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Articoli e note

n. 4/2006 - © copyright

UGO DE GIRONIMO

Ancora sul problema della legittimità della riscossione coattiva diretta dei Comuni e delle Province delle sanzioni amministrative non tributarie

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Nel numero 10/2005 di LexItalia Raffaello Gisondi affronta il  problema della legittimità della riscossione coattiva, da parte di Comuni e Province, delle sanzioni amministrative derivanti da violazioni al codice della strada attuata in via diretta (o a mezzo società affidatarie del servizio) attraverso lo strumento dell’ingiunzione amministrativa.

L’intervento del Gisondi è fortemente critico sulla soluzione interpretativa adottata dall’Ufficio per il federalismo fiscale del Dipartimento per le Politiche Fiscali del Ministero delle Finanze (prot. 8427 del 2 agosto 2005), il quale era giunto ad escludere la possibilità per i Comuni di valersi dell’art. 52 del D.Lgs 446/1997, sostenendo la tesi della prevalenza delle disposizioni speciali dettate dal Codice della strada (art. 206 comma 1 del D.Lgs 285/1992) e dalla legge di depenalizzazione cui espressamente il codice stradale fa rinvio (art. 27 L. 689/1981).

Tali disposizioni, come è noto, impongono la riscossione coattiva dei crediti derivanti dalle sanzioni al codice stradale mediante ruolo, da affidarsi ai concessionari nazionali alla riscossione.

Le critiche espresse dall’Autore alle conclusioni del Ministero, in realtà, potevano essere parzialmente condivisibili, se si considera che la nota ministeriale ha eluso la doverosa esternazione delle ragioni giustificative della propria scelta interpretativa, dando buon aggio a chi – giustamente – ha rilevato come su tali basi non potesse sostenersi (se non in spregio al principio dettato dall’art. 15 preleggi) la prevalenza di una disposizione cronologicamente precedente (ancorché speciale) rispetto ad una successiva.

Tuttavia la maggior parte delle analisi sin qui effettuate trascurano un dettaglio non irrilevante, dettaglio che inerisce la natura peculiare delle modalità di riscossione coattiva delle sanzioni amministrative in genere.

L’equivoco nasce dal fatto che, in generale, l’attività di riscossione di un credito di natura pubblicistica è ricompresa nell’ambito della attuazione amministrativa della norma impositiva, ed è perciò sottratta a quelle guarentigie formali che la Costituzione invece impone per la previsione delle fattispecie istitutive dei crediti.

In generale, cioè, mentre la Carta Costituzionale prescrive all’art. 23 una riserva di legge, nella definizione delle fattispecie istitutive del credito (es. le determinazione del precetto quale “presupposto di fatto”, la individuazione del soggetto passivo e la specificazione dei criteri della misura della sanzione devono essere contenuti in un atto avente forza di legge), le modalità di semplice riscossione del credito (derivante dalla sanzione amministrativa, per rimanere nell’esempio) la Costituzione consente in astratto che la legge possa delegare a fonti sottoordinate, vigendo in tale materia il solo rispetto del “principio di legalità” stabilito dall’art. 97 Cost. ossia la conformità dell’atto amministrativo al modello legale.

Orbene se il mero “principio di legalità” opera per ciò che concerne la riscossione volontaria dei crediti derivanti dalle sanzioni amministrative, per la riscossione coattiva opera il principio di “riserva di legge”, e ciò per la particolare natura della maggiorazione per il ritardo nel pagamento prevista dall'art. 27 comma 6 l. 24 novembre 1981 n. 689 a carico dell'autore di un illecito amministrativo cui sia stata inflitta una sanzione pecuniaria, che secondo la Corte Costituzionale Ord., 14 luglio 1999, n. 308, infatti, non ha funzione risarcitoria come nel caso degli interessi moratori, o corrispettiva, ma riveste carattere di sanzione aggiuntiva, nascente al momento in cui diviene esigibile la sanzione principale.

