistema, procedure di riscossione assolutamente anomale: in innumerevoli casi, registrati in pressoché tutti gli ambiti esattoriali oggetto di verifica, i concessionari, anziché procedere alla ricerca del contribuente ed alla esecuzione forzata sui beni, si limitavano a registrare a tavolino accessi ed atti esecutivi improduttivi (irreperibilità e pignoramenti negativi). Oltre duecentomila casi di esecuzioni irregolari hanno finora formato oggetto di contestazione in sede giudiziaria. Altrettante posizioni irregolari sono ancora all’esame di varie Procure regionali. La vastità del fenomeno e la complessità delle indagini, rende impossibile formulare una ipotesi, ancorché approssimata, delle gravissime perdite di gettito ai danni degli enti impositori. Può soltanto ribadirsi quanto già rilevato sui risibili livelli di riscossione; dati sconcertanti soprattutto se rapportati alla entità dell’onere finanziario (circa 500 milioni di Euro all’anno) che il bilancio dello Stato era chiamato a sopportare per sostenere il sistema dei concessionari. Un sistema malato che oltre ai danni per le mancate entrate ha causato anche, nel contribuente infedele, una sorta di affidamento sul cattivo esito della riscossione e, quindi, ulteriori irregolarità nelle denuncie ed ulteriori resistenze ad assolvere spontaneamente gli obblighi tributari.

Già nella relazione del 2003 la Procura Generale concluse le sue analisi sui comportamenti dei concessionari osservando che:"le ragioni delle deludenti performances risiedono, principalmente, in una politica aziendale di gestione del servizio diretta a trarre massimi profitti con minimi costi e condotta entro un rapporto "protetto" da normative che, sostanzialmente, generano situazioni di monopolio a favore degli Istituti di credito. Peraltro, tale politica, di fatto - come testimoniano dati più analitici che l’Agenzia delle Entrate elabora ogni anno per il Parlamento (relazione al Parlamento sullo stato della riscossione, articolo 1, comma 4 L. 337/1998) - indirizza le Concessionarie a privilegiare non la riscossione coattiva, bensì una gestione puramente "amministrativa" delle somme versate spontaneamente dai contribuenti a seguito della notifica della cartella di pagamento, con una scarsissima incidenza della vera e propria attività esecutiva degli stessi concessionari e, quindi, del valore aggiunto ritraibile da quest’ultima."

A distanza di tre anni, può ora dirsi che l’azione svolta dalle Procure contabili ha prodotto effetti: per un verso, infatti, sono stati avviati giudizi davanti alle sezioni giurisdizionali di varie Regioni in esito ai quali sono state pronunciate condanne per circa 20 milioni di Euro. In via amministrativa, non sono stati riconosciuti rimborsi e/o discarichi di quote pretese inesigibili per oltre 3,5 milioni di Euro. Inoltre, non si è proceduto ad ulteriori versamenti delle somme pretese in virtù della c.d. "liquidazione automatica" delle quote inesigibili prevista dall’articolo 60 del d.lgs. n. 112/1999; i conseguenti ricorsi prodotti dalle Società concessionarie per ottenere i 40 milioni di Euro contestati sono stati tutti respinti dal giudice contabile. Tutti i giudizi definiti in primo grado sono stati impugnati; a tutt’oggi pendono, davanti alle Sezioni centrali d’appello, in attesa di definizione, n. 90 gravami.

4.2 – Aspetti generali della riforma.

Tuttavia, il dato più rilevante che scaturisce dalla suesposta vicenda, risiede nel fatto che il legislatore, a fronte dei dati come sopra rilevati e di tante documentate ragioni, non ha potuto non farsi carico di rivisitare sul piano normativo l’intero sistema, cercando formule più rispondenti alla delicatezza del compito.

In effetti, il legislatore sulla spinta degli esiti penali, contabili ed amministrativi condotti sulle attività dei concessionari, con la legge finanziaria del 2005 (L. n 311 del 30 dicembre 2004) ha scelto di misurarsi su di un terreno di radicali riforme cercando soluzioni che definissero le pendenze processuali ed i rapporti pregressi con le società concessionarie, e, nel contempo, dessero un nuovo assetto organizzativo all’attività di riscossione con assunzione diretta del servizio da parte di un soggetto pubblico.

Per la definizione extraprocessuale del contenzioso pendente e di tutte le questioni connesse alle irregolarità compiute nell’esercizio degli obblighi del rapporto concessorio fino alla data del 20 novembre 2004, la norma ha previsto una sanatoria di tutte le posizioni irregolari con il versamento di una somma corrispondente a € 3 per ciascun abitante residente negli ambiti territoriali affidati a ciascun esattore.

All’annunciata radicale riforma del sistema della riscossione lo stesso Legislatore ha provveduto, poi, con il D.L. n. 203 del 30 settembre 2005 (conv. nella L. n. 248 del 2.12.2005) prevedendo che "a decorrere dall’1.10.2006, è soppresso il sistema di affidamento in concessione del servizio nazionale della riscossione e le funzioni relative alla riscossione nazionale sono attribuite all’Agenzia delle entrate che le esercita mediante la società di cui al comma 2". Tale società, lo si ricorda è la Riscossione S.p.a., costituita con la partecipazione dell’Agenzia delle entrate e dell’INPS.

