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Articoli e note

n. 1/2006 - © copyright

DANIELA DELL’ORO*

Brevi note in tema di nullità-inesistenza
del provvedimento amministrativo

(nota a Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 27 ottobre 2005, n. 6023)

La sentenza che qui si annota è una delle prime pronunce di secondo grado ove si affronta il tema dell’invalidità dell’atto amministrativo, nel peculiare aspetto della nullità – inesistenza, in seguito alle modifiche apportate alla l. 241 del 1990 da parte della l. n. 15 del 2005, legge che, come rilevato dalla prevalente dottrina, ha “codificato” i principi elaborati dalla giurisprudenza in merito alla patologia dell’atto amministrativo.

La decisione si articola, con riferimento al tema dell’invalidità, in tre parti.

In un primo momento, si riprende l’orientamento giurisprudenziale anteriore alla riforma della legge sul procedimento, poi si esamina la fattispecie secondo il nuovo regime di invalidità e, infine, si sancisce la natura procedimentale della nuova disciplina.

I giudici di Palazzo Spada esaminano, infatti, la fattispecie sotto un duplice aspetto, cioè alla luce del regime di invalidità antecedente e successivo alla riforma della l. 241/90, tracciando, al tempo stesso, i confini tra nullità-inesistenza ed annullabilità.

1. Innanzitutto, allineandosi ai consolidati principi elaborati dalla giurisprudenza in materia, si ribadisce che “il provvedimento amministrativo può considerarsi assolutamente nullo o inesistente solo nelle ipotesi in cui esso sia espressamente qualificato tale dalla legge oppure manchi dei connotati essenziali dell'atto amministrativo, necessario ex lege a costituirlo, quali possono essere la radicale carenza di potere da parte dell’autorità procedente, ovvero il difetto della forma, della volontà, dell’oggetto o del destinatario”.

In altri termini, si riscontra la nullità assoluta o inesistenza dell’atto nella duplice ipotesi in cui ricorra:

  la cd. nullità testuale o nominativa, essendo la sanzione della nullità espressamente comminata ex lege;

oppure la cd. nullità strutturale, e cioè manchino elementi strutturali dell’atto essenziali ai fini della sua stessa costituzione.

Il supremo giudice amministrativo (adottando l’espressione “assolutamente nullo o inesistente” con riferimento al provvedimento) sembra usare indifferentemente le categorie della nullità assoluta e dell’inesistenza: prima qualifica l’atto assolutamente nullo o inesistente, accomunandole nella distinzione rispetto all’annullabilità, poi, a contrario, per scolpire e separare nettamente le due forme di invalidità, definisce l’atto affetto da vizio di legittimità (annullabile) [1].

In linea generale, la distinzione concettuale è chiara e va tenuta ferma, scongiurando la sovrapposizione del piano dell’inesistenza con quello della nullità; nella pratica, tuttavia, la definizione del provvedimento come nullo o inesistente presenta delle difficoltà.

La nullità differisce dall’inesistenza - definibile come inqualificazione giuridica, propria di un ordinamento diverso da quello giuridico – perché l’atto inesistente è un quid facti, giuridicamente irrilevante, colpito da un vizio ancora più grave della nullità.

La giurisprudenza amministrativa e quella della Cassazione, a proposito di fattispecie (ricorrenti in materia di espropriazioni) attinenti ad ipotesi di carenza di potere in astratto e in concreto, hanno attinto proprio alla categoria della nullità-inesistenza (senza chiarire, in realtà, se si trattasse di nullità o di inesistenza e distinguendola soltanto dalla generale annullabilità) per definire le situazioni involte da provvedimenti affetti da vizi talmente gravi da fuoriuscire dall’annullabilità.

La dottrina [2], invece, ha più volte posto l’accento sulla necessità di riconoscere ed individuare in via autonoma la categoria dell’inesistenza (sganciandola dall’alveo dell’invalidità), non solamente in risposta ad esigenze dogmatiche, ma anche perché tracciare il discrimine tra le due deficienze strutturali dell’atto amministrativo si rivela indispensabile anche a fini pratici, mutando la disciplina ad esse applicabile.

Si sono individuati, a titolo esemplificativo, significativi risvolti in tema di esercizio del potere di autotutela dell’Amministrazione, responsabilità amministrativa, sanatoria, diritto di resistenza da parte del privato.

