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Articoli e note

n. 3/2007

PASQUALE DE LISE
(Presidente del T.A.R. Lazio)

Inaugurazione dell’anno giudiziario del T.A.R. Lazio

(Roma, 1° marzo 2007)

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I - Introduzione

Indirizzi di saluto

Autorità, colleghi, gentili ospiti,

un sentito grazie a tutte le Autorità politiche, civili e militari qui convenute.

Porgo un saluto deferente ai rappresentanti del nostro Organo di autogoverno, il Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa.

Un saluto cordiale a tutti i Colleghi del Consiglio di Stato e dei TAR, nonché a quelli delle altre magistrature e ai rappresentanti delle Associazioni dei magistrati della Giustizia amministrativa.

Desidero rivolgere un affettuoso saluto ai miei predecessori nella presidenza del TAR del Lazio, che sono presenti e che tanto lustro hanno dato con la loro opera a questo Tribunale: Alberto de Roberto, Mario Schinaia e Corrado Calabrò. Ai primi due va un saluto particolare, in occasione del recente avvicendamento nel ruolo di Presidente del Consiglio di Stato e del Consiglio di Presidenza, saluto che estendo al neo-presidente aggiunto Paolo Salvatore.

Un saluto riconoscente ai rappresentanti dell’Accademia, dell’Avvocatura dello Stato e del libero Foro: sanno bene quanto io consideri insostituibile il loro apporto, in una dialettica franca e costruttiva con il giudice amministrativo al fine di cooperare ai grandi indirizzi di riforma e alla loro "messa a regime".

Per ultimo, ma non da ultimo, sento l’esigenza di manifestare la mia profonda gratitudine a tutti coloro che, con la loro quotidiana attività esercitata spesso in condizioni disagevoli, si impegnano a rendere efficiente questo Tribunale, offrendo, nelle aule di udienza come nelle segreterie delle Sezioni e negli uffici di supporto, un servizio fondamentale al Paese. La loro generosa, intelligente ed attiva collaborazione rappresenta la risorsa più preziosa, che mi consente di adempiere ai miei doveri in un clima di diffusa condivisione verso gli obiettivi da conseguire.

La peculiare posizione, in termini istituzionali e organizzativi, del TAR del Lazio convince dell’opportunità di tener conto dell’opinione di tutti i soggetti comunque in prima linea nello svolgersi della giustizia amministrativa, tramite le associazioni dei magistrati e del personale amministrativo, nonché i rappresentanti del Foro e dell’Accademia. Purtroppo, la necessaria brevità di questa cerimonia – che contempla, oltre alla mia relazione, gli interventi del Presidente del Consiglio di Stato Mario Schinaia e del Vice Presidente del Consiglio di Presidenza, prof. Pasquale Stanzione – rende impossibile, oggi, ascoltare queste voci, nonostante l’importanza delle istanze di cui sono portatrici.

In ragione di questa innegabile importanza, mi auguro che si possa trovare una prossima occasione di incontro, che si rivelerà sicuramente proficua e per la cui realizzazione mi dichiaro sin d’ora pienamente disponibile.

Il primo anno "a regime": l’importanza di uno sguardo d’insieme al "servizio" che rendiamo

A differenza del primo discorso inaugurale, stavolta ho potuto vivere l’intero anno giudiziario come Presidente di questo Tribunale Amministrativo. Le impressioni iniziali hanno avuto modo di approfondirsi e di adeguarsi alla realtà, in continua evoluzione, dell’Istituto.

Resta innanzitutto confermato il "senso" che ha per me questo lavoro: un profondo senso del "servizio", nell’accezione più elevata dell’espressione.

Un servizio al quale si chiede, in primo luogo, funzionalità ed efficienza ma che non va inteso nel senso "aziendalistico" del termine: le parti nei nostri processi sono ben più che degli "utenti", sono titolari di un diritto costituzionale, consacrato nell’articolo 24 e nel principio del "giusto processo" di cui al rinnovato articolo 111 della Costituzione.

Un servizio di cui è importante, periodicamente, "dar conto", evidenziando le tendenze che lo caratterizzano, i problemi in atto e le possibili soluzioni.

Inoltre, questa esperienza mi conforta nella scelta di privilegiare, rispetto agli elenchi di dati statistici – utili, ma non sempre idonei a rappresentare adeguatamente la realtà della nostra giustizia – l’analisi delle tendenze, dei problemi, delle grandi questioni sottese all’attività che svolgiamo, delle prospettive del sistema.

Occasioni come questa consentono di considerare le nostre funzioni anche da un’ottica diversa. Nel nostro lavoro quotidiano siamo abituati a valutare, uno ad uno, i singoli casi che esaminiamo, nella loro autonomia e nella pienezza, in ciascuno di essi, dell’esercizio della giustizia. A questa doverosa prospettiva, si affianca, all’inizio del nuovo anno giudiziario, la possibilità di considerare tali casi in una visione d’insieme, come parti di un sistema unitario; un sistema non fisso ma in evoluzione verso il futuro.

Il "filo conduttore": costituire un punto di riferimento di coerenza e di chiarezza in un sistema economico, legislativo e amministrativo complesso

E allora proverei, quest’anno, a individuare un "filo conduttore" dei vari spunti di siffatto resoconto, che prende le mosse dalla collocazione del TAR del Lazio e della giustizia amministrativa in generale al crocevia di importanti cambiamenti nel sistema economico, legislativo e amministrativo. Cambiamenti che emergono, in positivo e in negativo, anche da recenti interventi ordinamentali, dalla legge finanziaria alle iniziative in materia di liberalizzazioni e competitività, alle proposte di riforma dell’amministrazione pubblica.

Questi mutamenti palesano un sistema (fisiologicamente, ma talvolta anche patologicamente) complesso, in cui il giudice amministrativo – nell’esercizio del suo sindacato giurisdizionale a tutela dei privati nei confronti dell’amministrazione – è uno dei protagonisti.

Con le sue pronunce, ma anche con i modi e i tempi del suo processo, il giudice amministrativo può aggiungere ulteriori elementi di complessità; può ridurre la portata innovativa delle riforme, facendo prevalere interpretazioni restrittive o formalistiche; può costituire un fattore di rallentamento, se non di arresto, della crescita. O, al contrario, può apportare un contributo di semplificazione; può favorire l’attuazione e l’accelerazione dei cambiamenti; può indurre, direttamente o indirettamente, ad una loro correzione; può costituire un fattore di sviluppo, di crescita e di "competitività".

Mai come in questo momento, suonano attualissime le parole del noto giurista (consigliere di Stato e Ministro della giustizia) francese Pierre Paul Nicolas Henrion de Pansey ("De l’autorité judiciaire en France", 3 éd., 1827) a proposito dei rapporti tra amministrazione e giudice amministrativo: "Juger l’administration, c’est encore une fois administrer". Vale per i singoli atti amministrativi, ma vale anche per le riforme, per le tendenze evolutive.

Se il nostro ruolo è quello di interpretare un sistema complesso, il nostro "servizio" principale – che assumo a "filo conduttore" di questa analisi – è esercitare tale ruolo cercando di non complicare ulteriormente il sistema stesso, quanto piuttosto di correggerlo e di semplificarlo. Di fornire – con le nostre pronunce e con il nostro processo – un punto di riferimento di coerenza e di chiarezza.

Occorre che le nostre decisioni, nel loro insieme, assicurino indirizzi giurisprudenziali univoci; operino una "semplificazione" giurisprudenziale della "complicazione" legislativa; valorizzino il tradizionale ruolo di guida e di impulso del giudice nei confronti di una pubblica amministrazione complessa e in via di modernizzazione.

Occorre che il processo amministrativo offra una tutela rapida e completa, riconoscendo all’interesse legittimo quella "pienezza" di situazione soggettiva per troppo tempo disattesa.

Occorre, infine, che su tale obiettivo di coerenza e di chiarezza si investa in termini organizzativi e di risorse.

II – Il ruolo del TAR del Lazio

Le nuove competenze

Anche il "rendiconto" di quest’anno non può non prendere le mosse dalla peculiarità del ruolo del TAR del Lazio nell’ambito del sistema della giustizia amministrativa: tale peculiarità si è ulteriormente accentuata nello scorso anno, sotto due aspetti.

L’articolo 3, comma 2 bis, del Dl n. 245 del 2005, inserito dalla legge di conversione n. 21 del 2006, ha attribuito in via esclusiva, anche per l’emanazione di misure cautelari, al TAR del Lazio la competenza di primo grado a conoscere della legittimità delle ordinanze adottate e dei consequenziali provvedimenti commissariali di protezione civile in tutte le situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell’articolo 5, comma 1, della legge 225/92.

Il recente disegno di legge in materia di Autorità indipendenti prevede l’attribuzione in via esclusiva al TAR del Lazio della competenza di primo grado, anche per le misure cautelari, in ordine alle controversie relative ai loro atti e provvedimenti.

Si tratta di misure che comportano un indubbio aggravio di lavoro e di responsabilità. Un aggravio certo non richiesto ma che risponde ad esigenze di funzionalità sulle quali occorre riflettere.

Segnalo almeno due profili che fanno emergere la necessità di un "giudice naturale" unico, anche in primo grado, per l’intero territorio nazionale: quello giuridico, relativo all’attività di amministrazione generale e di normazione, e quello economico, relativo alle esigenze del mercato.

Le ragioni delle nuove funzioni - 1) ragioni giuridiche: il giudice naturale, in primo grado, degli atti generali e "di regolazione" su tutto il territorio nazionale

Il TAR del Lazio è, sin dal 1971, competente su tutti gli atti che producono i loro effetti sull’intero territorio nazionale.

È, quindi, il giudice naturale dell’attività cd. "di regolazione" su tutto il territorio nazionale attraverso provvedimenti ad efficacia generale.

Rientrano in questa tipologia di provvedimenti svariati atti di natura amministrativa (i cd. atti a efficacia generale) ma anche, per definizione, tutti gli atti di natura normativa.

Questo tradizionale (e ormai ultratrentennale) criterio – squisitamente "giuridico", se non "formale" – di attribuzione di competenze si è arricchito di profili nuovi negli ultimi anni, significativi dell’evoluzione del sistema, specie nel settore delle cd. "Autorità indipendenti".

Ad esse, infatti (secondo una linea di tendenza inaugurata dal Consiglio di Stato nel parere sul codice delle assicurazioni e confermata dal citato disegno di legge), è ormai riconosciuto un potere normativo autonomo, superando la tradizionale impostazione negativa secondo la quale l’attribuzione di un siffatto potere era configurabile solo a fronte di soggetti dotati di rappresentatività (Parlamento, Governo, Consigli regionali e comunali, etc.).

Si è rilevato come la legge "arretri" dal mercato, affidando alle Autorità, in primo luogo, una competenza regolatoria, la quale ha per scopo la stabilità, la protezione di alcuni diritti e il "livellamento dei campi di gioco" in settori nei quali si registrava, fino a pochi anni or sono, il dominio di monopolisti ed ex monopolisti. Il mercato non rimane, quindi, senza regole, ma la legge lascia spazio a norme secondarie "speciali", spesso dettate dalle Autorità di regolazione, in un sistema di fonti del diritto in cui il principio "di competenza" prende il posto, sempre più spesso, di quello "di gerarchia".

In primo grado, il giudice naturale di queste regole non può che essere il TAR del Lazio.

Segue - 2) ragioni economiche: il giudice naturale, in primo grado, del "mercato regolato" e della "nuova economia"

Oltre alle descritte ragioni giuridico-formali, militano per questo ruolo del TAR del Lazio anche ragioni diverse, più "sostanziali", forse per noi meno familiari ma certamente più sentite dal "mondo reale", dai cittadini, dalle imprese, dagli operatori economici e sociali, dal mercato.

Con la proposta concentrazione di competenze si conferma e si completa il ruolo del TAR del Lazio quale "giudice del mercato" – come è stato chiamato – con una visione d’insieme su tutti i provvedimenti che riguardano la gestione dell’economia nazionale e le discipline di regolazione e liberalizzazione.

È stato detto che il diritto pubblico dell’economia e il mercato "hanno bisogno di un unico foro".

Da un lato, si rileva che con sempre maggiore frequenza i soggetti che a vario titolo partecipano al procedimento regolatorio (Authorities e Governo) utilizzano lo stesso strumentario logico-giuridico (come i concetti di "mercato rilevante" e di "potere di mercato"), sicché appare necessario concentrare dinanzi allo stesso giudice le controversie relative alla legittimità di tutti gli atti di regolazione emanati da questi soggetti (organi politici o autorità indipendenti), "per assicurare una maggiore omogeneità nelle modalità di sindacato giurisdizionale".

D’altro lato – si aggiunge – sia le imprese che i regolatori hanno bisogno di un unico punto di riferimento sin dal primo grado di giudizio, al fine di garantire la certezza del diritto nei tempi brevi imposti dal mercato. Poiché la regolazione incide sui fattori che determinano la convenienza economica degli investimenti e più in generale delle scelte d’impresa, avere un unico giudice significa: per le imprese, poter contare su precedenti giurisprudenziali coerenti, sulla base dei quali modellare la propria condotta economica; per i regolatori, uniformare i propri interventi a indirizzi interpretativi univoci.

La ricerca di un difficile equilibrio nel sindacato giurisdizionale su Autorità "indipendenti"

Se, come si è detto, vi sono svariate ragioni che inducono a giustificare il peculiare ruolo del TAR del Lazio nel sindacato sulle Autorità indipendenti, e il suo completamento ad opera dei recenti interventi, va anche detto che tale sindacato è esso stesso peculiare.

Innanzitutto, superando dubbi pure emersi in passato, è ormai certo che si tratta di un sindacato necessario, nonostante la "indipendenza" (che non significa insindacabilità) di queste Autorità. Esse adottano atti amministrativi, non politici. Questa necessarietà è confermata anche dalle recenti proposte governative di riforma generale della materia. Anzi, la posizione e la natura delle Authorities, meno legate al potere politico e agli indirizzi del Governo, esaltano, in assenza di altri parametri di riferimento, i poteri ed il ruolo stesso del giudice amministrativo.

In secondo luogo, deve essere un sindacato "equilibrato", ancor più che in altri settori. Si pone infatti il problema – cui avevo già fatto cenno lo scorso anno – di ricercare la giusta misura nel percorrere, con un esame sempre più incisivo, territori prima mai esplorati dai giudici del pubblico potere. La recente evoluzione degli orientamenti in materia di sindacato della cd. discrezionalità tecnica consente di affermare che il giudice può conoscere dei fatti in modo pieno, sì da verificare – avvalendosi, se del caso, del conforto della consulenza tecnica – la logicità, la congruità, la ragionevolezza e l’adeguatezza del provvedimento e della sua motivazione, la regolarità del procedimento e la completezza dell’istruttoria, pur rimanendo nel solco della nostra tradizione giuspubblicistica, posto che la distinzione tra "cognizione piena del fatto" e "potere di determinazione in ordine al fatto" giammai permette all’organo giurisdizionale di esprimere proprie autonome scelte, perché in tal caso assumerebbe egli la titolarità del potere.

Un equilibrio – non una "timidezza", come pure qualcuno ebbe ad affermare – che eviti due pericoli opposti: quello di un "sindacato debole" che possa agevolare, come è stato detto, "fughe in avanti ad alcune autorità animate talvolta da un eccesso di ‘ardore regolatorio’ " ovvero quello di un controllo che sconfini nel merito delle decisioni adottate dalle Autorità, vanificando di fatto l’istituzione di apparati di regolazione ad elevata complessità e profonda competenza tecnica.

III – Giudice amministrativo e legislazione

Il giudice amministrativo e la "crisi della generalità" delle regole

Il descritto ruolo del TAR del Lazio come "giudice dell’uniformità giurisprudenziale" di primo grado sugli atti normativi a efficacia generale consente di muovere ad un secondo punto di questa trattazione.

Esso riguarda l’idea stessa della "generalità" delle regole e dei provvedimenti.

Anzi, si potrebbe dire, riguarda l’idea della "crisi della generalità" delle regole, legislative e amministrative. Comincio con le prime, per le quali il problema è forse più grave.