4.3 – Problematiche conseguenti alla riforma.

Le nuove previsioni (sanatoria e nuova struttura organizzativa) pongono problemi e sollevano alcune perplessità:

Sanatoria

Le Società concessionarie hanno aderito alla sanatoria ed hanno versato tutte le somme previste per legge (circa 150 milioni di Euro). Chiedono ora, nei giudizi pendenti, la cessazione della materia del contendere e, conseguentemente, la estinzione dei processi. Tale richiesta presuppone, tuttavia, chiarimenti e passaggi non del tutto compiuti. Occorre, infatti, ancora accertare se, per la applicazione della sanatoria, ricorrano tutte le condizioni poste dalla legge e cioè, non solo l’effettivo pagamento delle somme ivi previste, ma anche l’assenza delle condizioni di esclusione da ultimo stabilite con il D.L. 4 luglio 2006, n. 223, soprattutto là dove viene previsto che la sanatoria non produce effetti nei casi di "irregolarità consistenti in falsità in atti redatti dai dipendenti, se definitivamente dichiarata in sede penale prima dell’entrata in vigore della legge n. 311/2004". Allo stato degli atti, in quanto i giudizi di responsabilità instaurati davanti alla Corte dei conti hanno a presupposto non la falsità degli atti ma gli inadempimenti posti in essere nell’espletamento del servizio, non sono a disposizione dei giudici contabili i dati relativi agli esiti penali. Sono state emanate ordinanze istruttorie per accertare presso gli Enti impositori la presenza di tutti i presupposti. Peraltro, di recente, la difesa di una Società concessionaria ha sollevato questione di costituzionalità sulla norma che esclude le posizioni oggetto di giudicati penali.

Per altro verso, occorre ancora chiarire, l’altro delicatissimo aspetto che riguarda la spettanza delle somme pagate dalle Società concessionarie per potere accedere alla sanatoria. Occorre ricordare, infatti, che i vari giudizi sono stati promossi per irregolarità riguardanti la esazione sia di tributi erariali, sia di tributi non erariali. Quest’ultimi sono di competenza degli Enti territoriali e Locali e di altri Enti dotati di potere impositivo, ovvero, destinatari, per legge, di tributi. La norma sulla sanatoria sembra, invece, attribuire tutte le somme alla sola Agenzia delle Entrate, ignorando così, competenze e diritti di altri. La UNIONCAMERE, investita della questione da alcune Camere di commercio destinatarie di somme oggetto di contenzioso, hanno comunicato di volere intervenire nei giudizi contabili rappresentando le loro ragioni creditorie, sollevando, ove occorra, conflitti e questioni di costituzionalità della norma sulla sanatoria.

Allo stato degli atti, pertanto, la questione della definizione dei giudizi in applicazione della sanatoria non sembra affatto risolta; a meno che non voglia accedersi alla tesi (sono richiesti, tuttavia, ulteriori approfondimenti non appena l’UNIONCAMERE ed, eventualmente, i Comuni formalizzeranno interventi in giudizio) che i giudizi possano essere decisi nel merito e che i rapporti tra Agenzia delle Entrate, Enti Locali e Camere di commercio, trovino poi soluzione in sede di esecuzione ed in altre sedi diverse da quella giudiziaria.

Al momento, in questa occasione di consuntivo sulle attività delle Procure contabili non resta altro che registrare - ferme restando tutte le riserve e le perplessità di natura tecnica sulla conclusione dei processi - che, su di un piano meramente economico, la sanatoria restituisce somme per 150 milioni di Euro.

Il nuovo sistema e la Riscossione S.p.a.

Il nuovo sistema è stato accelerato dalle ferme denuncie della Procura generale sullo stato delle Entrate. Debbo, quindi, registrare con doveroso rispetto delle funzioni e prerogative degli altri Organi costituzionali, la sensibilità e l’attenzione che Parlamento e Governi hanno mostrato sul delicato tema. Una ulteriore conferma del fatto che i Pubblici Ministeri contabili, con le loro indagini, svolgono soprattutto opera di denuncia e di sollecitazione di interventi nei confronti degli Organi deliberativi e dell’Esecutivo: un’offerta di conoscenze, oggettive, autonome ed indipendenti, rese nell’esclusivo interesse della Legge e dello Stato-comunità.

La formula organizzatoria adottata per la conduzione dell’attività di riscossione dei tributi, quella della Riscossione S.p.A., ha già formato oggetto di un’ampia disamina resa in occasione del giudizio di parificazione del giugno 2006.

Al momento, essendo il nuovo sistema entrato in vigore soltanto nell’ottobre del 2006, non si dispone di nuovi elementi per produrre ulteriori analisi. Allo stato permangono le perplessità a suo tempo formulate in via generale consistenti soprattutto nel fatto che, l’affidare ad un soggetto privato (ancorché si tratti di una s.p.a. in mano pubblica) uno dei più delicati e centrali compiti dello Stato, significa coltivare la funzione medesima su di un terreno diverso e meno garantito di quello della contabilità pubblica. E ciò anche in considerazione del fatto che il nuovo sistema ancorché del tutto diverso dal precedente, da questo sembra ereditare (nella sua concreta operatività) strutture, soggetti, culture e modelli comportamentali delle passate gestioni. Si teme, nella sostanza, che a fronte della frattura con il precedente sistema normativo sul piano delle responsabilità delle scelte, delle garanzie delle procedure e del sistema dei controlli, vi sia una preoccupante continuità con il sistema precedente sul piano delle modalità operative, dei modelli e delle politiche aziendali. Se tale analisi dovesse trovare fondamento, sarebbe stato perpetrato un intollerabile tradimento alle motivazioni della riforma voluta dal legislatore.