Sinteticamente, si è osservato che l’esplicazione del potere di autotutela [3] e la sussistenza della responsabilità della Pubblica Amministrazione si configurano solo dinanzi ad un provvedimento illegittimo; al contrario, il cd. diritto di resistenza si viene a delineare solo a fronte di provvedimento nullo.

Interessante, soprattutto per quanto sostenuto in sede di ricorso, il rilievo sollevato in punto di sanatoria, poiché è ammissibile la sanatoria del solo provvedimento nullo, non certo di quello inesistente: in quest’ultimo caso, infatti, il provvedimento successivo non sarebbe qualificabile come sanatoria di una precedente violazione, ma come nuovo (ed unico) provvedimento.

Quanto ai confini tra l’atto nullo e l’atto inesistente, come prima accennato - ferma restando la chiara l’impostazione a livello di teoria generale, visto che solo il primo rientra nell’ambito del giuridicamente rilevante - nella pratica, occorrerà decidere a quale ambito ascrivere le fattispecie prima assorbite dalla generale e onnicomprensiva “nullità-inesistenza” dell’atto amministrativo.

Sotto tale aspetto, accantonando i pacifici casi di scuola (atto emesso ioci o docendi causa, la violenza fisica), si devono affrontare le questioni più problematiche che si collocano al limite tra nullità e inesistenza, fattispecie quali l’usurpatore di pubbliche funzioni (art. 347 c.p.), i casi più gravi di funzionario di fatto, le ipotesi di imperfezione materiale (per non completamento della fattispecie), il difetto di sottoscrizione di un atto.

Ancora una volta, la giurisprudenza amministrativa sarà chiamata a chiarire se residuano ipotesi di inesistenza, quali sono i requisiti essenziali dell’atto (oggi, in particolare, ai sensi dell’art. 21–septies, come si vedrà in seguito), delineando, altresì, il rapporto tra il rimedio della azione dichiarativa di nullità e la disapplicazione: quest’ultima considera l’atto tamquam non esset e non lo applica (e perciò dovrebbe riguardare solo gli atti imperativi), poiché ne prescinde, ma senza espungerlo definitivamente dal sistema; la nullità, invece, dichiara che l’atto è, di diritto, difforme dall’ordinamento.

2. In seguito, si traccia la linea di demarcazione tra nullità-inesistenza ed annullabilità, escludendo l’inesistenza dell’atto se ci si riferisce unicamente ai vizi del procedimento che ha condotto alla sua emanazione, posto che “in tali ipotesi, il vizio non attiene all’esistenza dell’atto finale, che rimane integro nei suoi elementi essenziali e costitutivi, ma alla validità dello stesso e dei suoi presupposti e, quindi, alla conformità alla legge del complessivo comportamento tenuto dall’autorità (legittimità) (cfr. VI sez. n. 948/99 e V sez. n. 166/98; IV sez. n. 1091/94; n. 990/92, n. 805/91 e n. 343/91)”.

In altri termini, se il riferimento corre al procedimento, l’attività amministrativa si commisura esclusivamente alla legge.

Il solo oggetto di valutazione è costituito dalla conformità al paradigma normativo del procedimento, che ha condotto all’emanazione dell’atto: non viene in gioco la questione dell’esistenza giuridica del provvedimento (già risolta in senso positivo e presupposta), ma l’attenzione si focalizza su un passaggio successivo, sull’individuazione di eventuali profili di illegittimità di un atto giuridicamente esistente. Si ha dinanzi, quindi, un atto dotato di esistenza giuridica, ma privo di validità.

Come noto, l’invalidità è, in generale, la difformità dal diritto dell’atto che comporta la sanzione della inefficacia definitiva, e comprende sia la nullità sia la annullabilità.

L’inosservanza di norme giuridiche si sostanzia in una qualifica negativa dell’atto, dando luogo ad una sanzione automatica (che opera di diritto, come nel caso della nullità) oppure di necessaria applicazione giudiziale (come accade per l’annullabilità), con il tratto distintivo dato dalla circostanza che l’atto nullo è inefficace di diritto, mentre quello annullabile è provvisoriamente efficace, salvo a perdere la sua efficacia al momento dell’annullamento.

La nullità, giova ribadirlo, corrisponde alla massima delle sanzioni, perfetta tra di esse, in quanto ipso iure, senza richiedere l’intervento del giudice, mentre con l’annullamento è proprio il giudice a ripristinare l’ordine violato.