La Consulta è giunta a tale conclusione per scongiurare la incostituzionalità della disposizione. Secondo il rimettente, infatti, se la maggiorazione avesse avuto la medesima ratio degli interessi moratori, sarebbe risultata incostituzionale alla luce del principio di uguaglianza dettato dall’art. 3 Cost con riferimento al regime dei normali rapporti di credito fra privati. Nel caso previsto dalle disposizioni in esame, infatti, il calcolo dell’interesse composto in favore  della pubblica amministrazione sarebbe risultato superiore al 20% annuo e la maggiorazione avrebbe operato anche in caso di inerzia della P.A. senza che fosse risultato applicabile il disposto di cui all’art. 1227 cc.

Tuttavia il giudice delle leggi ha superato tale aporia, considerando la maggiorazione insita nel procedimento di riscossione coattiva della sanzione principale, come una autonoma sanzione amministrativa di tipo accessorio.

Per quel che qui interessa, la previsione della maggiorazione, poiché ha natura di sanzione amministrativa, ricade nell’ambito della previsione di cui all’art. 23 Cost. nel senso che trattasi di «prestazione imposta» gli elementi della quale sono coperti da una riserva assoluta di legge.

Più precisamente il procedimento di riscossione della obbligazione principale (cioè tramite ruoli) imposto dagli artt. 206 CdS e 27 L. 689/1981 è contemporaneamente anche elemento di determinazione del quantum debeatur della prestazione imposta accessoria e come tale rientra nella «base legislativa» dell’art. 23 Cost. diventando uno degli elementi essenziali della fattispecie impositiva.

Deve ricordarsi infatti che «[…] il principio dell'art. 23 della Costituzione si applica ad ogni "prestazione imposta", […] la cennata norma costituzionale, prescrivendo che  l'imposizione di una  prestazione patrimoniale abbia "base" in una legge […] implica che la legge non lasci all'arbitrio dell'ente impositore la determinazione della prestazione» (Corte Cost. s. 36/1959). Quanto, più specificamente, alla qualificazione delle sanzioni amministrative nell’ambito delle prestazioni imposte, basti ricordare che, secondo l’insegnamento della Consulta “rispetto alle sanzioni amministrative ricorre l'esigenza della prefissione ex lege di rigorosi criteri di esercizio del potere relativo all'applicazione (o alla non applicazione) di esse, e ciò in riferimento sia al princìpio di imparzialità (art. 97 della Costituzione), […], sia al princìpio di cui all'art. 23 Cost.” Cfr. Corte Cost, s. 447/1988, e ribadita in Corte Cost. ord. 250/1992.

Nella specie soltanto il meccanismo di esazione tramite ruoli consente la determinazione (la cui modalità è coperta da riserva assoluta di legge) della obbligazione aggiuntiva sanzionatoria, poiché essa va determinata proprio considerando il periodo che va dal momento in cui la somma è divenuta esigibile al momento in cui il ruolo è trasmesso all’esattore (ora concessionario alla riscossione). Diversamente è giuridicamente impossibile il calcolo della misura della prestazione imposta aggiuntiva.

Se si dovesse aderire alla impostazione interpretativa secondo la quale, richiamando l’art. 52 co. 6 Dlgs 446/1997, sarebbe consentito agli enti locali individuare il metodo di riscossione delle sanzioni amministrative mediante regolamento (comunale o provinciale), dovremmo in maniera aberrante ammettere una deroga al principio costituzionale di riserva assoluta di legge in tema di prestazioni imposte, in quanto il sistema di riscossione della sanzione principale istituisce la sanzione aggiuntiva e ne reca le modalità di determinazione del quantum. Cosa che nella specie sarebbe incostituzionale in quanto “è, […], in ogni caso inibito alle norme primarie di demandare a fonti secondarie la determinazione della sanzione” Cfr. Cassazione civile, sez. I, 18 gennaio 2005, n. 936.

Nè peraltro potrebbe ammettersi una applicazione analogica della maggiorazione con procedimento diverso da quello per ruoli in quanto una analogia in malam partem nei confronti del sanzionato è esclusa dall’art. 1 co. 2 L. 689/1981, atteso il principio di tassatività del sistema sanzionatorio.