Un primo immediato riscontro alle preoccupazioni come sopra manifestate lo si rinviene nella stessa lettera della legge che complessivamente indebolisce (comma 32 articolo 3 del D.L. 203/2005) i poteri di vigilanza e di controllo dello stesso Ministro dell’Economia e Finanze. Il nuovo assetto, inoltre, crea una sorta di commistione nelle funzioni di direzione e controllo tra organi dell’Agenzia delle Entrate e organi della Riscossione s.p.a., facendo prefigurare confusioni di ruolo tra controllori e controllata. La Corte dei conti, nelle sue varie articolazioni del controllo, della giurisdizione e di referto al Parlamento, seguirà con estrema attenzione l’evolversi del sistema, curando, in particolare che il nuovo assetto non si traduca in ulteriori oneri per lo Stato, senza significativi vantaggi per l’attività di riscossione.

5. - Danno ambientale: si ritorna al giudice contabile?

Con l’articolo 318 comma 1 lettera a) del recente D. Leg.vo n. 152 del 3 aprile 2006 – recante "norme in materia ambientale" e, nella prassi noto come "codice dell’ambiente - è stato abrogato, salvo che per il quinto comma, l’articolo 18 della L. n. 349 dell’ 8 luglio 1986, che, come è noto, chiudendo contrasti interpretativi sull’accertamento in materia di danno ambientale, aveva attribuito al giudice ordinario la giurisdizione al riguardo. Inoltre, il comma 6 dell’articolo 313 del menzionato Decreto n. 152/06 prevede che "nel caso di danno provocato da soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, anziché ingiungere il pagamento del risarcimento per equivalente patrimoniale, invia il rapporto all’Ufficio di procura regionale …. competente per territorio".

E’ utile poi, al fine di meglio considerare la portata innovativa delle summenzionate disposizioni, che, negli articoli precedenti del Decreto n. 152/06, i cui contenuti potranno essere ancora cambiati con decreti legislativi entro la data del 31 gennaio 2007, si sono disciplinati i poteri del Ministro ed il procedimento amministrativo contenzioso per l’accertamento del danno ambientale e per l’individuazione dei trasgressori, nonché per la determinazione dei risarcimenti in forma specifica, se possibili, ovvero, in caso contrario, dei risarcimenti patrimoniali per equivalente, da disporre mediante ordinanza-ingiunzione di pagamento.

Ciò premesso, rispetto alla previgente normativa mi sembra di poter individuare i seguenti contenuti innovativi:

come si desume dalla sopravvenuta abrogazione del comma 1 dell’articolo 18 L. n. 349/86, la responsabilità risarcitoria per la lesione di beni pubblici ambientali non si pone più necessariamente verso lo Stato, ma può configurarsi nei confronti dell’ente pubblico che di tali beni sia il titolare;

l’accertamento dei danni ambientali e l’applicazione delle relative sanzioni tendono sempre e comunque, in primo luogo, al ripristino dei beni lesi e, soltanto se non possibile, al risarcimento per equivalente patrimoniale;

mentre la materia delle ordinanze di ripristino resta in ogni caso nella competenza del Ministro, è riconosciuta una competenza della Corte dei conti per quanto attiene ai risarcimenti in forma di equivalente patrimoniale dovuti, per la lesione di beni ambientali, da soggetti sottoposti alla giurisdizione contabile, e quindi sia quando si tratti di responsabilità diretta nei confronti dell’ente pubblico di appartenenza, sia quando si tratti di responsabilità per il danno c.d. obliquo, in quanto cagionato ad ente diverso da quello di appartenenza, giusta articolo 1 ultimo comma L. n. 20/94;

anche se formulato in termini di riconoscimento di una competenza già in essere, il contenuto innovativo del citato comma 6 dell’articolo 313 del decreto n. 152/06 è chiaro, ove appena si consideri che, alla stregua dell’ormai abrogato articolo 18 L. n. 349/86, per il danno ambientale l’agente pubblico rispondeva innanzi al giudice ordinario, essendo limitata la giurisdizione contabile al solo danno strettamente erariale, vale a dire al danno corrispondente "agli esborsi sostenuti dagli enti pubblici" (cfr. ex multis Cass. Civ. SS.UU. n. 10733 del 28 ottobre 1998).