Qual è, oggi, il ruolo del giudice amministrativo che, al primo impatto del contenzioso, deve fornire un giudizio su regole "generali e astratte" che sempre più spesso sembrano non possedere tali caratteri?

Quale deve essere l’atteggiamento verso una legislazione dello Stato che sembra aver perso, da tempo, una funzione strategica e di indirizzo, su cui oggi sarebbe invece indispensabile concentrarsi a seguito della riforma del Titolo V?

È stato affermato (Cacciari) che l’attuale società, per sua natura, tende a favorire la domanda di diritti, inflazionandola; in conseguenza, la politica tende a corrispondere a questa domanda inflazionando la normativa. La risposta (politica) alla domanda (sociale) di diritti consiste nella produzione di norme occasionale, caotica, sovrabbondante, volta a rispondere alle istanze particolaristiche della domanda sociale.

Se qualcuno avesse ancora dei dubbi, per fugarli basta contare il numero dei commi della legge n. 296 del 27 dicembre 2006, la legge finanziaria per il 2007. Sono 1364: un "numero abnorme", come ha detto il Capo dello Stato, che "rende sempre più difficile il rapporto tra i cittadini e la legge".

Per non parlare delle cd. leggi-provvedimento che intervengono direttamente su singoli rapporti giuridici, di diritto civile ma soprattutto amministrativo, per travolgerli nel nome della "sovranità del legislatore": da quelle che revocano bandi di gara e risolvono rapporti convenzionali in essere (il ricordato Dl n. 245 del 2005, convertito dalla legge n. 21 del 2006, o il Dl n. 7 del 2007), ai numerosi esempi di interruzione di rapporti di lavoro dirigenziale o di collaborazione con commissioni o altre unità che vanno ben al di là del modello anglosassone del cd. spoils system, che pure ha le sue regole "generali e astratte".

Un’attuazione dei principi costituzionali attenta alle esigenze attuali

Di fronte a questi problemi, il legislatore sta studiando dei rimedi, dal ripensamento della legge finanziaria alla cd. delega taglia-leggi all’avvio di una "Unità per la semplificazione". È il tema, a me molto caro e più volte menzionato in varie circostanze, della "qualità della regolazione". Mi auguro che queste iniziative producano qualche risultato, al più presto.

Ma anche noi giudici dobbiamo raccogliere l’autorevole monito del Capo dello Stato e farci carico della questione, nei limiti delle nostre funzioni (che però non sono poche, visto che siamo i giudici dell’attività di regolazione secondaria, del diritto dell’economia, dell’"attività pubblica" in molti suoi aspetti).

Sono passati ormai cento anni da quando Ermanno U. Kantorowicz, con lo pseudonimo di Gnaeus Flavius (il mitico redattore delle 12 Tavole), si scagliava, con la sua "Lotta per la scienza del diritto" (il manifesto del "diritto libero"), contro il positivismo giuridico – cioè contro le dottrine che identificano il diritto con la legge statale, negando che quest’ultima abbia lacune o non sappia colmarle dentro di sé, con propri rimedi e strumenti – e denunciava l’impotenza del diritto a seguire da presso la concretezza e la singolarità dei casi giudiziari.

Allora, come oggi, ci si chiedeva che fare. Accelerare la produzione di leggi e così aggiungere ulteriori norme speciali ed eccezionali, di contingenza e d’emergenza, ovvero affidare alla dottrina e, soprattutto, alla giurisprudenza, il compito di trarre corollari dalle leggi già poste e, se necessario, di integrarle e completarle dall’esterno?

Per evitare il rischio – che pure è stato profilato – di dover scegliere tra il "volontarismo del legislatore" e il "volontarismo del giudice" senza avere alcun criterio per stabilire la "verità" dell’uno o dell’altro, occorre non perdere di vista i pilastri dello Stato di diritto, che sono anche le fondamenta della nostra Costituzione e che "tuttora ci appaiono ciò che di meglio l’uomo abbia saputo inventare come regola di convivenza": la divisione dei poteri, il principio di legalità, l’indipendenza dei giudici, etc. (Irti).

Ma, oggi, vista la "crisi di generalità" delle regole, assicurare un rispetto "effettivo" di questi principi fondamentali è particolarmente difficile; richiede equilibrio e saggezza, ma anche fermezza e coraggio. Il giudice deve tener conto dei grandi mutamenti del quadro istituzionale e – ove possibile – deve cercare di adeguare il proprio ruolo.

Questa presa di coscienza assume, a mio avviso, rilievo concreto sotto almeno tre profili: quello della (non voluta) "creatività" del giudice, quello della combinazione della pluralità di livelli di regole, quello della semplificazione interpretativa di una complicazione normativa che pesa sulla competitività del Paese.

Segue: 1) La funzione "attiva" (se non "creativa") del giudice (soprattutto di quello amministrativo) in un sistema lacunoso e contraddittorio

Il giudice è soggetto alla legge, e soltanto ad essa. Lo dice la Costituzione; lo ribadiamo fortemente.

Ma deve anche operare delle scelte. Il giudice, in un sistema di civil law come il nostro, non è "creatore" delle regole, ma talvolta è costretto a divenirlo, anche contro la sua volontà.

Perché, nell’applicare la legge, deve colmare lacune, risolvere antinomie, chiarire ambiguità spesso volute dal legislatore, applicare a casi concreti leggi che contengono solo proclami programmatici, far funzionare nella vita reale affermazioni normative adottate (soltanto, o principalmente) nel contesto di un dibattito politico o mediaticomma

Insomma, deve trasformare una "disposizione sulla carta" in una "norma", in precetto giuridicomma Che è un modo, forse uno dei modi principali, per "avvicinare" la legge al cittadino.

Il problema non è solo italiano, o dei sistemi con "Corti amministrative", ma avvertito anche in altri Paesi. Il giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti Stephen Breyer, nella relazione ad un convegno su "effettività ed efficacia del sistema di giustizia" svoltosi a Venezia nel novembre scorso, ha affermato che "when the text is clear, you follow the text; but when the text is not clear – and the text is never clear in a serious case – then you look for the values, the purposes that underline the text. Well, those purposes are very important in the administrative law area" ("se il testo [del dettato normativo] è chiaro, si segua il testo; ma se il testo non è chiaro – e il testo non è mai chiaro in una causa importante – allora si guardi ai valori, ai principi che lo sottendono. Bene, questi principi sono molto importanti nel settore del diritto amministrativo").

La differenza rispetto al modello ottocentesco mi sembra sostanziale, se si pensa che Napoleone aveva ripreso l’idea di "codice" con l’intento opposto, introducendo regole chiare e certe, "che si potevano solo applicare o violare", per trasformare i Tribunali, da creatori di un ordinamento sino ad allora formato soltanto da editti sparsi, in mere bouches de la loi.

Ma allora, in un sistema normativo particolarmente complesso come il nostro, il ruolo "sistematico" delle Corti, soprattutto di quelle amministrative, si enfatizza ancorché sminuirsi. Anche se le loro decisioni non sono "vincolanti" come nei sistemi anglosassoni.

Questo ruolo è ancora più evidente in relazione alla normativa secondaria, che come è noto è cospicuamente aumentata negli anni ’90 a causa di una massiccia "delegificazione" (il processo si è parzialmente invertito a seguito della riforma del Titolo V). Il sindacato su tale normativa (ma anche su quella delle Autorità indipendenti e degli Organi di autogoverno) appartiene alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo, che la esamina con criteri e argomentazioni in parte non dissimili da quelli utilizzati dalla Corte costituzionale per le fonti di livello primario (si pensi alla disparità di trattamento o alla irragionevolezza).

In un mondo pieno di contaminazioni culturali, vengono meno anche i luoghi comuni che disegnano gli ordinamenti di common law come ordinamenti "a diritto non codificato" con un "giudice forte" e gli ordinamenti di civil law come ordinamenti "a diritto codificato" con un "giudice debole".

D’altro canto vi è, a mio avviso, un esempio molto illustre. Quello della Corte di giustizia delle Comunità Europee, che ha trasformato una serie di norme sparse e asistematiche (soprattutto di diritto amministrativo, che è il diritto che più regola il mercato interno), un coacervo di disposizioni spesso nate sulla fragile base del compromesso diplomatico e politico internazionale, in un sistema, in un ordinamento giuridico: il "diritto dell’Unione Europea".

Segue: 2) un giudice amministrativo unico per un destinatario unico di più "livelli di regole"

Il ruolo "attivo" (se non "creativo") del giudice di oggi non dipende soltanto dalla quantità e dalla cattiva qualità delle disposizioni da applicare.

Dipende anche da fattori oggettivi di complessità di un sistema "aperto", pluralista, rispettoso delle autonomie locali e parte dell’ordinamento europeo.

Alcuni recenti pareri della Sezione normativa del Consiglio di Stato sui "codici di settore" hanno parlato di "policentrismo normativo" come aspetto della più generale multilevel governance: le regole non provengono più solo dal Parlamento e dal Governo statali, ma anche dall’Europa, dalle Regioni, dalle Province, dai Comuni, dalle Autorità indipendenti, dagli Organi di autogoverno delle Magistrature, etc. .

Il giudice amministrativo garantisce la corretta applicazione sia del diritto comunitario (e, in prospettiva, del diritto europeo) che del diritto regionale, nonché dei diritti "speciali" dei nuovi soggetti con poteri normativi.

Il nostro ruolo di interlocuzione con la Corte di giustizia è ben noto, e ciò accade sempre più spesso anche come giudici di primo grado, pur in mancanza dell’obbligatorietà del rinvio pregiudiziale interpretativo ai sensi dell’articolo 234 (ex articolo 177), ultimo comma, del Trattato CE.

Ugualmente noto è il nostro ruolo nei confronti delle normative regionali. In Italia queste regole, pur se di "livelli diversi", non vengono applicate da giudici appartenenti a "circuiti diversi", come accade negli stati federali, ma vi è un giudice unico per tutto il territorio nazionale. Ciò vale anche per il giudice amministrativo, del quale la riforma del Titolo V ha preservato la statalità e la unicità, pur se egli resta diffuso sul territorio e vicino ai cittadini di ogni Regione. La scelta è stata, a mio avviso, consapevole e saggia.

Ancora più marcato è il ruolo nei confronti dei regolamenti emanati dalle Autorità indipendenti e dagli Organi di autogoverno, su cui vi è un sindacato diretto del giudice amministrativo, analogo a quello sui regolamenti statali, che ho menzionato poco fa, con poteri di vero e proprio "giudice delle norme".

In Italia, quindi, vi è solo un riparto verticale con il giudice ordinario, ma non vi sono diversi livelli orizzontali: la nostra giurisdizione è generale e piena. È quindi il giudice che deve combinare, nel suo ambito di giurisdizione, tutti i livelli di regole che ricadono su un unico destinatario: il singolo cittadino, la singola impresa, la società civile.

Segue: 3) qualità delle regole e "competitività" del Paese, in un’ottica multidisciplinare: …

Vi è un terzo profilo che interessa il ruolo del giudice in un sistema di regole complesso. Ed è un profilo che fuoriesce dal mondo del diritto.

Perché le regole "costano", soprattutto quelle di cattiva qualità e quelle particolarmente complesse. Esse incidono sullo sviluppo e sulla competitività del Paese.

Il tema è molto avvertito in Europa: la presidenza tedesca di turno sta insistendo molto sul tema della better regulation (è allo studio un programma di riduzione del 25% degli attuali oneri amministrativi derivanti dalle norme comunitarie).

Ma vale anche per i singoli Stati Membri: in Olanda, oltre il 50% degli oneri burocratici viene dall’Europa e quindi meno della metà deriva da oneri nazionali. Da noi questa misurazione non è stata ancora fatta, ma non oso immaginare il risultato a carico delle norme nazionali …

Tutto ciò dimostra che la "dimensione giuridica" (quella in cui il giudice si muove meglio) non è più sufficiente per la produzione e l’applicazione delle norme. Occorre che i giuristi lavorino insieme con chi "misura" l’impatto delle leggi anche sulla vita reale, oltre che sul contesto normativo: occorre interagire con economisti, statistici, etc. .

importanza della giurisprudenza come fattore di innovazione, semplificazione e "sviluppo" del sistema

Anche a questo riguardo il giudice può dare un suo contributo: acquisendo consapevolezza dell’impatto, anche economico, del suo lavoro e migliorando il "servizio" offerto anche al di là del singolo caso, fermo restando, ovviamente, il rigoroso rispetto dei limiti del suo intervento.

Perché il servizio-giustizia, soprattutto di quella amministrativa, se ben organizzato, può avere un ruolo di "semplificazione" interpretativa della "complicazione" del quadro normativo in un sistema multilivello, su cui incidono anche i processi di globalizzazione, che possono trovare un correttivo proprio nelle garanzie offerte dal giudice.

Il rendere più chiara e più semplice una disciplina talvolta frammentaria e confusa segna una nuova tappa della funzione di garanzia: in un tempo di regole complesse, la garanzia diventa garanzia della semplificazione delle regole, perché questa semplificazione è essenziale per la realizzazione dei diritti di cittadinanza sociale e di libertà, anche economica.

Ciò richiede da un lato uno sforzo costante per una giurisprudenza "moderna", al passo con i tempi, anche a costo di ribaltare indirizzi consolidati (e quindi più comodi da seguire) ma ormai obsoleti, per andare incontro alle esigenze dei cittadini, delle imprese, della società, dell’economia, dello sviluppo, interpretando ove possibile in modo nuovo le regole che non sono ancora riuscite a "mettersi al passo".

Dall’altro, richiede che la libertà piena di ogni giudice (in ogni sede, in ogni grado, in ogni collegio) si concilî, attraverso opportune modalità processuali e organizzative, con l’esigenza di "chiarezza" e di "coerenza" degli indirizzi della giurisprudenza. Questa si persegue valorizzando il ruolo della "nomofilachia" (nel suo significato letterale di "garanzia dell’uniforme applicazione della legge") sin dal primo grado (specie per l’impatto del cautelare).

Una nomofilachia non rigida, non immutabile, che si arricchisce del contributo, anche innovativo, e della maggiore libertà della giurisprudenza dei Tribunali Amministrativi nell’individuare soluzioni originali, anche se essa va temperata dalla cautela nell’evitare pericolose fughe in avanti.

Peraltro, non si verifica nel nostro sistema la situazione per cui a un primo giudice tendenzialmente "progressista" si contrappone un giudice di ultima istanza "conservatore", essendo ciò smentito proprio dalla circostanza che il Consiglio di Stato, sulla base della sua lunga e prestigiosa tradizione (ma anche di una spinta innovativa sempre dimostrata), ha spesso compiuto il passo decisivo verso un ampliamento delle ordinarie forme di tutela giurisdizionale.

Si può perciò affermare che il dialogo tra organi giudicanti di ordine diverso risulta, in Italia, particolarmente felice: anche per questo, al di là di divergenze fisiologiche nella dialettica istituzionale, il giudice amministrativo complessivamente considerato ha meritato e continua a meritare il rispetto e la piena fiducia della collettività.

Tale dialogo deve avere a cuore non soltanto la coerenza degli indirizzi tra primo e secondo grado, ma soprattutto l’importanza che l’uniforme applicazione della legge – sin dal primo grado – riveste per il mondo reale. Al di là del problema giuridico; al di là del caso concreto.

IV – Giudice amministrativo e pubblica amministrazione

Il ruolo del giudice amministrativo di "indirizzo" di un’amministrazione complessa;

La estrema complessità del contesto legislativo si riflette su quello amministrativo.

Con due ulteriori fattori di "complicazione": uno fisiologico nelle democrazie moderne, l’altro patologico e specifico della situazione italiana.

Il primo fattore è la "dimensione multilivello" degli interessi pubblici, cui si accompagna la frammentazione (e spesso la contrapposizione) degli interessi pubblici anche all’interno dello stesso livello (statale o regionale): non vi è più "l’interesse pubblico", ma diversi interessi pubblici, tutti meritevoli di tutela, in una relazione non di gerarchia ma di equiordinazione e, talvolta, in contrasto tra loro (ad es., ambiente, sviluppo economico, occupazione). In questo contesto, occorrerebbe una amministrazione capace di selezionare e ponderare i diversi interessi che emergono nel corso del procedimento per identificare quelli capaci di divenire generali.

