LexItalia.it  

 Prima pagina | Legislazione | Giurisprudenza | Articoli e note | Forum on line | Weblog

 

Articoli e note

n. 5/2006 - © copyright

PAOLO DE ANGELIS (*)

Le nuove norme in materia di azione amministrativa
dopo le leggi 11 febbraio 2005 n. 15 e 14 maggio 2005 n. 80

0. INTRODUZIONE.

1. CAPO I PRINCIPI

Articolo 1 Principi generali dell’attività amministrativa, commi 1, 1 bis, 1-ter

Articolo 2 Conclusione del procedimento, commi 2, 3, 4, 5.

Articolo 3-bis Uso della telematica, comma 1.

 

2. CAPO II RESPONSABILE DEL PROCEDIMENTO.

Articolo 6 Compiti del responsabile del procedimento, comma 1 lettera e.

 

3. CAPO III PARTECIPAZIONE AL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO.

Articolo 8 Modalità e contenuti della comunicazione di avvio del procedimento, comma 2 lettera c-bis e c-ter

Articolo 10-bis Comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza.

Articolo 11 Accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento, commi 1 e 4 bis

 

4. CAPO IV SEMPLIFICAZIONE DELL'AZIONE AMMINISTRATIVA.

Articolo 14 Conferenza di servizi, commi 2, 3, 5, 5 bis

Articolo 14-bis Conferenza di servizi preliminare, commi 1, 2, 3 bis

Articolo 14-ter Lavori della conferenza di servizi, commi 01, 3, 4, 6 bis, 7, 9.

Articolo 14-quater Effetti del dissenso espresso nella conferenza di servizi, commi 3, 3 bis, 3 ter, 3 quater, 3 quinquies

Articolo 14-quinquies Conferenza di servizi in materia di finanza di progetto.

Articolo 18 Autocertificazione, comma 2.

Articolo 19 Dichiarazione di inizio attività, commi 1, 2, 3, 4, 5.

Articolo 20 Silenzio assenso, commi 1, 2, 3, 4, 5.

Articolo 21 Disposizioni sanzionatorie, comma 2 bis

 

5. CAPO IV-BIS EFFICACIA ED INVALIDITÀ DEL PROVVEDIMENTO AMMINISTRATIVO. REVOCA E RECESSO 

Articolo 21-bis Efficacia del provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati

Articolo 21-ter Esecutorietà.

Articolo 21-quater Efficacia ed esecutività del provvedimento.

Articolo 21-quinquies Revoca del provvedimento.

Articolo 21-sexies Recesso dai contratti

Articolo 21-septies Nullità del provvedimento.

Articolo 21-octies Annullabilità del provvedimento.

Articolo 21-nonies Annullamento d’ufficio.

 

6. CAPO V ACCESSO AI DOCUMENTI AMMINISTRATIVI

Articolo 22 Definizioni e princìpi in materia di accesso, commi 1, 2, 3, 4, 5, 6.

Articolo 24 Esclusione dal diritto di accesso, commi 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7.

Articolo 25 Modalità di esercizio del diritto di accesso e ricorsi, commi 4, 5, 5 bis, 6.

Articolo 27 Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi, commi 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7.

 

7. AMBITO DI APPLICAZIONE.

Articolo 29 Ambito di applicazione della legge.

 

8. CONCLUSIONI

L. 241/90 vigente.

BIBLIOGRAFIA.

SENTENZE.

0. INTRODUZIONE

Una delle più rilevanti disposizioni normative dello scorso secolo, la legge 08 agosto 1990 n. 241, ha recentemente subito un completo restyling che impone una doverosa riflessione.

Prima di intraprendere il lungo cammino del commento della norma, pare opportuno far precedere all’esame delle nuove disposizioni un sia pur sintetico quadro dei principi enunciati nella legge 241/90 (da ora, L. 241).

Essa è stata una legge che ha cambiato il modo di concepire l’azione pubblica, che ha avvicinato l’Amministrazione al cittadino, che ha reso possibili quelle indifferibili azioni volte a rendere più organico il mondo delle pubbliche amministrazioni. L’espressa volontà perseguita è stata quella di regolare la pubblica amministrazione in modo chiaro e trasparente; in modo tale, cioè, da rendere possibile al cittadino il controllo dell’attività amministrativa. Essa può essere configurata come un’utile premessa verso un’amministrazione meno ripiegata in sé e più volta verso l’esterno; attraverso essa si è passati dall’idea di un rispetto formale delle procedure ad un rapporto più intenso e collaborativo con il mondo circostante.

Il capo I della legge pone i principi essenziali cui l’azione amministrativa deve essere improntata:

- principio del giusto procedimento, ossia del procedimento svolto in modo efficace quanto ai risultati, efficiente quanto all’impiego delle risorse, economico quanto all’acquisto dei beni necessari;

- principio del procedimento trasparente, cioè chiaro nei suoi presupposti, comunicato in tutte le fasi agli interessati, concluso mediante un provvedimento espresso e congruamente motivato e reso pubblico;

- principio di semplificazione, teso ad introdurre all’interno del procedimento quegli strumenti volti a renderlo più snello nella dinamica, più celere nella tempistica, maggiormente certo negli effetti.

Il capo II prevede che per ciascun procedimento debba essere indicato un responsabile (cosiddetto leading authority) che funga da guida per l’interno e da recettore per l’esterno; questi sarà l’unico responsabile dell’andamento del procedimento e dovrà risponderne nel caso in cui il procedimento non rispetti i principi evidenziati nel capo I.

Il capo III disciplina la problematica della partecipazione al procedimento da parte dei soggetti che in esso hanno interessi. La normativa sancisce:

- l’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento agli interessati;

- i diritti di costoro di partecipare a tutti gli atti del procedimento;

- il diritto di prendere visione degli atti e di presentare memorie e documenti;

- la possibilità di stipulare accordi procedimentali e sostitutivi;

. la predeterminazione dei criteri per ottenere benefici economici.

Il capo IV contiene disposizioni molto rilevanti in tema di semplificazione dell’azione amministrativa. In esso sono introdotte figure giuridiche nuove oppure sono meglio disciplinate figure già esistenti; tra esse rinveniamo:

- la conferenza dei servizi;

- gli accordi procedimentali;

- il silenzio facoltativo, ossia la previsione di un termine decorso il quale le Amministrazioni richiedenti un parere possono procedere anche se esso non è stato reso;

- il silenzio devolutivo, ossia la previsione di un termine decorso il quale le Amministrazioni richiedenti un parere tecnico possono rivolgere lo stesso ad altre Autorità competenti se esso non è stato reso da quella prevista;

- l’autocertificazione;

- la denuncia in luogo di autorizzazione;

- l’istituto del silenzio assenso.

Il capo V detta la disciplina in tema di accesso agli atti, fattispecie che costituisce uno dei portati fondamentali della legge e che, giusto per citare l’aspetto di maggiore rilievo, ha trasformato il principio del segreto d’ufficio (contenuto nell’articolo 15 del D.Lgs. 3/57, cd. TU sugli impiegati civili dello Stato) da regola ad eccezione.

 

La L. 241 aveva subito nel tempo alcuni interventi di modifica solo settoriali (per citarne uno, quello in tema di conferenza di servizi).

La legge 11 febbraio 2005 n. 15 costituisce, invece, la prima effettiva modifica che incide sulla legge nel suo complesso. Il testo, che trae origine da un disegno di legge presentato nel 2000, come può leggersi nella Relazione Preliminare disponibile sul sito del Senato [1] nonostante i diversi passaggi nei due rami del Parlamento ha sempre perseguito quale nucleo centrale i seguenti obiettivi:

- richiamo al principio di legalità;

- possibilità per le pubbliche amministrazioni di utilizzare gli strumenti privatistici;

- riduzione dell’area dell’invalidità degli atti.

A questo nucleo si sono aggiunti, nel tempo, ulteriori aspetti qualificanti; in particolare, in prima lettura (10.04.03) il Senato ha riscritto la norma in tema di diritto d’accesso; in prima lettura (22.10.03) la Camera ha rivisitato la norma in tema di conferenza dei servizi; in seconda lettura (21.07.04) il Senato ha meglio regolamentato il rapporto tra diritto d’accesso e tutela dei dati personali; infine, la Camera ha approvato definitivamente il testo in data 26.01.05 [2].

Pochi mesi dopo l’approvazione della legge 15/05 (da ora, L. 15) l’originario articolato della legge è stato fatto oggetto di un ulteriore intervento  contenuto nel D.L. 14.03.05 n. 35, convertito con modificazioni nella  Legge 14.05.05, n. 80. Il contenuto della legge 80/05 (da ora, L. 80) è completamente differente da quello della L. 15; infatti, mentre quest’ultima come già accennato e come meglio sarà detto in seguito si poneva l’obiettivo di incidere proprio sulla L. 241 per migliorarne i contenuti o aggiungervi alcuni elementi, la L. 80 è una legge che tratta diversi argomenti (contiene, cioè, disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale. Deleghe al Governo per la modifica del codice di procedura civile in materia di processo di cassazione e di arbitrato nonché per la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali) e, dunque, nelle parti in cui va ad incidere sulle disposizioni in materia di procedimento amministrativo lo fa in modo che potremmo definire indiretto, perseguendo, come si vedrà in sede di commento degli specifici articoli, diverse finalità. A differenza di quanto contenuto nella L. 15, dunque, la modifica alla L. 241, contenuta nella L. 80 è l’effetto e non l’oggetto dell’intervento riformatore.

Ad avviso di taluni [3] la novella legislativa modifica, quanto meno in parte, la ratio originaria della legge nel senso che se con la L. 241 “…l’attività della pubblica amministrazione veniva ricostruita dal punto di vista del cittadino…” e aveva avuto quale principale obiettivo quello di procedimentalizzare l’attività amministrativa; la L. 15 disciplina non l’attività amministrativa procedimentalizzata bensì “…l’esercizio del potere amministrativo dal punto di vista dell’amministrazione; l’azione amministrativa, l’effettività del risultato dell’azione come valore a fronte del quale…il tema delle garanzie delle posizioni soggettive appare quantomeno appannato”. Certamente, può dirsi che la nuova legge in molte parti, come verrà rilevato nel testo, contiene delle disposizioni che in prima battuta mirano più a tutelare la pubblica amministrazione che il cittadino [4]; occorrerà verificare, però, che uso degli stessi sarà fatto dai dirigenti e dai funzionari pubblici. Un esempio per meglio comprendere quanto intendo affermare: è senz’altro vero che con l’applicazione del nuovo Capo IV bis un atto della pubblica amministrazione che prima dell’entrata in vigore della normativa di riforma sarebbe stato dichiarato invalido può adesso produrre effetti; è altrettanto vero che se quell’atto realmente ha raggiunto il suo scopo e non avrebbe potuto essere diverso anche se non avesse contenuto l’invalidità riscontrata, il costringere la pubblica amministrazione a compierlo nuovamente potrebbe sortire l’unico effetto di irrigidire le procedure, a scapito, in ultima analisi, anche del cittadino. Una pubblica amministrazione libera da lacci formalistici può meglio gestire i propri impegni, garantire in modo migliore il soddisfacimento degli interessi pubblici e privati connessi alle proprie attività. Certamente è questo cui la legge di riforma mira. Se la pubblica amministrazione ha ormai la maturità per sfruttare queste “gauarentigie” non per il proprio tornaconto ma per essere maggiormente libera di perseguire i fini che le sono propri, sarà il tempo a dirlo.

Il presente lavoro persegue la finalità di analizzare la legge sul procedimento (anzi, sull’) azione amministrativa non solo dal punto di vista degli istituti giuridici (cosa che altri hanno fatto – e faranno in futuro - molto meglio di quanto possa anche solo sperare di fare il sottoscritto) ma anche da quello del dipendente delle pubbliche amministrazioni che, più di ogni altro, subisce sulle proprie spalle il peso dei cambiamenti normativi.

Nel proseguo del presente lavoro si cercherà, pertanto, di tracciare un quadro della L. 241 così come risultante dalle modifiche contenute nelle Leggi 15 e 80 del 2005 delineando le principali direttrici seguite (e perseguite) nella legge di riforma, attraverso l’analisi dei diversi Capi della legge:

1. il Capo I, che contiene alcuni nuovi principi e criteri che devono ispirare l’azione amministrativa;

2. il Capo II e le quantitativamente minime ma sostanzialmente ampie innovazioni relative alla figura del responsabile del procedimento;

3. il Capo III sulla partecipazione al procedimento amministrativo le cui nuove previsioni, come si vedrà, rischiano di rallentare l’operato delle pubbliche amministrazioni;

4. il Capo IV con la (ennesima) riforma dell’istituto della Conferenza dei Servizi;

5. il (nuovo) Capo IV-bis che ha già fatto scorrere molto inchiostro;

6. il Capo V in tema di diritto d’accesso;

7. infine, si cercherà di chiarire l’ambito di applicabilità dei nuovi principi e;

8. si tratteggeranno alcuni spunti conclusivi.

Per ciascuna modifica si individuerà in modo schematico la disciplina dettata dal testo originario della L. 241, lo si confronterà con quello introdotto dalle modifiche del 2005 e, per quegli istituti innovativi che lo consentono, si affronteranno in modo succinto le principali problematiche che la pubblica amministrazione dovrà incontrare per uniformarsi alla nuova disciplina.

1. CAPO I PRINCIPI

Articolo 1 Principi generali dell’attività amministrativa, commi 1, 1 bis, 1-ter

1. L'attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia e di pubblicità, di pubblicità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonchè dai princìpi dell’ordinamento comunitario.

1-bis. La pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente.

1-ter. I soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative assicurano il rispetto dei princìpi di cui al comma 1.

L’articolo 1 della L. 241 introduceva per la prima volta alcuni principi essenziali che l’azione amministrativa avrebbe dovuto perseguire. Si trattava, in pratica, della traduzione normativa dei prevalenti principi enucleabili dal disposto Costituzionale del “buon andamento”: economicità, efficacia e pubblicità. Il principio di economicità (tipica espressione dell’aziendalizzazione delle pubbliche amministrazioni) impone che nelle scelte compiute si persegua sempre la riduzione dei costi. L’efficacia consiste nella verifica sul reale  raggiungimento degli obiettivi. La pubblicità impone che gli atti siano emanati in forma tale da consentirne un’adeguata visibilità anche all’interno.

Il “nuovo” articolo 1 comma 1 della L. 241 aggiunge ai principi sopra rammentati due aspetti di non poca rilevanza: la trasparenza e l’ossequio ai principi comunitari.

- Quanto alla trasparenza, essa in realtà era già rinvenibile in via interpretativa nel precedente testo attraversi il criterio di pubblicità costituendone quest’ultimo una specificazione. Il principio di trasparenza, infatti, era già reso effettivo mediante:

- la pubblicità del procedimento di formazione degli atti amministrativi e la pubblicazione degli atti terminali del procedimento stesso;

- l’onere di informazione dello stato del procedimento a chiunque ne sia interessato;

- il diritto di ogni interessato di ottenere copia degli atti amministrativi;

- il diritto di visione degli atti e dei documenti relativi al procedimento.

Non per questo deve essere sminuita l’importanza dell’innovazione. Infatti, se prima della L. 15 la trasparenza costituiva un principio connesso a quello sull’accesso, adesso la trasparenza diventa un principio generale che nel diritto d’accesso troverà una sola delle sue possibili applicazioni.

Quanto all’introduzione dei principi comunitari tra quelli che determinano l’agire amministrativo, può dirsi che in essi possono rinvenirsi quei principi (legittimo affidamento, proporzionalità, imparzialità) che nel testo approvato in seconda lettura dal Senato erano presenti in esplicito e che sono stati successivamente espunti dalla riforma. Prima di entrare nel merito di essi, può dirsi che il riconoscimento dei principi del diritto comunitario quali modelli di diretta osservanza per le amministrazioni pubbliche era già stato delineato con chiarezza con la circolare 29.04.04 laddove il Dipartimento per le politiche comunitarie della Presidenza del Consiglio dei Ministri  aveva evidenziato l’obbligo della Magistratura e degli altri Organi dello Stato di disapplicare le norme nazionali che risultassero in contrasto con la normativa comunitaria. Ora, con la previsione dei principi comunitari tra quelli che devono indirizzare l’azione amministrativa si sposta più a monte (sulle pubbliche amministrazioni che adottano gli atti) questo controllo di conformità. Anche la previsione dei principi comunitari tra quelli che la pubblica amministrazione deve osservare, comunque, non costituisce un’innovazione assoluta; infatti, i principali principi comunitari, come desumibili dalla Carta dei Diritti dell’Unione Europea [5], sono quelli già ampiamente riconosciuti anche nell’ordinamento nazionale quale il principio di imparzialità, di partecipazione, di accesso, di motivazione. L’unico principio ragguardevole in quanto realmente innovativo [6] è quello concernente il cosiddetto legittimo affidamento. Il principio del legittimo affidamento impone che non possa essere rimossa, se non tramite indennizzo, qualunque situazione di vantaggio che sia stata attribuita ad un privato cittadino. Si tratta, in effetti, non già di un principio statico quanto di un principio che pone in dinamica relazionale la pubblica amministrazione ed i consociati che, ottenuta una qualunque situazione di vantaggio, si affidano in modo legittimo a quanto operato dai pubblici poteri. Il primo esempio che viene in evidenza è senz’altro quello dell’attività contrattuale della pubblica amministrazione laddove in dottrina e giurisprudenza si discute circa la natura della posizione del privato che abbia ottenuto un determinato provvedimento amministrativo di favore in esecuzione di un provvedimento illegittimo e, in quanto tale, annullato dal giudice amministrativo. Da oggi in poi, anche nell’enucleazione di questi aspetti, occorrerà fare riferimento al principio del legittimo affidamento [7].

Quanto al comma 1-bis, esso costituisce un’innovazione della legge di riforma. Come si legge nella già citata Relazione Preliminare al Disegno di Legge 1281, la disposizione, sancendo il principio generale per cui la pubblica amministrazione può agire utilizzando in via alternativa strumenti pubblicistici o privatistici, esprime un principio acclarato secondo il quale il vecchio dogma secondo cui l’agire amministrativo doveva necessariamente esercitarsi tramite atti imperativi ed unilaterali è ormai superato. Il negozio privato è, dunque, di per sé strumento idoneo al perseguimento dei fini pubblicistici e la scelta tra l’uno e l’altro deve essere compiuta solo ed esclusivamente in ragione della migliore efficacia, del migliore perseguimento del fine pubblico.  Questo dalla mera lettura testuale della norma. Entrando nello specifico, devono porsi alcune annotazioni.

Innanzitutto, occorre distinguere gli atti autoritativi da quelli paritetici. Nonostante che la distinzione tra atti autoritativi e paritetici sia risalente nel tempo [8], essa non è mai stata espressamente codificata. Può dirsi in via del tutto esemplificativa che gli atti autoritativi nascono dall’esercizio di una autorità e si esplicano attraverso un comando imperativo; cioè appartengono ad una volontà unilaterale della pubblica amministrazione e sono connaturati alla finalità pubblica che deve essere perseguita; quanto agli atti paritetici essi, al contrario, sono caratterizzati dall’assenza delle predette caratteristiche e, sostanzialmente, sono espressione di un connubio di volontà tra privato e pubblica amministrazione che, assieme, “…contribuiscono (anche se in modo diverso e secondo le norme del diritto privato) alla determinazione del contenuto e dell’efficacia di questo[9]. Dunque, il termine atto autoritativo è stato da sempre utilizzato nell’ambito dei rapporti tra pubblica amministrazione e cittadini con il fine di individuare quella tipologia di atti emanati dalla pubblica amministrazione nell’esercizio di una potestà (quando essa, cioè, agisce imperativamente) in contrapposizione a quello di atto paritetico (potremmo dire, concordato) con il cittadino. Con la disposizione in esame, dunque, l’interpretazione giurisprudenziale sopra descritta è trasformata in disposizione normativa; inoltre, si opera una sorta di tripartizione dell’agire amministrativo, che può oggi essere compiuto mediante:

- norme pubblicistiche in quanto espressione di atti autoritativi;

- norme privatistiche in quanto espressione di atti non autoritativi;

- norme pubblicistiche nonostante siano la risultante di atti non autoritativi perché così espressamente disposto dalla legge.

Al riguardo, può dunque dirsi che questa disposizione  non comporta soltanto la codificazione in via generale di un principio già sancito normativamente in via episodica (si pensi, ad esempio, all’art. 11 della stessa L. 241) ma è particolarmente innovativa anche rispetto ai principi enucleati dalla dottrina e dalla giurisprudenza prevalenti. Che, infatti, al di fuori delle ipotesi di atti autoritativi la pubblica amministrazione potesse agire secondo le più snelle regole privatistiche non costituisce certo una novità, che però essa sia ora costretta a farlo è, invece, espressione di una nuova tendenza secondo la quale in tutti i casi in cui ciò sia possibile (perché non espressione di atti autoritativi e perché non in presenza di disposizioni normative che regolamentano il caso specifico) gli atti amministrativi devono essere sostituiti da atti negoziali nelle più svariate forme (contratti, convenzioni, accordi, ecc.). La formulazione della norma, peraltro, dà modo di avanzare l’ipotesi che anche nei casi “di scuola” di espressione del potere autoritativi (gli atti ablatori, ad esempio) l’eventuale consenso prestato dal privato possa valere a fare sì che l’atto amministrativo propriamente detto possa essere sostituito con un atto privatistico: atto di acquisto anziché requisizione, locazione anziché concessione, ecc. Questo atto cosiddetto paritetico, emanato cioè mediante l’utilizzo di norme privatistiche, è comunque e sempre un atto amministrativo e in quanto tale non consente che la pubblica amministrazione sia svincolata dalla regola dell’interesse pubblico ma, al contrario, deve sempre essere espressione del principio del raggiungimento della finalità pubblicistica sottesa all’esercizio del potere; ne consegue che anche l’attività privatistica (nel senso ora delineato) deve restare assoggettata ad ogni forma di controllo, per così dire, pubblicistico [10]. La natura della funzione amministrativa, pertanto, non è incisa da questa disposizione che, invece, influisce solo sulla forma che l’attività amministrativa deve avere.

Un’ultima annotazione. Se questa disposizione servirà a snellire l’attività amministrativo è presto per dirlo; ciò che può affermarsi da subito è che essa contribuirà sin da subito (anche se, auspicabilmente per un breve lasso temporale) a rendere più faticosa l’attività della pubblica amministrazione. Sarà in grado qualsiasi dirigente o funzionario pubblico di comprendere secondo quale natura di atti (tra la triplice partizione dinanzi accennata) la propria attività giornaliera dovrà essere svolta? Nell’ipotesi in cui (quantomeno in prima applicazione) si troverà ad applicare una strada piuttosto che l’altra, potrà essere ritenuto responsabile di eventuali errori commessi?  Eventuali attività non autoritative e non soggette a specifiche disposizioni di legge (il caso 3 sopra indicato, per essere più espliciti) a quale sorte andranno incontro se emanate non mediante norme privatistiche?

Analogamente ricca di spunti è la disposizione, contenuta nell’articolo 1 comma 1-ter, secondo cui i soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative assicurano il rispetto dei princìpi di cui al comma 1. Questa affermazione comporta la soluzione di due rilevanti problematiche attualmente esistenti: l’esatta individuazione della nozione di servizio pubblico; la natura degli atti posti in essere dai soggetti privatizzati.

Quanto al primo aspetto, può dirsi che si parla di servizi pubblici quando l’azione delle pubbliche amministrazione è diretta non già alla mera emanazione di atti giuridici, bensì al concreto compimento di attività materiali (servizi, appunto) nei confronti di destinatari individuati. Il servizio pubblico è a tutt’oggi interpretato secondo due modelli: soggettivo ed oggettivo. I fautori della prima teoria ritengono che non possa parlarsi di servizio pubblico se le attività in cui esso si concretizza non sono svolte direttamente dalle pubbliche amministrazioni. Seconda la concezione oggettiva, invece, si avrà servizio pubblico ogni qualvolta vengano poste in essere attività perseguenti finalità proprie delle pubbliche amministrazioni anche se svolte direttamente da soggetti terzi. Questa tesi, al momento prevalente, si fonda sulle recenti disposizioni emanate in tema di servizi pubblici locali; in particolare, sul nuovo articolo 113 del D.Lgs. 267/00 il quale nel prevedere la distinzione tra servizi a rilevanza economica e non economica ed il conferimento delle titolarità d’esercizio tratteggia chiaramente che le attività non devono necessariamente essere di pertinenza dell’amministrazione ma è sufficiente che siano assoggettate ad una disciplina che assicuri il perseguimento dei fini sociali. Ebbene, la disposizione in commento pare corrispondere in modo palese a questa seconda interpretazione.