Restando in vigore la disposizione del comma 5 dell’articolo 18 L. n. 349/86, deve ritenersi che le associazioni ambientaliste potranno intervenire nei giudizi per danno ambientale, e quindi anche innanzi al giudice contabile, la cui giurisprudenza viene, in tal modo, sollecitata a superare le tradizionali diffidenze nei confronti dell’intervento in giudizio, anche perché si tratterebbe, nella specie, di soggetti portatori di un interesse autonomo, non necessariamente coincidente con quello del Pubblico Ministero contabile. In altri termini, occorrerebbe fare chiarezza sui poteri processuali di tali associazioni in caso di archiviazione della denuncia di danno e sulla riconoscibilità alle stesse di un potere di impugnazione della decisione di primo grado.

Infine, è appena il caso di far cenno, in sede di prima riflessione sulle disposizioni in questione, ai problemi processuali posti dalla concorrenza tra procedimento amministrativo (e successivo eventuale giudizio amministrativo) e giudizio contabile: si pensi al valore degli accertamenti procedimentali eseguiti dal Ministero e delle ordinanze-ingiunzione pronunciate nei confronti di privati per uno stesso danno ambientale ascrivibile in concorso anche ad agenti pubblici.

6. - Il Contenzioso in materia pensionistica

La Procura generale, in occasione dello svolgimento della sua attività istituzionale dinanzi alle Sezioni riunite della Corte nel corso del 2006, ha avuto modo di intervenire e dedurre in giudizi per questioni di massima di particolare rilievo anche in materia pensionistica, con conclusioni cui le Sezioni stesse si sono per lo più uniformate. Tra le altre ritengo opportuno ricordare almeno le posizioni assunte in tre occasioni.

Una prima volta, sull’annosa questione del cumulo delle indennità integrative speciali, nel giudizio definito con sentenza 2/2006/QM, che ha confermato, in conformità alle richieste avanzate dalla Procura generale, sulla base dell’assetto normativo come configurato a seguito delle pronunce di incostituzionalità del giudice delle leggi, la soluzione già data con precedente decisione (14/2003/QM) circa la spettanza del cumulo soltanto nei limiti del trattamento minimo INPS per i titolari di più pensioni, rispetto al già riconosciuto diritto alla doppia percezione integrale della stessa indennità per i pensionati che prestino anche attività lavorativa retribuita; tuttavia, l’incertezza giurisprudenziale ancora esistente a riguardo, rende auspicabile, stante il rilievo erariale della questione, un intervento del legislatore, che, seppure tardivo, indichi chiaramente i limiti entro i quali possa essere consentito il cumulo delle indennità integrative speciali o delle indennità similari. Un intervento restrittivo, in tema di indennità integrativa speciale, che peraltro risulta già impugnato dinanzi alla Corte costituzionale dalla Sezione giurisdizionale per la regione siciliana (G.U.P. ord. 13/2007), è stato invece effettuato con la recente legge finanziaria per il 2007 (commi da 774 a 776) sui trattamenti di reversibilità di pensioni dirette liquidate entro il 31 dicembre 1994, per i quali, dopo una pronuncia delle Sezioni riunite (8/2002), era stata univocamente riconosciuta l’indennità in misura intera.

Altro intervento della Procura ha riguardato l’applicabilità della normativa statale sulla perequazione automatica anche alle pensioni dei dipendenti della Regione siciliana, riconosciuta con sentenza 5/2006/QM, in adesione alle conclusioni di merito della Procura generale.

Infine, in tema di riconoscimento, ai fini pensionistici, dei periodi corrispondenti all’astensione obbligatoria per maternità verificatisi al di fuori del rapporto di lavoro, le Sezioni riunite, con sentenza n. 7/2006/QM, uniformandosi, ancora una volta, alle conclusioni rassegnate dall’organo requirente, hanno affermato che sussiste il diritto all’accredito figurativo di detti periodi anche a favore delle lavoratrici già pensionate, in base ai principi costituzionali di tutela e sostegno della maternità, come concretizzatisi nell’ordinamento.

7. - Il rimborso delle spese legali

Come è noto, una delle novità introdotte dalla legge n. 639 del 1996, nell’ambito del riassetto della responsabilità amministrativa, è stata la previsione che: "In caso di definitivo proscioglimento … le spese legali sostenute dai soggetti sottoposti al giudizio della Corte dei conti sono rimborsate dall’Amministrazione di appartenenza".

Essendo prevalsa la tendenza, da parte dei convenuti prosciolti, a richiedere direttamente all’Amministrazione il rimborso delle spese legali, senza aver previamente sottoposto la questione alla Sezione, è intervenuto il legislatore (articolo10-bis, 10° comma, del decreto-legge 30 settembre 2005 n. 203, convertito nella legge 28 dicembre 2005 n. 248) a statuire, con disposizione di carattere interpretativo, che, sulla base della normativa vigente, il giudice contabile, in caso di proscioglimento nel merito, e, con la sentenza che definisce il giudizio, liquida, ai sensi e con le modalità di cui all’articolo 91 c.p.c., l’ammontare degli onorari e diritti spettanti alla difesa del prosciolto.