Attualmente, le categorie della nullità e della annullabilità sono diverse a seconda dei vari settori del diritto [4].

In diritto amministrativo, la invalidità, per principio generale, ricade sub specie di annullabilità: basti pensare che, sino alla recente riforma della legge sul procedimento, il nostro ordinamento non conteneva alcuna definizione di provvedimento nullo.

I giudici della IV Sezione proseguono, poi, richiamando il precedente orientamento giurisprudenziale, secondo il quale “le violazioni, per quanto gravi, di norme imperative, quali sono di regola tutte quelle attinenti allo svolgimento di poteri pubblici, od anche di attribuzioni di competenza disciplinate direttamente dalla Costituzione, danno luogo a semplice invalidità degli atti amministrativi, che deve essere fatta valere dall’interessato nel prescritto termine di decadenza, in quanto la radicale nullità dell’atto, a meno che non sia espressamente ed inequivocabilmente disposta dalla norma primaria, ricorre soltanto quando l’atto costituisca manifestazione di poteri spettanti ad organi che operino in settori del tutto diversi, ovvero sia destinato a spiegare efficacia al di fuori dell’area fisica su cui insiste l’Ente territoriale di cui tali organi facciano parte (cfr. V Sez. n. 166/98; IV sez. n. 210/92)”.

In sede giurisprudenziale, infatti, si era già precisato che, in ambito amministrativo, il vizio generato dall’inosservanza di una disposizione normativa diretta a regolare l’azione della pubblica amministrazione consiste nella sola illegittimità per violazione di legge.

La distinzione tra norme derogabili e imperative, a differenza del diritto privato, non serve al fine di accertare la validità dell’atto, ma solo per discernere le disposizioni di legge che lasciano all’Amministrazione un margine di scelta discrezionale nell’esercizio concreto del potere da quelle che la vincolano in modo puntuale, senza consentirle alcuna ulteriore valutazione. Si è ribadito, comunque, che l’inosservanza di queste ultime implica l’illegittimità dell’atto per violazione di legge e, quindi, la sua annullabilità, senza che residui alcuno spazio per una più grave ipotesi di invalidità (paragonabile alla nullità) che impedisca al provvedimento di produrre i suoi effetti tipici [5].

Ne discende che solo il giudice amministrativo, in linea di principio (salve significative eccezioni, come la legge 689/1981) può annullare l’atto amministrativo: la regola generale è quella della annullabilità ad istanza di parte e nei limiti della domanda, in quanto da un lato si verte in un sistema di giurisdizione di tipo soggettivo, dall’altro lato, le esigenze di giustizia amministrativa impongono che il ricorso di parte sia prodotto entro un dato termine e che indichi e specifichi i mezzi di gravame [6].

Quindi, parte della dottrina [7] evidenzia che il regime differenziato tra la nullità e la annullabilità (in potenza, mentre l’annullamento è in atto) riguarda il fattore temporale (la decadenza o la prescrizione, istituti non differenti ontologicamente, ma perché la decadenza risponde di solito ad esigenze più impellenti, il termine è minore, il tempo è visto come non eccessiva distanza dal fatto costitutivo, non come durata della inerzia).

Ancora, la differenza concerne la rilevabilità di ufficio o su istanza di parte, la insanabilità o la sanabilità, la legittimazione generale o speciale (esistono però anche nullità relative e annullabilità assolute), la conversione, la natura costitutiva o solo dichiarativa e accertativa della sentenza.

Il caso in oggetto è esempio della diversità di regime che segue alla qualificazione dell’atto nullo, piuttosto che annullabile: se si accedesse alla tesi del ricorrente, infatti, non ci sarebbe la possibilità di rinnovare un provvedimento inesistente, poiché, come già accennato, non avrebbe senso alcuno la sanatoria di ciò che non esiste giuridicamente.

Applicando i principi descritti al caso concreto, si sono riscontrate violazioni di attribuzioni di competenza disciplinate direttamente dalla Costituzione (art. 89 Cost.) che, tuttavia, per espressa previsione della norma costituzionale (che parla di non validità dell’atto non controfirmato dal ministro proponente) non danno luogo a nullità od inesistenza dell’atto.