Quanto al secondo aspetto, è noto che gli Enti Pubblici Economici hanno costituito uno dei mezzi attraverso i quali lo Stato, nel secondo dopoguerra, è intervenuto nel settore economico al fine di regolamentarne lo svolgimento. Questi Enti intorno agli anni ‘80 hanno iniziato un percorso di declino (motivato essenzialmente da due ragioni: la incapacità a sostentarsi con i propri mezzi e le istanze comunitarie volte ad evitare la partecipazione dello Stato in qualsivoglia attività economica nazionale) che ha fatto sì che ne fosse prevista la lenta eliminazione attraverso alcuni interventi normativi: inizialmente con il D.L. 386/91 (convertito in L. 35/92), successivamente il D.L. 333/92 (convertito in L. 359/92) che ha trasformato in società per azioni i più importanti enti economici e stabilito che uguale trattamento avrebbe potuto essere deciso dal CIPE per analoghe situazioni. Ebbene, particolare rilievo ha assunto sia nell’ordinamento comunitario che in quello interno la questione circa la natura degli atti posti in essere dai soggetti privatizzati. A questo proposito, la disposizione in commento pare confermare la tesi maggioritaria in dottrina e giurisprudenza secondo la quale le società derivanti dalla privatizzazione conservano inalterata la funzione pubblicistica per cui esse sono destinate a rimanere pubbliche in senso lato e, pertanto, rimangono assoggettate a tutti i controlli previgenti.

Articolo 2 Conclusione del procedimento, commi 2, 3, 4, 5

2. Con uno o più regolamenti adottati ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro competente, di concerto con il Ministro per la funzione pubblica, sono stabiliti i termini entro i quali i procedimenti di competenza delle amministrazioni statali devono concludersi, ove non siano direttamente previsti per legge. Gli enti pubblici nazionali stabiliscono, secondo i propri ordinamenti, i termini entro i quali devono concludersi i procedimenti di propria competenza. I termini sono modulati tenendo conto della loro sostenibilità, sotto il profilo dell'organizzazione amministrativa, e della natura degli interessi pubblici tutelati e decorrono dall'inizio di ufficio del procedimento o dal ricevimento della domanda, se il procedimento e' ad iniziativa di parte.

3. Qualora non si provveda ai sensi del comma 2, il termine è di novanta giorni.

4. Nei casi in cui leggi o regolamenti prevedono per l'adozione di un provvedimento l'acquisizione di valutazioni tecniche di organi o enti appositi, i termini di cui ai commi 2 e 3 sono sospesi fino all'acquisizione delle valutazioni tecniche per un periodo massimo comunque non superiore a novanta giorni. I termini di cui ai commi 2 e 3 possono essere altresì sospesi, per una sola volta, per l'acquisizione di informazioni o certificazioni relative a fatti, stati o qualità non attestati in documenti già in possesso dell'amministrazione stessa o non direttamente acquisibili presso altre pubbliche amministrazioni. Si applicano le disposizioni dell'articolo 14, comma 2.

5. Salvi i casi di silenzio assenso, decorsi i termini di cui ai commi 2 o 3, il ricorso avverso il silenzio dell'amministrazione, ai sensi dell'articolo 21-bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, può essere proposto anche senza necessità di diffida all'amministrazione inadempiente, fintanto che perdura l'inadempimento e comunque non oltre un anno dalla scadenza dei termini di cui ai predetti commi 2 o 3. Il giudice amministrativo può conoscere della fondatezza dell'istanza. E' fatta salva la riproponibilità dell'istanza di avvio del procedimento ove ne ricorrano i presupposti.

Per ben comprendere la portata della norma occorre precisare che il problema della qualificazione giuridica del silenzio della pubblica amministrazione ha sempre rivestito notevole importanza con riferimento alla necessità che il privato sia tutelato nei confronti della pubblica amministrazione anche nei casi di inerzia della stessa, quando tale comportamento omissivo lo danneggi. Il silenzio, da non confondersi con la manifestazione tacita di volontà, consiste nella omissione di qualsiasi manifestazione di volontà e, quindi, deve considerarsi un semplice fatto giuridico che può acquistare il significato di “atto” solo per volontà della legge (silenzio tipicizzato). A prescindere dai casi di silenzio tipicizzato o significativo (con tale accezione si intendono le ipotesi in cui la legge attribuisce al silenzio della pubblica amministrazione il valore legale tipico di un atto amministrativo; i significati che, in tal senso, possono essere attribuiti all’omissione sono essenzialmente due: silenzio-assenso e silenzio-rigetto; nel primo caso il silenzio della pubblica amministrazione ha valore positivo: l’istanza è accolta, nel secondo caso il silenzio della pubblica amministrazione ha valore negativo: l’istanza non è accolta) la norma in commento fa riferimento al cosiddetto silenzio non significativo; fa riferimento, cioè, ai casi in cui la pubblica amministrazione abbia omesso di provvedere nei termini previsti dalle legge e questa non contenga alcuna indicazione sul valore da attribuire al silenzio. Inizialmente, quando il silenzio era ancorato al processo amministrativo, esso si considerava espressione di una volontà negativa, cioè di mantenimento dello status quo. Successivamente, con l’avvicinarsi del silenzio al provvedimento (cosiddetto silenzio procedimentale), inizia ad assistersi ad una inversione di rotta. Il silenzio è ancora negativo, ma il privato può invitare l’Amministrazione a provvedere entro un certo termine mediante la procedura del cosiddetto silenzio-rifiuto ex art. 25 D.P.R. 10.01.57 n. 3 (T.U. impiegati civili dello Stato). Questa procedura, ritenuta applicabile al caso de quo dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella sentenza n. 10 del 78, constava di tre fasi: inerzia di almeno 60 gg. della pubblica amministrazione; diffida formale ad adempiere giudizialmente notificata; ulteriore inerzia della pubblica amministrazione protrattasi per 30 gg. dalla notifica della messa in mora. Decorso infruttuosamente tale termine, il privato potrà impugnare tale silenzio (cd. silenzio-rifiuto) dinanzi al Giudice Amministrativo per ottenere una sentenza che accerti l’obbligo della pubblica amministrazione di provvedere [11]. L’emanazione della dell’art. 2 della L. 241 aveva fatto ritenere che la complessa procedura per la formazione del silenzio rifiuto potesse essere finalmente superata. Al contrario, anche ai sensi di una repentina circolare del Ministero della Funzione Pubblica [12], l’interpretazione pressocchè costante della giurisprudenza era nel senso che pur sancendo l’obbligo generale della P.A. di concludere il procedimento mediante l’adozione di un provvedimento espresso, l’art. 2 non potesse costituire motivo per abbandonare la procedura sino ad allora seguita: si è ritenuto, cioè, che fosse ancora sempre necessariamente esperibile il silenzio-rifiuto prima di potere presentare ricorso al giudice amministrativo avverso il silenzio serbato dalla pubblica amministrazione oltre i termini previsti per la conclusione del procedimento amministrativo. Ora, il nuovo articolo 2 comma 4-bis [13] aggiunto alla L. 241 dalla L. 15 prevede, però, espressamente, che decorso infruttuosamente il termine per la conclusione del procedimento entro il termine decadenziale di un anno dal termine di conclusione del procedimento il soggetto istante può alternativamente proporre la procedura per la formazione del silenzio rifiuto ovvero ricorrere direttamente dinanzi al giudice amministrativo al fine di ottenere la declaratoria di illegittimità del silenzio. Pertanto, ogni dubbio può dirsi fugato e pur permanendo la possibilità di esperire la procedura del silenzio rifiuto, è comunque possibile agire direttamente avverso il silenzio che si ritenga illegittimo.

Prima di passare all’esegesi dei commi che hanno subito modifiche può dirsi che la mancata modifica del comma 1 fa ritenere che le ipotesi già evidenziate dalla giurisprudenza in cui l’obbligo di provvedere sia destinato a venire meno per ragioni di economicità ed efficienza dell’azione amministrativa mantengano validità. Pertanto, la pubblica amministrazione può non concludere il procedimento tramite provvedimento espresso nei casi di reiterate istanze[14]:

- aventi medesimo contenuto;

- palesemente prive di fondamento o di logica;

- manifestamente illegittime o illecite;

- volte ad ottenere provvedimenti in autotutela.

Passando all’esame del comma 2, il Legislatore prevede le modalità per l’adozione del regolamento sui termini del procedimento: mediante regolamento governativo per le amministrazioni statali e secondo le forme previste nei rispettivi ordinamenti per gli enti pubblici nazionali. Inoltre, individua due criteri di parametrazione da utilizzare in sede di determinazione dei termini procedimentali: la sostenibilità organizzativa e la natura degli interessi pubblici. Infine, determina il momento da cui i termini iniziano a decorrere: dal ricevimento della domanda o dall’avvio d’ufficio dello stesso a seconda che il procedimento sia o meno ad istanza di parte. Risulta palese, pertanto, come alle amministrazioni statali non residui più la competenza a definire la durata delle loro procedure.

Il comma 3 è quello che ha maggiormente attirato su di sé l’attenzione dei commentatori. In esso, infatti, si prevede che il termine è di 90 giorni qualora non sia adottato uno specifico regolamento. Dunque, il termine potrà essere imposto dalla Legge, deciso dell’amministrazione competente all’adozione dell’atto oppure, nel caso in cui non ricorrano le condizioni sopra indicate, esso è fissato ora in 90 giorni anziché in 30 come nella precedente versione della Legge. Ad una prima rapida lettura si potrebbe osservare che l’allungamento del termine costituisca un passo indietro delle tutele accordate al cittadino; ad un esame più attento, però, si deve convenire che così non è. Innanzitutto, il decorso del termine di 30 giorni, come sopra ampiamente ricordato, non attribuiva al cittadino la facoltà di ricorrere direttamente al giudice amministrativo ma gli consentiva soltanto di esperire la procedura del silenzio rifiuto: pertanto, anche nella vigenza del vecchio testo, al fine di presentare ricorso innanzi al giudice amministrativo dovevano trascorrere almeno 90 giorni (60 di attesa della decisione e 30 dopo la presentazione dell’ulteriore invito a provvedere). Inoltre, si deve considerare che molti dei procedimenti la cui durata era determinata dalla pubblica amministrazione avevano un termine di conclusione certamente più lungo rispetto a quello di 30 giorni. Dunque, può dirsi che la norma non comprime le garanzie già acquisite dal cittadino e, inoltre, che, assieme alla disposizione del comma precedente che prevede tra i criteri per la predeterminazione dei termini quello della sostenibilità organizzativa, sembra andare incontro alla pubblica amministrazione consentendole di autodeterminarsi senza imposizioni esterne [15]. Le considerazioni appena svolte sul termine procedimentale non possono che portare alla conseguenza di indagare che natura esso abbia. Al riguardo, è indubbio, considerato il costante orientamento della giurisprudenza amministrativa, che il termine abbia una mera natura ordinatoria e non possa essere considerato perentorio. A questa conclusione conducono diverse argomentazioni:

- innanzitutto, la circostanza che laddove la Legge voglia attribuire ad un termine il carattere della perentorietà, debba farlo espressamente (ai sensi dell’articolo 152 del c.p.c., ritenuto in parte qua applicabile) [16];

- poi, la considerazione che sarebbe addirittura deleterio per il cittadino se il decorso del termine comportasse il venire meno del potere di provvedere per la pubblica amministrazione (perché, se così fosse, scaduto il termine non potrebbe provvedere neppure in senso positivo per l’interessato) [17];

- infine, la mancanza di un principio generale secondo il quale alla violazione di termini di adempimento procedimentali possano riconnettersi conseguenze negative per l’amministrazione (in tal senso deponeva l’articolo 17, comma 1, lettere f) della Legge 59/97 la cui delega, però, non è stata attuata nei tempi né rinnovata successivamente) [18].

In conclusione, alla luce di quanto ora esposto, può dirsi che nonostante una sia pure ridotta apertura in tal senso della Corte Costituzionale [19] (non fatta propria, peraltro, dal giudice amministrativo) non possa affermarsi l’esistenza di una responsabilità per la pubblica amministrazione derivante da ritardo o inerzia nel provvedere[20].

Il comma 4 disciplina le ipotesi che possono consentire la sospensione del decorso del termine. Si prevede, in particolare, che il termine possa essere sospeso per l’acquisizione di valutazioni tecniche (fino al ricevimento del parere e, comunque, per non più di 90 giorni) e per l’acquisizione di elementi necessari non attestati in documenti già in possesso dell’amministrazione  da questa rinvenibili (in questo caso non vi è un limite temporale alla sospensione ma si prevede, soltanto, che essa non possa essere decisa per più di una volta).

Quanto al comma 5, già introdotto dalla L. 15 e poi ritoccato dalla L. 80, la norma chiarisce che il silenzio serbato da una pubblica amministrazione in ordine ad un’istanza di un privato per il tempo sufficiente alla conclusione del procedimento dà adito all’interessato di ricorrere direttamente al giudice amministrativo ai sensi dell’art. 21 bis della legge 205/00 senza dovere previamente ricorrere alla cosiddetta diffida ad adempiere. Dunque, decorso infruttuosamente il termine per la conclusione del procedimento (si rammenta, termine il cui inserimento nella comunicazione di avvio del procedimento espresso è stato previsto dal nuovo articolo 8, comma 1, lettera c-bis), entro il termine decadenziale di un anno dal termine di conclusione del procedimento il soggetto istante può alternativamente proporre la procedura per la formazione del silenzio rifiuto ovvero ricorrere direttamente dinanzi al giudice amministrativo al fine di ottenere la declaratoria di illegittimità del silenzio. Oltre alle considerazioni inerenti il termine per presentare il ricorso, divenuto ora di 1 anno dalla proposizione dell’istanza, le maggiori perplessità sollevate dal comma in commento concernono un minimo ma rilevantissimo inciso aggiunto dalla L. 80; si legge, infatti, nel testo vigente che il giudice amministrativo può conoscere della fondatezza dell'istanza. L’ampiezza dei poteri cognitori del giudice amministrativo in tema di silenzio sono stati sempre molto dibattuti ma, recentemente, sembrava che a seguito di una pronuncia dell’Adunanza Plenaria [21] la questione fosse risolta nel senso che il giudizio dovesse avere ad oggetto esclusivamente la valutazione della legittimità o meno del silenzio e che, pertanto, il giudice avesse esclusivamente il potere di imporre all’amministrazione di provvedere non potendo, invece, intervenire nel merito della richiesta anche se il procedimento nell’ambito del quale essa era stata presentata possedesse natura vincolata. Ora, la “leggiadra” [22] disposizione contenuta nella L. 80 sconvolge il sistema faticosamente composto dalla sentenza sopra ricordata e pone nuovi, rilevanti, dubbi. Innanzitutto, il giudice amministrativo può (come espressamente il testo indica) o deve verificare la fondatezza dell’istanza? Se, come si ritiene per aderenza letterale al testo e per non dare alla disposizione già critica di per sé un valore ultroneo a quello proprio, si dovesse ritenere che il giudice abbia solo la facoltà di valutare o meno la fondatezza della pretesa [23] e ciò non gli sia imposto dalla norma, tale facoltà può essere esercitata anche nel caso in cui il procedimento oggetto del silenzio fosse di natura discrezionale? Inoltre, può il giudice amministrativo compiere le opportune valutazioni e, se del caso, decidere la controversia nel merito nei ridotti tempi concessi dall’esperimento della procedura abbreviata di cui all’articolo 21-bis della Legge 205/00? Infine, il potere di valutare la fondatezza della richiesta è esercitabile soltanto laddove l’istante ne faccia espressa richiesta in sede di presentazione del ricorso o sempre, cioè anche d’ufficio (con buona pace del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato) [24]?

Articolo 3-bis Uso della telematica, comma 1

Per conseguire maggiore efficienza nella loro attività, le amministrazioni pubbliche incentivano l’uso della telematica, nei rapporti interni, tra le diverse amministrazioni e tra queste e i privati.

L’articolo in commento introduce il principio secondo il quale le pubbliche amministrazioni incentivano l’uso della telematica sia nei rapporti interni che in quelli esterni (altre amministrazioni, privati, ecc.).

Questa disposizione che potrebbe apparire da un punto di vista meramente giuridico del tutto residuale rispetto alle restanti, ha un rilevante impatto sotto l’aspetto organizzativo. Essa si inserisce in modo puntuale nel filone di attuazione del piano e-governement del Governo secondo cui (esemplificando in modo davvero drastico) i programmi di riforma della Pubblica Amministrazione si basano sul potenziamento e sull’utilizzo innovativo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. In questo filone possono rintracciarsi ulteriori atti normativi:

- L’art. 14 del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 nella parte in cui attribuisce alla trasmissione del documento informatico per via telematica, con modalità che assicurino l'avvenuta consegna lo stesso valore giuridico della notificazione per mezzo della posta nei casi consentiti dalla legge (comma 3).

- La direttiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri sull’ impiego della posta elettronica nelle pubbliche amministrazioni (27.11.03).

- Il Codice dell'amministrazione digitale, emanato con D.Lgs. 07.03.05 n. 82, il quale prevede:

- all'art. 6 che le pubbliche amministrazioni devono utilizzare la posta elettronica certificata "per ogni scambio di documenti e informazioni con i soggetti interessati che ne fanno richiesta e che hanno preventivamente dichiarato il proprio indirizzo di posta elettronica certificata" (comma 1), estendendo tale previsione anche "alle pubbliche amministrazioni regionali e locali salvo che non sia diversamente stabilito" (comma 2);

- all'art. 50, che le "comunicazioni tra le pubbliche amministrazioni, avvengono di norma mediante l'utilizzo della posta elettronica" (comma 1) e che, entro 24 mesi dall'entrata in vigore del proposto Codice, venga istituita presso ogni P.A. "almeno una casella di posta elettronica istituzionale e ed una casella di posta elettronica certificata … per ciascun registro di protocollo" (comma 3, lett. a);

- all’articolo 51, che dovrebbe sostituire il prima incontrato art. 14 del D.P.R. 445/00, viene quindi previsto l'utilizzo della oggi istituita posta elettronica certificata nella "trasmissione telematica di comunicazioni che necessitano di una ricevuta di invio e di una ricevuta di consegna" (comma 1), con la precisazione che la stessa trasmissione telematica "equivale alla notificazione per mezzo della posta nei casi consentiti dalla legge" (comma 2).

- Il regolamento in tema di posta elettronica certificata, emanato con D. 02.11.05, secondo cui la comune email diventerà a breve un sistema di posta elettronica nel quale è fornita al mittente documentazione elettronica, con valenza legale, attestante l'invio e la consegna di documenti informatici.

Dalla lettura delle disposizioni cui si è fatto cenno si comprende come il Legislatore abbia individuato l’informatizzazione quale uno dei mezzi principali attraverso cui raggiungere l’obiettivo di snellire le attività amministrative e di rendere, in una parola, maggiormente efficienti le pubbliche amministrazioni. Nel proseguo del commento si farà cenno ai casi in cui l’applicazione del principio contenuto in questa norma potrà facilitare gli “appesantiti” oneri procedimentali ricadenti sugli uffici pubblici.

 

2. CAPO II RESPONSABILE DEL PROCEDIMENTO

Articolo 6 Compiti del responsabile del procedimento, comma 1 lettera e

Il responsabile del procedimento: adotta, ove ne abbia la competenza, il provvedimento finale, ovvero trasmette gli atti all'organo competente per l'adozione. L’organo competente per l’adozione del provvedimento finale, ove diverso dal responsabile del procedimento, non può discostarsi dalle risultanze dell’istruttoria condotta dal responsabile del procedimento se non indicandone la motivazione nel provvedimento finale.

Il Capo II della legge è dedicato alla figura del responsabile del procedimento (cosiddetto leading authority) ossia a colui che funge da guida per l’interno e da recettore per l’esterno; colui che è l’unico responsabile [25] dell’andamento del procedimento e dovrà risponderne nel caso in cui il procedimento non rispetti i principi evidenziati nel capo I della stessa Legge. Come è stato sottolineato da più commentatori, l’individuazione della figura del responsabile del procedimento ha comportato un “…meccanismo competitivo salutare, potenzialmente idoneo a scardinare il preesistente sistema collusivo, fondato sull’anonimato, sul palleggiamento di responsabilità, sulla copertura reciproca [26].

La disposizione innovativa in commento, prevedendo che il responsabile dell’adozione del provvedimento finale debba motivare le ragioni per le quali si discosti dal contenuto dell’istruttoria, rafforza ulteriormente la figura del responsabile del procedimento.  E’ certamente vero che, come sopra accennato, la disposizione attribuisce ulteriore potere al responsabile del procedimento e che quindi essa sotto questo punto di vista non può che essere considerata quale una disposizione di chiusura coerente con gli ampi poteri (inizialmente solo istruttori) attribuiti al responsabile del procedimento. E’ altrettanto vero che essa dal punto di vista dell’organizzazione amministrativa scardina un sistema secolare di rapporti gerarchici spesso improntati a mantenere riservati eventuali dissapori esistenti. Prima di vedere in dettaglio quelli che possono essere i problemi principali, è opportuno precisare che il procedimento amministrativo non è solo quello di scuola in cui devono comporsi una pluralità d’interessi, dove saranno necessarie conferenze di servizi, accordi tra amministrazioni, richieste di pareri, ecc. Il procedimento amministrativo spesso consta di una sequenza di atti più o meno ripetitivi, spesso quantitativamente rilevanti, che impongono solo una verifica di determinate situazioni o controlli più o meno formali circa alcune circostanze di fatto o diritto esistenti. Ciò posto, la nuova disposizione comporta, dal punto di vista organizzativo interno: che l’istruttoria dovrà necessariamente concludersi con una relazione scritta anche quando non contenga elementi tali da richiedere un’attenta valutazione da parte del dirigente; che questi dovrà valutarne la portata e in caso voglia dissentirne, in considerazione anche della minore conoscenza della pratica e della normativa specifiche rispetto a quella del funzionario, oltre a doverne relazionare per iscritto le ragioni si assumerà un monte di responsabilità non indifferente. In definitiva comporterà un irrigidimento procedurale, sicuramente giustificato dalla necessaria responsabilizzazione del personale afferente alla pubblica amministrazione ed in linea con la nuova visione che il Legislatore vuole attribuire alla pubblica amministrazione, ma, forse, non immediatamente assorbibile da parte di molti enti pubblici.

 3. CAPO III PARTECIPAZIONE AL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO

Articolo 8 Modalità e contenuti della comunicazione di avvio del procedimento, comma 2 lettera c-bis e c-ter

Nella comunicazione debbono essere indicati:

la data entro la quale, secondo i termini previsti dall’articolo 2, commi 2 o 3, deve concludersi il procedimento e i rimedi esperibili in caso di inerzia dell’amministrazione;

nei procedimenti ad iniziativa di parte, la data di presentazione della relativa istanza;

Prima della L. 241, la partecipazione al procedimento amministrativo non costituiva regola generale, ma era prevista esclusivamente per alcuni procedimenti; le disposizioni contenute nella L. 241 hanno trasformato, invece, la partecipazione in regola generale. In particolare, l’originaria formulazione dell'art. 8 individuava il contenuto della comunicazione consistente nell'indicazione dell'amministrazione competente, dell'oggetto del procedimento promosso, dell'ufficio e della persona responsabile del procedimento, nonché dell'ufficio in cui si può prendere visione degli atti. Nel caso di difetto di comunicazione, il provvedimento era illegittimo per violazione di legge e la relativa illegittimità poteva essere fatta valere unicamente dal soggetto interessato. In sostanza, con la previsione normativa in commento, si attribuiva massimo risalto alla fase istruttoria quale momento di rappresentazione e ponderazione degli interessi coinvolti nel procedimento. Non è semplice, in prima lettura della novella legislativa, comprendere se il principio della comunicazione di avvio del procedimento risulti dalla stessa rafforzato o sminuito. Su di esso, infatti, incidono due disposizioni di (quantomeno apparente) opposto significato. Con la seconda, di cui si tratterà per motivi sistematici nel paragrafo relativo al Capo IV-bis, viene espressamente prevista una deroga all’invalidità formale dei procedimenti amministrativi affermandosi che il provvedimento amministrativo non è annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Con la prima, viceversa, al contenuto necessario della comunicazione di avvio del procedimento sono aggiunte due previsioni concernenti la data di conclusione dello stesso e quella di ricevimento dell’istanza.