Deve dunque ritenersi illegittimo sotto questo profilo il procedimento di riscossione attuato mediante ingiunzione amministrativa, perché avendo ambiti applicativi del tutto diversi, il rapporto fra l’art. 52 Dlgs 446/1997 e art. 27 L. 689/1981 non può essere risolto facendo riferimento al principio della lex generalis posterior, ma al principio di specialità.

E ciò anche se - per assurdo - si ammettesse anche natura di disposizione sanzionatoria all’art. 52 Dlgs 446/1997 (ipotesi, si specifica, del tutto destituita di fondamento, trattandosi di mera norma “autorizzativa”, ai fini di cui all’art. 97 Cost.). In tal caso infatti opererebbe il disposto dell’art. 9 co. 2 della medesima legge 689/1981 in base a cui “Quando uno stesso fatto è punito […] da una pluralità di disposizioni che prevedono sanzioni amministrative, si applica la disposizione speciale”. In presenza, cioè, di un concorso apparente di norme sanzionatorie (analogamente a quanto accade in materia penalistica con l’art. 15 cp) andrebbe applicata comunque la disposizione speciale.

L’orientamento sin qui esaminato, sottoposto all’esame della giurisprudenza di merito, ha trovato pieno accoglimento nelle sentenze n. 203/2005 e 451/2005 del Giudice di Pace Francavilla Fontana (BR), secondo cui “la riscossione dei proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie è regolata dall’art. 206 C.d.Strada, che richiama l’art. 27 della L. 24/11/1981, n. 689, tale norma stabilisce che l’esecuzione forzata è intrapresa dall’esattore incaricato sulla base dei ruoli e per i titoli esecutivi predisposti dall’amministrazione per i proventi spettanti, come nella fattispecie, ad Enti diversi dallo Stato e tale norma, essendo speciale, prevale anche su norme successive, data la sua natura. Il RD 14/04/1910 in forza del quale è stata emessa l’ingiunzione di pagamento, è tutt’ora in vigore, ma la legge non consente di utilizzare tale strumento per la riscossione delle sanzioni amministrative. […] si adotta il metodo della iscrizione a ruolo, che viene richiamato espressamente dall’art. 27 L. 689/1981”.

Tracce di un tale orientamento si ritrovano peraltro nella Ris. 30 luglio 2002 n. 8 dell’Agenzia delle Entrate, secondo la quale il principio della potestà regolamentare dei comuni e delle province di cui all’art. 52 Dlgs 446/1997 “trova un limite nelle materie costituzionalmente coperte da riserva di legge”, fra cui, l’amministrazione rammenta expressis verbis, fra le altre, proprio le sanzioni.

Non stupisca (e soprattutto non confonda) allora la recente sentenza del Consiglio di Stato del 3 ottobre 2005 n. 5271. In tale circostanza, il giudice amministrativo (chiamato a decidere della legittimità di un bando di gara per l’affidamento del servizio di riscossione dei crediti di spettanza comunale derivanti dalle sanzioni al codice stradale, su ricorso di una società che concorreva all’aggiudicazione) si è limitato ad affermare la legittimità del bando che però era di per se circoscritto alla riscossione volontaria “con esclusione di quella a mezzo ruolo” (più specificamente si evince dalla lettura della confermata sentenza del TAR di Napoli n. 17907/2004 che le prestazioni oggetto di esternalizzazione del cennato bando erano solo “le attività finalizzate all'esazione dei pagamenti spontanei, con esclusione della riscossione coattiva”). Ed è chiaro che in questo limite, può essere condivisibile la decisione poggiata esclusivamente sul dato testuale dell’art. 52 Dlgs 446/1997, secondo cui rientrano nel novero delle “altre entrate” diverse da quelle tributarie anche i crediti derivanti dalle sanzioni.

Deve, conclusivamente, ritenersi corretto l’orientamento espresso dal Ministero con la citata ris. Prot. 8427 del 2 agosto 2005, seppure esso sia stato espresso in maniera apodittica.


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