Il procedimento disciplinare conclusosi con l’atto di dispensa prendeva origine dalla pronuncia del giudice che aveva annullato il primo provvedimento, sfornito di controfirma ministeriale, lasciando salva, così, la possibilità dell’amministrazione di adottare ulteriori provvedimenti e rinnovare il procedimento originario, a partire dal primo degli atti annullati (art. 119 del T.U. n. 3/57).

3.                 L’esame degli aspetti della nullità si spinge poi oltre, poiché il secondo aspetto preso in considerazione è dato, infatti, dalla tenuta della tesi prospettata dal ricorrente nel nuovo regime di nullità del provvedimento.

La tesi dell’inesistenza o nullità giuridica, ad avviso della IV Sezione, non regge neppure alla luce della sopravvenuta L. n. 15 del 2005 che, introducendo modificazioni alla L. n. 241 del 1990, ha disciplinato la categoria dell’atto nullo.

Per comprendere pienamente la recente novella, si deve ricordare che l’intento del legislatore del 2005 è stato quello di rimediare alla lamentata fissità della annullabilità nell’ambito dei vizi del provvedimento, e di rispondere all’esigenza di graduare le sanzioni di invalidità, affiancando alla regola generale dell’annullamento, anche la nullità per casi più gravi (art. 21 septies) e la annullabilità sanabile o irregolarità, per i casi meno gravi (art. 21 opties) [8].

Con l’intervento emendativo della legge n. 15/05 la categoria della nullità, considerata dalla giurisprudenza come ipotesi del tutto eccezionale di illegittimità forte, sovrapponibile rispetto alla categoria dell’inesistenza, ottiene una sistemazione positiva, all’interno della disciplina generale del procedimento amministrativo [9].

La sanzione della nullità del provvedimento è stata fino ad oggi prevista solo con riferimento ad ipotesi peculiari.

In precedenza, infatti, i vizi di validità del provvedimento non erano entrati a fare parte dell’oggetto della legge, salvo che in alcune ipotesi, quando si è cercato di tutelare valori particolarmente rilevanti per l’ordinamento giuridico, con l’obiettivo di contenere della spesa pubblica e garantire l’imparzialità amministrativa [10].

Ne erano esempi la situazione delle assunzioni senza concorso (art. 3, comma 6 d.P.R.1957/3), la assegnazione di mansioni superiori (art. 52 al comma 2 del D.Lgs. n.165 del 2001), l’accertamento tributario difforme dalla risposta all’interpello (art. 11 L. n.212 del 2002), gli accordi procedimentali privi del requisito di forma (art. 11 L. n. 241 del 1990), gli atti emessi dopo il regime di prorogatio di quarantacinque giorni (L. n. 444 del1994).

Almeno in altri due casi, tesi dottrinali (e in parte giurisprudenziali) minoritarie hanno evocato la categoria più grave della nullità in luogo della annullabilità, in ragione della natura comunitaria (diretta o indiretta) delle norme violate. Si tratta del vizio del contratto stipulato a seguito dell’annullamento della aggiudicazione e dell’atto amministrativo contrario a normativa comunitaria (viziato da anticomunitarietà).

Parte della dottrina ha osservato che la novella alla legge 241 del 1990, invece, ha mutato la legge sul procedimento in legge sul provvedimento, occupandosi anche dei vizi dell’atto[11].

La legge si era cioè preoccupata di individuare situazioni, pure gravemente lesive dell’interesse pubblico, nelle quali potevano, in fatto, mancare legittimati o interessati a ricorrere, e l’amministrazione poteva non avvalersi della potestà di autotutela: chiaramente, in questi casi, la eliminazione dell’atto non poteva essere rimessa alla attivazione di un interesse di parte.

La giurisprudenza del Consiglio di Stato aveva accolto con favore, quindi, superando i precedenti che assimilavano la nullità ad una specie di annullabilità aggravata, l’idea di una nullità di tipo civilistico, rilevabile di ufficio, in ogni tempo, imprescrittibile (Ad. Pl., nn.1,2,5,6 e 10 del 1992).

Rispetto alla legge 241 del 1990 - definita legge imperfetta, non completa, che si limitava a stabilire alcuni principi generali della azione amministrativa, la legge 15/2005 interviene aggiungendo un quid pluris: si prevede, infatti, anche le sanzioni, mentre prima si enunciavano solo i precetti (artt. 3, 7 e 8), sforniti di sanzione, visto che essa era costituita dalla generale annullabilità.