Quanto alla data entro cui il procedimento deve concludersi e all’indicazione dei rimedi esperibili contro l’inerzia della pubblica amministrazione, essa si inserisce nel filone garantista nei confronti del cittadino ed ha la finalità di renderlo edotto di un termine che, laddove la pubblica amministrazione procedente abbia adottato nel regolamento sulla durata dei procedimenti un termine specifico, può anche non coincidere con i canonici 30 giorni. Questo termine assume oggi un valore ancora maggiore in considerazione di quanto già detto in commento del comma 4-bis dell’articolo 2.

Di maggiore portata applicativa appare la seconda disposizione, contenuta nella lettera c-ter, in quanto in essa, dedicata specificamente ai procedimenti ad istanza di parte, si sancisce che deve essere comunicata all’istante la data di ricevimento da parte della pubblica amministrazione dell’istanza che ha originato il procedimento. Fino ad oggi la costante interpretazione giurisprudenziale del principio della comunicazione dell’avvio del procedimento era, infatti, stata nel senso della non sussistenza dell’obbligo di comunicazione in alcuni casi tra i quali quello in cui l’istanza procedimentale provenisse direttamente dalla parte privata; adesso, alla luce della disposizione normativa può ben dirsi che la comunicazione di avvio del procedimento sia stata ulteriormente generalizzata e debba essere resa nota sia all’interessato che al controinteressato. Questa previsione è stata letta da molti come un aggravio, e non piccolo, delle incombenze procedimentali delle pubbliche amministrazioni; ciò è senz’altro vero e discende dal contrasto quasi inevitabile intercorrente tra qualità dei servizi e onerosità degli stessi di cui si tratterà nel paragrafo finale. La speranza è che le disposizioni contenute nel comma 3 del presente articolo (forme sostitutive di pubblicità nei casi di difficile individuazione o possibilità di raggiungere i destinatari) e, soprattutto, la possibilità di operare anche attraverso mezzi telematici, dovrebbero consentire di rendere sopportabile (o, quantomeno, meno insopportabile) questa ulteriore generalizzazione dell’obbligo comunicativo dell’avvio del procedimento. Quanto alla definizione del termine “interessati” è peraltro opportuno che in esso siano fatti rientrare non solo gli istanti, ma anche coloro i quali dal procedimento potrebbero subire un pregiudizio (cioè, gli eventuali controinteressati).

Articolo 10-bis Comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza

Nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l’autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all’accoglimento della domanda. Entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, gli istanti hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti. La comunicazione di cui al primo periodo interrompe i termini per concludere il procedimento che iniziano nuovamente a decorrere dalla data di presentazione delle osservazioni o, in mancanza, dalla scadenza del termine di cui al secondo periodo. Dell’eventuale mancato accoglimento di tali osservazioni è data ragione nella motivazione del provvedimento finale. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano alle procedure concorsuali e ai procedimenti in materia previdenziale e assistenziale sorti a seguito di istanza di parte e gestiti dagli enti previdenziali.

Con disposizione affatto innovativa il Legislatore, arricchendo con un nuovo istituto i già ampi margini di partecipazione al procedimento amministrativo, sancisce che nei procedimenti ad istanza di parte qualora l’istruttoria si sia conclusa con esito negativo il procedimento debba essere sospeso (nel testo, in realtà, si parla impropriamente di “interruzione” [27]) per dare modo al responsabile del procedimento o al titolare del potere decisorio di comunicare le ragioni ostative all’accoglimento dell’istanza.

Prima di procedere nell’analisi del testo pare opportuno soffermarsi sulle ragioni poste alla base della disposizione in commento. Infatti, se ad un primo rapido esame potrebbe sembrare che la ratio sia da rinvenire nella volontà di perseguire la massima trasparenza e la più ampia tutela possibile a garanzia degli interessi del privato istante (taluni hanno parlato anche di applicazione del principio di buona fede da parte della pubblica amministrazione), in realtà non pare dubbio che con la disposizione in commento il Legislatore abbia voluto introdurre anche uno strumento di deflazione del contenzioso: per l’ultima volta l’istante può rappresentare le proprie ragioni all’organo amministrativo prima che, emanato il provvedimento finale negativo, unico organo competente a valutare la legittimità del provvedimento sia quello giurisdizionale. E’ indubitabile che in questo modo vi sia senz’altro una riduzione del contenzioso nel caso di procedimenti nei quali sono coinvolti solamente amministrazione e istante; possono, viceversa, avanzarsi legittimi dubbi circa il raggiungimento di questo scopo laddove nel procedimento amministrativo siano coinvolti una pluralità di interessi.

Quanto al dettato normativo, la disposizione in commento prevede che nei procedimenti ad istanza di parte, al termine dell’istruttoria e laddove l’esito sia nel senso di un mancato accoglimento delle ragioni dell’istante, prima dell’atto decisionale finale sia introdotto un’ulteriore fase procedimentale volta a rendere edotti gli istanti della ragioni che indurrebbero al non accoglimento della loro richiesta e ad ottenere eventuali osservazioni e/o documentazioni atte ad incidere sulla decisione. Su queste dovrà essere svolta un’ulteriore breve fase istruttoria le cui motivazioni specifiche, se negative, dovranno comparire nel provvedimento finale. Da questa innovativa fase procedurale sono esenti solo le procedure concorsuali, a causa del numero dei partecipanti, e quelle in materia previdenziale ed assistenziale, per evidenti ragioni di celerità del procedimento [28].

Questa ultima considerazione porta a evidenziare il rovescio della medaglia di questa disposizione. Se, infatti, essa consente una ancora più ampia partecipazione al procedimento e se dovrebbe consentire una diminuzione del contenzioso, dall’altra parte appesantisce notevolmente l’attività della pubblica amministrazione. Pur essendo, pertanto, positivo il giudizio d’insieme, si sarebbe forse potuto evitare di prevedere la fase procedimentale in commento come obbligatoria e la si sarebbe potuta introdurre solo in via facoltativa, laddove cioè, esercitando la normale discrezionalità amministrativa il responsabile del procedimento ritenesse la stessa congrua al caso di specie e rispondente al principio del buon andamento e del non aggravamento del procedimento amministrativo. E’ ovvio, comunque, l’intento di ampliare sempre più la possibilità concessa ai cittadini di intervenire nel procedimento e di fare valere le loro ragioni prima che la pubblica amministrazione adotti l’atto affinchè, proprio, anche il momento dell’adozione dell’atto sia compiuto avendo presenti quanto più interessi possibile siano coinvolti nello stesso.

Articolo 11 Accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento, commi 1 e 4 bis

1. In accoglimento di osservazioni e proposte presentate a norma dell'articolo 10, l'amministrazione procedente può concludere, senza pregiudizio dei diritti dei terzi, e in ogni caso nel perseguimento del pubblico interesse, accordi con gli interessati al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale ovvero, nei casi previsti dalla legge, in sostituzione di questo.

4-bis. A garanzia dell’imparzialità e del buon andamento dell’azione amministrativa, in tutti i casi in cui una pubblica amministrazione conclude accordi nelle ipotesi previste al comma 1, la stipulazione dell’accordo è preceduta da una determinazione dell’organo che sarebbe competente per l’adozione del provvedimento.

Mediante gli accordi procedimentali, introdotti dall’articolo 11 della L. 241 nell’ottica del modello di esercizio consensuale dei pubblici poteri, il Legislatore ha voluto proseguire quella strada, già percorsa con i contratti ad oggetto pubblico, volta ad ammettere la possibilità che l’interesse pubblico possa essere perseguito anche mediante un incontro di volontà tra pubblica amministrazione e privati: la misura negoziale, cioè, diventa uno degli strumenti attraverso i quali la pubblica amministrazione può perseguire il fine pubblicistico. Secondo questa impostazione, cioè, il potere discrezionale della pubblica amministrazione non si impone sul privato in modo autoritativo ma costituisce l’oggetto di un accordo con lo stesso. In concreto l’articolo 11 prevede la possibilità che la pubblica amministrazione concluda un procedimento ed apponga a questo un accordo che ne determini alcuni aspetti (accordo integrativo) ovvero che, nei casi espressamente previsti, sostituisca il provvedimento finale di un procedimento amministrativo con un atto negoziale (accordo sostitutivo). Questi accordi sono sottoposti alle normali regole contrattuali, ferma restando la possibilità che la pubblica amministrazione receda dagli accordi (con previsione, semmai di un indennizzo) nel caso del sopravvenire di nuovi interessi pubblici.

La legge di riforma incide sulla disposizione in commento in modo minimo dal punto di vista quantitativo; la modifica è, invece, molto rilevante dal punto di vista sostanziale. La problematica pratica prevalente riscontrata in sede di applicazione dell’articolo 11 della L. 241 era stata rinvenuta nell’applicazione degli accordi sostitutivi; infatti, mentre era sempre possibile stipularne di integrativi laddove questo rispondesse ad un interesse pubblico, per i sostitutivi era prevista l’applicazione del principio di tipicità: essi, cioè, potevano essere stipulati solo nei casi previsti dalla legge (perlopiù riscontrati in materia urbanistica in senso lato). Questo perché il Legislatore dell’epoca aveva ritenuto che la determinazione circa l’opportunità di concludere accordi sostitutivi, determinando essi la diretta produzione di effetti giuridici, non potesse essere lasciata alla mera discrezionalità del responsabile del procedimento ma dovesse essere maggiormente vincolata [29]. Ora, la nuova norma con due minime operazioni giuridiche regola diversamente l’istituto degli accordi sostitutivi: escludendo anche per essi l’applicazione del principio di tipicità (espunzione dal testo normativo del comma 1 dell’inciso “nei casi previsti dalla legge”), ribadendo comunque la particolare rilevanza di questo tipo di accordi mediante l’aggiunta all’articolato originario di un comma (il 4 bis) che sancisce la necessità che la conclusione dell’accordo sia preceduta da una determinazione dell’organo che sarebbe competente per l’adozione del provvedimento. Questa disposizione pare particolarmente rilevante poiché pur contribuendo a rallentare l’iter procedurale consente di salvaguardare i diversi interessi in gioco. In particolare, si ritiene, infatti, che essa sia finalizzata a rendere manifeste le ragioni per le quali la pubblica amministrazione abbia ritenuto opportuno procedere all’accordo, nell’ottica dei principi propri dell’evidenza pubblica [30]. Trattandosi di atto interno, la deliberazione sarà autonomamente impugnabile solo nel caso in cui essa sia immediatamente lesiva.

Pertanto, anche se non sono mancate alcune voci di dissenso [31], può dirsi che la modifica ora succintamente analizzata  possa realizzare le proprie finalità: incrementare i casi di utilizzo dello strumento negoziale accrescendo, peraltro, tramite il nuovo comma 4-bis la garanzia circa il legittimo operato della pubblica amministrazione contraente. Infine, può anche essere evidenziato che il comma da ultimo citato sembra anche dare risposta normativa alle questioni alimentatesi nella vigenza del precedente testo circa la natura pubblicistica o privatistica degli accordi [32]: la presenza di un necessario atto di “autorizzazione” alla stipula fa ritenere che agli accordi sostitutivi possa essere attribuita natura pubblicistica; in questo senso, il recesso di cui al comma 4 dell’articolo 11 e la revoca di cui all’articolo 21-quinquies (accomunati dalla matrice comunitaria di tutela del legittimo affidamento e dal conseguente obbligo di indennizzo) possono in un certo senso dirsi coincidenti: il recesso dai contratti sostitutivi, cioè, potrebbe assumere i caratteri del provvedimento amministrativo [33]. Di diverso avviso è chi ritiene che, sempre partendo dal testo della novella legislativa, si possa addivenire a diversa soluzione, ossia si possa ritenere che la natura degli accordi procedimentali sia negoziale. Questa tesi discenderebbe dalla considerazione che l’accordo debba comunque essere adottato “…secondo le norme del diritto privato che, per l’appunto, rinvengono nel principio di autonomia uno dei cardini del sistema: l’accordo, quale atto non autoritativo, deve, per legge, ritenersi stipulato secondo le norme di diritto privato e, pertanto, deve necessariamente ritenersi manifestazione di esercizio bilaterale del potere di autonomia privata previsto dall’articolo 1322 c.c. [34]. In caso di inadempimento dell’accordo integrativo, secondo quanto precisato dalla giurisprudenza, “…1. è inammissibile l’azione ex articolo 2932 cod. civ.; 2. è ammissibile l’azione contra silentium in caso di inerzia; 3. è ammissibile l’impugnativa dell’atto difforme dall’accordo deducendo come vizio di legittimità dell’atto la contrarietà all’accordo; 4. il risarcimento danno può essere chiesto in via normale come conseguenza dell’annullamento del silenzio o del provvedimento difforme dall’accordo; 5. l’azione di accertamento mero dell’inadempimento e l’azione risarcitoria diretta sono ammissibili solo quando con la conclusione dell’accordo la pubblica amministrazione abbia esaurito il suo potere discrezionale [35]. Infine, poiché a prescindere dalla natura dell’atto negoziale la determinazione preliminare è senz’altro riconducibile nel novero dei provvedimenti amministrativi, ci si può chiedere se ad essa possano essere applicati o meno gli articoli 21 quinquies e nonies. Nell’ipotesi in cui si accolga la prima soluzione la determinazione potrà essere revocata o annullata d’ufficio e, in questo caso, dovrebbe venire meno anche l’accordo che, dunque, non incontrerebbe nell’ipotesi del recesso, prevista dal comma 4 dell’articolo in commento, l’unica causa di interruzione del rapporto. Nel secondo caso, ossia se si ritenesse che la determinazione preliminare non possa essere né annullata d’ufficio né revocata (o meglio, che al momento della stipulazione dell’accordo venga meno il potere di autotutela concesso alla pubblica amministrazione), come parrebbe preferibile al fine di garantire maggiormente il contraente privato ad addivenire all’accordo, solo il recesso costituirebbe causa di interruzione dell’accordo.

 

4. CAPO IV SEMPLIFICAZIONE DELL'AZIONE AMMINISTRATIVA

L’obiettivo di ridurre i tempi del procedimento nel quale sono coinvolte più amministrazioni era stato perseguito dal Legislatore del 1990 attraverso le cosiddette conferenze di servizi; con questo termine si intendono degli incontri tra le diverse pubbliche amministrazioni coinvolte in un procedimento nei quali esse, in modo contestuale, analizzano una problematica.

L’istituto della conferenza dei servizi, già oggetto di pesante intervento sul tessuto originario da parte della legge 340/00, è stato nuovamente rivisitato in modo ampio dalla legge in commento; ciò a dimostrazione del successo riscontrato da questa forma procedimentale di composizione degli interessi. Le ragioni del successo sono presto spiegate facendo riferimento non solo alla riduzione dei termini per la conclusione del procedimento, ma anche alla concentrazione del momento istruttorio e decisorio. Le modifiche di cui parleremo nelle prossime pagine attengono principalmente alla introduzione di nuove disposizioni all’interno del testo di legge (termini e modalità per la convocazione, individuazione di un nuovo interesse sensibile, ecc.) e alla migliore esplicitazione di alcuni istituti che nella prassi quotidiana avevano dato adito a contestazioni (regolamentazione della disciplina del dissenso, modifica in termini di valutazione da compiersi in sede di conferenza decisoria da parte dell’amministrazione procedente, ecc.).

A fini esemplificativi, e per meglio seguire il discorso che verrà svolto nelle prossime pagine, può dirsi che l’oggetto delle modifiche è così riassumibile e organizzabile in articoli:

- Articolo 14 conferenza di servizi: conferenza decisoria (comma 2), conferenza interprocedimentale (comma 3), conferenza in caso di lavori pubblici (comma 5), modalità di svolgimento (comma 5 bis).

- Articolo 14-bis conferenza preliminare:  disciplina (comma 1), introduzione di un nuovo interesse sensibile (comma 2), rinvio per la gestione del dissenso (comma 3 bis).

- Articolo 14-ter lavori della conferenza: convocazione (comma 01), durata (comma 3), sospensione (comma 4), deroghe in caso di interessi sensibili (comma 5), decisione (comma 6-bis), assenso (comma 7), valore del provvedimento conclusivo (comma 9).

- Articolo 14-quater disciplina del dissenso: dissenso qualificato (comma 3), dissenso in materia di competenza esclusiva regionale (comma 3-bis), meccanismo decisionale sostitutivo (comma 3-ter), deroga alla disciplina del dissenso in caso di dissenso tra Regioni (comma 3-quater), deroga per le Regioni a Statuto Speciale e le Province Autonome (comma 3-quinquies).

- Articolo 14-quinquies conferenza in caso di finanza di progetto: modalità di svolgimento (comma 1).

Nelle prossime pagine saranno esaminati i vari istituti secondo l’ordine presente nell’articolato.

Articolo 14 Conferenza di servizi, commi 2, 3, 5, 5 bis

2. La conferenza di servizi è sempre indetta quando l'amministrazione procedente deve acquisire intese, concerti, nulla osta o assensi comunque denominati di altre amministrazioni pubbliche e non li ottenga, entro quindici giorni dall'inizio del procedimento, avendoli formalmente richiesti entro trenta giorni dalla ricezione, da parte dell’amministrazione competente, della relativa richiesta. La conferenza può essere altresì indetta quando nello stesso termine è intervenuto il dissenso di una o più amministrazioni interpellate.

3. La conferenza di servizi può essere convocata anche per l'esame contestuale di interessi coinvolti in più procedimenti amministrativi connessi, riguardanti medesimi attività o risultati. In tal caso, la conferenza è indetta dall'amministrazione o, previa informale intesa, da una delle amministrazioni che curano l'interesse pubblico prevalente. Per i lavori pubblici si continua ad applicare l'articolo 7 della legge 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni. L'indizione della conferenza può essere richiesta da qualsiasi altra amministrazione coinvolta.

5. In caso di affidamento di concessione di lavori pubblici la conferenza di servizi è convocata dal concedente ovvero, con il consenso di quest’ultimo, dal concessionario entro quindici giorni fatto salvo quanto previsto dalle leggi regionali in materia di valutazione di impatto ambientale (VIA) (2). Quando la conferenza è convocata ad istanza del concessionario spetta in ogni caso al concedente il diritto di voto.

5-bis. Previo accordo tra le amministrazioni coinvolte, la conferenza di servizi è convocata e svolta avvalendosi degli strumenti informatici disponibili, secondo i tempi e le modalità stabiliti dalle medesime amministrazioni.

La conferenza dei servizi è definita istruttoria quando (ai sensi del comma 1 dell’articolo 14, non interessato dalle modifiche della legge in commento) essa è convocata al fine di effettuare un esame contestuale di vari interessi pubblici coinvolti in un procedimento amministrativo. In questi casi, la conferenza non costituisce espressamente uno strumento obbligatorio anche se parte della dottrina, a seguito della modifica introdotta dalla legge 340/00, ritiene che la sua non utilizzazione possa essere ammessa solo in casi di particolare urgenza [36].

La conferenza dei servizi decisoria, oggetto di modifica, è disciplinata dal comma 2 dell’articolo in commento. Alla luce della novella legislativa la conferenza:

- può essere indetta quando l’Amministrazione procedente abbia inoltrato la proposta di decisione e su questa abbia ricevuto dei dissensi;

- deve essere indetta quando nel termine previsto dalla norma (aumentato a 30 giorni e il cui decorso è ora ancorato alla ricezione della richiesta da parte  dell’amministrazione invitata) non sia pervenuto quanto richiesto.

La conferenza interprocedimentale disciplinata dal comma 3 della legge, ossia quella nella quale esistano più procedimenti che pur essendo appannaggio di diverse Amministrazioni ruotano tutti intorno al medesimo oggetto, è stata fatta oggetto di un piccolo ritocco laddove si è abrogato l’articolo 7 della legge 109/94 il quale prevedeva che per ciascuna fase di attuazione dell’intervento fosse previsto un responsabile unico.

In caso di affidamento di concessione di lavori pubblici, inoltre, la novella (comma 5) prevede che la conferenza possa essere convocato anche dal concessionario pur rimanendo in capo al concedente il diritto di voto.

Infine, particolarmente rilevante è quanto contenuto nel comma 5-bis dell’articolo in commento, secondo il quale la conferenza di servizi possa essere convocata e svolta anche mediante mezzi telematici: per un commento al principio generale desumibile da questa disposizione si rinvia a quanto detto relativamente all’articolo 3-bis.

Articolo 14-bis Conferenza di servizi preliminare, commi 1, 2, 3 bis

1. La conferenza di servizi può essere convocata per progetti di particolare complessità e di insediamenti produttivi di beni e servizi, su motivata e documentata richiesta dell'interessato su motivata richiesta dell’interessato, documentata, in assenza di un progetto preliminare, da uno studio di fattibilità, prima della presentazione di una istanza o di un progetto definitivi, al fine di verificare quali siano le condizioni per ottenere, alla loro presentazione, i necessari atti di consenso. In tale caso la conferenza si pronuncia entro trenta giorni dalla data della richiesta e i relativi costi sono a carico del richiedente.

2. Nelle procedure di realizzazione di opere pubbliche e di interesse pubblico, la conferenza di servizi si esprime sul progetto preliminare al fine di indicare quali siano le condizioni per ottenere, sul progetto definitivo, le intese, i pareri, le concessioni, le autorizzazioni, le licenze, i nullaosta e gli assensi, comunque denominati, richiesti dalla normativa vigente. In tale sede, le amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità, si pronunciano, per quanto riguarda l'interesse da ciascuna tutelato, sulle soluzioni progettuali prescelte. Qualora non emergano, sulla base della documentazione disponibile, elementi comunque preclusivi della realizzazione del progetto, le suddette amministrazioni indicano, entro quarantacinque giorni, le condizioni e gli elementi necessari per ottenere, in sede di presentazione del progetto definitivo, gli atti di consenso.

3-bis. Il dissenso espresso in sede di conferenza preliminare da una amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico, della salute o della pubblica incolumità, con riferimento alle opere interregionali, è sottoposto alla disciplina di cui all’articolo 14-quater, comma 3.

La conferenza di servizi preliminare (definita nella prassi anche predecisoria) costituisce una terza via rispetto alla conferenza istruttoria e a quella decisoria. Essa, infatti, è convocata prima dell’effettiva esigenza dell’instaurarsi di un procedimento ed ha la funzione di fare sì che le amministrazioni coinvolte determinino anticipatamente l’intenzione di esprimere un assenso sul progetto (cosiddetta esternazione in via preventiva). In pratica, la conclusione positiva della conferenza di servizi comporta la presentazione del progetto e, in sostanza, l’avvio di un procedimento sul cui risultato finale vi è già un accordo di massima.

Le novità delle novella legislativa concernono, quanto al comma 1 (laddove, cioè, la conferenza preliminare possa essere convocata su richiesta di parte), l’estensione dei casi di utilizzo della stessa, non più circoscritti ai soli progetti di particolare complessità ma comprendenti ora anche le ipotesi di insediamenti produttivi di beni e servizi. Altro spunto di rilievo è dato dall’ampliamento dei presupposti occorrenti per la convocazione non essendo più necessario allegare alla richiesta di convocazione il progetto preliminare potendo questo essere sostituito da un mero studio di fattibilità.

Ulteriori novità sono rinvenibili nel successivo comma 2 (per le cui fattispecie, a differenza del comma 1, la conferenza deve obbligatoriamente essere convocata) laddove nel novero delle amministrazioni tutelatrici di interessi sensibili (quelle preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute) sono aggiunte anche le amministrazioni preposta alla tutela della pubblica incolumità (Vigili del fuoco, Corpo forestale, ecc.).

Infine, al comma 3-bis si prevede che il procedimento cosiddetto rinforzato in caso di dissenso (di cui si parlerà in sede di commento all’articolo 14-quater comma 3) possa essere utilizzato anche nelle conferenze preliminari laddove il dissenso sia espresso con riferimento a opere interregionali.

Come si vede, tutte le modifiche perseguono il fine di attribuire maggiore dignità a questo tipo particolare di conferenza e di snellire ulteriormente la procedura per essa utilizzabile.