Vi è invece – e questo è il secondo fattore – la condizione in cui versa la pubblica amministrazione italiana, soprattutto dal punto di vista culturale (cultura delle forme e non dei risultati, cultura della prudenza e non della produttività, cultura dell’interesse di settore e non del servizio pubblico).

In questo contesto così articolato, la sola soluzione del caso concreto può non essere sufficiente a evitare che il problema si riproponga, più e più volte. A detrimento della credibilità e della tenuta del sistema.

Anche in tale ipotesi, seguendo il filo conduttore indicato all’inizio, parte essenziale del "servizio giustizia" è non soltanto la decisione della singola controversia ma la coerenza e la chiarezza degli indirizzi.

Assumendosene la responsabilità, il giudice amministrativo – ovviamente nei limiti dei suoi poteri – deve allora farsi "monitore" verso la pubblica amministrazione, nel senso che la deve "ammonire", orientare per i molteplici aspetti dell’esercizio del potere pubblico, non solo badando alla soddisfazione concreta delle esigenze delle parti ma avendo anche riguardo alla coerenza delle sue pronunce, per evitare di "confondere" invece che di "ammonire".

Si tratta, d’altra parte, di una funzione non estranea alla tradizione della giustizia amministrativa, ed anzi ben conosciuta dagli studiosi e dagli stessi operatori. È noto, infatti, che al giudicato amministrativo è attribuito non soltanto un effetto meramente caducatorio o annullatorio, ma anche un effetto direttivo, volto cioè a dare indicazioni e prescrizioni per la riedizione del potere amministrativo necessaria per dare, in concreto, soddisfazione all’interesse azionato dal ricorrente. Ora, tale effetto direttivo ha, per così dire, una naturale attitudine a porsi doverosamente come regola generale per i casi futuri, nei quali, in situazioni analoghe, il potere amministrativo dovrà essere esercitato.

È quindi evidente il compito – o meglio il fine – della giustizia nei riguardi della pubblica amministrazione: la tutela del singolo cittadino ma, al contempo, la garanzia del corretto funzionamento dell’amministrazione, nel suo interesse, anche quando le viene "dato torto". Perché la rimozione di un atto illegittimo deve aiutare a rendere legittimi gli analoghi atti successivi; e perché l’interesse della pubblica amministrazione è, in realtà, l’interesse di tutti i cittadini, ivi compreso il singolo cittadino che in quel momento vi si oppone.

un "indirizzo" non solo formale ma soprattutto sostanziale

Questo compito "di indirizzo" richiede che si presti attenzione non solo alla correttezza puramente formale, consistente nell’astratta coerenza con il parametro normativo, ma soprattutto alla cd. "bontà sostanziale", e cioè alla concreta capacità dell’attività amministrativa propria dei pubblici poteri di realizzare con efficienza, trasparenza ed economicità fini di pubblica utilità.

Il giudice amministrativo deve intendere il suo "sindacato sulla discrezionalità" in senso moderno e "sostanzialistico". Occorre restare al passo con i tempi, anche se i tempi accelerano il passo.

Occorre essere consapevoli, quando esaminiamo l’esercizio della discrezionalità, che nelle democrazie moderne i cittadini non si accontentano più di atti formalmente ossequiosi di leggi e regolamenti, ma si chiedono se essi sono davvero "utili", rispondenti allo scopo o se invece impongono oneri burocratici non necessari: si giunge in tal modo alla prevalenza della legalità sostanziale su quella formale.

A questo deve conformarsi la discrezionalità di un’amministrazione moderna.

A questo la deve indirizzare il sindacato di un giudice amministrativo moderno.

Qualità della pubblica amministrazione e competitività del Paese: …

Questo modo di realizzare la garanzia giurisdizionale nei confronti del potere pubblico appare, d’altra parte, coerente con il ruolo che l’amministrazione è destinata a svolgere nel Paese e nel sistema economicomma

Il Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione ha di recente affermato che "la competitività del Paese è strettamente legata alla qualità dell’amministrazione, da cui dipende la qualità dell’attuazione delle politiche pubbliche e la qualità dei servizi resi ai cittadini e alle imprese". Per rispondere a tali esigenze nella complessa macchina pubblica occorre agire congiuntamente sull’innovazione amministrativa, sull’innovazione tecnologica e sulla valorizzazione delle risorse umane.

In quest’ottica, si guarda con grande interesse e aspettativa alle proposte del d.Dl Nicolais (presentato alle Camere il 18 gennaio scorso) sui tempi del procedimento e sul danno per il ritardo (dove la nostra giurisprudenza – Ad. Plen. n. 7/05 – è forse un po’ troppo restrittiva), alle iniziative dell’ultimo "pacchetto liberalizzazioni" volte a migliorare e a diffondere la cultura di sportelli unici e conferenze di servizi, per rendere contestuale l’esame di molteplici interessi pubblici relativi ad una singola fattispecie.

Soprattutto, è oltremodo positivo che il Governo lavori sulla meritocrazia, sulla qualità e sulla cultura dei risultati: dall’accordo con i sindacati sul nuovo contratto collettivo giunge un segnale molto incoraggiante (che forse dovremmo seguire – mutatis mutandis – anche per il personale di magistratura).

importanza di una giurisprudenza innovativa, che superi le resistenze in sede attuativa delle riforme

Ma – aggiungo – anche il giudice amministrativo può e deve fare la sua parte.

Perché è il giudice delle pubbliche amministrazioni, che sono destinatarie e interpreti delle riforme. Di quelle che possono determinarne, nella fase attuativa, il successo o il fallimento.

La "cultura dei destinatari" delle riforme, della loro fattibilità, è ancora agli albori qui da noi, a differenza che nei Paesi anglosassoni, dove si dà importanza alla cd. compliance analysis, l’ "analisi dell’obbedienza" ad una legge, la misurazione del "tasso di attuazione e di rispetto" di una disciplina.

L’importanza di destinatari – pubblici o privati – "recettivi" alle innovazioni è, invece, a mio avviso fondamentale. Un Ministro della funzione pubblica, prendendo ad esempio l’istituzione della sezione normativa del Consiglio di Stato, ha affermato che erano stati sufficienti due commi per riformare le sue funzioni consultive, perché in quel caso si era trovato un destinatario recettivo, che aveva compreso l’innovazione e saputo metterla in pratica. Troppe leggi restano invece inattuate per inerzia, o incapacità, di coloro che sono tenuti ad applicarle o a farle applicare.

Anche qui il giudice amministrativo può essere di ausilio. Perché una giustizia amministrativa che funziona, anche nel suo ruolo di indirizzo, fa funzionare meglio la pubblica amministrazione e quindi contribuisce a rendere l’economia più competitiva.

Per quanto di nostra competenza, forniremo tutto il contributo possibile per favorire queste scelte coraggiose e per evitare – sin dalla fase cautelare – inerzie o possibili "fughe all’indietro" di amministrazioni (o di singoli amministratori) resistenti al cambiamento.

Lo si è fatto già per la prima "rivoluzione sostanziale" del diritto amministrativo, la legge n. 241/90 (la prima "rivoluzione processuale" è stata la legge sui TAR del 1971). Molti studiosi affermano che senza la coraggiosa giurisprudenza amministrativa – cui si aggiunse una serie di importanti pareri del Consiglio di Stato in sede consultiva e "di indirizzo" – dei primi anni ’90, la legge n. 241 sarebbe restata in gran parte lettera morta nella prassi amministrativa (si pensi all’avviso di avvio del procedimento o al diritto di accesso).

Siamo pronti a farlo di nuovo, se ci verrà richiesto.

V – Giudice amministrativo e processo

Muoviamo ora – seguendo lo stesso "filo conduttore" – dal ruolo dei contenuti delle nostre pronunce a quello del processo.

Come ho detto all’inizio, un "servizio-giustizia" coerente e chiaro richiede anche un processo efficiente e una tutela completa e "piena".

Il nostro processo ha visto attuarsi un rafforzamento senza precedenti della posizione dell’interesse legittimo, passando dalla tutela di annullamento (che pure richiudeva in sé tutte le altre forme di tutela meno radicali) alla tutela risarcitoria, che incide sull’intero assetto dei rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione.

Vorrei prendere le mosse da questo tema – tutela risarcitoria e riparto – per poi affrontare altre questioni di estremo interesse per gli "utenti" del nostro servizio: la possibile previsione di una translatio iudicii, l’estensibilità della tutela cautelare ante causam, i pregi dell’attuale processo cautelare, i rimedi alternativi alla giurisdizione (le cd. ADR).

I pregi di una "lettura unificante" delle norme costituzionali sulla giustizia amministrativa

Una lettura moderna e "unificante" delle norme costituzionali sulla giustizia amministrativa (Pajno) consente di individuare nell’articolo 24 Costituzione, come parte integrante del diritto alla tutela giurisdizionale anche il diritto alla sua concentrazione.

Tale lettura, coerente con il nuovo articolo 111 Costituzione e con il principio della ragionevole durata del processo, configura un sistema volto ad assicurare una tutela tempestiva, piena e completa a tutte le situazioni soggettive vantate dal cittadino nei confronti dei poteri pubblici.

La stessa lettura induce a ritenere che l’articolo 103 Costituzione sancisca la differenza fra i diversi ambiti di tutela giurisdizionale tra giudice ordinario e giudice amministrativo e la indifferenza fra le tecniche di tutela necessarie a tal fine, la cui identificazione è rimessa alla discrezionalità del legislatore.

In quest’ottica, l’articolo 113, terzo comma, Costituzione, attribuendo alla legge – e soltanto ad essa – l’indicazione del giudice dotato del potere di annullamento dell’atto, evidenzia che non esiste un monopolio, da parte dei diversi giudici, delle varie tecniche di tutela giurisdizionale adoperate.

Ne consegue che non esistono effetti tipici o "necessari" dell’annullamento, potendo essere modellati, al di là della mera caducazione, dal legislatore (anche con la configurazione di poteri sostitutivi o risarcitori) a seconda delle esigenze delle varie fattispecie.

Le recenti decisioni della Corte regolatrice della giurisdizione: l’importanza del metodo e dei valori enunciati

Di questa "lettura unificante" sembra aver preso atto la Cassazione con le tre note ordinanze del giugno scorso in materia del riparto di giurisdizione sulla tutela risarcitoria per lesione degli interessi legittimi.

Con tali pronunce, la suprema Corte – seguendo la strada tracciata dalla Consulta con le sentenze 204/04 e 191/06 – sembra aver propiziato un chiarimento importante sul punto.

Certo, si tratta del problema oggi forse più rilevante per i giudici amministrativi. Ne ha già parlato, pochi giorni fa, il presidente Schinaia: condivido pienamente le sue parole di "attento ottimismo". Bene ha fatto il Presidente del Consiglio di Stato a indicare le prospettive di un necessario approfondimento, per il quale ci sentiamo tutti impegnati.

Così come andrebbe accolto con favore un intervento del legislatore.

Io qui voglio soltanto accennare a due aspetti, per così dire, collaterali ma pregiudiziali: uno di metodo e l’altro di principio, di scelta di valori, di priorità di lavoro.

Quanto al primo aspetto, le sentenze muovono da lontano, operano una dettagliata ricostruzione delle questioni, con attenti e precisi richiami al passato, anche remoto. Danno conto di tutte le esigenze, di tutte le ragioni, di tutte le posizioni, anche di quelle più estreme – da una parte e dall’altra – e non condivisibili, ma dalle quali si può comunque imparare qualcosa.

Quando si tratta di operare una svolta storica, di tracciare un indirizzo giurisprudenziale che deve durare negli anni, è bene fare così; e alla Cassazione deve andare la nostra considerazione in primo luogo per il metodo seguito, per l’attenzione dimostrata, per gli approfondimenti sistematici effettuati, per i rapporti tra diverse giurisdizioni di recente ripresi e portati a frutto.

In particolare, con queste sentenze si compie un passo avanti definitivo, a mio avviso, in quell’opera di "dialogo" costruttivo tra noi e la Magistratura ordinaria (il giudice finale della giurisdizione) che – come ho già sostenuto – avrebbe potuto stemperare molti dei contrasti che avevano portato ad adire la Corte costituzionale e, comunque, contribuire ad attuare uniformemente i suoi dicta interpretativi.

Quanto al secondo aspetto, oltre al metodo usato ciò che mi colpisce di più di queste pronunce è la "scelta delle priorità". È il fatto che, prima ancora delle questioni del riparto, si mette al centro di tutto la tutela del cittadino.

Ci si attendeva (da più parti si temeva) una pronuncia sul riparto. Una pronuncia che dicesse "che cosa è mio e che cosa è tuo". Sono giunte decisioni che – pur facendo indubbiamente chiarezza su molti profili controversi sul riparto tra giurisdizioni – considerano a mio avviso tale questione come secondaria rispetto alla tutela del cittadino.

Sono giunte delle decisioni di un giudice civile che nega, di fatto, la propria giurisdizione in molti casi, in nome del principio (con base costituzionale) di concentrazione e di celerità della tutela dinanzi al giudice amministrativo.

Ma che la riafferma, sempre in nome della difesa del cittadino, sulla base di una "norma di chiusura" – l’articolo 2 della legge 2248/1865, allegato E, reinterpretato e "modernizzato" alla luce della "lettura unificante" degli articoli 24 e 113 della Costituzione sopra accennata – che attribuisce al giudice ordinario il potere-dovere di assicurare la pienezza della tutela, quando la giurisdizione competente non riesca a concedere una tutela piena (anche sul piano risarcitorio) all’interesse legittimo.

In favore della translatio iudicii

Questo tipo di "lettura unificante" delle norme costituzionali sulla giustizia amministrativa può condurre, in qualche modo, a una rappresentazione meno "separata" e "divisa" del sistema di tutela giurisdizionale nei confronti della pubblica amministrazione.

Ma, allora, il fatto che la Cassazione, anche superando contrasti interni e precedenti recenti, abbia riaffermato la centralità del criterio di riparto per situazioni soggettive ed escluso ipotesi di "doppio binario" non può risolversi nella perdita o nella messa in pericolo di quelle esigenze di concentrazione della tutela giurisdizionale che sono direttamente connesse agli articoli 24, 111 e 113 Costituzione .

In questa prospettiva, una rilevante proposta innovativa potrebbe essere costituita da una modifica del codice di procedura civile che, depotenziando in qualche modo la portata della questione di giurisdizione, superi il principio consolidato che oggi esclude la translatio iudicii e valga ad assicurare così la prosecuzione del giudizio dinanzi al giudice dotato del potere di decidere la controversia.

Anche questo costituirebbe, ad un tempo, un modo di evitare la dispersione del potere giurisdizionale, ponendo come esigenza primaria la tutela rapida del cittadino, al di là delle ripartizioni formali, che devono essere utili solo per fare chiarezza, non per ritardare la tutela.

La tutela ante causam

Un’altra innovazione "forte" – che per la verità non viene dal legislatore nazionale ma dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee – è quella della tutela cautelare ante causam.

Si tratta di un problema specifico ed esclusivo del giudice di primo grado, con il quale stiamo imparando a fare i conti a partire dalla sua introduzione nel recente codice dei contratti pubblici (D.Lgs 163 del 12 aprile 2006).

Si tratta, come ho detto, di una tutela imposta dall’Europa per il solo settore degli appalti, ma occorrerà considerare la sua estensione generalizzata.

Di ciò facciamo espressa richiesta al legislatore, perché non si può consentire di conservare un rito speciale, una "tutela rafforzata" – soprattutto nel settore forse più sensibile, quello del processo cautelare – soltanto per limitate materie come i contratti pubblici.

La tutela cautelare e i suoi tempi

Sui "tempi rapidissimi" della nostra tutela cautelare, consentitemi una ulteriore considerazione, che ribadisce quanto avevo già detto l’anno scorso.

Anche se due ricorsi su tre contengono un’istanza cautelare (a fronte di oltre 12.000 ricorsi proposti, il Tribunale ha adottato nel 2006 più di 8.000 provvedimenti cautelari), noi siamo in grado di decidere praticamente in tempo reale le sospensive ordinarie, non soltanto nei casi più urgenti o rilevanti ma per tutti.