Ricalcando il codice civile, che all’art. 1325 prevede quali siano i requisiti del contratto (e del negozio) e all’art. 1418 stabilisce che la loro mancanza o illiceità o indeterminabilità dà luogo a nullità, l’art. 21 - septies dell’attuale legge 241 stabilisce che sono cause di nullità del provvedimento amministrativo:

         la mancanza di requisiti essenziali,

         il difetto assoluto di attribuzione

         la violazione o elusione del giudicato

         le altre cause di nullità previste dalla legge.

Il secondo comma prevede che nei casi di violazione o elusione del giudicato (deve ritenersi anche per sentenze non coperte dal giudicato ma solo esecutive) la cognizione è attribuita in via esclusiva al giudice amministrativo.

La possibile alternativa che si presentava al legislatore del 2005 in materia di nullità, correva tra la costruzione di una nullità strutturale (per difetto dei requisiti essenziali dell’atto), una nullità testuale o nominativa (ricorrente nei casi previsti dalla legge), e una nullità virtuale (per violazione di norme imperative).

Mentre le prime due ipotesi si rinvengono nella nuova disposizione, la terza ipotesi, cioè la violazione di norme imperative, continua a ricadere sotto la regola della generale annullabilità: infatti, nella casistica del 21 - septies non può rientrare la mera contrarietà dell’atto a norme imperative.

In coerenza con i principi della legalità e della tipicità dei provvedimenti amministrativi, tutte le norme di azione che governano l’esercizio della funzione amministrativa devono ritenersi di natura imperativa, e la loro violazione determina, però, di regola l’illegittimità del provvedimento sotto i profili dell’incompetenza, violazione di legge ed eccesso di potere (art.26 RD 1054/24) e dunque la sua annullabilità.

In definitiva si deve quindi ritenere che la nullità del provvedimento amministrativo può seguire alla violazione di norme imperative solo ove sia espressamente comminata dalla legge (nullità testuale).

La nullità strutturale attiene al difetto dei requisiti essenziali dell’atto (soggetto, oggetto, forma, causa) e richiama la contrastata costruzione negoziale del provvedimento [12].

4.                 Limitandosi all’esemplificazione del giudice di secondo grado sul difetto dei connotati essenziali necessari ex lege alla costituzione dell’atto, si riportano, brevemente, le ipotesi di radicale carenza di potere da parte dell’autorità procedente, e di difetto della forma, della volontà, dell’oggetto o del destinatario.

Resta ferma la necessità di chiarire quali siano i requisiti essenziali dell’atto [13].

Premesso che il vizio invalidante della nullità colpisce il soggetto, l’oggetto e la forma del provvedimento, si è richiamata l’attenzione, in relazione a quest’ultima, sulla necessità di tracciare una linea di demarcazione tra le ipotesi dell’art. 21 - octies nelle quali la sua rilevanza è degradata a mera irregolarità suscettibile di sanatoria, rispetto a quelle in cui essa sia suscettibile di travolgere ab origine l’efficacia giuridica del provvedimento.

A proposito del difetto di oggetto e contenuto, si rileva che essi, ad un primo esame, sono sembrati casi di scuola, vicini alla irrealtà.

Tuttavia, si segnala una decisione di primo grado che ha dichiarato nullo per carenza di oggetto, ai sensi dell’art. 21-septies, un decreto di esproprio perché preceduto da accessione invertita, meccanismo che aveva già consentito alla P.A. di acquisire il bene [14].

Altro aspetto da trattare è costituito dalla la differenza tra mancanza di un elemento essenziale e un vizio dello stesso (in ciò taluni ravvisano la differenza tra l’atto nullo e quello annullabile): sarà compito della giurisprudenza chiare quale vizio inficia, in particolare, i c.d. comportamenti senza potere, che, tuttavia, generalmente sfociano in meri comportamenti materiali, giuridicamente irrilevanti.

In tema di difetto assoluto di attribuzioni, la legge omette di specificare se il riferimento corra al difetto del potere in senso assoluto o alla incompetenza assoluta, se il potere non debba sussistere in radice o solo in capo a quella determinata autorità; o, ancora, se per autorità si intende quel soggetto giuridico o il plesso amministrativo ricompreso in quel soggetto  [15].