Un’azione di stimolo alla pratica applicazione della disposizione viene svolta dalla Procura Generale, i cui atti conclusionali recano, a tal fine, per la denegata ipotesi di accoglimento dell’appello, apposite richieste in via gradata:

in ipotesi di proscioglimento dell’appellante per difetto della colpa grave, si esprime l’avviso che le spese di giustizia e quelle sostenute per il patrocinio legale siano compensate, tenuto conto del danno comunque inferto all’Ente di appartenenza: invero la verifica giudiziale operata per impulso del Procuratore regionale è risultata inevitabile, data la presunzione di illiceità della condotta tenuta dal convenuto; con la conseguenza che i costi sostenuti per il giudizio non possono non ricadere sul soggetto che con la sua condotta lo ha reso indispensabile;

nella ipotesi di declaratoria di assenza anche di colpa lieve dell’appellante, la Procura richiede espressamente una pronuncia della Sezione sulle spese sostenute per il patrocinio, con conseguente loro liquidazione, per consentire all’Amministrazione di provvedere al materiale rimborso, come previsto dalla legge 639/96, ricordando che per la fattispecie, tranne che per le Amministrazioni statali, non risulta previsto il parere di congruità dell’Avvocatura dello Stato da esprimere sulle richieste di rimborso avanzate all’Ente di appartenenza. Si sottolinea, con l’occasione, che la violazione dell’onere della liquidazione delle spese non solo di giustizia, ma anche legali, configurerebbe il vizio di omessa pronuncia ex articolo 112 c.p.c. Inoltre, la mancata produzione da parte del difensore dell’appellante, della nota prescritta dall’articolo 75 disp. att. c.p.c. non esclude secondo il consolidato insegnamento della Suprema Corte, il potere-dovere del giudice di liquidare le spese medesime, in base agli atti di causa.

Alle richieste della Procura generale le Sezioni Centrali di appello stanno dando risposte generalmente positive.

In particolare viene negata la ammissibilità del rimborso in ipotesi di proscioglimento per prescrizione o per motivi di carattere processuale, mentre nei casi di proscioglimento per insussistenza del profilo della colpa grave le spese vengono compensate.

Negli altri casi, le Sezioni si pronunciano di regola sulle spese, come prescritto dalla legge, al fine di mantenere indenni le Amministrazioni da oneri difficilmente contenibili qualora dovessero essere pagati a "piè di lista".

8. - Esecuzione delle decisioni giurisdizionali della Corte dei conti in materia di responsabilità amministrativa

8.1.- Considerazioni preliminari.

Nel corso dell’anno 2006 è proseguita l’azione dei Procuratori regionali di vigilanza sulle attività poste in essere dalle amministrazioni pubbliche per il recupero dei crediti risarcitori nascenti dalle sentenze di condanna pronunciate dalle Sezioni giurisdizionali della Corte.

In proposito è da dire che da quando il D.P.R. 24 giugno 1998, n. 260 ha introdotto l’obbligo, per le amministrazioni procedenti, di informare i Procuratori regionali delle iniziative assunte, s’è innescato un meccanismo di impulso e di attiva collaborazione inter-istituzionale che ha consentito di superare i numerosi problemi che quotidianamente insorgono.

Più complessa è la problematica relativa alla riscossione di tali particolari crediti, che, non essendo crediti privilegiati, da un lato patiscono le comuni difficoltà che si incontrano nella riscossione dei tributi, d’altro lato vengono eseguiti nei confronti di debitori che per la maggior marte dei casi sono dipendenti pubblici con patrimoni incapienti o non aggredibili, ovvero sono frodatori che ancor prima del processo hanno avuto vari modi di mimetizzare i propri beni.

Il citato D.P.R. n. 260 del 1998 ha ricondotto i procedimenti di esecuzione delle decisioni di condanna sotto la responsabilità dell’Amministrazione creditrice, con abrogazione delle norme che stabilivano il passaggio all’amministrazione del Demanio dei crediti di più difficile esazione e relativa possibilità d’intervento nei giudizi di espropriazione sui beni mobili o immobili dei debitori, riservando però alla stessa la possibilità di procedere alla riscossione a mezzo ruoli affidati a concessionari (ai sensi dell'articolo 67 del decreto del presidente della repubblica 28 gennaio 1988, n. 43 e per i crediti vantati dagli enti locali articolo 52, comma 6, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446).

In tal modo si è realizzato un sistema claudicante, ove la responsabilità delle scelte di impulso e di tutela anche in sede giudiziaria dei crediti di più difficile esazione è rimessa a pubbliche amministrazioni che in materia, però, non dispongono dei poteri coercitivi propri dell’amministrazione finanziaria, sia nei confronti del debitore, sia verso i concessionari della riscossione. Ancor meno possono fare affidamento su efficienti apparati organizzativi, professionalità e dotazioni occorrenti per la ricerca del debitore, l’individuazione dei beni da sottoporre alla esecuzione coattiva, la capacità di stare in giudizio nelle procedure esecutive ordinarie.

In sintesi va rilevato come il D.P.R. 260 presuppone ed in alcuni casi addirittura prevede una regolamentazione di dettaglio di cui spesso si avverte la mancanza, per cui sarebbe auspicabile un intervento del Governo centrale al riguardo.

In particolare, un intervento del Ministro della funzione pubblica sarebbe opportuno per la regolamentazione delle procedure, la documentazione e le scritturazioni contabili necessarie per la riscossione, schemi di convenzione tipo ai quali le Amministrazioni dovrebbero attenersi per la concessione di dilazioni, vincolandosi a parametri il più possibile omogenei al fine di evitare discriminazioni, procedure e protocolli per crediti di Amministrazione diversa da quella di appartenenza della persona condannata, nelle ipotesi di accertate responsabilità per cosiddetto danno obliquo.