Le richieste di tutela cautelare provvisoria vengono sempre decise ad horas, anche di sabato e d’estate.

Le istanze ordinarie sono decise comunque ad dies, poiché sono portate di regola alla prima camera di consiglio successiva al deposito del ricorso. Quando necessario, sono anche fissate camere di consiglio straordinarie. In tal modo, non si formano mai pendenze nelle richieste cautelari.

Alla luce di questi dati di fatto, che avevo enunciato sin dallo scorso anno, non può non sorprendere l’accusa di rapidità "eccessiva" che talvolta ci è stata mossa. Siamo pronti a subire tutti gli attacchi, a fare tesoro delle critiche, che però non accettiamo quando dimostriamo rapidità ed efficienza per tutti.

Va infatti considerato che una tutela cautelare "sana", che sia attenta agli indirizzi più radicati della giurisprudenza e soprattutto si muova in coerenza con essi, può fornire una anticipazione ragionevole degli effetti del processo e una tutela a volte pienamente satisfattoria in tempi rapidissimi.

I rimedi alternativi alla giurisdizione

Un altro aspetto dell’efficienza del servizio giustizia che nel nostro Paese stenta a mettere radici è quello dei rimedi alternativi alla giurisdizione, fra cui le cd. Alternative Dispute Resolutions (ADR) su cui oggi l’Unione Europea insiste molto.

Si tratta di esperienze che – per ragioni spesso differenti tra loro e tra i vari Paesi – vedono tutte la presenza, accanto a forme di tutela caratterizzate dall’intervento del giudice, di riti alternativi e di tecniche di risoluzione stragiudiziali delle controversie.

L’idea di fondo è che la giurisdizione va considerata come una vera e propria "risorsa"; come tale, non illimitata, ma da riservare alle questioni più rilevanti sul piano sociale, istituzionale ed economicomma Pertanto, nell’interesse del cittadino, occorre introdurre rimedi di tutela che ne assicurino la soddisfazione "a prescindere dall’intervento del giudice".

L’Unione Europea sta incoraggiando il ricorso a siffatti rimedi. Tra le ragioni del successo che queste iniziative stanno riscuotendo negli altri ordinamenti vi sono la tempestiva risoluzione delle controversie, l’opportunità di una risoluzione elastica e nel dominio delle parti, con la ricerca di soluzioni improntate all’equità in senso lato, la specializzazione del soggetto chiamato a dirimere le controversie o l’utilizzazione di esperti per sciogliere nodi di natura tecnica, l’esigenza, infine, di deflazionare il carico del contenzioso attribuito ad un giudice sempre più spesso chiamato in causa dai cittadini.

Nel nostro ordinamento, tali rimedi non mancano, almeno sulla carta.

E non mi riferisco soltanto alla giustizia arbitrale, ma soprattutto a quei rimedi "generali" e fortemente accessibili che erano stati inseriti, con molte speranze, in un’amministrazione diversa da quella di oggi, e che andrebbero ripresi e adeguati: i ricorsi gerarchici. Non tanto quelli propri – ormai superati insieme con il modello "piramidale" di amministrazione per il quale erano sorti – bensì quelli cd. impropri.

Ma, soprattutto, va ricordato il "rimedio alternativo" per eccellenza del nostro ordinamento, con il valore aggiunto dell’economicità e dell’unicità del grado di giudizio: il ricorso straordinario al Capo dello Stato. Il d.Dl Nicolais lo riforma e ne completa la natura alternativa già stabilita sin dal 1971; il presidente Schinaia ne ha parlato nel suo discorso inaugurale. Non mi resta che condividere, ancora una volta, le sue affermazioni, auspicando che si vada avanti celermente su questa strada.

Vanno poi ricordati i rimedi fondati sulla "specialità", che pure esistono nel nostro sistema e che dovrebbero essere valorizzati: dai ricorsi al difensore civico a quelli alla Commissione per l’accesso, ai ricorsi interni alle Autorità indipendenti.

Per tutti questi (con la sola eccezione del ricorso straordinario, che viene già deciso, con la terzietà propria del giudice, dal Consiglio di Stato) vi è bisogno principalmente di un elemento, senza il quale sembra difficile ripetere il successo delle ADR negli altri Paesi: alterità rispetto alle amministrazioni interessate, maggiore incoraggiamento per il cittadino che oggi, invece, si vede sempre riconfermare la scelta negativa dell’ufficio competente, "tanto poi si può andare al TAR …".

Più serietà e più fiducia nel rimedio, a cominciare dai soggetti tenuti a gestirlo.

Con una cautela: i rimedi alternativi sono preferibili ai riti speciali. Creare, dinanzi allo stesso giudice che dovrebbe comunque decidere, procedure "disegnate" sulla materia della lite può, se si eccede, condurre a rallentamenti della definizione delle cause da parte del medesimo giudice. Prevedere diciassette riti diversi dinanzi al giudice civile che resta sempre lo stesso mi sembra, francamente, un paradosso. Per ciò che riguarda noi, a parte i riti "accelerati" ex articolo 23bis della legge 1034/71, abbiamo solo pochi riti speciali, soprattutto in materia di silenzio e di accesso: la nostra giurisprudenza ha cercato di aumentarne l’integrazione con il rito principale, e il legislatore ha dimostrato di adeguarsi prontamente.

Tornando alle ADR in senso proprio, si ribadisce la necessità di un investimento serio su di loro, accompagnato da misure che rafforzino la terzietà dei rimedi e da iniziative di formazione dei loro responsabili.

Questo – non costoso – investimento potrebbe condurre a risultati rilevanti per la nostra giustizia, amministrativa e non.

Noi non ci sentiremo "svalutati" se si rafforzeranno le alternative al nostro lavoro. Anzi, ci sentiremo trattati come una risorsa preziosa, non illimitata e da preservare.

VI – I problemi di sempre: innanzitutto, i tempi

Il problema dei tempi in generale

Vengo così, da ultimo ma non certo per ultimo, ai problemi principali, a lungo discussi anche (e forse soprattutto) per la giustizia ordinaria.

Quello dei tempi della giustizia e quello delle risorse.

Anche se su questi temi si rischia davvero di essere ripetitivi, non posso evitare di parlarne.

Comincio dal primo.

Il problema non è certo soltanto italiano, se la candidata alla Presidenza della Repubblica d’oltralpe, Ségolène Royal, ha di recente elogiato, di ritorno da un suo viaggio in Cina, i tempi della giustizia cinese, ritenuta più rapida di quella francese per i suoi "méthodes expéditives".

Ma, se Parigi piange, l’Italia certo non ride!

Già l’anno scorso richiamavo un rapporto della Banca Mondiale (Doing business 2004, WB 2004, che compara 145 diversi Paesi), secondo cui uno dei principali freni allo sviluppo produttivo dell’Italia è dato dalla lentezza dei processi, che produce incertezza negli scambi e scoraggiamento negli investitori.

Questo – si osservava – è particolarmente vero per il giudice amministrativo perché, come detto prima, anche noi siamo un fattore di competitività del sistema-Paese.

I tempi della nostra giustizia sono certamente meno drammatici di quella ordinaria.

La corsia preferenziale introdotta dalla legge n. 205 per alcune controversie (dagli appalti ai provvedimenti delle Autorità indipendenti, dalle privatizzazioni ai provvedimenti di nomina adottati dal Consiglio dei Ministri) dimostra di funzionare bene: di regola, è sufficiente qualche mese per giungere ad una sentenza definitiva in primo grado.

Il contenzioso ordinario segna il passo, ma funzionerebbe anch’esso bene, con il nuovo regime processuale, se non vi fosse l’ingente arretrato creatosi prima della riforma. I dati confermano che la produttività aumenta, a carico delle limitate (e sempre decrescenti) risorse esistenti.

Ma i nostri sforzi, comunque, non bastano di fronte alle decine di migliaia di ricorsi pendenti anteriormente alla riforma del 2000 e alla possibilità di definirne, in tutto, poco meno di 15.000 l’anno (di cui oltre l’80% è "azzerato" dai ricorsi in arrivo).

Come ho già detto l’anno scorso, non si può pensare seriamente di smaltirlo con misure ordinarie. Si può discutere sulle modalità di smaltimento, si può ragionare sulla necessità di istituire sezioni-stralcio o rinvenire altri rimedi. Occorre anche tenere presente che in molti casi si tratta di un arretrato "apparente", meramente cartaceo, costituito da ricorsi per i quali le parti hanno perso ogni interesse a seguito della successiva attività dell’amministrazione o per il semplice decorso del tempo.

Ed è un peccato, poiché la legge n. 205, a regime, potrebbe consentire finalmente un funzionamento efficiente dell’intero sistema-giustizia amministrativa.

È quindi importante farsi carico del problema: questo peso può minare seriamente la credibilità della giustizia amministrativa e, più in generale, quella del Paese.

Per evitare di essere esclusivamente ripetitivo su un problema che, purtroppo, si ripresenta tutti gli anni, provo a fornire due ulteriori elementi di riflessione.

La "cultura" dei tempi

Il primo spunto può apparire un po’ troppo "in prospettiva" ma occorre comunque, a mio avviso, metterlo in campo adesso.

Il problema dei tempi del processo amministrativo è connesso – a differenza di quanto accade per la giustizia ordinaria – con il problema dei tempi della pubblica amministrazione .

Ed è un problema culturale, oltre che funzionale.

La dimensione-tempo riassume, come ha affermato di recente il Ministro Amato, tutte le disfunzioni della pubblica amministrazione e della giustizia che ne conferma, corregge o completa le scelte (essa è a sua volta un peculiare tipo di servizio pubblico, come si è detto più volte).

Occorre, quindi, chiedersi se si possa rimediare a tali disfunzioni semplicemente "tagliando" le procedure, imponendo all’amministrazione una scelta in tempi brevi, qualunque essa sia.

Ho molti dubbi a dare una risposta positiva, pur se essa può essere suggestiva.

L’amministrazione, come il giudice, ha bisogno di tempo per operare scelte credibili, almeno nei settori di maggiore delicatezza.

Ha bisogno di tempo, e non di fretta, per vagliare i diversi interessi pubblici che sottendono ad una singola scelta, e per contemperarli con quelli dei privati, dei cittadini e delle imprese.

Questi tempi devono essere ragionevoli. Solo allora si può esigere che siano certi. La semplice riduzione "sulla carta" dei tempi non porta a nulla. Occorre quantificare, caso per caso, le necessità. E lavorare sugli operatori, sulla loro formazione, sulla loro professionalità, sulla loro dedizione al risultato piuttosto che alle forme.

Occorre una "cultura" dei tempi connessa con la cultura dei risultati. Per gli amministratori pubblici ma anche per i giudici dell’amministrazione. Una cultura che non può che arricchirsi degli apporti multidisciplinari cui facevo cenno prima, di cui noi siamo molto carenti non avendo alcuna tradizione delle facoltà di "law and economics" così diffuse nell’esperienza anglosassone.

Rapporto tra tempi e contenuti delle decisioni: chiarezza degli indirizzi e deflazione dei tempi

Il secondo spunto si richiama, ancora una volta, al nostro filo conduttore iniziale.

Il problema dei tempi della giustizia amministrativa (come di quella ordinaria) si risolve anche attraverso i suoi contenuti, i suoi indirizzi giurisprudenziali.

Una maggiore certezza sugli indirizzi, sulla loro "tenuta" e coerenza determina certamente una deflazione del contenzioso, specie se accompagnata da un più coraggioso ricorso alla condanna alle spese.

E qui occorre un richiamo a tutti, soprattutto a quegli avvocati che, facendo commistione tra il diritto di difesa e la temerarietà della lite, propongono cinquanta ricorsi identici tra loro invece di uno solo, magari con la speranza che collegi diversi li decidano in modo diverso.

O che prolungano irragionevolmente cause dall’esito probabilmente scontato (o che sarebbe tale alla luce dei suddetti indirizzi più "stabili") e, come è accaduto qui al TAR del Lazio, al momento in cui un ricorso presentato molti anni fa era stato finalmente messo in discussione, ne chiedono la cancellazione dal ruolo "per approfondimenti"!

VII – Segue: misure organizzative e risorse

L’importanza dell’organizzazione

La qualità delle pronunce e l’effettività del nostro processo sono cruciali; danno senso alla nostra vita e al nostro lavoro. Ma non bastano.

Come è stato detto (Cassese), la giustizia è un sistema in cui la domanda cresce con la qualità dell’offerta. E oggi, vista la massa di lavoro, non ci si può permettere una qualità mediamente buona delle pronunce (come è, nonostante tutto, quella resa dalle Corti italiane) senza considerare come altrettanto decisivo l’aspetto quantitativo.

Occorrono anche una buona organizzazione e risorse adeguate ai bisogni.

Nei giorni scorsi, in occasione delle relazioni di apertura dell’anno giudiziario presso la Cassazione e le Corti d’appello, è stato affermato che l’equazione "più mezzi uguale più efficienza" va esaminata con attenzione e spirito criticomma Perché non sempre è automatica. Se un’amministrazione pubblica, o un’azienda privata, si trovano ad affrontare una contingenza difficile, non possono limitarsi a chiedere più risorse. Si guardano dentro, si slanciano in avanti, si riorganizzano, rinunciano a qualcosa, si ripensano e finalmente ripartono.

Non si possono non condividere, in linea di principio, queste affermazioni. E allora dico subito che non mancano le iniziative organizzative volte a migliorare il nostro servizio anche indipendentemente da modifiche ordinamentali o dall’aumento di risorse.

Seguendo l’esempio delle Sezioni unite della Cassazione (soprattutto di quelle civili, che in due anni hanno sestuplicato la produttività e praticamente azzerato l’arretrato, come ebbe a dire il presidente Marvulli l’anno scorso), anche noi stiamo cercando di migliorare le soluzioni organizzative a legislazione e a organico vigente.

Ad esempio, valorizzando la giurisprudenza "di Sezione" e non solo "di collegio" (vi è una significativa esperienza in tal senso della IV Sezione del Consiglio di Stato alla quale mi sto ispirando).

Stiamo poi lavorando sulla preparazione delle assegnazioni alle udienze, cercando di trovare e di accorpare le cause seriali che si possono decidere con un’unica pronuncia, ovvero riproducendo un’unica sentenza-pilota.

Si sta pensando anche a "udienze tematiche" e ad un ricorso più sistematico agli strumenti informatici.

Il Consiglio di Presidenza sta ora rilanciando strutture centrali importanti, che da noi di fatto non erano curate da magistrati, come l’ufficio del Massimario.

È noto il lavoro sulle perenzioni e sui ricorsi risalenti, con l’istituzione di ruoli aggiunti. In alcuni casi sono state anche fissate udienze straordinarie con lo scopo di smaltire ricorsi arretrati seriali già individuati e "trattati" dalla segreteria.

I costi dell’organizzazione

Ma questi ed altri accorgimenti organizzativi rischiano di non essere "sostenibili" se le risorse non si adeguano, anzi continuano a diminuire.

Il lavoro sui fascicoli da accorpare e da "trattare", ad esempio, non è facile e richiede un grande sforzo da parte delle segreterie. Così come la trattazione delle cause seriali.

Un esempio concreto per tutti. Nei mesi scorsi ho tenuto due udienze straordinarie (per le quali ringrazio ancora i colleghi che volontariamente hanno affrontato questo onere), smaltendo di colpo – in aggiunta al carico mensile ordinario – circa 400 ricorsi per ciascuna. Avrei voluto ripetere ancora l’esperienza, ma mi è purtroppo risultato impossibile perché non ho potuto in alcun modo distogliere il poco personale disponibile dagli impegni delle udienze ordinarie. Dai commessi che spostano i fascicoli al personale di segreteria che cura gli adempimenti di cancelleria: per tutti costoro il singolo ricorso seriale comporta esattamente lo stesso carico di lavoro del ricorso che segna grandi svolte giurisprudenziali.

Insomma, anche il lavoro sull’organizzazione – che siamo pronti a proseguire e a incoraggiare – richiede risorse.