A simili interrogativi, parte della dottrina ha risposto individuando il vizio ordinario di legittimità-annullabilità quando l’atto, proveniente da ente diverso, sia stato emanato nell’esercizio di una attività riferita ad un settore amministrativo ordinato unitariamente, in seno al quale i due organi svolgono compiti ripartiti secondo il sistema proprio della divisione delle competenze.

Il difetto assoluto di attribuzione è concetto correlato, invece, alla carenza di potere sulla cui nozione le posizioni della Corte di Cassazione e del Consiglio di Stato non possono ancora ritenersi del tutto coincidenti.

L’interpretazione letterale della disposizione depone nel senso che si sia avuta presente l’ipotesi della carenza di potere in astratto, in quanto il potere manca ab origine nell’organo che lo ha esercitato, perché ha invaso la sfera di pertinenza di un’altra autorità o inciso in materia totalmente estranea alla branca di amministrazione di appartenenza (come del resto aveva affermato l’Adunanza Plenaria n.4/2003), mentre ricade sub specie di annullabilità la c.d. carenza di potere in concreto, ove non è violata la norma attributiva del potere, che esiste, ma non si sono rispettate le sole norme che ne limitano l’esercizio e lo condizionano (cosiddetto cattivo esercizio del potere), in quanto ne manca il fatto permissivo (per esempio, la omissione dei termini per l’inizio e la ultimazione dei lavori comporta, secondo Ad. Plenaria n.4/2003, la annullabilità e non la nullità, della dichiarazione di pubblica utilità; pertanto non determina carenza di potere rispetto ai successivi atti espropriativi).

Ha suscitato perplessità il secondo comma, che attribuisce alla giurisdizione esclusiva il caso della violazione o elusione del giudicato, specie per l’impatto che può determinare nell’ambito del giudizio d’ottemperanza, fase importantissima per garantire una tutela giurisdizionale amministrativa effettiva.

Ci si limita a notare che si tratta di nullità testuale o nominativa, che rientra, altresì, nell’ambito della carenza di potere, perché l’atto è adottato in violazione delle norme che attribuiscono al potere giurisdizionale la definizione della controversia (non viene più in gioco il potere amministrativo, già consumatosi), che prima trovava soddisfazione nel giudizio di ottemperanza (quindi in sede di giurisdizione di merito) [16].

5.                 In conclusione, nell’ultima parte della sentenza, il Consiglio di Stato ha ritenuto che, nella fattispecie, esclusa la nullità e l’inesistenza del provvedimento, le nuove disposizioni non avrebbero comunque potuto trovare applicazione, avendo l’Amministrazione già definito il procedimento in vigenza della precedente disciplina.

Merita osservare, brevemente, che si è precisata la natura della legge n. 15/2005, asserendone il carattere procedimentale e la conseguente immediata applicazione ai procedimenti in corso e non ancora definiti, volendo, così, quasi sottolineare che la nuova legge, pur avendo dedicato maggiore attenzione al provvedimento rispetto alla l. n. 241 del 1990, si incentra pur sempre sul procedimento amministrativo, sede di comparazione e valutazione di interessi diversi, spesso contrapposti.

 

(*) Avvocato. Funzionario dell’Ufficio Legale della Regione Emilia Romagna.

[1] TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 10 giugno 2005, n. 1384, in questa Rivista, pag. http://www.lexitalia.it/p/51/tarsardegna2_2005-06-10.htm

Una recente pronuncia di primo grado ha chiarito che, anche in base alle impostazioni antecedenti alla novella, “un provvedimento amministrativo può considerarsi assolutamente nullo o inesistente solo nelle ipotesi in cui esso sia espressamente qualificato tale dalla legge oppure manchi di un elemento essenziale dell'atto stesso, necessario ex lege a costituirlo, quali possono essere la radicale carenza di potere da parte dell'Autorità procedente, ovvero il difetto della forma, della volontà, dell'oggetto o del destinatario; non può invece parlarsi di nullità od inesistenza dell'atto allorché si discuta unicamente dei vizi del procedimento che lo ha preceduto, in ciò risolvendosi la mancata corrispondenza del procedimento concreto al relativo paradigma normativo, e, perciò, delle modalità di esercizio del potere che fa capo all'Amministrazione e di cui questa si è avvalsa. In tali ipotesi, infatti, il vizio non attiene all'esistenza dell'atto finale, che rimane integro nei suoi elementi essenziali e costitutivi, ma alla validità dello stesso e dei suoi presupposti, e quindi, alla legittimità del complessivo comportamento tenuto dall'Autorità.

