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Articoli e note

n. 10/2003 - copyright

DIEGO DE CAROLIS *

Percorsi “giuridici” di un povero… crocifisso

 

 

1. Quasi tutti le testate nazionali ieri (26 ottobre 2003: n.d.r.) hanno pubblicato la notizia che il Tribunale di L’Aquila, adito con ricorso ex art. 700 c.p.c., ha accolto l’istanza di un genitore di religione mussulmana (sig. A. S.) volta a rimuovere il crocifisso dall’aula scolastica della Scuola Elementare del Comune di Ofena (AQ) frequentata dal proprio figlio.

 

E dire che la questione era stata affrontata in un convegno svoltosi ad Ofena l’8 febbraio 2002, organizzato dal Sindaco (Annarita Coletti), in relazione alla particolare eco sociale e politica ed al forte coinvolgimento della popolazione locale e dei media, anche se, alla luce di quanto si deve registrare, il confronto di allora non è stato sufficiente.

 

2. Non disponendo al momento del testo della motivazione del provvedimento del Tribunale di L’Aquila, sempre dalle cronache si apprende che la ragione di fondo di tale statuizione del giudice sarebbe l’applicazione del principio della laicità dello Stato che implica un regime di pluralismo confessionale e culturale, già affermato, peraltro per fattispecie diversa, dalla Corte Costituzionale (sentenza del 12 aprile 1989, n. 203, in Foro It. 1989, I, 1333, in materia di facoltatività e non obbligo di insegnamento della religione cattolica) ed applicato dalla Cassazione Penale (Sez. IV, 1 marzo 2000, n. 439, in Giur. Cost. 2000,1121, in tema di sussistenza di giustificato motivo di rifiuto, con conseguente esclusione del reato di omissione di atti di ufficio, di un presidente di seggio elettorale che si era rifiutato di svolgere la sua funzione per la presenza nel seggio stesso di un crocifisso).

 

3. Tuttavia, pur rispettando la decisione assunta, tralasciando in questa sede ogni altra considerazione che non sia strettamente giuridica, la stessa non appare pienamente condivisibile in relazione alla specifica e speciale disciplina della materia, tuttora vigente, ed in disparte ogni altra possibile considerazione in ordine possibilità di adottare misure cautelari da parte di un giudice che non sembrerebbe competente nel merito della controversia per la sussistenza della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ex art. 33, comma 2, lett. e), del D. L.vo n. 80 del 1998, nel testo vigente dopo la L. n. 205 del 2000, trattandosi di controversia attinente la materia dei servizi inerenti la pubblica istruzione.

 

E ciò sia per ragioni di corretta applicazione della norme in vigore che di cd. tecnica di giudizio.

 

Procedendo con ordine, giova rammentare che l’obbligo di esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche è attualmente previsto dall’art. 118 del R.D. 30 aprile 1924 n. 965 e dall’allegato C al R.D. 26 aprile 1928, n. 1297, che al punto 1, tra gli arredi e dotazione della scuola e delle classi, indica appunto il crocifisso.

 

Tali risalenti disposizioni, infatti, non sono state esplicitamente abrogate dall’art.676 del D. L.vo 16 aprile 1994, n. 297, che sul punto prevede espressamente che “quelle non inserite restano ferme ad eccezione delle disposizioni contrarie od incompatibili con il testo unico stesso, che sono abrogate. ”

 

Da una lettura sistematica del D. L.vo n. 297 del 1994 e dal loro confronto con le disposizioni dei RR.DD. sopra ricordati non pare rilevare per l’interprete un giudizio di “incompatibilità” della norma speciale di “dettaglio” con il nuovo assetto organizzativo dettato in materia di istruzione scolastica.

 

Del resto, l’impostazione qui sostenuta può essere supportata dal parere reso dal Consiglio di Stato, sez. II, 27 aprile 1988, n. 63 (in questa Rivista) nel quale, prendendo in considerazione le modificazioni al Concordato lateranense ad opera della L. 25 marzo 1985, n. 121, si afferma che le norme dell’art. 118 del R.D. n. 965 del 1924 e l’all. C del R.D. n. 1297 del 1928, che prevedono l’esposizione del Crocefisso nelle aule scolastiche non possono essere considerate implicitamente abrogate dalla nuova regolamentazione concordataria sull’insegnamento della religione cattolica.

 

Parere che, per la verità, non aveva trovato consenso di parte della dottrina (ZANNOTTI, Il crocifisso nelle aule scolastiche, in Il Diritto Ecclesiastico 1990, 324 e ss.) che ne aveva criticato l’impostazione di fondo, pur riconoscendo che la legittimità delle norme in esame poteva essere giustificata attraverso una “ esaltazione” del valore culturale dell’immagine religiosa.

 

Inoltre, nell’unico, a quanto costa, risalente specifico precedente sul tema l’allora Pretore aveva avuto modo di affermare, seppure in maniera “asettica”, che crocifisso, sotto l'aspetto giuridico, è un arredo (ai sensi degli artt. 826 e 829 C.C.) di un pubblico istituto che non può essere rimosso se non nei casi e nei modi stabiliti dalla legge, e pertanto, aveva respinto la domanda tendente ad ottenere l'adozione di un provvedimento d'urgenza che, ai sensi dell'art. 700 c.p.c. disponga la rimozione del crocifisso dalle aule scolastiche (Pretura Roma, 17 maggio 1986, in Riv. giur. scuola 1986, 619).

             4. Se così è, probabilmente meriterebbe di essere ripensata la decisione del Tribunale dell’Aquila che, di fatto, invocando dei principi costituzionali, ha disatteso una puntuale e speciale disposizione legislativa che disciplina la specifica questione.

            Se avesse voluto accogliere al domanda avrebbe dovuto sollevare questione di legittimità costituzionale della ricordate disposizione, sospendere il giudizio e rimettere al questione alla Corte Costituzionale.

            In tal senso è anche l’opinione di un autorevole ed illustre costituzionalista come Augusto Barbera (apparsa a pag. 15 del Corriere della Sera del 21 ottobre u.s.).

             A tutto concedere, utilizzando una tecnica non espressamente prevista (e non pienamente condivisibile) nel nostro ordinamento ma in qualche occasione utilizzata dal Giudice amministrativo in sede cautelare, avrebbe potuto decidere sulla richiesta di provvedimento d’urgenza, disapplicando la norma sospetta di incostituzionalità, ma comunque compiere una delibazione e rimettere in ogni caso gli atti al giudice delle leggi.

            5. Conclusivamente, si può ritenere che vi siano molte argomentazioni per sostenere ed intentare un reclamo avverso l’ordinanza del giudice aquilano che, come si è cercato di illustrare, non appare pienamente ossequioso della particolare disciplina della materia tuttora vigente.

            Ma, al di la delle mere problematiche di tecniche intepretative e di applicazione delle norme, la decisione in questione, in questo particolare momento storico in cui si discute anche a livello europeo della indicazione nella carta fondamentale degli stati membri dei valori derivanti dalla forte e antica presenza della cultura cristiana e cattolica, pone all’attenzione delle questioni di non poco momento che certamente imporrebbero, oltre che l’intervento della Corte Costituzionale e del Parlamento, più l’uso del buon senso e della reciproca tolleranza che quello di percorrere le vie giudiziarie.

 

(*) Ricercatore conf. di diritto amministrativo - Università di Teramo.

 

V. anche in questa Rivista AVVOCATURA DELLO STATO DI BOLOGNA - Parere 16 luglio 2002 e CONSIGLIO DI STATO, SEZ. II - Parere 27 aprile 1988 n. 63/1988.


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