8.2. - L’esecuzione nei confronti dell’erede.

Da parte di alcune amministrazioni pubbliche è stata comunicata l’intenzione di non procedere nei confronti degli eredi per il recupero di crediti nascenti da sentenze definitive di condanna, nelle ipotesi in cui i dante causa fossero stati riconosciuti responsabili a titolo di colpa grave, ritenendo intrasmissibile il relativo debito per successione ereditaria.

L’atteggiamento appare ispirato ad una controversa lettura dell’art. 1 della legge n. 20 del 1994, nel testo risultante dalle modificazioni apportate dall’art. 3 del decreto legge 1996 n. 534 convertito in legge n. 639 del 1996, laddove, dopo aver precisato che la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti è personale, la norma testualmente stabilisce che "il relativo debito si trasmette agli eredi secondo le leggi vigenti nei casi di illecito arricchimento del dante causa e di conseguente indebito arricchimento degli eredi stessi".

La disposizione, definisce i contorni dell’obbligazione risarcitoria pubblica nascente dalla violazione di obblighi di servizio, prevedendo che l’azione volta al ristoro del danno erariale possa essere esercitata anche nei confronti di eredi che, in conseguenza dell’illecito arricchimento del de cuius, abbiano essi stessi tratto un indebito aumento delle proprie disponibilità economiche. In queste ipotesi v’è una sorta di perpetuazione dell’obbligazione del de cuius in capo agli eredi in virtù del giudizio di disvalore che il legislatore riconnette ad una locupletazione avvenuta ai danni del pubblico erario.

Così letta, la norma sembrerebbe riguardare situazioni giuridiche differenti da quelle derivanti dalla trasmissione iure successionis dei rapporti nascenti dalla sentenza di condanna divenuta cosa giudicata. In tali casi potrebbe anche ritenersi che al rapporto giuridico originario, dedotto in giudizio dal Pubblico Ministero contabile, si sia sostituito il diritto di credito nascente dalla sentenza: rispetto a tale diritto il legislatore, quindi, non avrebbe ritenuto di introdurre limitazioni al suo trasferimento mortis causa.

Un altro importante problema è costituito dalla mancanza dello jus postulandi in capo ai dirigenti responsabili dell’esecuzione: ciò impone l’impossibilità di attivarsi direttamente e tempestivamente presso il giudice dell’esecuzione per contestare pretestuose opposizioni, ottenere l’assegnazione di somme o la vendita di beni, ovvero per introdurre azioni revocatorie di negozi giuridici in frode al creditore. È emerso, infatti, che le Avvocature distrettuali, oberate da un numero ingente di vertenze, scelgono di intervenire solo nelle cause di maggior rilievo e spesso non rispondono neppure alle sollecitazioni del funzionario responsabile del procedimento.

8.3.- L’esecuzione a mezzo ruolo.

Come già accennato, il D.P.R. 260 prevede che, per la riscossione dei crediti non recuperabili in via amministrativa, l'ufficio competente proceda all'iscrizione a ruolo, sulla base di una complessa normativa, che, opera con rinvii dinamici alle fondamentali norme sulla riscossione esattoriale recate dal R.D. 14.4.1910, n. 639 e dal D.P.R. 29.9.1973, n. 602, così come risultano a seguito dei numerosi interventi integrativi e correttivi operati dal legislatore.

È da considerare che si tratta di una normazione fondamentalmente finalizzata alla riscossione di entrate tributarie dello Stato, alla quale le Amministrazioni che procedono per l’esecuzione delle sentenze di condanna possono attenersi se e in quanto applicabili, tanto al rapporto intercorrente con il creditore, quanto a quello con il concessionario della riscossione.

La farraginosità del sistema ha comportato numerose difficoltà, relative tanto alla compilazione dei ruoli quanto ai rapporti con i concessionari.

Con riferimento al secondo ordine di questioni, che spesso viene enfatizzato dall’assenza di una corretta preventiva definizione in via convenzionale delle reciproche obbligazioni, devono manifestarsi vive preoccupazioni per il disposto dell’art. 1. comma 426 della legge 30 dicembre 2004, n. 211 (legge finanziaria 2005), che, come già ricordato, consente ai concessionari per la riscossione di sanare "le irregolarità connesse all’esercizio degli obblighi del rapporto concessorio compiute fino alla data del 20/11/2004 dietro versamento della somma di 3 euro, per ciascun abitante residente negli ambiti territoriali ad essi affidati in concessione alla data del 1°/1/2004". Si tratta di un vero e proprio condono, a fronte del quale sarebbe auspicabile che intervengano chiarimenti atti ad escludere l’applicabilità della norma a crediti non aventi natura fiscale, quali appunto i crediti da condanna del giudice contabile.

Si segnala, ancora, il problema della proroga (prevista dalla legge finanziaria 2005) del termine per la comunicazione d’inesigibilità di cui all’art. 19 comma 2 lettera g) del d. lgs 13 aprile 1999, n. 111. Tale proroga viene intesa dai concessionari per la riscossione, con interpretazione di dubbia legittimità, come riapertura dei termini per la dichiarazione d’inesigibilità stessa, con ciò impedendo all’amministrazione interessata l’esercizio dei propri poteri di controllo sull’attività svolta ai fini dell’eventuale concessione del discarico o applicazione delle penali previste.