[2] F. Caringella, Corso di diritto amministrativo, ed.2004, pp. 1691 e ss.

[3] V. Tar Campania - Napoli Sez. Ii - Sentenza 30 Settembre 2005, N. 15722, ove si è affermato che, a seguito dell’entrata in vigore della L. 11 febbraio 2005, n. 15 - che disciplina per la prima volta in via generale, all’art. 21 septies, la categoria della nullità degli atti amministrativi - non risulta necessario per la P.A. provvedere all’annullamento in via di autotutela di un atto amministrativo dichiarato falso per effetto di una sentenza penale ormai irrevocabile, in quanto tale atto è da considerarsi radicalmente ed ipso iure privo di giuridica efficacia.

[4] F. Fracchia - M. Occhiena, op. cit., scrivono che “In diritto civile, la regola per violazione a norme imperative è la nullità, mentre la annullabilità è prevista a tutela di interessi particolari (salve particolari, ma significative eccezioni, come in materia di delibere assembleari, di matrimonio, di testamento). In diritto processuale civile, la difformità a diritto risponde nominalisticamente alla nullità, ma corrisponde in realtà alla annullabilità, tanto che la giurisprudenza ha creato la categoria della inesistenza della sentenza (per esempio, non sottoscritta o emessa a non judice). In diritto comunitario, la regola dell’atto amministrativo comunitario viziato è la annullabilità, come del resto è sempre stato per il diritto amministrativo nazionale.”

[5] Così Cons. Stato, Sez. V, sentenza 10 gennaio 2003, n. 35, in questa Rivista, pag. http://www.lexitalia.it/private/cds/cds5_2002-01-10.htm 

[6] S. De Felice, Della nullità del provvedimento amministrativo, sul sito www. giustizia-amministrativa.it; l’Autore aggiunge che “ Tale particolare annullabilità, inoltre, si differenzia da quella civilistica: non solo è previsto un breve termine di decadenza in luogo della prescrizione breve, ma il vizio non si può fare valere in via di eccezione, quando la prescrizione (o la decadenza) sia scaduta. E’ vero pure che in diritto amministrativo esiste l’autoannullamento che, pur con varie limitazioni, non sconta il termine di decadenza (ma sconta il limite del tempo ragionevole)”.

In diritto amministrativo, il provvedimento è l’atto che costituisce, modifica o estingue una situazione giuridica amministrativa (in parallelo con la definizione di contratto di cui all’art. 1321 c.c.), mentre la sentenza costitutivo-estintiva (art. 2908 c.c.) del giudice amministrativo è la risposta al diritto potestativo, a necessario esercizio giudiziale, da parte dell’interessato.

[7] F. Fracchia - M. Occhiena, op. cit

[8]  Cfr. F. Fracchia- M. Occhiena, Teoria dell’invalidità dell’atto amministrativo e art. 21-octies, l.241/1990, disponibile in internet  sul sito www. giustamm.it.

Gli Autori osservano, inoltre, che “tale esigenza di graduare le varie patologie dell’atto e che coinvolge ogni branca del diritto, se anche finalizzata ad una maggiore giustizia sostanziale, può essere foriera, al contrario, di pessimo servizio al sistema di giustizia amministrativa, in quanto determina a sua volta la incertezza del diritto amministrativo, governato, da sempre, dall’annullamento (giurisdizionale, giustiziale, amministrativo, di ufficio, in autotutela, governativo) dell’atto”.

[9] G. Aiello, La nullità del provvedimento amministrativo tra dubbi e certezze, sul sito www.giustizia-amministrativa.it

Si rileva che “il lifting della l.n.241/90 intende accentuare l’apertura dell’azione amministrativa verso modelli privatistici per adeguare il livello delle prestazioni della PA a quelle degli altri operatori economici incoraggiandone la partecipazione ed il controllo critico in tutte le fasi in cui si articolano”.

[10] F. Fracchia - M. Occhiena, op.cit . Glia Autori aggiungono che “Tale situazione era motivata dalla considerazione che in diritto pubblico tutte le norme sono imperative (e determinano la annullabilità), tanto che i tre vizi dell’atto erano contenuti solo nelle leggi processuali (T.U. C. di Stato e Legge T.A.R.) e in sostanza potevano ridursi ad uno solo che tutti li comprende (la violazione di legge)”.