Articolo 14-ter Lavori della conferenza di servizi, commi 01, 3, 4, 6 bis, 7, 9

01. La prima riunione della conferenza di servizi è convocata entro quindici giorni ovvero, in caso di particolare complessità dell’istruttoria, entro trenta giorni dalla data di indizione.

3. Nella prima riunione della conferenza di servizi, o comunque in quella immediatamente successiva alla trasmissione dell'istanza o del progetto definitivo ai sensi dell'articolo 14-bis, le amministrazioni che vi partecipano determinano il termine per l'adozione della decisione conclusiva. I lavori della conferenza non possono superare i novanta giorni, salvo quanto previsto dal comma 4. Decorsi inutilmente tali termini, l'amministrazione procedente provvede ai sensi dei commi 2 e seguenti dell'articolo 14-quater ai sensi dei commi 6-bis e 9 del presente articolo.

4. Nei casi in cui sia richiesta la VIA, la conferenza di servizi si esprime dopo aver acquisito la valutazione medesima ed il termine di cui al comma 3 resta sospeso, per un massimo di novanta giorni, fino all’acquisizione della pronuncia sulla compatibilità ambientale. Se la VIA non interviene nel termine previsto per l'adozione del relativo provvedimento, l'amministrazione competente si esprime in sede di conferenza di servizi, la quale si conclude nei trenta giorni successivi al termine predetto. Tuttavia, a richiesta della maggioranza dei soggetti partecipanti alla conferenza di servizi, il termine di trenta giorni di cui al precedente periodo è prorogato di altri trenta giorni nel caso che si appalesi la necessità di approfondimenti istruttori.

5. Nei procedimenti relativamente ai quali sia già intervenuta la decisione concernente la VIA le disposizioni di cui al comma 3 dell'articolo 14-quater, nonché quelle di cui agli articoli 16, comma 3, e 17, comma 2, si applicano alle sole amministrazioni preposte alla tutela della salute, pubblica del patrimonio storico-artistico e della pubblica incolumità.

6-bis. All’esito dei lavori della conferenza, e in ogni caso scaduto il termine di cui al comma 3, l’amministrazione procedente adotta la determinazione motivata di conclusione del procedimento, valutate le specifiche risultanze della conferenza e tenendo conto delle posizioni prevalenti espresse in quella sede.

7. Si considera acquisito l'assenso dell'amministrazione il cui rappresentante non abbia espresso definitivamente la volontà dell'amministrazione rappresentata. e non abbia notificato all'amministrazione procedente, entro il termine di trenta giorni dalla data di ricezione della determinazione di conclusione del procedimento, il proprio motivato dissenso, ovvero nello stesso termine non abbia impugnato la determinazione conclusiva della conferenza di servizi.

9. Il provvedimento finale conforme alla determinazione conclusiva di cui al comma 6-bis sostituisce, a tutti gli effetti, ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti, o comunque invitate a partecipare ma risultate assenti, alla predetta conferenza.

Anche le modifiche compiute sull’articolo in commento mirano alla semplificazione dell’iter procedurale.

Innanzitutto, è aggiunto un primo comma (anzi, un comma 01!) a tenore del quale è indicato un termine massimo entro il quale deve essere convocata la prima riunione; inoltre (comma 1), affinchè la convocazione sia valida è sufficiente che essa pervenga con cinque giorni di anticipo rispetto alla data prevista. I lavori della conferenza, infine, salvo i casi in cui a causa della richiesta di valutazione di impatto ambientale possano rimanere sospesi per novanta giorni, devono concludersi entro novanta giorni decorsi i quali l’amministrazione procedente è tenuta ad adottare la determinazione conclusiva (comma 3).

La modifica più rilevante apportata alla disciplina dei lavori è senz’altro quella contenuta nel nuovo comma 6-bis a norma del quale la determinazione di conclusione della conferenza è adottato non già in ossequio al principio della maggioranza delle posizioni espresse, bensì a quello della prevalenza delle posizioni espresse. Non più, dunque, solo una considerazione numerica ma una valutazione di sostanza che tenga conto: dell’importanza dell’interesse pubblico di cui ciascuna amministrazione è portatrice, del potere che ciascuna di esse avrebbe nel determinare l’esito del procedimento. La norma, non orientando in alcun modo l’operazione concettuale da seguire finisce per attribuire una forte discrezionalità al responsabile del procedimento.

Infine, il comma 9 (letto assieme al comma 7) è dettato dalla volontà di chiarire in modo certo una duplicità di problematiche:

1. quale natura giuridica assuma la conferenza di servizi;

2. che incidenza abbia la mancata partecipazione ad essa.

Quanto al primo profilo, viene confermata la tesi giurisprudenziale secondo cui essa ha la natura di modulo organizzatorio. Difatti, è espressamente previsto che la determinazione conclusiva sia successivamente supportata da un provvedimento espresso, ovviamente conforme a quanto risultato a conclusione della conferenza, che sostituisca ogni altro atto di competenza delle amministrazioni partecipanti.

Quanto al secondo punto, l’abrogazione della parte finale del comma 7 e l’inciso “ma risultate assenti” introdotto nel comma 9 consentono di accertare in modo univoco come le amministrazioni che pur avendo ricevuto l’invito a partecipare non abbiano partecipato ai lavori siano ugualmente coinvolte nell’ (potremmo dire, ugualmente partecipi dell’) esito procedimentale.

Articolo 14-quater Effetti del dissenso espresso nella conferenza di servizi, commi 3, 3 bis, 3 ter, 3 quater, 3 quinquies

3. Se il motivato dissenso è espresso da un’amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità, la decisione è rimessa dall’amministrazione procedente, entro dieci giorni: a) al Consiglio dei ministri, in caso di dissenso tra amministrazioni statali; b) alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, di seguito denominata «Conferenza Stato-regioni», in caso di dissenso tra un’amministrazione statale e una regionale o tra più amministrazioni regionali; c) alla Conferenza unificata, di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, in caso di dissenso tra un’amministrazione statale o regionale e un ente locale o tra più enti locali. Verificata la completezza della documentazione inviata ai fini istruttori, la decisione è assunta entro trenta giorni, salvo che il Presidente del Consiglio dei ministri, della Conferenza Stato-regioni o della Conferenza unificata, valutata la complessità dell’istruttoria, decida di prorogare tale termine per un ulteriore periodo non superiore a sessanta giorni.

3-bis. Se il motivato dissenso è espresso da una regione o da una provincia autonoma in una delle materie di propria competenza, la determinazione sostitutiva è rimessa dall’amministrazione procedente, entro dieci giorni: a) alla Conferenza Stato-regioni, se il dissenso verte tra un’amministrazione statale e una regionale o tra amministrazioni regionali; b) alla Conferenza unificata, in caso di dissenso tra una regione o provincia autonoma e un ente locale. Verificata la completezza della documentazione inviata ai fini istruttori, la decisione è assunta entro trenta giorni, salvo che il Presidente della Conferenza Stato-regioni o della Conferenza unificata, valutata la complessità dell’istruttoria, decida di prorogare tale termine per un ulteriore periodo non superiore a sessanta giorni.

3-ter. Se entro i termini di cui ai commi 3 e 3-bis la Conferenza Stato-regioni o la Conferenza unificata non provvede, la decisione, su iniziativa del Ministro per gli affari regionali, è rimessa al Consiglio dei ministri, che assume la determinazione sostitutiva nei successivi trenta giorni, ovvero, quando verta in materia non attribuita alla competenza statale ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, e dell’articolo 118 della Costituzione, alla competente Giunta regionale ovvero alle competenti Giunte delle province autonome di Trento e di Bolzano, che assumono la determinazione sostitutiva nei successivi trenta giorni; qualora la Giunta regionale non provveda entro il termine predetto, la decisione è rimessa al Consiglio dei ministri, che delibera con la partecipazione dei Presidenti delle regioni interessate.

3-quater. In caso di dissenso tra amministrazioni regionali, i commi 3 e 3-bis non si applicano nelle ipotesi in cui le regioni interessate abbiano ratificato, con propria legge, intese per la composizione del dissenso ai sensi dell’articolo 117, ottavo comma, della Costituzione, anche attraverso l’individuazione di organi comuni competenti in via generale ad assumere la determinazione sostitutiva in caso di dissenso.

3-quinquies. Restano ferme le attribuzioni e le prerogative riconosciute alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano dagli statuti speciali di autonomia e dalle relative norme di attuazione.

4. Quando il dissenso è espresso da una regione, le determinazioni di competenza del Consiglio dei ministri previste al comma 3 sono adottate con l'intervento del presidente della giunta regionale interessata, al quale è inviata a tal fine la comunicazione di invito a partecipare alla riunione, per essere ascoltato, senza diritto di voto.

In modo affatto innovativo è disciplinata la possibilità che l’eventuale dissenso provenga da parte di un’Amministrazione preposta alla tutela di un interesse qualificato. In questi casi, dunque, non si può utilizzare il criterio sopra analizzato (posizioni prevalenti espresse) ma è introdotta una nuova disciplina particolarmente analitica che sembra contemplare tutti i possibili casi occorrenti (commi 3 e 3-ter).

La decisione finale, infatti, in caso di cosiddetto dissenso qualificato in sede di conferenza (non solo decisoria ma anche preliminare come già visto in sede di commento all’articolo 14-bis comma 3-bis) è assunta:

1. dal Consiglio dei Ministri in caso di dissenso tra Amministrazioni statali;

2. dalla Conferenza Stato - Regioni in caso di dissenso tra Amministrazione Statale e Regionale o tra amministrazioni Regionali tra loro;

3. dalla Conferenza Unificata in caso di dissenso tra Amministrazione Statale e Regionale e Ente Locale o Enti Locali tra loro.

4. dal Consiglio dei Ministri in via sostitutiva laddove, pur vertendosi nei casi 2 e 3 sopra indicati, la decisione non sia assunta nei termini previsti.

Che questa disposizione sia giustamente rispettosa del nuovo riparto costituzionale introdotto con la riforma del 2001 si comprende ulteriormente se si osserva che analoga procedura è prevista anche nel caso in cui il dissenso non verta in materie cosiddette qualificate ma in materie riservate alla competenza esclusiva regionale (comma 3-bis) e che tutto l’impianto ora delineato può essere derogato laddove tra le Regioni dissenzienti sussistano specifiche intese per la composizione in altro modo di eventuali contrasti (comma 3-quater). Infine, dalla circostanza che sono fatte salve le attribuzioni e le prerogative delle Regioni a Statuto Speciale e delle Province Autonome (comma 3-quinquies).

Semmai, alcune perplessità possono essere sollevate circa la modalità concreta in cui le Conferenze debbano assumere le determinazioni. Stante la natura delle stesse, occorre innanzitutto escludere che esse possano adottare veri e propri provvedimenti amministrativi; piuttosto, si tratterà di assumere decisioni che siano poi trasfuse in autonomi provvedimenti nell’ambito della Conferenza. Inoltre, quanto alle maggioranze richieste, si rinvia alle disposizioni normative che regolano le Conferenze stesse: art. 2 D.Lgs. 281/97 [37].

Articolo 14-quinquies Conferenza di servizi in materia di finanza di progetto

1. Nelle ipotesi di conferenza di servizi finalizzata all’approvazione del progetto definitivo in relazione alla quale trovino applicazione le procedure di cui agli articoli 37-bis e seguenti della legge 11 febbraio 1994, n. 109, sono convocati alla conferenza, senza diritto di voto, anche i soggetti aggiudicatari di concessione individuati all’esito della procedura di cui all’articolo 37-quater della legge n. 109 del 1994, ovvero le società di progetto di cui all’articolo 37-quinquies della medesima legge.

Completamente innovativa anche questa disposizione secondo la quale il novero dei partecipanti alla conferenza di servizi può comprendere anche i soggetti aggiudicatari di concessione ovvero le società di progetto. Nonostante si preveda espressamente che a costoro non è conferito il diritto di voto (a differenza di quanto previsto nel primo testo di legge), è molto rilevante che alla conferenza di servizi possano partecipare anche quei soggetti privati che svolgono comunque attività di rilievo pubblicistico poiché ciò comporta un’ulteriore conferma che non (più) solo la pubblica amministrazione è chiamata a perseguire finalità di interesse pubblico.

Articolo 18 Autocertificazione, comma 2

2. I documenti attestanti atti, fatti, qualità e stati soggettivi, necessari per l'istruttoria del procedimento, sono acquisiti d'ufficio quando sono in possesso dell'amministrazione procedente, ovvero sono detenuti, istituzionalmente, da altre pubbliche amministrazioni. L'amministrazione procedente può richiedere agli interessati i soli elementi necessari per la ricerca dei documenti.

Apparentemente minima la modifica operata sul comma in commento. Scompare, infatti, dal testo solo l’inciso iniziale secondo cui l’obbligo dell’acquisizione d’ufficio scatti solo nel momento in cui il privato ne facesse espressa indicazione. In concreto, può dirsi che vi è una notevole estensione del campo di applicazione della disposizione essendo ormai sempre necessario che la pubblica amministrazione acquisisca ogni informazione già presente in una sorta di “rete pubblica” senza nulla chiedere all’istante.

Articolo 19 Dichiarazione di inizio attività, commi 1, 2, 3, 4, 5

1. Ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l'esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente dall'accertamento dei requisiti e presupposti di legge o di atti amministrativi a contenuto generale e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi, con la sola esclusione degli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all'immigrazione, all'amministrazione della giustizia, alla amministrazione delle finanze, ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco, alla tutela della salute e della pubblica incolumità, del patrimonio culturale e paesaggistico e dell'ambiente, nonchè degli atti imposti dalla normativa comunitaria, è sostituito da una dichiarazione dell'interessato corredata, anche per mezzo di autocertificazioni, delle certificazioni e delle attestazioni normativamente richieste. L'amministrazione competente può richiedere informazioni o certificazioni relative a fatti, stati o qualità soltanto qualora non siano attestati in documenti già in possesso dell'amministrazione stessa o non siano direttamente acquisibili presso altre pubbliche amministrazioni.

2. L'attività oggetto della dichiarazione può essere iniziata decorsi trenta giorni dalla data di presentazione della dichiarazione all'amministrazione competente. Contestualmente all'inizio dell'attività, l'interessato ne dà comunicazione all'amministrazione competente.

3. L'amministrazione competente, in caso di accertata carenza delle condizioni, modalità e fatti legittimanti, nel termine di trenta giorni dal ricevimento della comunicazione di cui al comma 2, adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione dei suoi effetti, salvo che, ove ciò sia possibile, l'interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro un termine fissato dall'amministrazione, in ogni caso non inferiore a trenta giorni. E’ fatto comunque salvo il potere dell'amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies. Nei casi in cui la legge prevede l'acquisizione di pareri di organi o enti appositi, il termine per l'adozione dei provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione dei suoi effetti sono sospesi, fino all'acquisizione dei pareri, fino a un massimo di trenta giorni, scaduti i quali l'amministrazione può adottare i propri provvedimenti indipendentemente dall'acquisizione del parere. Della sospensione è data comunicazione all'interessato.

4. Restano ferme le disposizioni di legge vigenti che prevedono termini diversi da quelli di cui ai commi 2 e 3 per l'inizio dell'attività e per l'adozione da parte dell'amministrazione competente di provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione dei suoi effetti.

5. Ogni controversia relativa all'applicazione dei commi 1, 2 e 3 è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

La L. 241 contiene, in relazione alla semplificazione dei procedimenti amministrativi, due norme - gli articoli 19 e 20 - che innovano in modo consistente la precedente e tradizionale disciplina della cosiddetta intrapresa da parte dei privati. Le suddette disposizioni, che hanno fatto parlare di “rivoluzione copernicana” nel rapporto tra cittadini e pubblica amministrazione, sono state dapprima modificate dalla legge 24.12.93 n. 537 e successivamente dalla L. 80 in commento.

Prima di passare all’analisi del testo, pare opportuno approfondire il discorso relativo alla ratio delle disposizioni in commento. Gli articoli 19 e 20 della legge 241, nella loro formulazione originaria, regolamentavano i casi in cui l’esercizio di un’attività privata dovesse essere sottoposto ad autorizzazione, licenza, abilitazione, nulla osta, permesso o altro atto di consenso comunque denominato. Alla luce, anche, dell’art. 2 del D.P.R. 300/92, le suddette attività private risultavano così individuate:

- talune attività potevano essere esercitate a seguito della semplice denuncia (es. attività circense);

- per altre attività occorreva attendere un termine decorrente dalla denuncia, trascorso il quale si riteneva che l’attività potesse essere intrapresa (es. disciplina igienico-sanitaria sui surgelati);

- per ulteriori attività la domanda si considerava accolta qualora entro un determinato termine il privato non ricevesse il provvedimento di diniego (es. costituzione di S.p.A.).

La suddetta disciplina, peraltro già enormemente innovativa, è stata modificata dalla legge 537/93. Il c. 10 dell’articolo 2 della Legge ora citata (sostitutivo dell’art. 19 L. 241) prevedeva, infatti, che per le attività sopra indicate (autorizzazioni, nulla osta, etc.) l’atto di consenso sia sostituito dalla semplice denuncia di inizio attività da parte dell’interessato alla pubblica amministrazione competente. Chiunque, cioè, in possesso dei presupposti e dei requisiti di legge richiesti intenda intraprendere una delle attività sottoposte agli atti predetti può intraprendere realmente l’attività stessa. E’ compito della pubblica amministrazione, entro e non oltre 60 giorni dalla denuncia, verificare d’ufficio la sussistenza dei presupposti e dei requisiti di legge richiesti e disporre, se del caso, il divieto di prosecuzione salvo conformazione dell’interessato alla normativa. Nella materia delle autorizzazioni amministrative, dunque, al regime del riscontro preventivo si è sostituito un regime successivo ed eventuale (solo in caso di diniego) che si atteggia, peraltro, nelle forme dell’autotutela. Appare ben possibile, infatti, che esigenze di opportunità legate all’affidamento ingenerato nei terzi ed ai concreti risultati raggiunti consentano di mantenere in vita attività il cui esercizio appaia privo di alcuni dei requisiti richiesti. Si è detto, allora, che, in relazione al rapporto tra cittadino e pubblica amministrazione, queste disposizioni invertano l’ordine del binomio autorità-libertà: mentre prima il cittadino doveva “rincorrere” l’Amministrazione per ottenere un provvedimento, ora sarà l’Amministrazione a dover verificare che non decorrano i termini perentori trascorsi i quali il provvedimento richiesto dal privato sia non solo concesso, ma, addirittura, sia immodificabile. I limiti a tale principio sono di due tipi. Da una parte la legge (nello stesso c. 10 art. 2 L. 537) esclude l’applicazione di tale disciplina per le concessioni edilizie e le autorizzazioni rilasciate in merito alla tutela di beni storici, artistici ed archeologici ed alla tutela paesaggistica; dall’altra parte il limite ai principi sopra enunciati è dato da un regolamento [38] che esclude l’applicazione della libertà di intrapresa ai casi in cui l’atto di consenso - comunque denominato - dipenda dall’esperimento di prove che comportino valutazioni tecniche discrezionali.

Su questa situazione si è innestata la recente modifica Legislativa, introdotta non già dalla L. 15 bensì dalla L. 80; trattasi dunque, come detto in sede introduttiva, di una modifica imposta non da esigenze di restyling del procedimento amministrativo ma da esigenze di semplificazione rese necessarie per migliorare la cosiddetta competitività del Sistema Italia; alla luce di esse, dunque, il silenzio dell’amministrazione “…da apodittica interdizione dei diritti del cittadino, è stato <<trasformato>> in uno strumento sollecitatorio dei doveri della pubblica amministrazione” [39].

Soffermandoci, al momento, sull’articolo 19, può dirsi che preliminare all’analisi testuale è l’indagine circa la natura giuridica dell’istituto. Prima dell’emanazione della novella in commento dottrina e giurisprudenza prevalenti erano pressocchè concordi nel ritenere che l’articolo 19 non prevedesse un atto amministrativo vero e proprio ma che esso costituisse un atto soggettivamente ed oggettivamente privato; dopo la modifica in commento non vi è più unanimità di vedute. Mentre, infatti, taluni ritengono che non vi siano ragioni per ritenere modificata la natura giuridica dell’istituto, altri sostengono che la novella legislativa pare orientata a far ritenere che anche la denuncia di inizio attività rientri a pieno titolo tra gli atti di assenso. Quanto alla prima tesi, essa è sostenuta sia da ragioni strettamente giuridiche [40], che letterali [41]; quanto alla seconda tesi, essa è sostenuta da quanti cercano di leggere il nuovo articolato secondo una visione unitaria. Infatti, sia in considerazione del potere della pubblica amministrazione di esercitare atti di autotutela successivi allo scadere dei termini, sia in relazione al nuovo c. 2 bis del successivo articolo 21-bis, potrebbe ritenersi che l’articolo 19 configuri un vero e proprio provvedimento amministrativo, anche se sui generis, essendo regolamentato da disciplina particolare che lo caratterizza e distingue sia dai normali provvedimenti amministrativi che devono terminare con un provvedimento espresso sia da quelli per i quali si applica il silenzio assenso di cui al successivo articolo 20 [42]. Questa lettura pur potendo facilmente essere ostacolata da notazioni prettamente giuridiche pare la più aderente alla ratio complessiva della riforma, come si cercherà di argomentare nella parte iniziale del commento all’articolo 20 e nella breve annotazione al successivo articolo 21-bis [43].

Il comma 1 individua una serie di procedimenti amministrativi il cui atto terminale possa essere sostituito da una dichiarazione dell’interessato: dunque, la dichiarazione dell’interessato è integralmente sostitutiva del provvedimento amministrativo. Affinché ciò possa avvenire è necessario che ricorrano talune condizioni. Detto che l’elencazione fornita dal Legislatore deve ritenersi meramente esemplificativa, limiti alla generalizzazione della DIA (si noti che l’acronimo rimane lo stesso ma il termine esatto da Denuncia d’inizio attività si trasforma in Dichiarazione d’inizio attività) sono sia di natura oggettiva che soggettiva. Quanto ai primi, l’istituto è utilizzabile esclusivamente nel caso in cui il rilascio del provvedimento dipenda dall’accertamento di requisiti o presupposti di legge e non siano previsti limiti o contingenti; quanto ai limiti di natura soggettiva, l’istituto non è utilizzabile nel caso in cui il provvedimento debba essere rilasciato da amministrazioni che curano interessi particolarmente sensibili quali quelli relativi alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all'immigrazione, all'amministrazione della giustizia, alla amministrazione delle finanze, alla tutela della salute e della pubblica incolumità, del patrimonio culturale e paesaggistico e dell'ambiente, nonchè degli atti imposti dalla normativa comunitaria. Dunque, l’atto amministrativo richiesto ad Amministrazione diversa da quelle ora indicate è sostituito dalla DIA qualora il rilascio del provvedimento dipenda esclusivamente dall’accertamento di requisiti o presupposti di legge e non siano previsti limiti o contingenti. Nonostante l’enfasi dalla quale la disposizione è stata accompagnata e nonostante che rispetto alla pregressa normativa la DIA possa essere utilizzata anche per chiedere iscrizioni in albi o ruoli per esercizio di attività, dunque, l’applicabilità dell’istituto non è molto ampia e, inoltre, esso non è neanche semplice da comprendere e attuare.

Secondo quanto prescritto nei commi 2 e 3, la tempistica procedurale è stata allungata nel senso che, adesso, l’istante prima di iniziare l’attività deve attendere trenta giorni decorsi i quali, e previa comunicazione all’Amministrazione dell’intenzione di avviare l’attività, può realmente avviarla. Entro ulteriori trenta giorni l’Amministrazione può alternativamente:

- fare decorrere il termine senza intervenire, attribuendo, cioè, all’istante la possibilità di ottenere quanto richiesto;

- adottare un provvedimento negativo, ossia impedire all’istante di ottenere quanto richiesto;

- chiedere l’adeguamento di alcuni aspetti, concedendo all’istante quanto richiesto previa conformazione dell’attività alla normativa vigente.