E queste, occorre dirlo con franchezza, sono drammaticamente carenti, soprattutto al TAR del Lazio.

Gli interventi normativi recenti

Certo, qualcosa si muove.

Prendo atto con ottimismo – e ne ringrazio il Governo e la Presidenza del Consiglio, che ha la delega per la giustizia amministrativa – di alcune misure contenute nella legge finanziaria per il 2007 (legge 296/06, commi 1307, 1308 e 1309).

In particolare, ci rincuora l’aumento di organico di cinquanta unità di personale di segreteria (peraltro, interamente autofinanziato con l’incremento del contributo unificato per le cause con maggiore valore economico).

Ma ricordo che un rafforzamento di dimensioni più ampie era stato previsto, con un consenso bipartisan, nella primavera del 2001, alla fine della XIII legislatura, come "copertura" della riforma di cui alla legge 205/00: tale incremento avrebbe consentito anche l’avvio delle sezioni-stralcio. L’intervento non riuscì ad arrivare all’approvazione finale in seconda lettura per un soffio. Poi, però, non se ne è fatto più nulla.

Nel frattempo, nel 2005 sono sopraggiunte le riduzioni forzate di organico e, con la finanziaria per il 2006, il blocco delle assunzioni è stato esteso anche al personale di magistratura.

I benefici della finanziaria 2007 recano, quindi, misure che compensano solo in parte i più gravi pregiudizi alla nostra capacità di lavoro e, quindi, al nostro servizio arrecati dalle leggi degli anni precedenti.

Perché le riduzioni e i blocchi delle assunzioni, se certo sono il segno di una situazione di emergenza dell’amministrazione e della finanza pubblica, vanno calibrati caso per caso.

Misure come queste trovano un fondamento per le amministrazioni che occorre ristrutturare profondamente, a causa dei processi di trasferimento alle Regioni e della esternalizzazione di svariate funzioni. Ma risultano oggettivamente inspiegabili per un sistema come la giustizia, che non è interessato da nessuno di tali fenomeni (certo non la regionalizzazione, ma neppure una politica credibile sulle ADR) e in cui, anzi, la domanda continua solo a crescere, soprattutto in complessità.

Se si prosegue su questa strada, già da quest’anno rischiamo di bandire un concorso per i posti vacanti di referendario TAR ma di non poter assumere i vincitori, viste le restrizioni di bilancio che la stessa finanziaria per il 2007, al comma 518, impone alla magistratura amministrativa e contabile e all’avvocatura dello Stato.

Il Dipartimento della funzione pubblica ha annunciato (ma finora solo annunciato) un ripensamento di tali misure nei confronti di queste carriere: ne prendiamo atto, ma deve essere un ripensamento serio e urgente.

In Germania, per una popolazione superiore alla nostra di meno del 20%, l’organico dei giudici amministrativi è superiore di oltre il 500%: i giudici amministrativi federali sono circa 2.600 e il rapporto tra ogni giudice e gli impiegati di cancelleria è di uno a otto; da noi i giudici sono meno di 500 e il rapporto con gli impiegati non arriva neppure a uno a due, anche includendo l’aumento delle 50 unità della finanziaria.

Dobbiamo proprio rassegnarci a queste differenze abissali?

La situazione particolarmente grave del TAR del Lazio; …

Un discorso a sé merita, infine, la situazione del TAR del Lazio.

Come già detto, questo TAR possiede delle caratteristiche istituzionali e organizzative del tutto particolari nel contesto degli altri Tribunali amministrativi: ne rivendico fortemente la peculiarità, cogliendo questa occasione per esprimere ufficialmente quanto più volte ho affermato nelle mie comunicazioni al Consiglio di Presidenza e al Segretariato Generale della giustizia amministrativa.

Siamo l’unico TAR italiano in cui i ricorsi proposti non diminuiscono, nonostante le modifiche nell’assetto del riparto di giurisdizione: nel corso del 2006, il numero dei ricorsi depositati (12.337) è stato sostanzialmente costante rispetto all’anno precedente (12.388), mentre il dato nazionale ha registrato una flessione del 6,4% tra i ricorsi proposti nel 2005 (complessivamente 62.049) e i ricorsi proposti nel 2006 (complessivamente 58.087). Questa controtendenza rispetto al dato nazionale comporta che, se l’anno scorso l’incidenza dei nostri ricorsi sul totale nazionale si era attestata a poco meno del 20%, quest’anno marcia verso il 22% (ove si consideri anche la sezione staccata di Latina, si arriva al 23,39% del totale nazionale dei ricorsi).

Ne consegue che il numero medio di ricorsi per singola sezione del TAR Lazio si rivela sensibilmente più alto del numero medio di ricorsi delle sezioni del resto d’Italia. Infatti, per le dodici sezioni del TAR Lazio, alcune costituite da soli tre o quattro magistrati compreso il Presidente, la media è di oltre 1.000 ricorsi, mentre per le sezioni del resto d’Italia la media è di circa 800 ricorsi.

Il numero di ricorsi di una singola sezione interna del Tribunale è sovente superiore al totale del contenzioso di interi TAR di dimensioni consistenti (come quelli di Bologna, di Genova, di Catanzaro o di Cagliari). Sia la prima che la seconda Sezione del TAR di Roma, superando i 4000 ricorsi (4988 la prima e 4095 la seconda), hanno un carico superiore a qualsiasi TAR d’Italia, con la sola eccezione di quello di Napoli.

i risultati ottenuti, nonostante tutto, …

Nonostante gli oneri eccezionali che gravano sul TAR del Lazio, prosegue la tendenza a chiudere l’anno con un saldo attivo tra giudizi definiti e ricorsi introitati.

I giudizi definiti nel 2006 sono stati 15.686, con un incremento del 5,92% rispetto al 2005, in cui furono 14.809; ove si considerino anche le decisioni interlocutorie, il dato passa a 16.399 decisioni assunte nel 2006, con un incremento dell’8% rispetto al 2005, in cui il totale delle decisioni si era attestato a 15.180.

Tali riscontri numerici, pur nella loro freddezza, riescono a rendere chiaramente l’idea della mole di lavoro che ha accompagnato gli "addetti" al Tribunale, sia il personale di magistratura che il personale amministrativo.

E "danno conto" dell’efficienza, non disgiunta dall’elevata qualità della produzione, con cui essi hanno saputo rispondere.

Il saldo attivo tra giudizi definiti nell’anno (15.686) e ricorsi introitati (12.337) ha determinato un’ulteriore flessione dei ricorsi pendenti che, al 31 dicembre 2006, ammontano a 162.290, rispetto ai 165.639 che risultavano pendenti al termine del 2005.

Il risultato conferma il trend dell’anno precedente in cui si era giunti a 165.639 ricorsi pendenti a fine anno rispetto a 168.060 ricorsi pendenti a fine 2004.

Di talchè, negli ultimi due anni, a fronte di 24.725 ricorsi presentati sono stati definiti 30.495 giudizi e ciò ha consentito di ridurre i ricorsi pendenti da 168.060 a 162.290, con un abbattimento del 3,43%, pur in presenza di una compagine di magistrati meno numerosa, come si dirà.

Per una buona parte dei ricorsi pendenti, inoltre, è ragionevole presumere che non sussista più un concreto interesse alla decisione e che, quindi, potranno essere definiti con una decisione in rito.

Seguendo tale andamento, è realistico prevedere che la durata media del giudizio di primo grado presso questo Tribunale sia destinata a ridursi per avvicinarsi sempre più alle aspettative dei cittadini che chiedono una risposta "giusta", ma anche sollecita.

con un contenzioso imponente in qualità e quantità …

I dati numerici non riflettono l’intera dimensione del problema poiché, come ho detto nella prima parte, il contenzioso del nostro Tribunale presenta aspetti peculiari soprattutto di tipo qualitativo, considerato che alle materie "tipiche" di ogni giudice amministrativo si aggiunge la competenza esclusiva in una molteplicità di materie dal notevole impatto sociale ed economicomma

Si pensi, ad esempio, al ricorso sulla sospensione dei lavori di riconversione a carbone della centrale termoelettrica di Civitavecchia, al ricorso sulla gara d’appalto per i lavori del ponte sullo stretto di Messina, al contenzioso sull’autorizzazione all’acquisizione, da parte della Cassa Depositi e Prestiti, di una rilevante quota del capitale sociale di Terna subordinatamente alla dismissione della partecipazione azionaria in Enel, al giudizio sull’adeguamento delle tariffe delle autostrade abruzzesi, ai molteplici ricorsi avverso i provvedimenti antitrust che accertano intese restrittive della concorrenza (fra gli altri, quelli in materia di assicurazioni, di latte per la prima infanzia, di gas tecnici, etc.) ed avverso i provvedimenti adottati dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, ai ricorsi concernenti le linee aeree, al contenzioso relativo alla nomina a Direttore Generale della RAI, alle controversie in materia di calcio.

I settori di intervento, peraltro, sono estremamente vari e riguardano anche questioni in passato sconosciute o poco usuali: dalle ipotesi di mobbing nel pubblico impiego al "numero chiuso" per l’iscrizione a facoltà universitarie, alle misure di protezione per i collaboratori di giustizia, alle provvidenze per le vittime dell’usura e dell’estorsione. Ciò in aggiunta ai settori dai quali tradizionalmente deriva al giudice amministrativo una notevole quantità di ricorsi: dal contenzioso edilizio, a quello relativo ai cittadini extracomunitari, alle impugnazioni avverso le bocciature a scuola o le valutazioni di non idoneità a concorsi, soprattutto quello notarile, o ad esami di abilitazione, soprattutto quello di avvocato.

e l’assegnazione sperequata di risorse

A fronte di questo straordinario impegno, è doveroso segnalare che le risorse professionali e finanziarie si rivelano non solo scarse, ma anche non proporzionali rispetto agli altri uffici d’Italia.

Quanto ai magistrati, ne perdiamo sempre di più, tra collocamenti fuori ruolo per impegni esterni e part time per importanti (e doverosi) impegni istituzionali nell’Organo di Autogoverno e nella sua segreteria. Il loro numero è passato da 60 all’inizio del 2005 a 55 all’inizio di quest’anno giudiziario. E nei giorni scorsi è sceso a 54 (di cui 48 a tempo pieno, 5 impegnati anche presso il Consiglio di Presidenza e uno presso l’Ufficio per l’informatica).

Per ciò che riguarda il personale di supporto, si continua a non tener conto delle necessità ulteriori che ci derivano dalla maggiore incidenza dei ricorsi "ponderosi" e di quelli seriali, nonché dell’arretrato che potremmo smaltire meglio, se ci fosse qualcuno in più a trattarlo nelle segreterie. Il personale amministrativo in servizio è attualmente pari a 103 unità oltre 5 distaccati, dipendenti della Guardia di Finanza, con un rapporto complessivo tra amministrativi e magistrati nemmeno pari a 2, vale a dire estremamente basso ove si consideri che il TAR del Lazio ha esigenze peculiari anche in ordine ai servizi generali.

Parimenti esigue sono le risorse finanziarie assegnate.

Come ho detto all’inizio di questa parte, l’equazione "più mezzi uguale più efficienza" va esaminata con attenzione e spirito critico perché non sempre è automatica.

Non ci limitiamo a chiedere più risorse: ne dimostriamo oggettivamente l’esigenza e, soprattutto, continuiamo ad aumentare la produttività anche se i mezzi diminuiscono.

Ma non vogliamo rinunciare a chiedere una migliore organizzazione e una più razionale distribuzione degli strumenti, perché questo incide sulla giustizia come servizio, con effetti su tutto il Paese.

E perché questo ci consentirebbe di concentrarci, con maggiore serenità, sulla qualità del servizio e – per tornare al nostro filo conduttore – sulla sua coerenza.

VIII – Conclusione: l’importanza della visione del "sistema"

La "chiave di lettura" di quest’anno, ovvero la individuazione della coerenza come componente essenziale del servizio-giustizia (forse più ancora dei tempi, almeno nel processo amministrativo), mi inducono a concludere con un invito alla necessità di una visione "di sistema" del nostro lavoro.

Una visione che accresce le nostre responsabilità e che richiede ancora più coraggio nelle nostre scelte.

Conforta, in questa visione, l’idea del diritto inteso come un "processo", un cammino umano in evoluzione, che segue l’esigenza espressa dai rapporti politici ed economici che intessono l’aggregato sociale.

Un processo complesso, non necessariamente lineare, perché costretto ad accompagnare "tumultuose trasformazioni" (come le ha chiamate il presidente de Roberto), le quali diventano, tuttavia, vicende tradotte in formule giuridiche, in complessi sistemici, in ordinate rappresentazioni. Perché dobbiamo cogliere, nel diritto, "un fenomeno ordinativo più che autoritativo".

E, allora, anche noi dobbiamo recepire la lezione dello studente del Faust di Goethe, che si sente "poco adatto" allo studio e alla cura del diritto poiché, in tale materia, "i diritti e le leggi si tramandano/ come una malattia che non ha fine,/ arrancano da una generazione all'altra,/ da un luogo all'altro, cauti. La ragione/ diventa assurda, il beneficio danno". Ogni cosa può essere il suo contrario.

A questo studente Goethe insegna che, nel diritto, "La fabbrica delle idee funziona/ come il telaio del tessitore,/ dove un pedale muove mille fili,/ le spole volano su e giù,/ i fili scorrono invisibili,/ un colpo allaccia mille vincoli".

Noi non abbiamo, per fortuna, "un solo pedale" che ci muove come mille fili.

Ma se il sistema della Giustizia è chiaro, organizzato, consapevolmente gestito e amministrato, se ogni rocchetto si muove liberamente ma con la coscienza del suo impatto sugli altri, se i rocchetti sono ben oliati e messi in grado di funzionare con efficienza, allora tutti i colori si compongono armoniosamente, e ciascun colpo contribuisce alla costruzione dell’insieme del tessuto.

In tempi complessi e di grandi cambiamenti come quelli attuali, dobbiamo compiere ogni sforzo perché il nostro lavoro assomigli comunque, visto dall’alto, ad un grande e armonioso, ancorché complesso, arazzo posto al servizio della società moderna.

APPENDICE

SENTENZE DI PARTICOLARE RILIEVO PUBBLICATE NEL 2006

Autorità amministrative indipendenti.

Le questioni affrontate dal TAR Lazio in materia di regolazione dei settori economici sono state numerose e di elevata complessità. Lo spazio di intervento diviene sempre più ampio e, nel 2006, ha riguardato anche fattispecie poco usuali come l’autorizzazione rilasciata dall’Autorità antitrust all’acquisizione di una rilevanza quota di una società subordinatamente alla cessione di una partecipazione detenuta in altra società o l’adozione da parte della stessa Autorità antitrust di misure cautelari nel corso di un procedimento.

Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.

La sentenza della Sezione Prima 13 marzo 2006, n. 1898, ha respinto il ricorso proposto da Cassa Depositi e Prestiti avverso il provvedimento con cui l’AGCM ha autorizzato l’acquisizione del 29,99% di Terna subordinatamente alla cessione della quota detenuta del capitale sociale di Enelegge Tale pronuncia ha ribadito che il giudice amministrativo può sindacare con piena cognizione i fatti oggetto dell’indagine e il processo valutativo mediante il quale l’Autorità applica al caso concreto la regola individuata, fermo restando che, ove sia accertata la legittimità dell’azione sulla base della corretta utilizzazione delle regole tecniche sottostanti, il sindacato giurisdizionale non può spingersi oltre, perché vi sarebbe un’indebita sostituzione del giudice all’amministrazione.

Rilevato che, mentre nel caso di abuso di posizione dominante la valutazione dell’Autorità è incentrata sull’accertamento ex post di comportamenti illeciti, in sede di esame della concentrazione, ai fini dell’autorizzazione, l’Autorità è chiamata invece a valutare ex ante quali ne siano i riflessi prevedibili e gli effetti possibili sulle strutture del mercato e sui comportamenti delle imprese, è stato ritenuto che dall’intreccio azionario in capo a Cassa Depositi e Prestiti a seguito dell’operazione di concentrazione deriva una maggiore capacità di influenza sulle dinamiche concorrenziali atteso che monopolista delle attività di trasmissione e dispacciamento dell’energia elettrica diviene una società per azioni, quale azionista di controllo del soggetto ad un tempo proprietario e gestore della rete di trasmissione nazionale, che, sebbene prevalentemente partecipata dallo Stato, è ontologicamente orientata al perseguimento di fini di lucro.