Un ulteriore problema è rappresentato dal fatto che il Concessionario, tenuto a porre in essere l’attività cautelare mediante l’iscrizione dell’ipoteca sui beni del debitore, non procede alla loro vendita se ciò non viene espressamente richiesto e ripetutamente sollecitato all’Amministrazione interessata; considerato che il concessionario non ha interesse a procedere alla vendita del bene ogniqualvolta i costi da sostenere in questa fase siano superiori all’ammontare dell’aggio corrisposto, ne consegue che l’inerzia dell’Amministrazione o del concessionario può causare il mancato recupero del credito. Anche qui sarebbero auspicabili iniziative, anche sanzionatorie nei confronti dei concessionari inadempienti.

Tutta la problematica qui esposta andrà rapportata al mutato sistema di esazione, incentrato ora nella Riscossione S.p.A., per la quale si rinvia al precedente paragrafo 4 della presente parte B.

8.4.- Il condono fiscale.

Taluni concessionari della riscossione, ai quali erano stati affidati i ruoli relativi ai particolari crediti in questione, avevano adottato provvedimenti di condono avvalendosi del disposto dell'art. 12 della legge 27.12.2002, n. 289 (legge finanziaria per l'anno 2003).

In particolare, ai soggetti condannati con sentenze definitive della Corte dei conti al risarcimento di danni erariali era stata estesa la possibilità di estinguere il debito senza corrispondere interessi di mora, con il semplice pagamento di una somma pari al 25 per cento dell’importo iscritto a ruolo, oltre alle somme dovute al concessionario a titolo di rimborso per le spese sostenute per le procedure esecutive eventualmente effettuate dallo stesso.

In proposito, la Procura generale ha diramato un indirizzo di coordinamento, individuando le ragioni di ordine sistematico e di carattere strutturale che inducevano a ritenere non applicabile l'art. 12 della legge 27.12.2002, n. 289, ai risarcimenti accertati dal giudice contabile, nella principale considerazione che i crediti derivanti da condanna, anche se vengono perseguiti con modalità proprie degli oneri fiscali, non mutano la loro intrinseca natura di debiti risarcitori accertati con sentenza passata in giudicato.

La Procura, con interpretazione condivisa dal Consiglio di Stato, non ritiene estensibile l’ambito applicativo dell’art. 12 della legge 1 agosto 2003, n. 212 ai crediti derivanti da sentenza di condanna, a seguito di accertamento definitivo di responsabilità amministrativa per danno erariale, come per le spese processuali e le pene pecuniarie irrogate in sede penale, ovvero per crediti correlati a fattispecie penali (reati) la cui esclusione è avvenuta ad opera di un intervento della Corte costituzionale.

L’opposta interpretazione oltre a contrastare con l’art. 81 Cost., per la mancanza di copertura della diminuzione di un’entrata prevista in bilancio, appare destabilizzante per l’ordine democratico, fondato sulla divisione dei poteri, e ingenera rilevanti dubbi di costituzionalità per l’ingiustificata discriminazione che verrebbe ad essere operata tra crediti inclusi in ruoli emessi da uffici statali e quelli d’identica natura inclusi in ruoli emessi da uffici di enti territoriali, locali, pubblici economici o altra amministrazione danneggiata in favore della quale sia stato accertato l’obbligo risarcitorio.

Altra grave discriminazione verrebbe attuata tra debitori condannati, anche in forza della stessa sentenza, per i quali i rispettivi crediti siano riscossi, ora con procedure dirette dalla stessa amministrazione responsabile, ora a mezzo ruoli affidati a concessionari. Ciò appare tanto più inammissibile se si considera che la procedura indiretta viene di preferenza usata in presenza di condanne per rilevanti importi, spesso garantiti da sequestri ante causam, ove solo l’ignavia o comunque lungaggini di scarsa giustificazione non hanno consentito di assicurare tempestivamente all’erario il giusto ristoro del danno subito. Né può trascurarsi, quando si tratti di condanna nei confronti di imprese che gestiscano fondi pubblici o comunitari, l’eventuale profilo di aiuto di Stato, in violazione di norme sulla concorrenza ed incompatibile con la disciplina comunitaria.

8.5.- Valutazione costi benefici e annullamento dei crediti.

Una breve riflessione va fatta sull’opportunità per l’amministrazione procedente di operare scelte consapevoli, valutando costi e benefici della riscossione a mezzo ruolo di crediti di difficile esazione, in ipotesi di assoluta o relativa incapienza del patrimonio del debitore, nella quale si abbia preventivamente la certezza dell’infruttuosità dell’esecuzione esattoriale, il cui esperimento tuttavia espone l’Amministrazione a costi certi. Si sono presentati casi di condannati sprovvisti di mezzi di fortuna, sopravviventi con sussidi pubblici, di drogati, di condannati all’ergastolo, il cui debito dovrebbe essere oggetto di provvedimenti formali di annullamento del relativo credito della P.A. per assoluta inesigibilità.