Questi termini, inoltre, possono essere ulteriormente dilatati laddove sia necessario acquisire pareri; decorsi, però, trenta giorni senza che il parere sia stato reso l’Amministrazione può proseguire ugualmente l’attività istruttoria. Per concludere l’aspetto procedurale, è da ricordare che anche decorsi i termini concessi all’Amministrazione per intervenire, questa può sempre agire in sede di autotutela ai sensi degli articolo 21-quinquies (revoca) e 21-nonies (annullamento d’ufficio). Come accennato in sede di analisi della natura giuridica della D.I.A., la possibilità che la pubblica amministrazione possa esercitare provvedimenti in autotutela ha fatto ritenere che la D.I.A. dovesse configurarsi non certo come un atto privato ma come un vero e proprio provvedimento amministrativo: se così non fosse, non si comprenderebbe quale provvedimento di secondo grado si potrebbe adottare. D’altronde, critiche alla previsione dell’utilizzo dell’istituto della revoca sono giunte anche da chi fa notare che essa sia utilizzabile solo per provvedimenti di natura discrezionale mentre tutti i procedimenti per i quali è attivabile la D.I.A. dovrebbero essere procedimenti di natura vincolata [44].

Fatto un rapido cenno al c. 4 il quale prevede che le nuove norme sulla D.I.A. non inficiano la validità di ulteriori e precedenti disposizioni normative che prevedano tempi e modalità procedurali diversi (si pensi all’ipotesi principale, ossia alla cosiddetta D.I.A. edilizia disciplinata dagli articoli 22 e 23 del DPR 06.06.01, n. 380), prima di concludere deve dirsi del comma 5, inerente la giurisdizione. Infatti, con norma affatto innovativa viene attribuita al giudice amministrativo la giurisdizione esclusiva in materia. A parte ogni ulteriore considerazione sulla natura giuridica dell’istituto (anche questo comma farebbe deporre, ormai, per una natura provvedimentale e non privatistica) l’attribuzione delle controversie alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo è stata criticata da quanti ritengono che l’atto amministrativo non sia presente e che, pertanto, alla pubblica amministrazione potrebbe essere semmai imputato un comportamento [45].

In definitiva, trattasi di una norma decretata d’urgenza che risente di tutti gli aspetti deteriori dell’emergenzialità. Attraverso essa, anziché chiarirsi taluni aspetti della D.I.A., si sono posti ulteriori dubbi e, forse, come suggerito recentemente, sarebbe preferibile compiere “…un censimento di tutte le autorizzazioni attualmente previste dall’ordinamento, procedendo ad una nuova eliminazione di quelle che si ritengono inutili, ma, per quelle ancora necessarie…” [46] prevedere il rilascio di provvedimenti espressi.

Articolo 20 Silenzio assenso, commi 1, 2, 3, 4, 5

1. Fatta salva l'applicazione dell'articolo 19, nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi il silenzio dell'amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide, se la medesima amministrazione non comunica all'interessato, nel termine di cui all'articolo 2, commi 2 o 3, il provvedimento di diniego, ovvero non procede ai sensi del comma 2.

2. L'amministrazione competente può indire, entro trenta giorni dalla presentazione dell'istanza di cui al comma 1, una conferenza di servizi ai sensi del capo IV, anche tenendo conto delle situazioni giuridiche soggettive dei controinteressati.

3. Nei casi in cui il silenzio dell'amministrazione equivale ad accoglimento della domanda, l'amministrazione competente può assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies.

4. Le disposizioni del presente articolo non si applicano agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l'ambiente, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza e l'immigrazione, la salute e la pubblica incolumità, ai casi in cui la normativa comunitaria impone l'adozione di provvedimenti amministrativi formali, ai casi in cui la legge qualifica il silenzio dell'amministrazione come rigetto dell'istanza, nonchè agli atti e procedimenti individuati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con i Ministri competenti.

5. Si applicano gli articoli 2, comma 4, e 10-bis.

Fatto rinvio al commento dell’articolo 19 per quanto concerne la storia dell’istituto e la ratio della modifica legislativa, può dirsi che il silenzio assenso può essere considerato una sorta di prosecuzione dell’articolo 19 e che entrambi gli articolo (19 e 20) costituiscono, una generale alternativa al principio (anch’esso generale, e proprio in questo risiede la confusione!) della conclusione espressa del procedimento sancito nell’articolo 2. Dunque, secondo il vigente testo della L. 241, ogni procedimento amministrativo deve:

- concludersi senza provvedimento purchè trattasi di procedimenti vincolati non espressamente previsti tra quelli soggettivamente esclusi dall’articolo 19;

- concludersi con un provvedimento tacito se trattasi di procedimenti discrezionali non espressamente previsti tra quelli soggettivamente esclusi dell’articolo 20;

- concludersi con un provvedimento espresso ai sensi dell’articolo 2, laddove:

- trattasi di procedimento avviato d’ufficio, oppure

- pur trattandosi di un procedimento ad istanza di parte, esso rientri nei casi disciplinati dagli articoli 19 e 20 quale causa di esclusione soggettiva, oppure

- la pubblica amministrazione competente voglia negare l’istanza, l’assenso, ecc., oppure

- la pubblica amministrazione competente ritenga comunque opportuno concluderlo con un provvedimento espresso.

Ciò posto, dal combinato disposto dei commi 1 e 4 dell’articolo 20 si comprende che si è in presenza di un notevole ampliamento dei casi di utilizzo del silenzio assenso essendo, ormai, esso utilizzabile in via generale in tutti i casi in cui un procedimento sia avviato ad istanza di parte e non ricorrano talune esclusioni di natura soggettiva espressamente indicate (peraltro, differenti in parte da quelle previste nell’articolo 19) quali: la necessità di adottare un formale provvedimento a seguito di espressa indicazione contenuta in normativa di rango comunitario; la necessità di tutela rafforzata essendo coinvolti interessi dell’intera collettività; specifiche ipotesi di silenzio rigetto.

Quanto alla tempistica, essa è collegata alla previsione dell’articolo 2 (90 giorni, dunque, in via generale) e può subire una estensione solo laddove sia necessario indire una conferenza di servizi. Al riguardo è interessante notare che le ipotesi di sospensione del termine e di necessità di convocare la conferenza dei servizi previste in questo articolo sono leggermente diverse da quelle disciplinate nel comma 4 dell’articolo 2 al quale, forse, si sarebbe più semplicemente potuto fare rinvio. Degna di interesse, peraltro, è la previsione secondo cui al fine di assumere la decisione circa l’opportunità di convocare la conferenza dei servizi sia necessario tenere conto anche delle situazioni giuridiche soggettive dei controinteressati che, altrimenti, data la natura del procedimento avrebbero, effettivamente, potuto rimanerne altrimenti escluse.

Quanto alle modalità procedimentali, il comma 5 opera espressamente rinvio sia all’articolo 2 che all’articolo 10-bis, ai cui commenti si fa rinvio.

Articolo 21 Disposizioni sanzionatorie, comma 2 bis

2-bis. Restano ferme le attribuzioni di vigilanza, prevenzione e controllo su attività soggette ad atti di assenso da parte di pubbliche amministrazioni previste da leggi vigenti, anche se è stato dato inizio all'attività ai sensi degli articoli 19 e 20.

Il comma introdotto dalla riforma fa da pendant con le disposizioni (come si è visto criticate dalla recente dottrina) secondo cui la pubblica amministrazione competente mantiene anche dopo che sia iniziata un’attività ai sensi degli articoli 19 e 20 il potere di intervenire in autotutela (articolo 19 c. 3 e articolo 20 c. 3). Nonostante le critiche di natura prettamente giuridica che qui non si contestano (e per le quali si rinvia al commento degli articoli sopra citati), questa disposizione sembra essere in sintonia con il principio assodato secondo cui l’interesse pubblico deve essere sempre tutelato dalla pubblica amministrazione e che essa debba continuare a verificare non solo la legittimità ma anche l’opportunità delle decisioni assunte a prescindere dalla forma espressa o meno in cui esse sono state adottate.

 

5. CAPO IV-BIS EFFICACIA ED INVALIDITÀ DEL PROVVEDIMENTO AMMINISTRATIVO. REVOCA E RECESSO

La parte innovativa di maggiore rilievo della L. 15, se non altro perchè realizzata non mediante modifiche a specifiche disposizioni normative già esistenti ma tramite l’introduzione nel corpo originario della L. 241 di un intero Capo, è quella relativa al regime sostanziale del procedimento amministrativo. Le regole introdotte constano in parte dell’elaborazione giurisprudenziale avvenuta negli anni, di cui compiono una sorta di codificazione, in altra parte di principi del tutto nuovi.

In via preliminare può dirsi che già in sede di emanazione della normativa si è molto discusso circa gli istituti da essa introdotti; in particolare, mentre taluni ritengono che gli stessi enfatizzino in modo eccessivo i principi di efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa a scapito di quello di legalità e, pertanto, a scapito delle garanzie del cittadino [47], altri, in ossequio anche a quanto contenuto nella Relazione Preliminare secondo cui “…le norme sono ispirate alla piena ed intera riconduzione della disciplina del provvedimento amministrativo al principio di legalità…”, hanno invece ritenuto prevalente il richiamo costante al principio di legalità dell’azione amministrativa [48], altri ancora propendono per una sorta di equilibrio tra presidi di garanzia del privato e scadimento degli stessi [49]. Nel corso del commento saranno evidenziati gli aspetti più rilevanti che potranno fare propendere per una o l’altra delle tesi sopra descritte affinché ciascuno possa farsi una propria idea. La mia impressione è che nonostante le tesi paiano assolutamente contrapposte, esse in un certo senso possano essere tutte ritenute corrette. Infatti, il principio di legalità e quello di efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa, visti da chi quotidianamente lavora nelle amministrazioni pubbliche, non sono così distanti tra loro; o meglio, ne è molto simile la ratio ispiratrice, in entrambi i casi volta al perseguimento del migliore assolvimento possibile del fine pubblico: per il cui perseguimento occorre seguire il principio di legalità, che a sua volta, se rettamente inteso, non può essere che coincidente con il principio di efficacia e per il raggiungimento del quale l’amministratore pubblico non può che seguire la strada migliore, ossia quella maggiormente efficiente.

Nelle prossime pagine saranno analizzati gli istituti secondo quanto presentato nell’articolato della nuova L. 241. Prima di fare questo, sembra utile raggruppare ora, in sede introduttiva, alcune delle definizioni evincibili dalla novella e che per la prima volta sanciscono in modo certo termini a volte utilizzati secondo più accezioni:

- annullabilità: possibilità di escludere l’efficacia di un atto illegittimo, esperibile mediante ricorso giurisdizionale o amministrativo;

- annullamento d’ufficio: alternativo alla convalida e consistente nella facoltà concessa ad una pubblica amministrazione di privare, in via di autotutela, un provvedimento amministrativo della sua efficacia ed esecutività mediante un provvedimento espresso emanato in base a considerazioni di ordine pubblico ed entro un certo termine ragionevole;

- convalida: alternativo all’annullamento d’ufficio e consistente nella facoltà concessa ad una pubblica amministrazione di attribuire, in via di autotutela, ad un provvedimento amministrativo viziato, efficacia ed esecutività mediante un provvedimento espresso emanato in base a considerazioni di ordine pubblico;

- efficacia: attitudine dell’atto a produrre effetti;

- esecutività: astratta idoneità dell’atto a essere eseguito poiché si sono realizzati i requisiti di efficacia in esso previsti;

- esecutorietà: idoneità dell’atto ad incidere unilateralmente e coercitivamente nella sfera giuridica del destinatario;

 -nullità: improduttività di effetti giuridici da parte di un provvedimento a causa di: mancanza di elementi essenziali, difetto assoluto di attribuzione, adozione in violazione o elusione del giudicato, espressa previsione di legge;

- recesso: potere consentito alla pubblica amministrazione di interrompere, nei soli casi previsti dalla legge o dal contratto, la validità di un negozio giuridico;

- revoca: provvedimento di secondo grado di ritiro discrezionale con efficacia ex nunc e dettato da sopravvenuta inopportunità del provvedimento amministrativo determinato da nuova e diversa valutazione dell’interesse pubblico;

- sospensione: provvedimento di secondo grado di ritiro momentaneo dell’efficacia o dell’esecutività di un precedente provvedimento, adottato in presenza di gravi ragioni e per il tempo strettamente necessario.

Articolo 21-bis Efficacia del provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati

1. Il provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati acquista efficacia nei confronti di ciascun destinatario con la comunicazione allo stesso effettuata anche nelle forme stabilite per la notifica agli irreperibili nei casi previsti dal codice di procedura civile. Qualora per il numero dei  destinatari la comunicazione personale non sia possibile o risulti particolarmente gravosa, l’amministrazione provvede mediante forme di pubblicità idonee di volta in volta stabilite dall’amministrazione medesima. Il provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati non avente carattere sanzionatorio può contenere una motivata clausola di immediata efficacia. I provvedimenti limitativi della sfera giuridica dei privati aventi carattere cautelare ed urgente sono immediatamente efficaci.

L’articolo in commento, va letto, sistematicamente, in combinazione con il successivo 21-quater. Mentre questo ultimo, come vedremo, sancisce il principio di immediata esecutività del provvedimento amministrativo, il 21-bis, invece, ne prevede la non immediata esecutività (ossia, ne subordina l’esecutività alla comunicazione del provvedimento stesso al destinatario) nel caso in cui il provvedimento limiti la sfera giuridica del privato.

L’articolo 21-bis si compone di un solo comma che esplicita diversi principi che andranno analizzati separatamente.

Il principio generale, del quale i successivi costituiscono mera indicazione della modalità esecutiva o specifica deroga, prevede che il provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati diventi efficace solo quando sia a costoro comunicato: esso definisce, dunque, le conseguenze giuridiche dell’efficacia di quei particolari provvedimenti amministrativi che impattano negativamente sulla sfera giuridica dei privati, affermando il carattere recettizio degli stessi (tornando ai concetti enunciati in sede introduttiva, questo articolo sembra fare propendere per la tesi dell’estensione del principio di legalità). Ciò che la norma non dice è se per la comunicazione vi sia un termine entro il quale essa deve essere fatta e se nel novero dei provvedimenti limitativi della sfera giuridica dei privati siano da includere anche quelli che se formalmente paiono ampliativi, in realtà contengono alcuni elementi che impongano sul destinatario comunque un onere [50]. Quanto alle modalità attraverso le quali la comunicazione può essere fatta, oltre all’ipotesi usuale di quella diretta al destinatario, la legge al fine di tutelare il principio di efficienza dell’azione amministrativa prevede due ulteriori modalità semplificate: la notifica ad irreperibili di stampo civilistico (art. 140 ss.) e quella, di modalità variabile, rimessa alla discrezionalità dell’Amministrazione procedente qualora la comunicazione personale risulti impossibile o gravosa. Come da taluni sostenuto[51], questa ampia discrezionalità concessa di decidere non solo il numero minimo di destinatari sufficiente a giustificare una forma diversa di pubblicità ma anche di individuare le forme più idonee senza che ne sia indicata alcuna specifica di massima costituisce certamente un punto interrogativo circa l’uso che le pubbliche amministrazioni ne faranno.

Quanto alle deroghe previste al principio di recettizietà dei provvedimenti limitativi della sfera giuridica dei privati, esse sono due:

1. una, di più semplice interpretazione e giustificazione, circoscritta ai casi in cui il provvedimento sia di natura cautelare e possieda il requisito dell’urgenza (la congiunzione “e” fa ritenere che le condizioni debbano ricorrere entrambe, e d’altronde è raro che un provvedimento cautelare non abbia il carattere dell’urgenza ovvero che un provvedimento urgente non sia emanato con natura cautelare);

2. la seconda di applicazione più ampia (essendone l’unico limite il carattere di non sanzionatorietà del provvedimento) ma giustificabile solo in presenza di congrua motivazione. Taluni [52] hanno ritenuto che se le ragioni idonee a giustificare l’applicazione della clausola di immediata efficacia debbano essere diverse da quelle cautelari e urgenti (previste dalla deroga indicata nel punto precedente) esse siano di difficile individuazione; probabilmente, si è voluto lasciare all’amministrazione procedente una sorta di clausola di riserva da utilizzare in casi estremi, laddove cioè non fossero applicabili i requisiti previsti ma l’interesse pubblico tutelato imponesse comunque l’immediata efficacia del provvedimento.

Al ricorrere delle circostanze indicate nel punto 2, dunque, il provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati acquista immediatamente efficacia.

Dunque, conclusivamente può dirsi che:

- gli atti limitativi della sfera giuridica del destinatario acquistano efficacia con la comunicazione allo stesso;

- gli atti limitativi della sfera giuridica del destinatario acquistano efficacia immediata se contengano in sé una motivata clausola di immediata efficacia o possiedano carattere cautelare ed urgente;

- gli atti limitativi della sfera giuridica del destinatario aventi natura sanzionatoria acquistano sempre efficacia con la comunicazione allo stesso;

- gli atti non limitativi della sfera giuridica del destinatario acquistano efficacia immediata.

Articolo 21-ter Esecutorietà

1. Nei casi e con le modalità stabiliti dalla legge, le pubbliche amministrazioni possono imporre coattivamente l’adempimento degli obblighi nei loro confronti. Il provvedimento costitutivo di obblighi indica il termine e le modalità dell’esecuzione da parte del soggetto obbligato. Qualora l’interessato non ottemperi, le pubbliche amministrazioni, previa diffida, possono provvedere all’esecuzione coattiva nelle ipotesi e secondo le modalità previste dalla legge.

2. Ai fini dell’esecuzione delle obbligazioni aventi ad oggetto somme di denaro si applicano le disposizioni per l’esecuzione coattiva dei crediti dello Stato.

Laddove un provvedimento imponga ai destinatari un obbligo, esso può anche essere eseguito coattivamente dalla pubblica amministrazione soltanto se ciò sia previsto dalla legge e secondo le modalità dalla legge stessa indicate. Qualora, inoltre, anche a seguito del provvedimento indicante i termini e le modalità dell’esecuzione, l’obbligato (qui non si parla, a differenza del precedente articolo, espressamente di “privato”) non ottemperi, la pubblica amministrazione procedente può provvedere essa stessa, previa diffida.

Il comma 1 dell’articolo in commento, ora parafrasato, costituisce una codificazione di principi già acclarati in dottrina secondo cui l’esecutorietà non costituisce carattere naturale del provvedimento amministrativo (come inizialmente ritenuto) ma è giustificata solo a seguito di specifiche disposizioni di legge. Dunque, nel caso in cui vi sia inadempimento di un obbligo, la pubblica amministrazione interessata deve previamente diffidare l’obbligato all’esecuzione dello stesso, precisando nella diffida ogni elemento utile a consentirne una corretta esecuzione; solo se sia decorso infruttuosamente il termine indicato si può adottare un provvedimento di esecuzione coattiva e procedere con la fase esecutiva. Tornando a quanto accennato in sede introduttiva circa le diverse idee scaturite a seguito dell’introduzione del Capo IV bis, come precisato da un Autore, cui si fa rinvio per l’analitica indicazione delle problematiche risolte da questa norma ma anche di quelle originate dalla stessa [53], pare indubbio che la novella legislativa, in questo specifico punto, sia particolarmente rispettosa del principio di legalità mentre pare limitare “l’esigenza di materializzazione del risultato concreto…al solo dato formale dell’obbligo genericamente indicato…”.

Nel caso di obbligazioni pecuniarie, il comma 2 prevede l’estensione delle disposizioni utilizzabili dallo Stato (art. 49, c. 1, D.P.R. 602/73), al fine di rendere particolarmente celere e cogente il procedimento di riscossione dei tributi, anche alle altre pubbliche amministrazioni.

Articolo 21-quater Efficacia ed esecutività del provvedimento

1. I provvedimenti amministrativi efficaci sono eseguiti immediatamente, salvo che sia diversamente stabilito dalla legge o dal provvedimento medesimo.

2. L’efficacia ovvero l’esecuzione del provvedimento amministrativo può essere sospesa, per gravi ragioni e per il tempo strettamente necessario, dallo stesso organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. Il termine della sospensione è esplicitamente indicato nell’atto che la dispone e può essere prorogato o differito per una sola volta, nonché ridotto per sopravvenute esigenze.

I provvedimenti amministrativi efficaci sono immediatamente eseguibili salvo che la legge o il provvedimento medesimo non stabiliscano diversamente (comma 1); l’efficacia e l’esecuzione possono, però, essere sospesi (comma 2).

Cercando di schematizzare, può dirsi che:

Efficaci sono:

- nel caso di provvedimenti limitativi della sfera giuridica dei privati, quelli ad essi comunicati secondo quanto previsto dall’articolo 21-bis;

- in tutti gli altri casi, i provvedimenti al momento del loro perfezionamento.

Deroghe all’immediata esecutività possono essere contenute esclusivamente:

- nella legge;

- nello specifico provvedimento.

La sospensione dell’efficacia o dell’esecuzione può aversi, per gravi ragioni e per il tempo strettamente necessario:

- da parte dello stesso Organo che ha adottato l’atto;

- di altro organo previsto dalla legge.

Rinviando relativamente al punto dell’efficacia a quanto già detto in sede di commento all’articolo 21-bis, può dirsi che un primo problema da affrontare concerna la distinzione tra efficacia ed esecutività. A questo riguardo, pur nella non estrema chiarezza della norma e come già precisato nella introduzione al presente Capo, si deve ribadire che i due termini sono differenti tra loro concernendo l’una (efficacia) gli effetti giuridici del provvedimento, l’altra (esecutività) l’attività di materiale esecuzione del provvedimento; la prima costituendo, dunque, il presupposto della seconda.

Altro aspetto da approfondire concerne la possibilità di sospendere il (o, per meglio dire, di sospendere l’efficacia o l’esecutività del) provvedimento amministrativo. Innanzitutto, è la prima volta che in via espressa il Legislatore introduce tra i provvedimento di secondo grado (ossia, quelli che presuppongono l’adozione di un precedente atto che non abbia già esaurito i suoi effetti e non sia stato caducato dal giudice amministrativo) anche la sospensione. Tramite questo istituto l’Organo che ha adottato il provvedimento (o altro indicato dalla Legge) laddove sussistano gravi ragioni, e per il tempo minimo necessario, può ritenere che l’interesse pubblico sia massimamente soddisfatto non già dall’esecuzione del provvedimento ma dalla sua momentanea impossibilità a produrre effetti. In questi casi, previa motivazione delle ragioni di interesse pubblico sottese e indicazione del termine massimo previsto, il provvedimento può essere reso non immediatamente efficace (o esecutivo). Nonostante la lamentata mancanza della previsione di un termine minimo che l’amministrazione procedente debba indicare (mancanza foriera del pericolo che il provvedimento sospensivo possa stridere con quello di proporzionalità), l’apprezzamento per questa disposizione, che sottolinea che la responsabilità di chi emana atti permane anche dopo la conclusione del procedimento, è stato unanime.

Articolo 21-quinquies Revoca del provvedimento

1. Per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte dell’organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. La revoca determina la inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti. Se la revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l’amministrazione ha l’obbligo di provvedere al loro indennizzo. Le controversie in materia di determinazione e corresponsione dell’indennizzo sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

Per potere comprendere appieno la portata di questo e del successivo articolo 21-nonies, pare opportuna una breve disamina del concetto di autotutela.

A differenza di quanto avviene in diritto civile, in ambito amministrativo è riconosciuto dall’ordinamento alla pubblica amministrazione il potere di attuare autonomamente le proprie determinazioni e di modificare autonomamente le stesse: questo potere, a volte sbrigativamente definito come la capacità di farsi ragione da sé, e che costituisce un elemento molto rilevante nella vita della pubblica amministrazione in quanto è da considerarsi una sorta di proseguimento della discrezionalità amministrativa, è definito autotutela. L’autotutela, come sopra accennato, può atteggiarsi nelle forme dell’attuazione coattiva delle determinazioni oppure nel riesame di precedenti determinazioni: questa seconda forma è quella che interessa maggiormente nel caso di specie. Essa è da intendersi come un potere attribuito alla pubblica amministrazione affinché questa, esercitata la sua potestà, per meglio perseguire le finalità pubbliche di cui è attributaria possa riesaminare una precedente decisione e modificarla a prescindere da qualunque richiesta pervenuta in tal senso.

Sia la revoca, disciplinata nell’articolo in commento, sia l’annullamento d’ufficio e la convalida (contenuti nell’articolo 21-nonies) costituiscono classica espressione di provvedimenti in autotutela.