Con sentenza della Sezione Prima 7 marzo 2006, n. 1713, è stato respinto un ricorso avverso un provvedimento dell’AGCM che ha ordinato in via cautelare ad una casa farmaceutica di rilasciare, entro sette giorni da un’apposita richiesta dell’impresa chimica interessata, una licenza volta ad autorizzare la produzione, ai fini di stoccaggio, del principio attivo "Imipenem Cilastatina". Il Collegio ha in particolare evidenziato che il potere di disporre misure cautelari (successivamente introdotto in modo specifico dalla LEGGE 223/2006) conferito alle Autorità nazionali della concorrenza rappresenta un istituto consolidato a livello comunitario, che nei suoi presupposti generali, fumus boni iuris e periculum in mora, e nelle sue modalità attuative è noto anche nell’ordinamento nazionale e, quindi, immediatamente attuabile da parte dell’Autorità a seguito della previsione della normativa comunitaria.

Con riferimento ad una fattispecie di abuso di posizione dominante, è stato indicato che, dalla posizione dominante su un determinato mercato, discende una particolare responsabilità, per cui l’impresa che la detiene non può ridurre o eliminare il grado di concorrenza con comportamenti "escludenti"; ne consegue che l’unico presupposto perché la condotta possa essere qualifica abusiva e, quindi, vietata è costituito dall’avere per oggetto di impedire o restringere il gioco della concorrenza all’interno del mercato, sicché, al pari dell’intesa restrittiva della concorrenza, si caratterizza per la sua potenziale lesività e non per la concreta realizzazione dell’effetto e può qualificarsi come illecito di mera condotta per la cui consumazione è sufficiente il c.d. dolo generico (Sezione Prima, 30 agosto 2006, n. 7807).

Sempre in materia di abuso di posizione dominante, la sentenza della Sezione Prima, 20 ottobre 2006, n. 10678, ha respinto due ricorsi, proposti dalle società Enel ed Enel Energia, avverso le sanzioni irrogate a tali operatori per l’introduzione, nel contratto-tipo relativo alla vendita di energia elettrica ai clienti idonei per l’anno 2002, di alcune clausole lesive della libertà negoziale dei destinatari. La Sezione, chiarita anzitutto la nozione di "posizione dominante" e precisate le relative modalità di accertamento, ha giudicato corretta l’operazione ricostruttiva esposta nel provvedimento sanzionatorio, reputando inoltre inconsistenti le giustificazioni degli operatori basate sulla "spiegazione alternativa lecita" della condotta alla luce di alcuni rischi paventati ("rischio volume" e "rischio normativo"). È stato poi chiarito che l’imputazione di responsabilità in capo alla società holding (nella specie, Enel) trova adeguato fondamento nelle norme della LEGGE n. 689/1981 sul concorso di persone nell’illecito amministrativo.

Circa le intese restrittive della concorrenza, la sentenza della Sezione Prima, 3 ottobre 2006, n. 8803, ha respinto il ricorso avverso il provvedimento con cui l’Autorità antitrust ha accertato che alcune società operanti sul mercato del latte artificiale per l’infanzia hanno posto in essere un’intesa consistente nel coordinamento delle proprie politiche commerciali al fine di mantenere sul mercato nazionale prezzi più elevati del latte artificiale rispetto agli altri mercati europei. La pronuncia ha tra l’altro fatto presente che, in considerazione della rarità dell’acquisizione di una prova piena e della conseguente vanificazione pratica delle finalità perseguite dalla normativa sulla concorrenza che scaturirebbe da un atteggiamento troppo rigoroso, è sufficiente e necessaria la delineazione di indizi, purchè gravi, precisi e concordanti, circa l’intervento di illecite forme di concertazione e coordinamento. Con riferimento alla specifica intesa, il Collegio ha ritenuto che le imprese, rinunciando ad avvalersi della leva concorrenziale del prezzo ed affidandosi prevalentemente a politiche di informazione scientifica, abbiano effettivamente posto in essere un sistema violativo della normativa sulla concorrenza, la cui ratio è volta anche alla tutela dei consumatori, acquirenti finali dei prodotti offerti dal mercato, i quali, in presenza di un livello dei prezzi mediamente molto elevato, sono risultati danneggiati dai comportamenti paralleli adottati.

Con riferimento alla controversia relativa al provvedimento dell’Autorità antitrust che ha accertato un’intesa in materia di assicurazioni, la sentenza della Sezione Prima, 17 maggio 2006, n. 3354, ha ritenuto condivisibile l’argomentazione secondo cui ogni indicazione di prezzo si presta a costituire un punto di riferimento tale da alterare il gioco della concorrenza, in quanto idoneo ad eliminare la naturale incertezza che dovrebbe caratterizzare un mercato concorrenziale. In tale ipotesi, l’AGCM ha disatteso il parere, obbligatorio ma non vincolante, dell’Isvap ed il Collegio ha evidenziato che le valutazioni delle Autorità di settore assumono una diversa valenza a seconda che si riferiscano alla disciplina ed alle caratteristiche del settore regolato rispetto a quelle attinenti l’applicazione delle norme in materia di tutela della concorrenza, atteso che, in entrambi i casi, l’Autorità antitrust dovrà motivare il discostamento dal parere dell’Autorità di settore, ma nella prima ipotesi la motivazione dovrà essere particolarmente esauriente a differenza che nella seconda, in cui le valutazioni attengono direttamente alle competenze attribuite al garante della concorrenza.

Anche con riguardo ad altra fattispecie, più risalente nel tempo e relativa ad un accordo volto alla fissazione dei prezzi di alcuni farmaci etici, il Collegio ha ritenuto che la strategia delle imprese fosse stata quella di non utilizzare il prezzo come variabile concorrenziale con la determinazione di un equilibrio di prezzo diverso e superiore rispetto a quello che si sarebbe determinato in un normale regime di concorrenza e con conseguente danno ingiusto a carico dei consumatori (Sezione Prima, 2 agosto 2006, n. 6833).

Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni.

Con riferimento alle sentenze adottate su provvedimenti dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, merita di essere segnalata la sentenza della Sezione Terza ter 22 giugno 2006, n. 5038 che, in tema di comunicazione politica e di parità di accesso ai mezzi di informazione nei periodi non elettorali, ha ritenuto legittima la delibera n. 22/06/CSP, contenente prescrizioni ulteriori a quelle previste in via generale dalla LEGGE n. 28/2000. La sentenza ha riconosciuto la compatibilità dell’intervento regolamentare dell’Autorità, anche nella disciplina sanzionatoria, con gli articoli 21 e 41 Costituzione, trattandosi di prevenire qualsivoglia forma di influenza sulle libere e consapevoli scelte degli elettori, a garanzia di quel voto libero e genuino, cui fa riferimento l’articolo 48 Costituzione.

Appaiono rilevanti anche le sentenze della Sezione Terza ter 21 luglio 2006, nn. 6181 e 6182 che si sono occupate della questione, finora mai venuta alla ribalta, della compatibilità dell’assunzione di un incarico (nel caso di specie, di direttore generale della R.A.I.) da parte di un ex componente dell’Autorità; la complessità delle problematiche giuridiche emergenti dall’ermeneusi dell’articolo 2, nono comma, LEGGE 481/1995, prescrivente che i componenti dell’Autorità per almeno quattro anni dalla cessazione dell’incarico non possono intrattenere direttamente od indirettamente rapporti di collaborazione, consulenza od impiego con imprese operanti nel settore di competenza, è risultata acuita dalla circostanza che il nominato direttore generale era già giornalista della R.A.I., oltre che dalla non agevole enucleazione dell’Amministrazione competente ad irrogare la sanzione.

Con la sentenza 18 novembre 2006, n. 12517, la Sezione Terza ter ha poi annullato il provvedimento dell’A.G.COM. con cui era stato autorizzato un operatore in posizione dominante ad introdurre sul mercato un’offerta tecnicamente innovativa, quale è l’ADSL di "seconda generazione", nell’assunto che, nell’attuale regime, l’attività commerciale può costituire espressione di abuso, se non viene garantito il rispetto del principio delle pari opportunità; le norme sulla concorrenza impongono quindi di immettere nel mercato un’offerta wholesale disaggregata, e non un’offerta di mera rivendita del servizio predisposto dallo stesso incumbent.

La sentenza della Sezione Terza ter 14 dicembre 2006, n. 14517, in tema di tariffe di interconnessione, ha affermato il carattere paragiurisdizionale del procedimento dinanzi all’A.G.COM. ai sensi dell’articolo 23 del Codice delle comunicazioni elettroniche (D.Lgs n. 259/2003), traendone, in particolare, il corollario della necessaria conformazione al principio del contraddittorio, anche con riguardo all’attività svolta dal consulente tecnico d’ufficio e dai consulenti di parte.

Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture.

Particolare importanza hanno le pronunce sui provvedimenti dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture. Va innanzitutto segnalata la n. 1970 del 16 marzo 2006 della Terza Sezione, che ha dichiarato la legittimità, ai sensi dell’articolo 27, secondo comma, lett. t), D.P.R. n. 34/2000, dell’inserimento discrezionale nel casellario dei lavori pubblici da parte dell’Autorità di informazioni relative a fatti che hanno esaurito l’efficacia interdittiva ma che sono utili alle stazioni appaltanti ai fini dell’esercizio dei poteri di verificazione e di vigilanza.

La sentenza della Sezione Terza n. 12469 del 16 novembre 2006 ha dichiarato l’illegittimità di una delibera della stessa Autorità che aveva sospeso il procedimento di autorizzazione alla cessione di partecipazione azionaria di una SOA per pendenza di un procedimento di revoca dell’autorizzazione dell’attività di SOA, per difetto di presupposizione tra i due procedimenti e perché il controllo sulle partecipazioni, di cui all’articolo 8 D.P.R. n. 34/2000, è volto solo ad impedire l'acquisto delle azioni da parte di determinate categorie di soggetti ovvero il trasferimento delle stesse azioni qualora la circolazione possa influire sulla correttezza della gestione della SOA stessa ovvero compromettere il requisito della indipendenza, tenuto altresì conto che tra i due procedimenti non sussiste connessione per presupposizione, essendo ciascuno di essi autonomo dall’altro.

Con sentenza n. 10485 del 18 ottobre 2006 la stessa Terza Sezione ha dichiarato l’illegittimità sia dell’articolo 18, ottavo comma, ultimo capoverso, D.P.R. n. 34/2000 - secondo cui per l'esecuzione dei lavori della categoria OS12 (barriere e protezioni autostradali) si richiede, al fine di acquisire o rinnovare la qualificazione per le classifiche pari o superiori alla III (€ 1.032.913), che l'impresa sia titolare della certificazione di qualità anche per la produzione dei beni oggetto della categoria - sia della determinazione dell'Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, che di tale norma ha fatto applicazione, per violazione del principio di proporzionalità, in quanto verrebbe escluso arbitrariamente dalle gare un numero elevato di imprese, senza alcuna ragione giustificativa ed in pregiudizio della necessaria pariteticità tra le imprese concorrenti.

Commissione Nazionale per le Società e la Borsa.

Con la sentenza 13 luglio 2006, n. 5811, la Sezione Prima ha riconosciuto la legittimità del provvedimento con cui la Consob ha qualificato una complessa operazione di ristrutturazione del debito di una società quotata in termini di "sollecitazione all’investimento" ("offerta pubblica di vendita o sottoscrizione"), anziché di "offerta pubblica di acquisto o di scambio" di strumenti finanziari ai sensi del D.Lgs. n. 58/1998 (c.d. Testo unico della finanza), valorizzando la circostanza che nel programma divisato dall’offerente era prevista la trasformazione di titoli obbligazionari venuti a scadenza in crediti pecuniari liquidi ed esigibili. Per giungere a questa soluzione il Tribunale, superati i vizi procedurali denunciati (prospettanti la violazione dell’obbligo di preavviso di rigetto ex articolo 10 bis LEGGE n. 241/1990 e la lesione dell’affidamento ingenerato nell’offerente), ha evidenziato le finalità dei poteri di vigilanza demandati alla Consob (preordinati alla imposizione di stringenti oneri di chiarezza informativa in capo agli emittenti per porre rimedio alle asimmetrie informative caratterizzanti i rapporti che si svolgono nei mercati mobiliari).

Analoghe premesse sono state poste a base della successiva sentenza 23 agosto 2006, n. 7374, con cui la Sezione Prima, occupandosi ancora della vicenda Antonveneta, ha respinto il ricorso di una società gerente due fondi comuni di investimento stranieri (regolati dal diritto delle Isole Cayman), a carico della quale la Consob aveva accertato l’esistenza di una "interposizione di persona" ai sensi dell’articolo 120 Tuf nell’acquisto di azioni ordinarie dell’allora Banca Popolare di Lodi. In questo caso, le riconosciute finalità anti-elusive avute di mira dalla legge hanno permesso di affermare la valenza onnicomprensiva del fenomeno interpositorio previsto dall’articolo 120.

Protezione del consumatore.

Nel 2006 numerose sono state le questioni relative alla protezione del consumatore, anche alla luce del nuovo Codice del consumo (D.Lgs. n. 206/2005).

Con la sentenza della Sezione Prima 22 febbraio 2006, n. 1371, è stato affrontato il tema generale della legittimazione di un’associazione di consumatori (nella specie, il Codacons) a impugnare il provvedimento con cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato aveva archiviato una segnalazione della stessa associazione avente ad oggetto pretesi accordi tra alcuni gestori di telefonia mobile per porre termine al servizio di invio gratuito di SMS tramite internet.

In questo caso la Sezione, muovendo dalle differenze con la disciplina della pubblicità ingannevole e precisando i principi posti a base della recente linea evolutiva della giurisprudenza amministrativa anche nella prospettiva adottata dalla Corte di giustizia delle Comunità europee, ha negato la sussistenza di un interesse a ricorrere per difetto di qualificazione giuridica della posizione azionata, restando ferma la possibilità di chiedere al giudice civile, ai sensi dell’articolo 33 LEGGE n. 287/90, la riparazione di eventuali pregiudizi derivanti dalla condotta asseritamente illecita delle imprese.

Con sentenza della Sezione Prima 9 ottobre 2006, n. 10013, è stato evidenziato inoltre che, in ordine all’archiviazione di procedimenti su presunti comportamenti illeciti, non può essere riconosciuta la legittimazione ad agire in giudizio al "denunziante" in quanto tale, bensì soltanto a colui che dimostri di essere portatore di un interesse particolare e differenziato, che assume essere stato leso dalla mancata adozione del provvedimento repressivo, per cui, in mancanza di una legittimazione ex lege, ovvero di sicuri indici di rappresentatività che consentano di individuare nell’associazione ricorrente un ente esponenziale portatore di un interesse differenziato da quello generale alla legittimità dell’attività amministrativa, il gravame deve essere dichiarato inammissibile.

Quanto alla pubblicità ingannevole, la Sezione Prima, 23 febbraio 2006, n. 1372 ha ritenuto legittima la decisione con cui l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha vietato l’utilizzo nella confezione delle sigarette a minore contenuto di nicotina i termini e le diciture "lights", "leggera", "super lights", "legeres", potendo indurre i consumatori tabagisti a un consumo maggiore e meno responsabile sulla errata convinzione che queste sigarette siano meno nocive di quelle "normali"; ciò in quanto queste diciture, pur essendo di per sè veritiere (alla luce del minore contenuto di catrame e nicotina del prodotto), sono tuttavia potenzialmente fuorvianti per i consumatori più sprovveduti o disattenti, a seguito del mutato orientamento della comunità scientifica e delle politiche delle autorità sanitarie internazionali. La Sezione ha precisato in merito che, nelle ipotesi in cui la repressione della pubblicità ingannevole da parte dell’Autorità è funzionale alla tutela della salute, l’individuazione del soggetto degno di essere protetto dagli effetti ingannevoli della pubblicità non può essere il modello astratto del consumatore medio, poiché la tutela deve essere assicurata anche ai consumatori sprovveduti o non particolarmente vigili.