La soppressione delle Intendenze di finanza, cui competeva a norma dell’art. 265 del R.D. 8 novembre 1923, n. 2440, ordinare l’annullamento dei crediti inesigibili passati all’Amministrazione del Demanio, ed il nuovo ordinamento dell’Amministrazione finanziaria, ha creato una sorta di incertezza in ordine all’intestazione della competenza ed alle procedure da adottare per l’annullamento di tali crediti che, essendo gestiti direttamente dall’Amministrazione creditrice, dovrebbero formare oggetto di provvedimenti di annullamento da parte di quest’ultima.

È da auspicare che sul punto vengano adottate univoche norme regolamentari.

8.6.- La procedura esecutiva ordinaria.

Se da un lato l’esecuzione esattoriale va sempre più perdendo quelle connotazioni che la rendevano un sistema privilegiato di riscossione, d’altro canto il legislatore è sempre più orientato ad un’armonizzazione delle procedure. Significativo è l’art. 21 del D.Lgs. 112/1999, che autorizza i concessionari della riscossione ad esercitare l’attività di recupero crediti secondo le ordinarie procedure civilistiche, tenendone contabilità separata.

S’è posto il problema di conoscere se, contenendo il D.P.R. n. 260 del 1998 la sola previsione dell’esecuzione esattoriale, fosse possibile all’amministrazione procedente fare anche ricorso alla procedura esecutiva ordinaria.

In proposito non può che condividersi quanto affermato dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 5540 del 13 aprile 2001, in materia di entrate patrimoniali di un ente locale: "dalla previsione di un determinato procedimento non è lecito argomentare, con carattere di necessità il divieto del ricorso ad un procedimento alternativo, potendo concorrere la riscossione coattiva mediante ruoli con quella ordinaria davanti al giudice civile".

Il ricorso alla procedura ordinaria appare poi necessario, allorché sia stato concesso un sequestro conservativo nel corso del procedimento contabile e questo si sia concluso con sentenza di condanna.

Su tutti gli aspetti posti in evidenza nei riguardi dell’esecuzione delle sentenze, la Procura Generale si riserva di svolgere ogni opportuno intervento.

C) CONCLUSIONI

Da questo breve excursus nel contesto della giurisdizione della Corte dei conti mi sembra di poter trarre la conclusione che la giustizia contabile conserva intatta la sua vitalità, che il mutare dei tempi e dei modi di essere della Pubblica Amministrazione e di gestire la cosa pubblica né logora né delegittima, ma anzi rafforza e rilancia.

In questa dinamica, l’aspetto cruciale e qualificante resta la presenza di un Pubblico Ministero, cioè di un organo che ha il dovere dell’azione a difesa del bene comune e, quindi, non è portatore di alcun interesse e resta immune da qualsiasi referenzialità politica o ideologica.

Rappresenta la legge e in nome della stessa si adopera per contrastare l’illecito, pur nel pieno rispetto delle garanzie cui ha diritto l’inquisito.

In molti altri ordinamenti è funzione pressoché sconosciuta, ma l’ordinamento comunitario, che, fra tutti gli ordinamenti modellati sullo Stato di diritto, è il più dinamico e aperto al moderno, sta arrivando all’istituzione di una figura affine, ossia il Procuratore europeo, che dovrà essere organo promotore di giustizia a tutela delle pubbliche sostanze nell’interesse comune dell’Unione e degli Stati membri.

A sua volta, la presenza in questa cerimonia del Capo dello Stato nonché dei rappresentanti delle altre Autorità della Repubblica costituisce una conferma altamente qualificata della validità della Corte dei conti e, nel suo ambito, dell’antica figura del Pubblico Ministero contabile, sempre presente nel nostro Ordinamento, ed oggi impegnato nel conseguimento di finalità di giustizia che vanno anche oltre il mero interesse nazionale.

Vorrei chiudere il mio discorso con un’ultima riflessione: nel corso dell’anno cesserà il mio rapporto di servizio con lo Stato, cominciato oltre 50 anni fa.

Allora la Repubblica era ancora ai suoi primi passi, oggi è così cresciuta che si confronta con realtà e dinamiche politiche, economiche e sociali forti, agguerrite e concorrenziali, sia esterne che interne.

Per definire la posizione della Corte dei conti in un così impegnativo contesto, il mio predecessore soleva richiamarsi alla figura del custode vigile e silente, cioè schivo di rumorosi presenzialismi, e al mandato di legalità affidatoci da Camillo Benso Conte di Cavour, il nostro fondatore ed ispiratore.

Faccio altrettanto, in piena continuità col passato, ma mi sia consentito osservare che, quando occorre, il silenzio va interrotto e con fermezza e, nel ricordare Cavour, vorrei concludere parafrasando quanto di recente ha detto l’attuale Premier On.le Romano Prodi: non si può governare con serenità se non si è certi che chi amministra la cosa pubblica se ne assume anche le conseguenti responsabilità.

Signor Presidente, nel ringraziare Lei e tutte le Autorità presenti per aver prestato ascolto a queste mie riflessioni, Le chiedo di voler dichiarare aperto l’anno giudiziario della Corte dei conti per il 2007.


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