L’articolo 21-quinquies, oltre a disciplinare normativamente il potere di revoca:

1.      ne evidenzia i presupposti necessari;

2.      statuisce per quali tipologie di provvedimento possa esser utilizzato;

3.      ne individua l’Organo competente all’emanazione;

4.      ne determina le conseguenze giuridiche e materiali;

5.      prevede le conseguenze a favore del soggetto passivo della stessa;

6.      ne attribuisce la competenza giurisdizionale.

1   Il provvedimento di revoca può essere adottato per sopravvenuti motivi di interesse pubblico, nel caso di mutamento della situazione di fatto, in caso di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario. Questa previsione costituisce la traduzione legislativa dei principi già affermati in materia da parte di dottrina e giurisprudenza costanti per cui non necessita di particolari commenti; può soggiungersi, peraltro, che la possibilità che il provvedimento di revoca possa essere adottato anche nel caso di nuova valutazione dell’interesse pubblico ha fatto ritenere che l’istituto della revoca potesse entrare in conflitto con il principio del legittimo affidamento di stampo comunitario [54].

2   Il provvedimento di revoca può essere adottato solo in caso di provvedimenti ad efficacia durevole. Questa indicazioni pone almeno due questioni da affrontare. La prima concerne i provvedimenti ad efficacia istantanea; la seconda l’esistenza o meno di un limite all’esercizio del potere di revoca relativamente ai provvedimenti costitutivi di diritti soggettivi che abbiano già consolidato i loro effetti. Quanto ai provvedimenti ad efficacia istantanea, una interpretazione letterale della disposizione farebbe propendere per l’impossibilità di prevederne la revocabilità [55]; diversa interpretazione fondata sulla ratio della disciplina, la farebbe ritenere “…ancora possibile, almeno quando i provvedimenti in questione non abbiano trovato in concreto attuazione…” [56]. La legge, come detto, nulla dice in merito all’esercizio del potere di revoca dei provvedimenti costitutivi di diritti soggettivi che abbiano consolidato i loro effetti. Al riguardo, nel silenzio della normativa, può dirsi che anche ove la giurisprudenza faccia di questo istituto applicazione restrittiva (ritenga, cioè, questo limite non operante) la previsione dell’istituto dell’indennizzo di cui si tratterà successivamente potrebbe in parte giustificare il sacrificio del diritto.

3   Organo competente all’adozione del provvedimento di revoca è sempre quello stesso che ha emanato l’atto ovvero altro espressamente previsto dalla Legge. Il potere di revoca, dunque, non può più ritenersi proprio del superiore gerarchico.

4   E’ confermata la natura cosiddetta ex nunc della revoca nel senso che la stessa dispiega i suoi effetti dal momento dell’adozione del provvedimento comportando da quel momento in poi l’inidoneità del provvedimento di primo grado su cui incide a esplicare ulteriori effetti. Pertanto, dall’adozione del provvedimento di revoca l’atto originario non ha più efficacia giuridica e non può più produrre alcun effetto materiale.

5   Rilevante è la previsione, completamente nuova rispetto all’elaborazione giurisprudenziale, dell’obbligo di indennizzare i soggetti interessati dal provvedimento di revoca ove questo ultimo abbia arrecato ad essi un pregiudizio. Al riguardo si può segnalare che questa disposizione è stata accolta sicuramente con favore; principalmente perché laddove un privato subisca un pregiudizio, in considerazione anche del principio di legittimo affidamento introdotto nell’ordinamento tramite il rinvio contenuto nell’articolo della nuova L. 241 ai principi comunitari, si è ritenuto corretto che esso dovesse essere monetizzato, così come avviene in generale in tutti i casi di atto lecito dannoso e, nello specifico della normativa in commento, nel caso degli accordi sostitutivi di cui all’articolo 11. Relativamente alla quantificazione dell’indennizzo, si ritiene che essa debba essere determinata in via equitativa dal giudice. Può chiedersi, semmai, perché il testo normativo limiti il quantum spettante a chi abbia subito il pregiudizio all’istituto dell’indennizzo piuttosto che al pieno risarcimento.

6   Giudice competente, in via esclusiva, è il giudice amministrativo.

Articolo 21-sexies Recesso dai contratti

1. Il recesso unilaterale dai contratti della pubblica amministrazione è ammesso nei casi previsti dalla legge o dal contratto.

A dimostrazione del rilievo anche quantitativo che la stipulazione di atti contrattuali di natura privatistica ha ormai acquisito per la pubblica amministrazione e di come essa in questi casi si trovi in posizione paritaria rispetto al contraente privato, questa disposizione prevede che il recesso sia consentito solo nei casi previsti dalla legge o dal contratto. Il recesso costituisce, quindi, il contraltare rispetto alla revoca, nel senso che mentre quest’ultima è un istituto utilizzabile nel caso in cui l’amministrazione abbia perseguito i suoi fini secondo schemi pubblicistici (meglio, autoritativi, per seguire la distinzione contenuta nel comma 1-bis dell’articolo 1), il recesso è previsto nel caso di utilizzo di forme privatistiche. A differenza che nel caso della revoca, dove in coerenza con lo schema autoritativo utilizzato la pubblica amministrazione continua a esercitare la propria discrezionalità anche nella eventuale fase di autotutela, in caso di recesso essendo già scomparsa ogni forma di differenziazione tra le parti contraenti, non sussiste una vera e propria autotutela e, dunque, gli effetti contrattuali potranno venire meno solo se questo sia previsto espressamente in una legge o nello stesso contratto. Ovviamente, non è previsto alcun indennizzo dato che non c’è, o almeno non dovrebbe esservi, alcun pregiudizio di interessi.

Articolo 21-septies Nullità del provvedimento

1. È nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali, che è viziato da difetto assoluto di attribuzione, che è stato adottato in violazione o elusione del giudicato, nonché negli altri casi espressamente previsti dalla legge.

2. Le questioni inerenti alla nullità dei provvedimenti amministrativi in violazione o elusione del giudicato sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

Fino all’entrata in vigore della novella in commento si riteneva che in campo amministrativo non si potesse parlare di atto nullo similmente a quanto avviene in diritto civile, ma che, per configurarsi l’ipotesi in cui il provvedimento era non  solo annullabile ma era proprio non idoneo a produrre alcun effetto, si parlava di inesistenza. L’inesistenza costituisce una creazione della giurisprudenza della Corte di Cassazione risalente agli anni ’40. Poiché vi sono dei provvedimenti emanati in carenza di potere che non producono nemmeno gli effetti interinali propri dei provvedimenti invalidi, la Suprema Corte ritenne che la competenza in ordine al sindacato su questi provvedimenti – produttivi non già di estinzione di diritti ma solo di lesione – fosse attribuibile al giudice ordinario secondo la netta demarcazione all’epoca esistente tra diritto soggettivo ed interesse legittimo. Questa elaborazione, benché più volte fatta oggetto di critica, è stata applicata anche se nel frattempo sono state emanate disposizioni normative che espressamente parlavano di nullità degli atti amministrativi [57]. Anche la corrente giurisprudenziale sorta negli anni ’90 volta ad enucleare vere e proprie ipotesi di nullità, non aveva del tutto appianato i dubbi in materia. Pertanto, certamente positivo deve essere il giudizio circa la codificazione dei casi in cui il provvedimento amministrativo sia da considerarsi nullo. Prima di esaminare i quattro casi di nullità previsti si deve chiarire quale sia la sorte della categoria della inesistenza a seguito della novella in commento. Difatti, mentre la generalità dei primi commentatori l’ha ritenuta non accolta e pertanto espunta dal nostro ordinamento, altri, al contrario, ritengono la stessa sussistente e che, pertanto, debbano differenziarsi le ipotesi di nullità da quelle di inesistenza le quali continuano a sussistere laddove il difetto di un elemento del provvedimento sia talmente grave da rendere l’atto stesso privo di identificazione [58]. Al riguardo, questa tesi pare preferirsi; ritengo, cioè, che la mancata definizione della figura giuridica dell’inesistenza non debba fare ritenere che non possano più esistere provvedimenti viziati in modo tale da non potere essere nemmeno definiti tali. Si vuole affermare, cioè, che l’inesistenza, la nullità e l’annullabilità sono vizi che possono essere riscontrati nei provvedimenti amministrativi a seconda dei casi e che, schematizzando, essi possono essere così distinti:

- il provvedimento è inesistente quando esso non è proprio rinvenibile in quanto tale (non presenta, cioè, i caratteri esteriori dell’atto amministrativo): esso, dunque, non produce effetti né giuridici né fattuali;

- il provvedimento è nullo quando esiste (possiede, cioè, il carattere esteriore dell’atto amministrativo) ma presenta dei vizi ritenuti particolarmente rilevanti: esso, dunque, non produce effetti giuridici ma ne produce di fattuali fino a che non sia dichiarato nullo da un giudice o ritirato in via di autotutela dalla pubblica amministrazione [59];

- il provvedimento è annullabile quando esiste ma presenta vizi ritenuti non particolarmente rilevanti: si producono effetti giuridici e fattuali fintantoché l’atto non sia annullato dal giudice amministrativo o ritirato in via di autotutela dalla pubblica amministrazione.

Iniziando il commento dell’articolo 21-septies, può dirsi che ai sensi del comma 1 dell’articolo in commento è definito nullo il provvedimento:

1.      mancante degli elementi essenziali (cosiddetta nullità sostanziale);

2.      viziato da difetto assoluto di attribuzione;

3.      adottato in violazione o elusione del giudicato (cosiddetta nullità testuale);

4.      nei casi espressamente indicati dalla legge.

1.      Quanto al primo caso, come se questa disposizione particolarmente innovativa fosse viceversa una mera riproposizione di quanto già affermato, il Legislatore non precisa quali siano gli elementi essenziali del provvedimento amministrativo. Potrebbe forse ritenersi che essendo la categoria della nullità ripresa dalla prevalente manualistica, alla stessa debba farsi riferimento; se così fosse, occorrerebbe, allora, indagare sui requisiti previsti per la nullità del contratto dagli articoli del codice civile che trattano l’argomento. Dal combinato disposto degli articoli 1325, 1345 e 1418 del codice civile risulta che la nullità consegue a una delle seguenti fattispecie:

- primo requisito prescritto è la volontà delle parti; nel caso di provvedimento amministrativo, ossia di atto unilaterale, l’unica volontà cui indagare la sussistenza è quella del soggetto investito della funzione pubblica idonea ad adottare l’atto: dunque, anche in campo amministrativo la mancanza della volontà può costituire causa di nullità del provvedimento;

- altro requisito è costituito dalla causa del contratto; nel caso di provvedimento amministrativo essa è sempre insita nella funzione pubblica che il provvedimento deve seguire, pertanto la causa è sempre valida e, laddove non lo fosse, il provvedimento sarebbe comunque non già nullo ma addirittura inesistente;

- ulteriore requisito è quello del motivo, che comporta la nullità del contratto solo se illecito è comune a entrambe le parti; nel caso di provvedimento amministrativo la mancanza del motivo (cioè della motivazione del provvedimento) darebbe comunque origine non già a un’ipotesi di nullità quanto di annullabilità per violazione di legge essendo la motivazione espressamente prevista dalla norma quale obbligatoria;

- altri requisiti sono l’oggetto (ossia il bene o la persona cui il provvedimento è diretto) e il contenuto (ciò che viene regolato dal provvedimento); nel caso di provvedimento amministrativo possono verificarsi sia casi di oggetto sia di contenuto nullo: si pensi, rispettivamente, alla cessione di un bene demaniale o alla richiesta di compimento di attività non possibili in rerum natura. E’ necessaria, però, una ulteriore distinzione. Infatti, mentre nel caso di oggetto mancante si avrà senz’altro la nullità del provvedimento amministrativo, nel caso di contenuto mancante occorre distinguere: se mancante è la parte precettiva del provvedimento, esso sarà senz’altro inesistente; se mancante sarà la parte espositiva, esso sarà soltanto annullabile. Dunque, in campo amministrativo soltanto la mancanza o l’impossibilità dell’oggetto e non del contenuto possono costituire causa di nullità del provvedimento;

- infine, quale ulteriore requisito è richiesta la sottoscrizione, quando necessaria; in campo amministrativo la sottoscrizione è sempre prevista ad substantiam per cui la sua mancanza è sempre causa di nullità del provvedimento.

Dunque, elementi essenziali la cui mancanza comporta la nullità del provvedimento amministrativo possono essere considerati: la volontà dell’organo investito della funzione pubblica idonea all’emanazione del provvedimento, l’oggetto del provvedimento, la forma scritta.

2. Quanto al secondo caso, la norma parla espressamente di difetto assoluto di attribuzione. Si ritiene che essa faccia riferimento al tradizionale criterio elaborato al fine di distinguere la giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo. Dal 1954 [60], infatti, si era consolidata la regola secondo cui la giurisdizione spettasse al giudice amministrativo quando la controversia avesse per oggetto un preteso esercizio scorretto del potere discrezionale (sotto il profilo della competenza, della forma e del contenuto), al giudice ordinario nell’ipotesi in cui il privato contestasse in radice la stessa esistenza del potere discrezionale dell’amministrazione di disporre del diritto soggettivo ovvero sostenesse che il potere stesso fosse stato esercitato assolutamente al di fuori dei limiti tassativi che ne concernono l’esercizio. In sostanza, si aveva competenza del giudice ordinario oppure del giudice amministrativo a seconda che si disputasse sulla appartenenza del potere (carenza) o sulla correttezza (cattivo uso) del suo esercizio. Successivamente la giurisprudenza, pur mantenendo costante questo criterio, ne ha leggermente modificato gli elementi; i predetti aggiustamenti sono stati conseguenti al sorgere della problematica sulla necessità o meno che l’accertamento circa l’esistenza del potere dovesse essere condotto in assoluto, avendo, cioè, riguardo al potere considerato in astratto, oppure in concreto, cioè relativamente al caso oggetto della controversia. In origine, infatti, l’espressione carenza di potere includeva solo l’assoluta carenza di attribuzioni e ricorreva solo quando fosse realmente impossibile configurare in capo all’amministrazione il potere di sacrificare la sfera giuridica dei cittadini; successivamente la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha aggiunto alla carenza di potere in astratto la cosiddetta carenza di potere in concreto che ricorre quando il potere autoritativo, astrattamente esistente, manca in concreto perché, ad esempio, il provvedimento amministrativo è privo della forma richiesta. Secondo la più recente giurisprudenza, cioè, l’attività della pubblica amministrazione è illecita e lesiva di diritti, con conseguente giurisdizione del giudice ordinario, anche quando il potere, astrattamente attribuito dal Legislatore alla pubblica amministrazione, manchi nel caso concreto della controversia [61]. Ora, la dizione utilizzata dal Legislatore (come detto, “difetto assoluto di attribuzione”) fa ritenere che rientri nelle ipotesi di nullità il caso più grave di quelli individuati ossia il caso in cui in capo a una determinata pubblica amministrazione non sia rinvenibile il potere di emanare l’atto, peraltro nella forma della carenza assoluta di potere (materia non attribuita ad alcun pubblico potere amministrativo) e non della incompetenza assoluta (materia attribuita ad altro potere amministrativo); residuando le altre (secondo la definizione prima esplicitata, cosiddetta carenza di potere in concreto) nel novero delle ipotesi di annullabilità.

3. Se le prime due ipotesi di nullità possono essere inquadrate quali di stampo manualistico, di sicura provenienza giurisprudenziale risulta la terza, consistente nella violazione o elusione del giudicato. Di essa non vi è molto da dire se non che cristallizza quanto più volte affermato dalla recente giurisprudenza circa l’integrale nullità (ossia, insussistenza di qualsiasi effetto giuridico) per quei provvedimenti amministrativi adottati in contrasto con quanto statuito da una precedente pronuncia giurisdizionale adottata per regolare il caso concreto. Ovviamente, affinchè l’ipotesi prevista sia configurabile è necessario che la sentenza sia passata in giudicato secondo quanto previsto nell’articolo 324 del codice di procedura civile [62].

4. Infine, l’ultimo caso di nullità opera come una sorta di disposizione di chiusura possibile di riduzioni o ampliamenti nel corso del tempo. Se quest’ultima previsione è facilmente applicabile a tutte le future disposizioni, ci si è chiesto se essa sia altrettanto facilmente estendibile alle disposizioni in essere che a vario titolo utilizzano il termine nullità; ossia se alle situazioni giuridiche disciplinate da queste disposizioni possano applicarsi le conseguenze previste in caso di nullità dall’articolo 21-septies.

Il comma 2 attribuisce alla competenza esclusiva del giudice amministrativo ogni controversia insorta a seguito di riconosciuta nullità per violazione o elusione del giudicato. A prescindere da ulteriori implicazioni che saranno trattate di qui a poco in materia di riparto di giurisdizione, si deve sottolineare in questa sede che la disposizione letteralmente intesa, attribuendo le controversie in parola alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, secondo taluni sembra avere “…cancellato il giudizio di ottemperanza ex art. 27 n. 4 t.u. Cons. Stato, per il quale era data la giurisdizione di merito, con i ben noti, vastissimi poteri che aveva il giudice amministrativo: nulla di paragonabile con quelli che ha nella giurisdizione esclusiva, forma particolare della giurisdizione generale di legittimità… [63]. Si segnala, peraltro, che nella Relazione Preliminare al Disegno di Legge n. 1281 a questo proposito si leggeva che: “Il comma 2 prevede un’ipotesi di giurisdizione esclusiva e di merito in relazione alle nullità per violazione o elusione del giudicato” e che, pertanto, al fine di non ridurre i poteri del giudice (e, conseguentemente, le garanzie del cittadino) potrebbe ritenersi perdurante anche la giurisdizione di merito laddove ne ricorrano i presupposti. Seguendo questa interpretazione, dunque, si tratterebbe di due giudizi aventi finalità differenti: giudizio teso ad ottenere un’azione dichiarativa della nullità del provvedimento (articolo 21-septies), giudizio teso ad ottenere l’esecuzione della sentenza giurisdizionale (ottemperanza); infatti, come già da tempo riconosciuto dalla giurisprudenza il petitum del giudizio di ottemperanza mira a indagare la difformità del atto rispetto all’obbligo processuale e non già la difformità dell’atto rispetto al diritto sostanziale [64]. Così interpretata, la norma avrebbe il significato di escludere la giurisdizione ordinaria nei casi di controversie insorte a seguito di nullità per violazione o elusione del giudicato e questa affermazione non è scarna di significati. Infatti, mentre nelle altre ipotesi di nullità del provvedimento previste dall’articolo 21-septies la posizione del privato può essere di interesse legittimo o di diritto soggettivo, a seguito del passaggio in giudicato di una sentenza si forma nel ricorrente vittorioso un vero e proprio diritto soggettivo all’esecuzione della stessa per cui, nel caso di elusione o violazione del giudicato se non vi fosse stata la previsione espressa della giurisdizione del giudice amministrativo, la giurisdizione sarebbe toccata al giudice dei diritti, ossia al giudice ordinario [65].

L’articolo in commento, pur avendo il merito di codificare per la prima volta principi sino ad ora esclusivamente dottrinari o giurisprudenziali, sconta alcuni difetti che sono stati efficacemente messi in luce in sede di primi commenti. Infatti, ci si è chiesti quali conseguenze produca la nullità del provvedimento amministrativo, a quale giudice debbano essere attribuite le relative controversie, quali poteri il giudice competente possa esercitare. Quanto alle conseguenze, rifacendosi al campo civilistico da cui l’istituto è tratto e ricercando anche appigli in quella dottrina che aveva già da tempo ritenuto esistente la categoria della nullità dell’atto amministrativo, può dirsi che l’atto nullo non può produrre effetti; non può, pertanto, essere eseguito; non è sanabile né convalidabile.

Quanto al giudice competente, in tutti i casi diversi da quelli contemplati nel comma 2, a fronte di un’interpretazione prevalente secondo cui in tutti i casi di nullità dell’atto amministrativo la giurisdizione sia appannaggio del giudice ordinario[66], altri sostengono che la giurisdizione, laddove sia esercitato un potere autoritativo, spetti al giudice amministrativo sia in caso di provvedimento espresso discrezionale sia in caso di provvedimento non espresso (ad esempio, silenzio); mentre sia del giudice amministrativo ma possa essere anche attribuita dalla legge al giudice ordinario in caso di esercizio del potere autoritativo mediante provvedimento espresso di natura vincolata [67].

Quanto, infine, ai poteri che il giudice possa esercitare, particolarmente controversa è la questione nei casi in cui si radichi la giurisdizione in capo al giudice amministrativo. Dovrebbe, infatti, questi non già annullare l’atto bensì accertare semplicemente la sua nullità; questa possibilità, però, va a scontrarsi con la concezione corrente secondo cui il giudizio amministrativo sia meramente demolitorio se non nei casi di giurisdizione esclusiva laddove si faccia istanza di un diritto soggettivo. Se la ricostruzione operata è corretta, se cioè la giurisdizione possa appartenere alternativamente all’uno o all’altro giudice in considerazione degli usuali criteri di riparto, dovrebbe concludersi per la possibilità del giudice amministrativo di conoscere azioni di mero accertamento. In questo caso, quanto agli strumenti utilizzabili dal giudice amministrativo, sono emerse nel tempo due principali posizioni: la prima ritiene che il giudice amministrativo debba utilizzare la struttura processuale prevista dal codice di procedura civile ai sensi di quanto contenuto nell’articolo 703 del c.p.c. (seguendo questa tesi il giudice amministrativo potrebbe anche assumere procedimenti d natura possessoria verificando solo l’esistenza del fumus boni iuris e non anche del periculum in mora); la seconda in base alla quale il ricorrente dinanzi al giudice amministrativo potrebbe ottenere tutela anche senza che il giudice ricorra alla struttura civilistica e questo perché il giudice amministrativo, nell’esercizio della competenza esclusiva e cautelare nelle forme introdotte dalla L. 205/00, può già compiere ogni atto di natura cautelare richiesto, purchè ricorrano gli elementi richiesti affinchè ciò sia possibile [68].

Articolo 21-octies Annullabilità del provvedimento

1. È annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza.

2. Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

Non desta perplessità alcuna il primo comma dell’articolo in commento il quale si limita a ribadire in via sostanziale quanto sino ad ora era contenuto esclusivamente in disposizioni di natura processuale: esso stabilisce, infatti, che “è annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza”.

Particolarmente controverso è, invece, quanto contenuto nel comma 2 dell’articolo in commento. Si legge, infatti, che non sono comunque annullabili i provvedimenti:

- di natura vincolata laddove, pur adottati in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti, essi non avrebbero potuto possedere un diverso contenuto;

- di qualsiasi natura laddove, pur adottati in violazione della norma sulla mancata comunicazione di avvio del procedimento, l’Amministrazione emittente possa provare in giudizio che essi non avrebbero potuto possedere un diverso contenuto.

Le previsioni normative contenute nei due alinea del comma 2, pur tra loro simili, si differenziano per alcuni tratti:

- quanto alla natura del provvedimento, nel primo alinea deve trattarsi di provvedimento vincolato [69]; nel secondo può trattarsi anche di provvedimento discrezionale;

- quanto all’oggetto della violazione, nel primo alinea esso concerne tutti i provvedimenti adottati in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti; nel secondo ha ad oggetto solo il provvedimento adottato in violazione della norma sulla mancata comunicazione di avvio del procedimento (che di per sé rientrerebbe già nel novero delle norme sul procedimento);

- quanto alla valutazione circa l’indifferenziazione del contenuto, nel primo alinea la verifica è compiuta in modo astratto (ex ante) sulla base dell’evidenza (la legge usa il termine “palese”); nel secondo alinea la verifica è compiuta in concreto (ex post) in sede giurisdizionale (la legge usa il termine “in giudizio”).