Sotto altro profilo, la Sezione Prima, 16 ottobre 2006, n. 10212, ha chiarito che il product placement, la cui sussistenza va apprezzata con prudenza al fine di tutelare la libertà delle creazioni artistiche non sussiste allorquando l’utilizzo dei prodotti è "intimamente connesso con la trama e con l’esigenza di rappresentare una realtà contemporanea" (gli indici presuntivi ai quali fare riferimento sono infatti: la natura specifica delle inquadrature, il loro carattere ravvicinato o reiterato, le chiara leggibilità dei marchi commerciali raffigurati nonché l’assenza di concrete esigenze narrative, informative o artistiche e la mancanza di naturalezza delle scene).

Appalti e contratti della pubblica amministrazione.

Numerose sono state le sentenze che hanno avuto ad oggetto le gare per l’affidamento di appalti con la pubblica amministrazione, anche relative alla realizzazione di opere strategiche di preminente interesse nazionale. Con riferimento a queste ultime merita di essere segnalata la sentenza 15 giugno 2006, n. 4659, con la quale la Sezione Terza ha respinto il ricorso contro i provvedimenti di approvazione dell’Asse viario Marche - Umbria e Quadrilatero di penetrazione interna affermando, tra l’altro, che in presenza di una norma legislativa, che dichiari un'opera di preminente interesse nazionale, non è contestabile in via di principio all'Amministrazione di avere omesso di ponderare l'utilità dell'opera stessa, e cioè la c.d. opzione zero, in quanto quest'ultima comporterebbe una disapplicazione del dato legislativo che, avendo già accertato la rispondenza dell'infrastruttura agli interessi della collettività, vincola tanto l'Amministrazione quanto il Giudice, ed esige, finché vige, di essere rispettato ed attuato al pari di ogni altra manifestazione di volontà legislativa.

In relazione alle procedure di gara è da segnalare innanzitutto la sentenza della Sezione Prima 23 agosto 2006, n. 7375, che ha chiarito che l’obbligo di seguire le norme di evidenza pubblica, ivi incluse quelle concernenti l’adeguata pubblicizzazione della selezione, è regola generale, valevole anche nel caso in cui il soggetto pubblico non è direttamente tenuto all’applicazione di una specifica disciplina per la scelta del contraente.

In tema di requisiti di partecipazione alle gare, e con precipuo riferimento alle società consortili, con la sentenza della Sezione Prima 25 luglio 2006, n. 6372, è stato chiarito che qualora dette società prendano parte ad una gara pubblica, occorre distinguere tra i requisiti generali per la partecipazione alle procedure rilevanti sotto l’aspetto dell’ordine pubblico economico, vale a dire l’idoneità morale e professionale dell’esecutore e l’assenza di procedure concorsuali in itinere, ed i requisiti speciali di capacità economico-finanziaria e tecnica riferiti alla singola procedura dato che, mentre quelli del secondo tipo possono essere riferiti senz’altro alla società consortile, i requisiti inerenti all’ordine pubblico economico devono essere posseduti anche dalle imprese concretamente incaricate dell’esecuzione della prestazione, perché diversamente si consentirebbe agli operatori sprovvisti di requisiti di aggirare, mediante l’agevole espediente dell’aggregazione in forma di società consortile, le inderogabili prescrizioni fondamentali per le procedure dell’evidenza pubblica. Da questa premessa il Tribunale ha fatto discendere come corollario obbligato che, se è possibile ammettere il cumulo dei requisiti tecnici ed economico-finanziari che devono essere posseduti dal consorzio quale unico soggetto che partecipa alla gara ed assume il vincolo contrattuale, per i requisiti rilevanti sotto il profilo dell’ordine pubblico economico non è possibile limitare il loro accertamento con esclusivo riferimento alla società consortile, ma essi devono essere posseduti e documentati anche dalle imprese concretamente incaricate dell’esecuzione.

Sempre in tema di requisiti di partecipazione alle gare la sentenza n. 7515 del 25 agosto 2006 della Sezione Terza ter ha chiarito che l’articolo 47, secondo comma, della Direttiva C.E. n. 18/2004, nella parte in cui ha previsto la possibilità per l’imprenditore di provare il possesso dei requisiti economici, finanziari e tecnici di partecipazione ad una gara di appalto facendo riferimento alla capacità di altri soggetti, qualunque sia la natura giuridica dei vincoli che ha con questi, deve essere interpretato nel senso che il concorrente deve fornire la prova concreta di poter effettivamente disporre dei mezzi altrui (nella specie il Tribunale ha ritenuto non sufficiente la mera allegazione di un contratto di consorzio).

La stessa Sezione Terza ter 25 agosto 2006, n. 7524, ha precisato che in caso di partecipazione ad una gara di un raggruppamento temporaneo d’imprese, in applicazione della regola di proporzionalità, adeguatezza e ragionevolezza deducibile dall’articolo 14, terzo comma, D.Lgs. n. 157/1995, mentre i requisiti di carattere morale e di generica affidabilità devono essere posseduti da ciascuna impresa, quelli tecnici di carattere oggettivo possono essere cumulati fra le imprese costituenti il predetto raggruppamento.

E’ anche da segnalare la sentenza n. 6234 del 21 luglio 2006 della Sezione Prima ter che, in ordine alla possibilità per le commissione aggiudicatrici di chiedere consulenze esterne, conclude nel senso che queste non possono concretizzarsi in una totale abdicazione di competenze, deferendo al tecnico non la risposta a quesiti puntuali e predeterminati ma l’intero perimetro di definizione del paradigma complessivo alla stregua del quale valutare le singole offerte.

Di rilievo anche alcune pronunce in tema di rinnovo di contratto. Con sentenza n. 1062 del 13 febbraio 2006 la Sezione Prima bis ha chiarito la differenza che intercorre tra proroga e rinnovo contrattuale, precisando che mentre la proroga del termine finale di un appalto pubblico di servizi non ancora esaurito sposta solo in avanti la scadenza conclusiva del rapporto, il quale resta regolato dalla sua fonte originaria, il rinnovo del contratto comporta una nuova negoziazione, ossia un rinnovato esercizio dell'autonomia negoziale con il medesimo soggetto.

Con sentenza n. 3564 del 18 maggio 2006 la stessa Sezione Prima bis ha ricordato che in presenza di un'istanza della parte privata titolare di un contratto di fornitura di servizio finalizzata a sollecitare la facoltà dell'amministrazione di rinnovare il contratto, quest’ultima ha l’obbligo di concludere il relativo procedimento con un provvedimento espresso, il quale però deve essere congruamente motivato solo se di segno positivo, trattandosi di applicare una disposizione che solo in presenza di particolari condizioni consente di derogare alla gara pubblica, altrimenti da indire per l'aggiudicazione del nuovo contratto, ma non anche se negativa, soprattutto se si intende indire una nuova gara, costituendo le procedure concorsuali per la scelta del contraente la regola per l’Amministrazione.

In ordine alla problematica relativa al rapporto tra ricorso principale e ricorso incidentale va segnalata la sentenza della Prima Sezione 25 luglio 2006, n. 6372, la quale ha chiarito che nell'ipotesi in cui il ricorrente incidentale abbia formulato censure, ritenute fondate, inerenti alla fase di prequalificazione di una gara a procedura ristretta, deducendo l'illegittimità dell'ammissione del ricorrente principale alla presentazione dell'offerta, le censure dedotte dal ricorrente principale con riferimento alle fase relativa alla vera e propria gara, ossia alla fase successiva alla lettera di invito inviata dalla stazione appaltante, diventano improcedibili per sopravvenuta carenza di legittimazione ad agire in quanto, venuta meno con effetto ex tunc l'ammissione del ricorrente principale alla presentazione dell'offerta, questi ha un interesse di mero fatto al regolare svolgimento della gara stessa, alla quale non avrebbe dovuto partecipare e rispetto alla quale è sostanzialmente estraneo, mentre rimangono procedibili e devono essere esaminate le censure proposte dallo stesso ricorrente principale con riferimento alla fase della prequalificazione in quanto la domanda di partecipazione alla gara rende la sua posizione sia differenziata che qualificata per quanto attiene allo svolgimento dell’iter procedimentale afferente a tale fase.

In tema di responsabilità è da segnalare la sentenza n. 4498 del 12 giugno 2006 della Sezione Prima ter che, annullata l’aggiudicazione di un servizio già espletato e non essendo possibile valutare se la ricorrente si sarebbe comunque potuto aggiudicarsi l’appalto a seguito dell’eliminazione dei riscontrati vizi del procedimento, applica il principio della valutazione equitativa del danno ex articolo 1226 cod. civ.

Di rilievo anche la sentenza n. 4536 del 14 giugno 2006 della Sezione Prima bis, che ha precisato che la responsabilità precontrattuale dell’Amministrazione può profilarsi anche in ipotesi di comportamento colposo, secondo la regola generale della responsabilità extracontrattuale di cui all’articolo 2043 cod. civ., come nel caso in cui una parte conduca le trattative senza verificare le sue concrete possibilità di impegnarsi.

Ambiente.

In materia ambientale, estremo rilievo, attesa la eccezionale importanza dei molteplici e contrapposti interessi pubblici nonché degli interessi privati in discussione, assume la sentenza della Sezione Prima ter, 16 giugno 2006, n. 4761 pronunciata sul ricorso proposto dall’Enel avverso i provvedimenti regionali di sospensione dei lavori per la riconversione a carbone della centrale termoelettrica di Civitavecchia. Il Collegio ha chiarito che la normativa di cui all’articolo 1, primo comma, DL n. 7/2002, convertito in legge, con modificazioni, dall’articolo 1 della LEGGE n. 55/2002 – secondo cui la costruzione e l’esercizio degli impianti di energia elettrica di potenza superiore a 300 MW termici nonché le opere connesse e le infrastrutture indispensabili all’esercizio degli stessi, sono dichiarati opere di pubblica utilità e soggetti ad un’autorizzazione unica, rilasciata dal Ministero per lo Sviluppo Economico, la quale sostituisce autorizzazioni, concessioni ed atti di assenso comunque denominati, previsti dalle norme vigenti - ha carattere di specialità e prevale su ogni altra norma ancorché attributiva di competenze amministrative in materia ad altri livelli di governo, vale a dire è derogatoria delle ordinarie competenze amministrative nella materia. In particolare, l’autorizzazione unica ex LEGGE n. 55/2002 comprende l’autorizzazione ambientale integrata e sostituisce, ad ogni effetto, le singole autorizzazioni ambientali di competenza delle amministrazioni interessate e degli enti pubblici territoriali, sicché l’autorizzazione per l’immersione di materiali di escavo di fondali marini di competenza regionale è da ritenere compresa nell’ambito del procedimento unico senza che alla Regione residui uno specifico potere in merito, da esercitare autonomamente ed in una diversa e separata sede. La sentenza ha evidenziato altresì che l’Autorità statale, vale a dire il Ministero dell’Ambiente, ha il potere di intervenire sia nell’ipotesi che nell’esecuzione dell’opera siano ravvisati comportamenti tali da compromettere fondamentali esigenze di equilibrio ambientale, e, in tal caso, ordina, ai sensi della vigente normativa, la sospensione dei lavori rimettendo la questione al Consiglio dei Ministri, sia in una qualunque ipotesi di intervento che modifichi sostanzialmente le caratteristiche di un’opera già assoggettata a procedura di VIA e, in tal caso, assoggetta nuovamente l’opera, così come modificata, a valutazione di impatto ambientale. Nel caso di specie, è stato ritenuto che, mentre per le attività di dragaggio sino al volume oggetto dell’autorizzazione unica rilasciata dal competente Ministero, che ha richiamato il decreto VIA, può senz’altro procedersi alla esecuzione dei lavori, per le attività di dragaggio oltre tale volume, in quanto non previste specificamente nel procedimento unico per la riconfigurazione della centrale a carbone, si rende necessaria una ulteriore valutazione di compatibilità ambientale, di competenza statale (Ministero dell’Ambiente) e non regionale.

Edilizia.

In materia edilizia, particolare rilievo riveste la sentenza della Sezione Seconda, 13 novembre 2006, n. 12320, che ha annullato, per quanto di ragione, la deliberazione con cui il Consiglio comunale di Roma ha istituito il fascicolo del fabbricato. Il Collegio ha in particolare evidenziato che nella fattispecie non si tratta, come sarebbe virtuoso leggendo la LEGGER. n. 31/2002 nell’ambito delle norme sulla sicurezza del territorio e dell’edilizia, di pervenire, anche attraverso la collaborazione dei cittadini, a completare quei soli aspetti di peculiare o particolare conoscenza, relativa a singole unità abitative, di difficile acquisizione, ma di un tentativo di scaricare gli oneri di tale conoscenza, per sua natura interdisciplinare, sui soggetti privati che non possiedono la mole dei dati dell’assetto del territorio e devono così acquistarli dal mercato e riversarli ad amministrazioni già deputate, per la missione loro affidata dalle legge, ad acquisire ed elaborare in via autonoma i dati stessi; l’amministrazione, invece, ha titolo a svolgere un attento controllo pubblico indipendentemente dall’esistenza del fascicolo di fabbricato. La pronuncia ha fatto presente che deve essere esaminato con prudente apprezzamento se e in quale misura il fascicolo di fabbricato costituisca lo strumento più adatto, in ogni occasione e per tutti i tipi di edificio, per massimizzare l’obiettivo della pubblica e privata incolumità e che il contenuto dello stesso non può legittimamente essere il duplicato dei dati già acquisiti o esistenti presso l’amministrazione, così come è illegittima l’imposizione di oneri complessi e di peso eccessivo per tutti i tipi di edificio e senza una minima discriminazione tra loro.

Pubblico impiego

Il contenzioso in materia di pubblico impiego, ormai riguardante unicamente (quanto alle sopravvenienze) questioni attinenti ai concorsi e ai rapporti di lavoro non ricadenti nella privatizzazione (controversie relative a magistrati, diplomatici, prefetti, ai militari, appartenenti alle Forze di polizia e dipendenti delle Authorities), costituisce comunque una parte significativa dell’attività del Tribunale.

Vanno in proposito segnalate le sentenze della Sezione Prima, 13 aprile 2006, n. 2746, che in applicazione dell’articolo 3, cinquasettesimo comma, LEGGE n. 350/2003 (come modif. dal D.L n. 66/2004, conv. in LEGGE n. 126/2004), ha annullato la deliberazione con cui il Consiglio Superiore della Magistratura aveva respinto l’istanza di riammissione in servizio del Pres. Carnevale (la Sezione ha peraltro respinto la domanda volta ad ottenere l’attribuzione di una funzione immediatamente superiore a quella di presidente di sezione della Corte di cassazione), e 4 gennaio 2006, n. 57, con la quale è stata riconosciuta l’applicabilità ai magistrati del beneficio dell’assegnazione provvisoria ad altra sede ai sensi della normativa a tutela della paternità e della maternità (articolo 42-bis T.U. n. 151/2001).

Sempre in materia di status e rapporto di servizio dei magistrati, con la sentenza 27 aprile 2006, n. 2991, la Sezione Prima ha respinto il ricorso proposto avverso la deliberazione del C.S.M. recante modifica alla circolare n. 15098 del 1993 con riferimento all’ipotesi di incompatibilità nel caso di ricollocamento in ruolo conseguente ad aspettativa per mandato amministrativo comunale.

Con la sentenza della Sezione Prima, n. 1370 del 22 febbraio 2006, sono stati ribaditi i principi osservati dalla giurisprudenza amministrativa nelle controversie relative al conferimento di uffici direttivi da parte del C.S.M.

Con sentenza della Sezione Terza bis, 14 dicembre 2006, n. 14604, sono stati precisati i tratti strutturali del mobbing nel pubblico impiego, ravvisato nella condotta volutamente prevaricatoria da parte del datore di lavoro volta a emarginare o estromettere il dipendente dalla struttura organizzativa dell’ente; con la conseguenza, in ordine al regime della prova, che tale condotta dev’essere adeguatamente rappresentata dal ricorrente, con prospettazione dettagliata dei singoli comportamenti o atti rivelatori dell’intento persecutorio, non rilevando mere posizioni divergenti o conflittuali che sono fisiologiche nello svolgimento del rapporto di lavoro.