[11] F. Fracchia - M. Occhiena, op.cit.

[12] G. Aiello, op. cit., scrive in proposito: “è forte la tentazione di rifarsi a quelli contemplati nell’art. 1418 cc in relazione al contratto. Questa strada deve essere però seguita cum grano salis tenendo sempre ben presente al diversità ontologica degli ambiti nei quali il concetto è destinato ad operare. Il negozio giuridico si muove sul terreno della libera volontà delle parti mentre il provvedimento incarna l’esercizio della funzione amministrativa che trova nella norma tutto il senso della propria ragione d’essere.”

[13] F. Fracchia - M. Occhiena, op.cit

Si osserva che “Tra essi, si menzionano la violenza fisica, il difetto di forma o di sottoscrizione, la omissione di verbalizzazione della delibera collegiale, la imperfezione della fattispecie, il caso dell’atto emesso ioci o docendi causa, l’usurpazione di pubbliche funzioni o la ordinanza con oggetto impossibile, comportante, per esempio, l’ordine al proprietario di non fare abbaiare i cani di notte”.

[14] TAR Lombardia - Milano, Sez. II - sentenza 22 aprile 2005 n. 855, in questa Rivista, pag. http://www.lexitalia.it/p/51/tarlombmi2_2005-04-22.htm

I giudici di primo grado osservano che nel quadro normativo risultante a seguito delle sentenze della Corte costituzionale 6 luglio 2004 n. 204 e 28 luglio 2004 n. 281, non rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le fattispecie in cui la procedura di occupazione d’urgenza dell’immobile non sia stata seguita dalla procedura di espropriazione nel termine di validità del decreto di occupazione d’urgenza, non rientrando nelle procedure ablative devolute alla predetta giurisdizione i comportamenti della pubblica amministrazione non collegati all’esercizio di un potere amministrativo. Premesso che “l’eventuale tardiva adozione del decreto di esproprio non assume rilievo, perché l’illecita distruzione del bene che dà causa all’istanza risarcitoria dei proprietari si è consumata prima e indipendentemente dall’emanazione del provvedimento ablatorio, che finisce con l’incidere sul diverso bene, risultante dall’irreversibile trasformazione di quello inizialmente occupato, già acquisito in proprietà dall’occupante (cfr. Cass. SS.UU. 22.11.2004 n. 21944)”, gli atti amministrativi impugnati, intesi a riapprovare ex novo un progetto già realizzato ovvero a disporre ex novo una occupazione per una finalità già esaurita, appaiono inutiliter dati, perché privi di oggetto.

Si conclude, quindi, che “più che annullabili, gli atti in questione sono nulli per carenza di oggetto, siccome incidenti su area già acquisita alla mano pubblica per accessione invertita; e di tale nullità - anche per quanto concerne gli eventuali correlativi riflessi risarcitori derivanti dalla violazione delle garanzie di partecipazione procedimentale (che la memoria finale degli interessati riconduce alla violazione dei doveri comportamentali incombenti sulla PA nell’ambito del "contratto amministrativo" sorto tra la medesima e il cittadino) - è chiamato a conoscere il giudice civile: sia perché non v’è ragione di scindere una vicenda unitaria nei suoi innumerevoli rivoli, sia perché anche nel caso in questione il danno – laddove possa identificarsi una componente di danno risarcibile per l’omessa comunicazione di avvio del procedimento – deriverebbe da un comportamento illegittimo correlato non ad un atto annullabile, ma nullo (cfr. art. 21-septies legge n. 241/90, introdotto dall’art. 14 legge 11 febbraio 2005 n. 15, che devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le sole questioni inerenti alla nullità dei provvedimenti amministrativi in violazione o elusione del giudicato)”.

[15] Fracchia - Occhiena, op.cit.

[16] F. Caringella, op cit., p. 1718, riferisce che parte della dottrina considera l’atto amministrativo difforme dal giudicato adottato in carenza di potere e, quindi, nullo, ed aggiunge che “si tratta di un’ipotesi di carenza di potere in concreto, dal momento che l’amministrazione astrattamente è titolare del potere, ma il suo esercizio è limitato dalla presenza di un precedente giudicato di annullamento, il quale impone all’amministrazione che adotta nuovamente il provvedimento di non reiterare il vizio stigmatizzato dal giudice”.


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