Rinviando a quanto già affermato in sede di apertura del commento del Capo IV-bis per quanto concerne le diverse critiche ricevute dal secondo comma sopra delineato, si può procedere alla disamina di alcuni specifici problemi che sono stati affrontati dalla dottrina e dalla giurisprudenza. Si intende, in particolare, fare riferimento a:

1.      l’inclusione o meno all’interno dei vizi del procedimento anche del vizio di incompetenza;

2.      la natura sostanziale o processuale della norma;

3.      la natura dei provvedimenti non annullabili;

4.      la possibilità che il giudice amministrativo possa estendere la sua cognizione sull’intero rapporto;

5.      il rapporto con il successivo articolo 21-nonies;

6.      l’applicazione di esso ai ricorsi amministrativi;

7.      la presunta contrarietà della norma alla Costituzione e alle norme di diritto internazionale e comunitario;

1. Una prima questione che si è posta concerne la possibilità di includere le norme sulla competenza tra quelle sul procedimento amministrativo e, da qui, ritenere che il provvedimento viziato da incompetenza possa ritenersi non annullabile in ossequio all’articolo 21-octies alinea 1 in commento. In relazione a questo aspetto pare potersi affermare che il vizio di incompetenza non può essere fatto rientrare tra quelli adottati nell’ambito di provvedimenti relativi alle norme sul procedimento o sulla forma degli atti; in questo senso depongono non solo la non espressa previsione in tal senso (esistente in una delle prime versioni del testo di riforma e poi cassata) ma anche la circostanza che il comma 1 dello stesso articolo mantiene il vizio di incompetenza quale vizio autonomo rispetto a quello di violazione di legge[ 70].

2. Quanto alla natura processuale o sostanziale della norma, la questione non è di poco conto perché aderire all’una o all’altra tesi comporta l’applicabilità o meno delle disposizioni contenute nell’articolo 21-octies anche ai giudizi pendenti. Come noto, infatti, mentre le norme di natura sostanziale possono essere applicate dal Giudice solo se i fatti per i quali egli conosce la causa siano avvenuti successivamente all’entrata in vigore delle stesse, le norme di natura processuale sono immediatamente applicabili al processo purchè la fase dello stesso in cui le norme potrebbero essere applicate sia successiva rispetto all’entrata in vigore delle norme. Al riguardo, occorre precisare che la giurisprudenza amministrativa ha fatto immediata applicazione della disposizione [71] attribuendole, pertanto, valenza (anche) processuale. Le norme in commento, però, pur avendo effettivamente valore anche sicuramente processuale (non fosse altro perché contengono disposizioni applicabili specificamente nell’ambito giurisdizionale), hanno anche una valenza molto rilevante potendo la loro applicazione comportare il rigetto di ricorsi che, fino alla loro entrata in vigore, avrebbero potuto vedere il ricorrente soddisfatto nelle sue aspettative. Per queste ragioni non è mancato chi ha sostenuto che il principio di immediata applicabilità della nuova legge debba essere derogato, deponendo in questo senso sia il principio di affidamento legislativo sia l’aspettativa di giustizia del cittadino ricorrente [72]; e che, dunque, occorrerebbe che il giudice, caso per caso, distingua le diverse situazioni prospettategli.

3. La problematica sulla quale maggiormente si sono concentrate le attenzioni della dottrina è senz’altro quella concernente la natura dell’esclusione della annullabilità. Quattro [73] sono le teorie maggiormente seguite in questi primi mesi di dibattito dottrinario. Taluni hanno parlato di provvedimenti non annullabili perché non illegittimi bensì soltanto irregolari; altri hanno sostenuto trattarsi di provvedimenti non annullabili perché volti a raggiungere lo scopo per il quale erano stati emanati; altri ancora hanno sostenuto trattarsi di provvedimenti soggetti a sanatoria; altri, infine, hanno ritenuto potersi sostenere la tesi che la disposizione non inciderebbe sul provvedimento ma avrebbe l’effetto di limitare il potere di annullamento degli atti amministrativi illegittimi da parte del giudice amministrativo.

- Secondo i fautori della prima tesi la disposizione di cui al primo alinea del comma 2 dell’articolo 21-octies costituisce la codificazione dei principi giurisprudenziali e dottrinari inerenti la cosiddetta irregolarità dell’atto. Già da anni, infatti, in taluni casi alla categoria generale dell’illegittimità è stata avvicinata quella dell’irregolarità per intendere le ipotesi in cui la violazione della norma non comporta alcuna conseguenza rispetto alla valutazione degli interessi o alla cura degli interessi pubblici [74]. In questi casi, cioè, il vizio pur comportando che l’atto non sia aderente alla forma tipica non ne comporta la contestuale annullabilità qualora il risultato sostanziale del provvedimento sia conforme al diritto positivo.

- La seconda tesi si basa sul dato di fatto che la norma in commento non sembra escludere l’illegittimità degli atti adottati in violazione di norme sul procedimento o sulla forma ma, al contrario, pare ribadirne il vizio e statuirne, soltanto, la non annullabilità al ricorrere di ulteriori circostanze. Dunque, le ipotesi contemplate non trarrebbero la loro fonte nelle elaborazioni relative all’istituto dell’irregolarità ma, mirerebbero, piuttosto al soddisfacimento del principio del raggiungimento dello scopo. Sarebbe, cioè, prevalente il soddisfacimento del fine pubblico rispetto al mero ossequio delle disposizioni normative. Inoltre, con esse si vorrebbe evitare che l’annullamento dell’atto favorisca un intento speculativo del ricorrente attraverso una formale tipica tutela dell’interesse legittimo, eludendo così l’applicazione di una norma giuridica di carattere sostanziale.

- I fautori della terza tesi partendo dal principio del raggiungimento dello scopo ne espandono la portata ritenendo che lo scopo in parola non sarebbe quello proprio del procedimento bensì quello generale dell’azione amministrativa; sostengono, infatti, che il provvedimento in origine viziato viene in un certo senso sanato mediante (qui risiede la particolarità) non una specifica dimostrazione del raggiungimento del fine pubblico ma dallo stesso legislatore che nella norma in commento ha espressamente previsto quali requisiti debbano ricorrere affinchè ciò possa avvenire (corrispondenza del contenuto concreto con quello che avrebbe dovuto essere adottato purchè il vizio concerna violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti).

- La quarta tesi propende per un’interpretazione più aderente al dettato normativo e sostiene che il comma 2 in commento non detta alcuna norma in tema di invalidità – irregolarità degli atti amministrativi ma introduce un nuovo limite al potere di annullamento degli atti amministrativi illegittimi.

Questa tesi, che pare maggiormente satisfattiva di tutti gli interessi in gioco e che attribuisce una visione sistemica del regime delle invalidità (si dirà dopo dello stretto collegamento con il successivo articolo 21-nonies), potrebbe essere ulteriormente interpretata, prendendo in prestito un termine utilizzato in materia penalistica costituisce, nel senso di introdurre nell’ordinamento amministrativo una sorte di scriminante [75]: l’atto è viziato ma, per particolari circostanze evidenziate direttamente nel testo normativo, esso non segue le normali sorti dell’atto illegittimo in quanto il Legislatore, a monte, ha decretato la recessività dell’interesse pubblico alla sua annullabilità rispetto a quello al mantenimento [76]. Le scriminanti sono particolari situazioni in presenza delle quali un fatto, che altrimenti sarebbe reato, tale non è perché la legge lo consente; cioè, esse privano il fatto del suo disvalore tipico e sono antecedenti rispetto al momento del perfezionamento del reato. Così come le scriminanti costituiscono cause di esclusione del reato antecedenti rispetto allo stesso (in presenza di esse, cioè, manca l’offesa, nel senso che il bene non è più tutelato dalla norma), le circostanze indicate nel comma 2 dell’articolo 21-octies della L. 241 costituiscono cause di non annullabilità di un provvedimento altrimenti illegittimo (in presenza delle quali, cioè, il provvedimento non può essere annullato, benché viziato, in quanto a monte, al ricorrere di certe condizioni, il Legislatore ne ha previsto la non annullabilità).

4. Si discute, anche, della possibilità che il giudice amministrativo, incaricato di verificare che il provvedimento non avrebbe potuto avere un diverso contenuto anche se non avesse presentato i vizi che lo inficiano, nelle ipotesi di cui al secondo alinea aventi ad oggetto provvedimenti discrezionali, possa estendere la sua cognizione sull’intero rapporto; ci si chiede, cioè, se l’articolo 21-octies preveda una nuova ipotesi di giurisdizione di merito. Questa tesi pare suffragata dalla lettera della legge laddove essa prevede l’intervento in giudizio dell’Amministrazione [77] la quale, tramite questo intervento, pare investire il giudice della potestà di verificare in concreto (ossia nel merito) il contenuto del provvedimento [78]. Contrari a questa interpretazione sono, invece, quanti ritengono che la previsione di un’ipotesi di giurisdizione di merito non possa essere introdotta se non in modo espresso.

5. Altra questione indagata è quella concernente il rapporto tra gli articoli 21-octies e 21-nonies. La seconda disposizione ora citata (per il cui commento si rinvia, comunque, al successivo paragrafo) introduce le figure dell’annullamento d’ufficio (comma 1) e della convalida (comma 2): tramite la prima, nell’esercizio dei poteri di autotutela la pubblica amministrazione che abbia adottato un atto può, laddove esistano ragioni di interesse pubblico, annullarlo d’ufficio, ossia togliergli efficacia autonomamente e non quale risposta ad una istanza del privato o a una decisione amministrativa o giurisdizionale; tramite la seconda, sempre nell’esercizio dei poteri di autotutela, la pubblica amministrazione che abbia adottato un atto viziato può, laddove esistano ragioni di interesse pubblico, convalidarlo, ossia emanarne un altro identico nel contenuto ma depurato dai vizi che inficiano l’originario atto. Questi istituti come sono armonizzabili con le previsioni dell’articolo 21-octies? Il provvedimento illegittimo ma non annullabile (nelle due forme del comma 2 dell’articolo in commento) può essere, cioè, annullato d’ufficio e / o convalidato? Al riguardo non vi è unanimità di vedute. Taluni, infatti, ritengono preferibile dare a questi quesiti una risposta negativa; in tal senso depongono non solo ragioni sistematiche (la collocazione consequenziale delle disposizioni nel testo normativo) ma anche la ratio delle disposizioni stesse. Se, infatti, gli istituti previsti nell’articolo 21-nonies hanno la funzione di rendere certa e stabile la sorte di un provvedimento illegittimo o annullabile (termini qui utilizzati quali sinonimi), non avrebbe senso (ossia, non sarebbe soddisfatta la loro ratio) laddove gli atti di annullamento d’ufficio o di convalida fossero emanati a riguardo di provvedimenti che seppure illegittimi non sono comunque annullabili. Altri, sostengono che il provvedimento illegittimo anche se non annullabile a seguito di ricorso giurisdizionale (o amministrativo) potrebbe sempre essere annullato d’ufficio o convalidato direttamente dall’organo che lo ha emanato; ciò in considerazione sia del fatto che nella originaria ricostruzione giurisprudenziale dell’annullamento e della convalida (che la Legge riprende senza a essi nulla aggiungere) essi potevano essere adottati anche in pendenza di giudizio sia in considerazione della volontà di non comprimere ulteriormente “…le posizioni soggettive interferenti con il pubblico potere [79]. Da una lettura letterale del testo potrebbe argomentarsi un’ulteriore tesi. Infatti, poiché non può considerarsi che in uno stesso articolo il Legislatore abbia usato due termini differenti (“illegittimo” e “annullabile”) in modo sinonimico, laddove il comma 1 dell’articolo 21-nonies disciplina la possibilità di annullamento d’ufficio del provvedimento “illegittimo” deve voler dire qualcosa di diverso rispetto a quando, nel comma 2 disciplina la possibilità di convalida del provvedimento “annullabile”. Conseguentemente, l’annullamento d’ufficio è istituto utilizzabile in tutti i casi di provvedimento amministrativo illegittimo (quindi, anche se il vizio concerna violazioni di norme sul procedimento o sulla forma o sia relativo alla mancanza di comunicazione di avvio del procedimento), mentre la convalida è istituto utilizzabile solo nel caso in cui il provvedimento sia non solo illegittimo ma anche annullabile (dunque, non utilizzabile se il vizio concerna violazioni di norme sul procedimento o sulla forma o sia relativo alla mancanza di comunicazione di avvio del procedimento). Questa spiegazione letterale del testo, a ben vedere, ha anche una sua ratio. Infatti, mentre l’annullamento d’ufficio è un provvedimento volto al favor dell’utente, la convalida è un provvedimento a tutela (soprattutto) dell’amministrazione: dunque, se la pubblica amministrazione che abbia adottato un atto viziato ma non annullabile, per ragioni di interesse pubblico, voglia privarlo di efficacia giuridica, è giusto che ciò possa esserle concesso essendo tutelato, attraverso esso, l’interesse dell’istante; laddove, invece, la pubblica amministrazione voglia convalidare un atto, se lo stesso non può essere annullato non si vede perché le debba essere consentito di farlo posto che la convalida non potrebbe comportare alcuna novità giuridicamente rilevante.

6. Altra questione sollevata e sulla cui soluzione occorrerà attendere la prima applicazione della norma è quella relativa alla possibilità di utilizzare le scriminanti sopra evidenziate non solo nel caso di ricorsi giurisdizionali ma anche nel caso di ricorsi amministrativi. In questo senso deporrebbe la logica sistematica per cui sarebbe da escludersi che un provvedimento potrebbe risultare annullabile o meno a seconda che l’istanza sia presentata in via amministrativa o giurisdizionale [80].

7. Oltre ai dubbi sopra evidenziati, la norma ha posto anche dubbi di legittimità costituzionale e di contrarietà ai principi del diritto comunitario e internazionale. Quanto alla legittimità costituzionale, ai sensi degli articoli 103 e 113 della Costituzione, sarebbero costituzionalmente illegittime sia le norme che escludono l’impugnativa giurisdizionale sia quelle che ne operano una indebita limitazione. Proprio queste considerazioni possono fare ritenere illegittima la disposizione del comma 2 dell’articolo 21-octies nella parte in cui prevede che vi sono alcuni vizi che non comportano annullabilità e a fronte dei quali non è neppure prevista alcuna sanzione sostitutiva [81]. Secondo altri, invece, non solo non può ritenersi la illegittimità costituzionale dell’articolo 21-octies ma, anzi, questo articolo costituirebbe una delle prime e più rilevanti applicazioni dell’articolo 113 comma 3 della Costituzione “…laddove prevede che l’annullamento dell’atto amministrativo può intervenire solo nei casi stabiliti dalla legge… [82]. Quanto alla contrarietà a disposizioni di rango comunitario e internazionale, transitate nel nostro ordinamento sia ai sensi dell’articolo 1 della L. 241 sia ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione, essa è da rinvenire, in particolare nel contenuto della Convenzione di Aarhus (sottoscritta il 25.06.98 e ratificata in Italia dalla legge 108/2001) e della Direttiva 2003/35/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio Europeo (sottoscritta il 26.05.03 e recepita in Italia con la legge 62/05) nella parte in cui prevedono che l’accesso alla giustizia per fare valere le istanze dei privati nei confronti della pubblica amministrazione non può essere indebitamente compresso o soppresso.

In conclusione di questo breve excursus sulle discusse previsioni contenute nell’articolo 21-octies della legge 241/90 possono trarsi le seguenti considerazioni:

- siamo di fronte ad una norma particolarmente innovativa nel campo amministrativo ma, nella soluzione adottata nel testo, non nuova nel panorama legislativo nazionale (similitudine con le scriminanti di natura penalistica);

- è senz’altro vero che essa opera una compressione dei poteri di difesa del privato, è altrettanto certo che la recessività degli stessi è possibile solo ove ricorrano presupposti particolarmente restrittivi;

- come già evidenziato in altre parti del testo, gran parte della responsabilità della corretta applicazione delle norma ricadrà sul pubblico funzionario che dovrà in concreto applicare le disposizioni e discernere in modo corretto quale estensione dare alla loro applicazione. In sostanza, ciò che si vuole affermare è che la norma in commento (come altre contenute nella L. 15) sono figlie di un epoca in cui le esigenze di celerità e speditezza nello svolgimento del procedimento amministrativo e le regole di efficacia ed efficienza nella sua realizzazione si sono affiancate ad altre di rango costituzionale e costituiscono, oggi, la vera linea che deve essere seguito nel concreto svolgersi delle attività della pubblica amministrazione [83]. Se così è, ben vengano disposizioni normative che offrono al responsabile del procedimento un maggior ventaglio di strumenti di scelta volti, sempre, al soddisfacimento del fine pubblico per il quale l’attività è svolta: l’ossequio formale della norma laddove esso sia necessario, l’utilizzo di strumenti semplificatori laddove essi siano maggiormente efficienti [84]. Ovviamente, il rovescio della medaglia è costituito dall’aumentato onere in tema di responsabilità, direttamente proporzionale alla discrezionalità esercitabile.

Articolo 21-nonies Annullamento d’ufficio

1. Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell’articolo 21-octies può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge.

2. È fatta salva la possibilità di convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole.

Classica espressione del principio di autotutela [85], l’articolo in commento disciplina gli opposti istituti dell’annullamento d’ufficio e della convalida. Entrambi gli istituti costituiscono un provvedimento di secondo grado ed entrambi costituiscono l’esito di una valutazione ponderativa di interessi al termine della quale il provvedimento ritenuto viziato o, comunque, non più rispondente all’interesse pubblico, nel primo caso (annullamento d’ufficio) è privato di ogni efficacia, nel secondo caso (convalida) è sostituito da un provvedimento di analogo contenuto ma privo di vizi.

Prima di procedere all’esame dei due commi, è opportuno rinviare, relativamente al rapporto tra gli articoli 21-octies e 21-nonies, a quanto già detto in sede di commento al precedente articolo, laddove si è tentato di dimostrare che l’annullamento d’ufficio è istituto utilizzabile in tutti i casi di provvedimento amministrativo illegittimo (quindi, anche se il vizio concerna violazioni di norme sul procedimento o sulla forma o sia relativo alla mancanza di comunicazione di avvio del procedimento), mentre la convalida è istituto utilizzabile solo nel caso in cui il provvedimento sia non solo illegittimo ma anche annullabile (dunque, non utilizzabile se il vizio concerna violazioni di norme sul procedimento o sulla forma o sia relativo alla mancanza di comunicazione di avvio del procedimento).

Procedendo con l’esame del testo normativo può dirsi che, quanto al comma 1, l’annullabilità d’ufficio dei provvedimenti amministrativi è stata disciplinata, prima che dall’articolo in commento, dal comma 136 dell’articolo 1 della Legge 311/04 (finanziaria per il 2005). Esso prevede che: “al fine di conseguire risparmi o minori oneri finanziari per le amministrazioni pubbliche, può sempre essere disposto l’annullamento di ufficio di provvedimenti amministrativi illegittimi, anche se l’esecuzione degli stessi sia ancora in corso. L’annullamento di cui al primo periodo di provvedimenti incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali con privati deve tenere indenni i privati stessi dall’eventuale pregiudizio patrimoniale derivante, e comunque non può essere adottato oltre tre anni dall’acquisizione dell’efficacia del provvedimento, anche se la relativa esecuzione si perdurante”. In questa disposizione, dunque, l’annullamento d’ufficio è consentito al fine di conseguire risparmi per lo Stato (primo periodo) purché, in caso abbia ad oggetto rapporti contrattuali (secondo periodo) si tenga conto degli interessi patrimoniali delle parti private e sia adottato entro 3 anni dall’acquisizione di efficacia del provvedimento originario illegittimo.

Si tratta, ora, di analizzare le disposizioni (che per comodità indicheremo da qui in seguito come 136 primo periodo, 136 secondo periodo e 21-nonies) e di verificarne gli elementi comuni e quelli contrastanti al fine di comprendere se esse possono fare parte entrambe del sistema o se, invece, una faccia venire meno le altre.

- Quanto all’oggetto del provvedimento di annullamento, sia nei due casi descritti dal comma 136 che nell’ipotesi prevista nel 21-nonies, esso è sempre un provvedimento amministrativo illegittimo, i cui effetti siano o meno ancora perduranti. Dunque, residuano fuori dal campo di osservazioni le ipotesi di vizio di opportunità, concentrandosi l’applicazione solo ai casi di vizi di legittimità. A differenza che negli altri due casi in esame, però, l’ipotesi del 136 secondo periodo circoscrive il provvedimenti illegittimo alle sole fattispecie in cui il provvedimento illegittimo abbia dato origine alla stipulazione di successivo rapporto contrattuale o negoziale (si pensi all’accordo sostitutivo e al provvedimento autorizzatorio dello stesso di cui all’articolo 11 comma 4-bis) stipulato con contraenti privati.

- Quanto alle ragioni per le quali si può procedere all’annullamento d’ufficio, nei casi del 136 esse sono di natura economica, mentre nel 21-nonies si parla in modo più generico di ragioni di interesse pubblico.

- Quanto al termine entro cui il provvedimento può essere adottato, il 136 primo periodo e il 21-nonies indicano un generico “termine ragionevole”, il 136 secondo periodo individua un perentorio “tre anni”.

- Quanto alla tutela dei controinteressati, nulla prevede il 136 primo periodo; indica la necessità di “tenere [essi] indenni” il 136 secondo periodo; dispone che sia “tenuto conto” dei loro interessi il 21-nonies.

- Quanto all’organo competente all’annullamento, nulla prevede il 136, mentre il 21-nonies circoscrive la competenza all’Organo che lo ha emanato salvo diversa disposizione di legge.

Da quanto detto può ben comprendersi come si sia in presenza di tre distinte situazioni che il Legislatore ha voluto differenziare e disciplinare [86]:

1. laddove il provvedimento di annullamento sia adottato per ragioni di interesse pubblico non espressamente riconducibili a quelle di natura economica, si applicherà quanto contenuto nell’articolo 21-nonies; ossia, l’annullamento dovrà essere compiuto entro un termine ragionevole e gli interessi dei destinatari dovrà essere tenuto in debito conto;

2. laddove il provvedimento di annullamento sia adottato per ragioni di interesse pubblico espressamente riconducibili a quelle di natura economica, si applicherà quanto contenuto nel 136 primo periodo; ossia l’annullamento dovrà essere compiuto entro un termine ragionevole e, per quanto concerne gli interessi dei destinatari, pur non essendo previsto nulla di specifico si ritiene debbano sempre essere soddisfatti i principi del legittimo affidamento e di proporzionalità;

3.      laddove il provvedimento di annullamento sia adottato per ragioni di interesse pubblico espressamente riconducibili a quelle di natura economica e dal provvedimento annullato fossero scaturiti rapporti contrattuali o convenzionali, si applicherà il 136 secondo periodo; ossia l’annullamento dovrà essere compiuto non oltre tre anni dall’adozione del provvedimento ritenuto illegittimo e i privati contraenti dovranno essere tenuti indenni [87].

Pertanto, circa il problema relativo alla possibilità o meno che le due disposizioni normative (praticamente coeve) siano in qualche modo conciliabili, potrebbe concludersi che “…le due novelle legislative…hanno previsto ben tre distinti intervalli temporali da rispettare: <<sempre>>, cioè senza alcun limite, in caso di annullamento per conseguire generali risparmi o minori oneri finanziari (comma 136, articolo 1, legge finanziaria 2005, prima fattispecie); <<tre anni>>, in caso di annullamento per conseguire in generale risparmi o minori oneri finanziari, laddove il provvedimento incida su rapporti contrattuali o convenzionali (comma 136, articolo 1, legge finanziaria 2005, seconda fattispecie); <<termine ragionevole>>, per l’annullamento d’ufficio in generale (articolo 21-nonies, comma 1, legge 241/90 riformata)… [88].

Per tornare al commento di quanto contenuto nell’articolo 21-nonies, può dirsi, allora, che esso, non facendo riferimento a specifiche finalità, può essere inteso come una sorta di disposizione generale in rapporto di genus a species rispetto alle precedenti. L’annullamento d’ufficio (generale) può, dunque, essere adottato:

- per ragioni di interesse pubblico [89];

- da parte dello stesso organo che ha adottato l’atto o di organo superiore;

- tenendo indenni gli interessi dei soggetti coinvolti [90];

- entro un termine ragionevole [91].

Quanto al comma 2, anche l’istituto della convalida sconta un mancato coordinamento con una precedente norma. La convalida, infatti, era già disciplinata dall’articolo 6 della legge 18.03.68, n. 249 il quale statuiva l’utilizzabilità dell’istituto solo nel caso in cui il vizio da cui era affetto il provvedimento fosse riconducibile all’incompetenza. Ora, la disciplina in commento non prevede limitazioni (ossia consente la convalida anche di provvedimenti viziati nella forma della violazione di legge e dell’eccesso di potere) purchè il provvedimento sia motivato da ragioni di interesse pubblico e sia adottato entro un termine ragionevole. Nel caso in esame, a differenza di quanto detto a proposito del comma 1, le due norme paiono essere entrambe di carattere generale per cui, nonostante la mancata esplicita abrogazione della legge 249/68, dovrebbe affermarsi che essa è stata sostituita dalla norma in commento.