Va infine segnalata la rimessione alla Corte costituzionale, con ordinanze della Sezione Seconda quater nn. 12771 e 12772 del 2006, della questione di costituzionalità degli articoli 19 e 20 LEGGE n. 186/1982, nella parte in cui non prevedono che la composizione del ruolo del Consiglio di Stato sia determinata nelle medesime aliquote fissate per il sistema di provvista dei magistrati, e dell’articolo 19, primo comma, n. 3, della stessa LEGGE n. 186/1982, nella parte in cui dispone la decorrenza giuridica della nomina dei vincitori del concorso a consigliere di Stato.

Enti locali.

La sentenza della Sezione Prima, 20 ottobre 2006, n. 10754, ha affrontato la rilevante problematica dello scioglimento di un Consiglio comunale per la sussistenza di condizionamenti della criminalità organizzata nell’attività gestionale-amministrativa, ritenendo legittimo il decreto con il quale è stato disposto, ai sensi dell'articolo 143 D.Lgs. n. 267/2000, lo scioglimento dell’organo consiliare, con contestuale affidamento della gestione dell'ente locale a una commissione straordinaria, per la sussistenza di fattori di inquinamento dell'azione amministrativa del comune a causa dell'influenza della criminalità organizzata fortemente radicata sul territorio e per la circostanza che nel tempo, l'uso distorto della cosa pubblica si sia concretizzato nel favorire soggetti collegati direttamente od indirettamente con gli ambienti malavitosi.

Trasporti.

In tema di trasporti vanno segnalate la sentenza della Sezione Terza ter 2 novembre 2006, n. 11613, che ha riconosciuto la giurisdizione del giudice amministrativo nella controversia sulla legittimità della procedura di vendita di beni di impresa in amministrazione straordinaria (gruppo Volare) ex D.lgs. n. 270/1999, ritenendo illegittimo l’operato della Commissione per inosservanza del bando, nonché la sentenza, sempre della Sezione Terza ter, 20 luglio 2006, n. 6130, la quale ha affermato la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sul ricorso proposto avverso il provvedimento adottato dalla società Trenitalia che ha introdotto sull’Intercity Plus la prenotazione obbligatoria, nella considerazione che non vengono in rilievo rapporti individuali di utenza e che la società resistente, nonostante la veste formalmente privatistica, è concessionaria ex lege della gestione del servizio di trasporto ferroviario.

Sempre in materia di trasporti, occorre ricordare la decisione della Sezione Terza 5 ottobre 2006, n. 9917, che ha dichiarato illegittimi i provvedimenti di adeguamento delle tariffe autostradali relative alle autostrade abruzzesi A24 e A25 per difetto di istruttoria e di motivazione in ordine alla necessaria correlazione tra adeguamento tariffario e livello degli investimenti effettuati dal concessionario autostradale.

La sentenza della Sezione Terza ter 2 novembre 2006, n. 11612, ha poi affrontato il problema della natura giuridica del termine previsto dall’articolo 3 D.M. n. 35/2005 per l’accettazione degli oneri di servizio imposti al vettore aereo, risolvendolo nel senso della perentorietà, in funzione anche della procedura selettiva in cui si colloca la manifestazione di volontà, a tutela dunque del principio della par condicio tra i concorrenti.

Tutela della salute.

Afferente alla tematica della sanità pubblica è la sentenza della Sezione Terza 3 aprile 2006, n. 2268, che ha respinto la pretesa risarcitoria, escludendo la colpa dell’Amministrazione, proposta da un’azienda farmaceutica che ha venduto i propri prodotti ad un prezzo minore, in conseguenza di prescrizioni adottate dal C.I.P.E. con deliberazione 25 febbraio 1994, poi annullate dal giudice amministrativo, ma sanate da una legge successiva, nella considerazione che non assume rilievo in tale caso il principio dell’immutabilità del giudicato, essendosi questo formato dopo l’intervento legislativo.

Meritano inoltre di essere ricordate: la sentenza della Sezione Terza quater 10 aprile 2006, n. 2551, che ha riconosciuto la legittimità della determinazione dell’Agenzia italiana per il farmaco 25 luglio 2005, la quale, nell’approvare l’elenco aggiornato dei medicinali rimborsabili dal S.S.N., ha applicato la riduzione del prezzo al pubblico del 7%, contemplato dall’articolo 52 LEGGE n. 289/2002, anche ai farmaci riservati alla somministrazione in strutture ospedaliere, e dunque inclusi in classe H; la sentenza della Sezione Terza quater 23 ottobre 2006, n. 10833, la quale ha statuito che per l’autorizzazione all’immissione in commercio di un nuovo farmaco con componenti di base di "impiego medico ben noto", pur non essendo necessario produrre prove farmacologiche, occorre comunque fornire documentazioni sperimentali di biodisponibilità nell’uomo per ogni forma farmaceutica, in confronto con la specialità medicinale originale; la sentenza, sempre della Sezione Terza quater 15 giugno 2006, n. 4593, che ha ritenuto illegittimo il D.M. n. 969/2004, con il quale il Ministero della Salute, autorizzando l’immissione in commercio di una specialità medicinale contenente la tossina botulinica di tipo A ai fini estetici, ne aveva riservato l’utilizzazione ai soli medici specialisti; ed ancora la sentenza, sempre della Sezione Terza quater 10 aprile 2006, n. 2550, con la quale si è riconosciuto che, ove l’azienda sanitaria comprenda il territorio di più Comuni, il medico convenzionato può essere scelto anche da assistiti che risiedono al di fuori del di lui Comune di residenza.

Va infine segnalata la sentenza 23 marzo 2006, n. 2056, della Sezione Seconda bis, che ha riconosciuto la legittimità del D.P.C.M. 8 luglio 2003, nella parte in cui fissa i limiti di esposizione dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità per la protezione della popolazione dalle esposizioni ai campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici prodotti in connessione con l’installazione di impianti della rete di telefonia cellulare a tecnologia UMTS.

Istruzione.

In materia di istruzione universitaria la sentenza della Terza Sezione, 26 settembre 2006, n. 9455, ha dichiarato l’illegittimità, per violazione dell’autonomia universitaria, del decreto ministeriale di definizione della classe del corso di laurea magistrale in giurisprudenza, nella parte in cui ha definito in modo troppo dettagliato le materie "caratterizzanti" e "di base" ed ha attribuito alle stesse duecentosedici dei trecento crediti formativi previsti.

Di particolare interesse è anche l’ordinanza n. 331 del 2 marzo 2006 della Sezione Terza bis, con la quale è stata sollevata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 14, quinto comma, D.Lgs. n. 226/2005 nella parte in cui stabilisce che, qualora i candidati esterni all’esame di Stato, i cd. privatisti, superino il 50% dei candidati interni, possano essere istituite apposite commissioni solo presso gli istituti statali e non anche presso le scuole paritarie.

Diritto sportivo.

Le note vicende del calcio hanno investito anche il TAR Lazio. La Sezione Terza ter, affrontando il ricorso proposto dai sig.ri Moggi e Giraudo avverso la sanzione disciplinare dell’inibizione per cinque anni dalle cariche federali per la commissione di illecito sportivo ha, seppure in sede cautelare (ord. 22 agosto 2006, n. 4666), affermato la giurisdizione del giudice amministrativo sul rilievo che, ancorché l’articolo 2, lett. b), DL n. 220/2003, in applicazione del principio di autonomia dell’ordinamento sportivo da quello statale, riservi al primo la disciplina delle questioni aventi ad oggetto "i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive", tuttavia detto principio, letto unitamente all’articolo 1, secondo comma, dello stesso decreto legge, non appare operante nel caso in cui la sanzione non esaurisce la sua incidenza nell’ambito strettamente sportivo, ma rifluisce nell’ordinamento generale dello Stato. Ad avviso del TAR una diversa interpretazione del cit. articolo 2 DL n. 220/2003 condurrebbe a dubitare della sua conformità a principi costituzionali, perché sottrarrebbe le sanzioni sportive al sindacato giurisdizionale del giudice statale.

Immigrazione.

Il contenzioso in materia di immigrazione permane molto elevato.

Con ordinanza della Sezione Prima ter 17 maggio 2006, n. 3528, è stata rimessa alla Corte Costituzionale la questione di legittimità della normativa speciale antiterrorismo, introdotta dalla LEGGE n. 155/2005, nella parte in cui, in sede di ricorso giurisdizionale avverso l’espulsione decretata dal Ministro dell’Interno, consente all’amministrazione di denegare il deposito degli atti in giudizio per due anni, in relazione all’altra previsione che non ammette la possibilità di sospendere l’esecuzione in sede giurisdizionale dei provvedimenti di espulsione disposti dal Ministro.

Con altra pronuncia, è stato ritenuto che la specialità del potere conferito al Ministero dell’Interno dalla suddetta normativa antiterrorismo, articolo 3 LEGGE 155/2005, prevale sulla normativa di carattere generale in materia di soggiorno e su quella dettata a protezione dei rifugiati (Sezione Prima ter 22 giugno 2006, n. 5070).

Collaboratori di giustizia.

Particolare interesse, per la rilevanza e la molteplicità degli interessi pubblici e privati in gioco, riveste l’evoluzione giurisprudenziale in materia di misure di protezione per chi collabora con la giustizia.

E’ stato tra l’altro osservato che la posizione dei testimoni di giustizia, in considerazione della loro estraneità ad ambenti criminali, merita una tutela maggiore rispetto a quella accordata ai collaboratori di giustizia (Sezione Prima ter, 20 luglio 2006, n. 6136).

E’ stato altresì ribadito l’onere della Commissione centrale per le definizioni e applicazioni delle speciali misure di protezione costituita presso il Ministero dell’Interno di valutare attentamente, in sede di revoca o non ammissione al programma, tanto la proficuità della collaborazione prestata dal pentito quanto l’esposizione a rischio, con la conseguente specificazione che la cessazione del programma non può essere disposta in assenza di una puntuale ed articolata verifica del superamento della situazione di pericolo attuale e concreto connessa all’attività di collaborazione prestata (Sezione Prima ter, 26 luglio 2006, n. 6476).

Ricorsi elettorali.

Con la sentenza della Sezione Seconda bis 9 maggio 2006, n. 3395 (seguita da altre analoghe pronunce), è stato dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in ordine a tutte le controversie elettorali in materia di elezioni politiche, comprese quelle relative all’ammissione delle liste e, più in generale, alla fase preparatoria del procedimento elettorale, anch’esse riconducibili alla competenza delle Camere in sede di convalida delle elezioni dei propri componenti.

Con la successiva pronuncia 21 luglio 2006, n. 6232, la stessa Sezione Seconda bis ha chiarito che la rinuncia (anche se espressa in via definitiva) di un candidato alle elezioni europee, risultato primo dei non eletti, ad una futura ed eventuale proclamazione come eletto in surrogazione non determina una modificazione della graduatoria elettorale, in quanto la graduatoria stessa è espressiva della volontà del corpo elettorale ed è pertanto immodificabile; resta perciò ferma la possibilità per il candidato di revocare la propria rinuncia fino al momento in cui si verificano i presupposti per la surrogazione.

Giurisdizione

Sulla ripartizione della giurisdizione tra giudice amministrativo e giudice ordinario va segnalata la sentenza della Prima Sezione n. 7375 del 23 agosto 2006 che, in relazione agli affidamenti di appalti sotto soglia ha affermato che qualora un’Amministrazione sia comunque obbligata a seguire un procedimento per la scelta del contraente, che garantisca la trasparenza, l’imparzialità e la par condicio, tale procedura e il provvedimento di aggiudicazione assumono la natura di atti amministrativi che incidono su posizioni di interesse legittimo, con conseguente devoluzione delle relative controversie al giudice amministrativo.

Sempre in ordine al riparto di giurisdizione la sentenza della Sezione Terza 20 giugno 2006, n. 4845, in considerazione della nozione di "servizio pubblico" desumibile dall’articolo 33 D.Lgs. n. 80/1998 dopo la rilettura che di esso ha offerto la Corte costituzionale con la sentenza 6 luglio 2004, n. 204, ha declinato la propria giurisdizione nella controversia relativa alla sospensione di una convenzione tra Azienda sanitaria locale ed impresa avente ad oggetto prestazioni di allestimento e servizi di tipo alberghiero, avendo ricondotto detta fattispecie nella tipologia degli appalti di servizi resi all’amministrazione (e, quindi, di carattere strumentale all’esercizio di un servizio pubblico) e non di concessione di servizio pubblicomma

Il TAR (Sezione Prima bis 6 settembre 2006, n. 8019) ha parimenti dichiarato il proprio difetto di giurisdizione nella controversia avente ad oggetto la fase esecutiva del contratto (in particolare, oggetto del contendere era il diniego opposto dall’Amministrazione all’appaltatore di modificare alcune prescrizioni dettate dal Capitolato speciale).

Silenzio dell’amministrazione.

Diverse sentenze hanno fornito una chiave interpretativa della novella, introdotta dalla LEGGE n. 15/2005, secondo cui il giudice amministrativo, nei ricorsi in materia di silenzio, può conoscere della fondatezza dell’istanza.

E’ stato ritenuto che la pretesa possa essere valutata soltanto nei casi di attività amministrativa interamente vincolata quando la fondatezza o meno dell’istanza sia ictu oculi rilevabile e ciò in quanto la possibilità di esaminare la fondatezza dell’istanza nel caso di attività discrezionale è evidentemente esclusa dall’impossibilità per il giudice, in sede di cognizione, di sostituirsi all’amministrazione nell’apprezzamento dell’interesse pubblico attraverso l’adozione di provvedimenti che implichino valutazioni di convenienza o opportunità della scelta, così come deve essere esclusa nel caso in cui, sebbene si versi in attività amministrativa vincolata, essa non sia immediatamente percepibile, atteso che la ratio del rito camerale ed acceleratorio del giudizio sul silenzio postula la rapida soluzione della controversia, mentre non è compatibile con la definizione di questioni di maggiore complessità (Sezione Prima, 3 aprile 2006, n. 2293).

E’ stato altresì evidenziato che, diversamente opinando, si verificherebbe l’illogica conseguenza per cui, in presenza di un provvedimento esplicito adottato all’esito di una specifica istruttoria e fornito di motivazione, al relativo ricorso si applicherebbe il rito ordinario, mentre in presenza di un mero comportamento inerte, il giudice amministrativo dovrebbe decidere nel merito della pretesa nei ristretti termini previsti dal rito speciale (Sezione Seconda bis, 11 gennaio 2006, n. 213 ed altre; Sezione Seconda quater, 20 luglio 2006, n. 6137 ed altre).

In definitiva, nel caso in cui l’attività sollecitata presupponga un complesso iter istruttorio o verifiche di carattere tecnico, il giudice deve necessariamente arrestare il proprio vaglio al solo accertamento dell’esistenza di un obbligo in capo all’amministrazione di provvedere con atto esplicito (Sezione Prima bis, 19 ottobre 2006, n. 10602).

Accesso ai documenti

In materia di accesso ai documenti è da segnalare la sentenza n. 1931 del 14 marzo 2006 della Sezione Terza ter, con la quale è stato affermato che qualora il diritto all’ostensione documentale venga esercitato nei confronti delle Autorità di garanzia, sulle norme sul procedimento amministrativo prevalgono le disposizioni speciali adottate con regolamento dalle stesse Autorità.

Di particolare interesse è anche la sentenza n. 7133 del 9 agosto 2006 della Terza Sezione, con la quale si è ritenuto di poter bilanciare il diritto alla riservatezza (di una donna che aveva dato in adozione la figlia chiedendo espressamente che la sua identità non fosse resa nota) ed il diritto alla salute (del nipote affetto da nanismo ipofisario che, proprio per la sua malattia, aveva necessità di contattare la nonna per accertamenti sulla propria radice genetica), disponendo che gli accertamenti sanitari fossero svolti direttamente dalla struttura sanitaria pubblica senza rivelare al ricorrente l’identità della norma.


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