Infine, non vi sono motivi per ritenere che la consolidata interpretazione circa la natura retroattiva dei provvedimenti di annullamento d’ufficio e convalida sia stata modificata: il provvedimento di primo grado, dunque, perderà (o acquisterà) efficacia sin dall’origine.

 

6. CAPO V ACCESSO AI DOCUMENTI AMMINISTRATIVI

Anteriormente alla L. 241 mancava nel nostro ordinamento una norma che attribuisse dignità di regola al diritto di accesso ai documenti amministrativi, riconoscendosi questo diritto solo in materia di tutela dell’ambiente (art. 14 L. 349/86) e di enti locali territoriali (art. 7 L. 142/90, ora art. 10 D.Lgs. 267/00). L’originario testo dell’art. 22 della L. 241 ha riconosciuto in via generale il diritto di accesso a tutti i documenti amministrativi; questo diritto trova il proprio fondamento costituzionale negli artt. 97 e 98 della Costituzione che stabiliscono che l’organizzazione degli uffici e l’attività dei pubblici impiegati debbano essere dirette ad assicurare un servizio costante ai cittadini (dal punto di vista del soggetto che deve consentire l’accesso) e nell’articolo 21 che sancisce il diritto all’informazione (dal punto di vista del soggetto che chiede l’ostensione dei documenti). Si tratta di un principio molto sentito anche in ambito comunitario tant’è che nella ratificanda Costituzione Europea ben due articoli (I-50 e II-102) affermano il compito delle Istituzioni, anche Comunitarie, di operare nel modo più trasparente possibile e, per fare questo, di riconoscere sempre più massicciamente il diritto d’accesso agli atti.

La novella del 2005 ha inciso fortemente sul contenuto del diritto che ne esce ancora più rafforzato. Anticipando alcuni spunti di quanto sarà in seguito descritto, può dirsi che il nuovo diritto d’accesso:

- sancisce l’ammissione dell’accesso agli atti privati della pubblica amministrazione;

- rende esperibile l’accesso nei confronti degli atti degli Enti privati;

- prevede una limitazione temporale all’esercizio del diritto;

- amplia i limiti all’accesso;

- fissa quale minimo inderogabile i principi in essa espressi;

- introduce notevoli poteri giurisdizionali in capo alla Commissione d’accesso;

- definisce in modo migliore il tormentato rapporto con il diritto alla tutela dei dati personali.

Prima di procedere all’esame del testo normativo è necessario premettere una breve disamina delle norme di diritto transitorio introdotte dall’articolo 23 commi 2 e 3 della L. 15:

- il comma 2 autorizza il Governo, entro tre mesi ad adottare un regolamento sull’accesso, modificativo di quello esistente (come noto, D.P.R. 27.06.92, n. 352) [92];

- il comma 3 prevede che in attesa di questo regolamento abbiano efficacia soltanto un numero ridottissimo di disposizioni; in particolare, soltanto i commi 5, 5-bis e 6 dell’art. 25 della L. 241. In particolare:

- il comma 5 prevede il ricorso avverso il diniego d’accesso presentato in pendenza di ricorso amministrativo e la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo;

- il comma 5-bis prevede la rappresentanza personale in giudizio;

- il comma 6 disciplina i poteri del giudice amministrativo.

Di questa norma transitoria occorre tenere conto, non solo nella lettura della successiva parte del testo ma, soprattutto, nella concreta applicazione del diritto.

Nelle prossime pagine tutte le innovazioni introdotte saranno esaminate secondo l’articolato normativo.

Articolo 22 Definizioni e princìpi in materia di accesso, commi 1, 2, 3, 4, 5, 6

1. Ai fini del presente capo si intende:

a) per “diritto di accesso“, il diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi;

b) per “interessati“, tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso;

c) per “controinteressati“, tutti i soggetti, individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, che dall’esercizio dell’accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza;

d) per “documento amministrativo“, ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale;

e) per “pubblica amministrazione“, tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario.

2. L’accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza, ed attiene ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione. Resta ferma la potestà delle regioni e degli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze, di garantire livelli ulteriori di tutela.

3. Tutti i documenti amministrativi sono accessibili, ad eccezione di quelli indicati all’articolo 24, commi 1, 2, 3, 5 e 6.

4. Non sono accessibili le informazioni in possesso di una pubblica amministrazione che non abbiano forma di documento amministrativo, salvo quanto previsto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in materia di accesso a dati personali da parte della persona cui i dati si riferiscono.

5. L’acquisizione di documenti amministrativi da parte di soggetti pubblici, ove non rientrante nella previsione dell’articolo 43, comma 2, del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, si informa al principio di leale cooperazione istituzionale.

6. Il diritto di accesso è esercitabile fino a quando la pubblica amministrazione ha l’obbligo di detenere i documenti amministrativi ai quali si chiede di accedere.

Come oramai abitudine in tutti i recenti testi legislativi, il primo comma del primo degli articoli dedicati al diritto d’accesso si apre con l’elenco dei termini, e della corrispondente definizione, più rilevanti in materia.

La lettera a) del comma 1 dell’articolo 22 attribuisce all’accesso la definizione di “diritto”, inoltre prevede in cosa esso consista.

- Quanto alla natura giuridica del diritto d’accesso, in assenza di una esplicita presa di posizione da parte del Legislatore, si sono succeduti diversi orientamenti. Dapprima, si è pensato che esso potesse essere qualificato come un diritto potestativo esercitabile nei confronti dei pubblici poteri; poi, ci si è chiesti se potesse essere considerato un vero e proprio diritto soggettivo ovvero, data la possibilità che esso venga compresso, se sia preferibile attribuirgli la natura di interesse legittimo. Successivamente, il Consiglio di Stato, sulla scorta della prevalente dottrina, ha riconosciuto al diritto di accesso la natura di diritto soggettivo pubblico (volto a conseguire le finalità della L. 241) e, come tale, utilizzabile a tutela di supposte lesioni sia di diritti soggettivi che di interessi legittimi [93]; peraltro, quale diritto soggettivo pubblico, esso rappresenta un diritto autonomo esercitabile anche indipendentemente dalla pendenza di un procedimento giurisdizionale [94]. Infine, la natura di interesse legittimo della posizione soggettiva che caratterizza l’esercente il diritto d’accesso sembrava diffusamente affermata [95] anche se, pur dopo l’intervento dell’Adunanza Plenaria, non erano mancate voci discordanti sia del giudice ordinario che delle sezioni semplici del Consiglio di Stato. Peraltro, occorre chiarire che la problematica non è meramente di scuola in quanto propendere per l’una o per l’altra tesi comporta differenze anche notevoli nel concreto esercizio del diritto:

- quanto al termine per l’esercizio dell’azione, esso è perentorio se trattasi di interesse legittimo (90 gg.), non impedisce la riproponibilità dell’azione entro il termine prescrizionale se trattasi di diritto soggettivo;

- quanto alla notificazione del ricorso, essa è necessaria nei confronti di almeno uno dei controinteressati in caso di interesse legittimo, non è necessaria, potendo il giudice ordinare l’integrazione del contraddittorio, qualora si verta in tema di diritto soggettivo;

- quanto a eventuali elementi aggiunti nel corso del giudizio, essi non sono ammissibili se trattasi di interesse legittimo mentre lo sono propendendo per la tesi del diritto soggettivo;

- quanto all’estensione del campo di azione del giudice, in caso di interessi legittimi questi è vincolato dai vizi denunciati nel ricorso, in caso di diritto soggettivo, il giudice può esaminare tutti i presupposti a prescindere dai vizi denunciati;

- quanto ai poteri spettanti al giudice, propendendo per gli interessi legittimi non sarebbero esercitabili azioni quali l’ordine e l’accertamento (azioni generalmente connesse a diritti soggettivi ed esercitabili dal giudice amministrativo solo nell’esercizio della giurisdizione esclusiva), se si segue la tesi dei diritti soggettivi, le azioni sopra indicate sarebbero esercitabili.

Nel tempo, per dimostrare la correttezza di una o l’altra delle teorie sono stati richiamati diversi elementi.

- A favore della tesi del diritto soggettivo si è sostenuto: il carattere letterale utilizzato dal Legislatore (“diritto”); l’assenza di parametri valutativi in capo alla pubblica amministrazione ricevente una richiesta di accesso; il potere ordinatorio del giudice amministrativo nei confronti della pubblica amministrazione a seguito dell’accoglimento del ricorso; la ratio dell’accesso quale istituto volto a consentire all’interessato l’ottenimento della conoscenza di un documento a lui necessario.

- A favore della tesi dell’interesse legittimo si è sostenuto: l’esistenza di un termine perentorio per l’esercizio dell’azione; la ratio dell’accesso quale istituto non tutelato di per sé, ma volto a consentire la trasparenza dell’azione amministrativa; la possibilità per la pubblica amministrazione di differire o negare l’esercizio dell’azione attraverso l’esercizio di poteri discrezionali.

Su questa situazione si è innestata la novella legislativa. Alla luce di quanto sopra detto e dal tenore di quanto in essa contenuto pare potersi affermare che l’azione volta ad ottenere l’accesso sia da considerarsi un diritto soggettivo. A questa soluzione si giunge in via interpretativa considerando non solo che il Legislatore utilizza il temine “diritto” e, poste le controversie sopra ricordate, non può certo dirsi che possa avere voluto utilizzare un termine “atecnico”, ma anche considerando l’avvenuta attribuzione delle controversie in tema di accesso alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo [96]. Questa interpretazione è stata fatta propria dal Consiglio di Stato il quale ha ritenuto che ai sensi della normativa vigente contenuta nel nuovo testo della L. 241, l’accesso sia ricostruibile quale una situazione di diritto soggettivo “sia in base alla sua formale definizione…[sia per]…la mancanza di discrezionalità per le amministrazioni…nell’adempiere alla pretesa avanzata dal soggetto privato di prendere visione ed estrarre copia dei documenti…, la non necessità che il documento amministrativo sia relativo ad uno specifico provvedimento, l’attribuzione della controversia alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e la correlata previsione che tale giudizio si concluda con l’ordine di un facere per l’amministrazione [97].

- Quanto al contenuto del diritto, nella vigenza della vecchia normativa si riteneva che il diritto d’accesso potesse essere concesso, a tutela della riservatezza di terzi, anche mediante la semplice visione del documento, senza, cioè, la connessa estrazione di copia. Questa interpretazione pare oggi superata sia perché il rapporto tra accesso e privacy è espressamente regolamentato (come vedremo di qui a poco nel commento dell’articolo 24), sia perché l’articolo 22 del codice parla espressamente di “visione e estrazione” ad intendere che le modalità siano connesse tra loro e non smembrabili [98].

La lettera b) del comma 1 dell’articolo 22 definisce la nozione (e l’estensione) degli interessati.

La nuova disposizione pone sostanzialmente tre affermazioni; possono esercitare il diritto d’accesso: (1) esclusivamente i soggetti privati (sia per interessi propri che per interessi pubblici o diffusi), purchè (2) il loro interesse sia diretto, concreto e attuale e corrisponda a situazioni giuridicamente tutelate e semprechè (3) vi sia un collegamento tra la situazione giuridica tutelata e il documento per il quale è richiesto l’accesso.

1. Quanto al punto 1, la nuova disposizione sembra avere esteso l’area degli interessati essendo, ora, tali non solo i privati portatori di interessi propri ma anche i portatori di interessi pubblici e diffusi [99]. Particolare rilievo assume l’espressa indicazione dei portatori di interessi diffusi tra i soggetti legittimati all’esercizio del diritto; infatti, fino ad oggi nonostante vi fosse stata nel tempo una progressiva apertura giurisprudenziale, si riteneva che le associazioni esponenziali di interessi diffusi potessero esercitare il diritto solo laddove esistesse un nesso pertinenziale tra l’oggetto dell’accesso e i fini statutari dell’Ente. Benché sia ovvio che anche i portatori di interessi diffusi debbano sottostare ai requisiti di cui ai successivi punti 2 e 3, è comunque palese che l’intervento del Legislatore sia stato particolarmente rilevante.

2. Quanto al punto 2, il nuovo articolo 22 sancisce in via legislativa quanto contenuto sia nel regolamento sull’accesso sia nelle prevalenti pronunce del giudice amministrativo: l’interesse deve essere diretto, concreto, attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente legittimata. Se non vi sono particolari dubbi circa l’interpretazione dei termini “diretto” (ossia appartenente alla sfera dell’interessato) e “concreto” (cioè, connesso ad un bene della vita effettivamente esistente e tutelabile anche tramite l’accesso a quello specifico documento richiesto), non semplice è comprendere cosa debba intendersi per “attuale”. Quanto al termine attuale, infatti, se esso fosse da riferirsi all’attualità dell’interesse ad agire in giudizio si tornerebbe a mettere in dubbio un postulato oramai acquisito secondo cui il diritto d’accesso non deve possedere necessariamente tutti i requisiti che legittimerebbero il ricorso al giudice amministrativo; pertanto con uno sforzo interpretativo si deve considerare che l’attualità vada considerata rispetto all’esercizio del diritto d’accesso stesso o alla tutela del bene della vita sottostante [100]. Quanto, infine, alla corrispondenza con la “situazione giuridicamente tutelata”, è consolidato l’orientamento secondo cui con questa locuzione si escludano interessi di mero fatto ma si includano non solo le posizioni di diritto soggettivo e interesse legittimo ma anche altre posizioni quali, ad esempio, le aspettative di diritto.

3. Infine, l’articolo 22 chiede anche che la situazione giuridicamente tutelata sia collegata al documento del quale si chiede l’accesso. Questa affermazione, in combinato disposto con quanto contenuto nell’articolo 24 laddove si esclude che l’accesso possa essere esercitato al solo fine di verificare l’andamento dell’azione amministrativa, serve a precisare che affinchè possa esperirsi l’accesso il richiedente deve comunque trovarsi in una posizione differenziata rispetto alla generalità dei consociati. Cioè, l’accedente deve avere bisogno proprio di quel documento al fine di curare interessi propri.

In definitiva, alla luce delle novità sopra illustrate, possono porsi alcune considerazioni:

- innanzitutto, emerge già in quanto ora illustrato (e risulterà ancora più esplicito quando, nel commento dell’articolo 24, si tratterà del rapporto tra accesso e privacy) che la nuova disciplina amplia il margine discrezionale in capo alla pubblica amministrazione ricevente la richiesta d’accesso. E’ indubbio, infatti, che al fine di consentire l’accesso la pubblica amministrazione dovrà vagliare ogni elemento valutativo in ordine alla legittimazione del richiedente e al nesso tra posizione giuridica sostenuta e documento richiesto;

- poi, proprio il maggiore ambito discrezionale concesso alla pubblica amministrazione rende necessario non solo motivare la richiesta d’accesso (motivazione già richiesta nel vecchio testo e mantenuta nell’articolo 25 comma 2, non modificato) ma anche fornire motivazioni ben circostanziate per assicurare gli elementi analizzati nei precedenti punti 1 – 3. Ebbene, l’obbligo motivazionale potrebbe scontrarsi sia con quanto previsto in materia ambientale (per la cui disamina si rinvia al successivo punto) sia con il principio di libera conoscibilità più volte sostenuto dall’Unione Europea (si pensi, ad esempio, all’articolo 6 del regolamento 30.05.01, n. 1049 in materia di accesso ai documenti del Parlamento Europeo, del Consiglio e della Commissione); d’altronde non si deve dimenticare che la volontà del Legislatore è fortemente orientata non solo a evitare che il diritto d’accesso sia esercitato per meri fini personali non connessi a situazioni giuridiche identificabili e tutelabili dall’ordinamento, ma anche a rendere armonico il rapporto tra diritto d’accesso e sostenibilità dello stesso da parte della pubblica amministrazione ricevente la richiesta (si pensi soprattutto al comma 3 dell’articolo 24 nella parte in cui precisa che l’accesso non possa essere preordinato ad un controllo generalizzato dell’attività della pubblica amministrazione) [101];

- ancora, risultano esclusi dal novero degli interessati gli Enti pubblici; come si vedrà nel commento del comma 5 del presente articolo (al quale si rinvia), questa esclusione, che a prima vista può sembrare illogica è ampiamente motivata;

- infine, come già anticipato, un breve approfondimento merita anche il rapporto tra il diritto d’accesso di cui alla normativa in commento e quello delineato in materia ambientale. Già prima dell’emanazione della recente normativa in materia, l’allora vigente D.Lgs. 39/97 prevedeva una dilatazione sia dell’elemento soggettivo sia di quello oggettivo; analogamente la giurisprudenza anche comunitaria in materia di accesso ambientale ha sempre considerato il diritto dei cittadini ad essere informati sulle tematiche ambientali quali un diritto individuale di carattere generale [102]. Recentemente, in attuazione della Direttiva Europea 28.01.03, n. 4/CE sull’accesso del pubblico all’informazione ambientale, è stato emanato il D.Lgs. 19.08.05, n. 195; questo testo prevede una fattispecie di accesso che potremmo dire essere in rapporto di species a genus rispetto al diritto d’accesso (generale) prefigurato nella legge 241 [103]. Il diritto d’accesso ambientale si caratterizza sostanzialmente, secondo quanto già avveniva nella vigenza del D.Lgs. 39/97, per una maggiore estensione sia dei soggetti legittimati sia delle informazioni accessibili, per una riduzione dei casi di esclusione:

- quanto all’elemento soggettivo non è necessario alcun interesse diretto, concreto e attuale né che questo dia origine ad una qualsiasi situazione giuridica in qualche modo collegata al documento del quale si chiede l’ostensione;

- quanto al contenuto dell’accesso, è tale non soltanto il documento amministrativo ma qualsiasi informazione detenuta dalla pubblica amministrazione;

- quanto ai casi di esclusione essi sono tutti previsti nel testo normativo (non è previsto, cioè, un rinvio a specifici regolamenti Ministeriali, come previsto per l’ipotesi “generale di accesso”) e sono sostanzialmente riconducibili alle richieste irragionevoli, a quelle incomplete e a quelle che possono ledere interessi specificamente individuati.

Come sostenuto in dottrina, la disciplina del diritto d’accesso in materia ambientale viene a configurarsi quale una sorta di azione popolare, giustificata dalla particolarità della natura dell’interesse tutelato [104].

La lettera c) del comma 1 dell’articolo 22 definisce la nozione relativa ai cosiddetti controinteressati.

Tali sono, secondo l’indicazione della norma, tutti coloro che vedrebbero compromesso l’interesse alla riservatezza a causa dell’esercizio del diritto d’accesso. Già dalla definizione può evincersi una prima limitazione: non è controinteressato chiunque possa subire qualsiasi compromissione di generici interessi, bensì soltanto chi possa subire compromissione della riservatezza [105]; ulteriore limitazione è data dalla circostanza che soggetti potenzialmente aventi le caratteristiche per essere definiti controinteressati possano non esserlo laddove non siano previamente individuati o facilmente individuabili. Si rendono opportune alcune riflessioni:

- innanzitutto, se è vero che la maggior parte dei casi in cui taluno possa considerarsi controinteressato rispetto ad una richiesta d’accesso agli atti è rinvenibile in ipotesi di tutela della riservatezza, non può ritenersi essere questo l’unico interesse avente i requisiti tali da individuare la figura del controinteressato [106]; pertanto, sarebbe forse stato preferibile che il Legislatore individuasse la figura del controinteressato senza prestare esclusiva attenzione al rapporto con l’interesse alla riservatezza;

- poi, si legge nel testo che i controinteressati sono tali solo se previamente individuati o facilmente individuabili; probabilmente in questo caso il Legislatore ha accorpato due concetti. Probabilmente in questa definizione si sono voluti esprimere un concetto sostanziale e un concetto processuale. Il passaggio, cioè, è da interpretare nel senso che sono controinteressati tutti coloro i quali possiedano un interesse alla riservatezza connesso al documento di cui si chiede l’ostensione, che i controinteressati devono essere in qualche modo informati dell’avvio del procedimento ostensivo (questa parte è del tutto mancante nel testo come vedremo anche successivamente), che l’obbligo della comunicazione dell’avvio del procedimento ai controinteressati può venire meno laddove gli stessi non siano previamente individuati o facilmente individuabili. In definitiva, la ratio dell’esclusione per i soggetti non individuabili è chiara, ragionevole (secondo quanto già affermato, volta a tutelare la pubblica amministrazione) e coerente con quanto contenuto anche in altre parti del testo (ad esempio, l’articolo 21-bis); probabilmente, però, la forma utilizzata non è delle migliori;

- infine, non è spiegato nel testo quali diritti (o interessi) possiedano i controinteressati. Possibile che i controinteressati entrino in gioco solo nel caso in cui sia già pendente un ricorso (articolo 25 comma 4)? O forse il Legislatore ha dato per scontata l’acquisizione giurisprudenziale secondo cui essi devono comunque essere informati dell’avvio di un procedimento per l’accesso agli atti, possono intervenire nello stesso, presentare istanze e impugnare decisioni? Se questa tesi, per la quale si propende, è maggiormente coerente con il testo della legge e sarà accettata, non può che ribadirsi una certa eccessiva brevità nell’esposizione di un concetto particolarmente rilevante e con connesse conseguenze anche di notevole entità, come si vedrà nella parte dedicata al rapporto tra accesso e privacy.

La lettera d) del comma 1 dell’articolo 22 definisce il documento amministrativo. Rispetto alla previgente normativa si segnala l’estensione del documento accessibile: è tale, infatti, non soltanto l’atto formato dalla pubblica amministrazione cui si chiede l’accesso ma anche quello da essa detenuto [107]; non soltanto l’atto di natura pubblicistica ma anche quello di natura privatistica purchè, ovviamente, concernenti svolgimento di attività di pubblico interesse.

La lettera e) del comma 1 dell’articolo 22 (andandosi a sovrapporre con l’articolo 23, non modificato!) precisa quale sia la pubblica amministrazione cui la disciplina si applica. Anche sotto questo punto di vista la normativa fa proprie le più recenti considerazioni della giurisprudenza laddove sono stati inclusi nel novero della pubblica amministrazione anche i gestori di pubblici servizi e ogni altro soggetto, benché privato, che svolga attività di interesse pubblico. La disposizione è certamente onnicomprensiva ed è tale da fare ritenere che il Legislatore sia stato animato da volontà sostanzialistica (tesa a consentire quanto più possibile l’esercizio del diritto) più che formalistica (alla luce della quale, forse, si sarebbe dovuto circoscrivere il campo di applicazione a quei soggetti che possiedono i requisiti, definiti dalla giurisprudenza comunitaria, di organismo di diritto pubblico [108]).

Il comma 2 dell’articolo 22, memore della riforma costituzionale del 2001, si preoccupa di ripartire la competenza in materia di diritto d’accesso. Nell’ambito del commento dell’articolo 29 si spiegheranno le ragioni per cui ciò si rende necessario (il Legislatore costituzionale non ha previsto quale materia riservata in via esclusiva allo Stato quella amministrativa), quale sia stata la soluzione accolta dalla novella per tutto il resto dei principi in essa contenuti (applicabilità diretta su tutto il territorio per le disposizioni in tema di giustizia amministrativa, applicabilità solo per le amministrazioni statali e gli enti pubblici nazionali per tutte le altre disposizioni) e quali siano le problematiche connesse a questa soluzione; in questa sede, quale premessa, è sufficiente dire che per il diritto d’accesso il Legislatore ha inteso individuare una soluzione differente da quella adottata per tutte le altre materie comprese nella L. 241. La soluzione è quella di considerare il diritto d’accesso quale un principio attinente ai diritti civili e sociali da garantirsi su tutti il territorio ai sensi del comma 2 lettera m) dell’articolo 117 della Costituzione. Dunque, il diritto d’accesso disciplinato negli articoli in commento viene a configurarsi quale un minimum da assicurarsi a tutti essendo lasciato alla competenza regionale la possibilità di prevedere livelli di trattamento soltanto migliorativi [109].

Quanto al comma 3, in esso si opera un’affermazione di principio (generalizzata accessibilità di tutti i documenti) ed un rinvio per la sua limitazione (ai casi contemplati nell’articolo 24).

Quanto al comma 4, in esso si chiarisce che oggetto dell’accesso sono soltanto i documenti amministrativi; pertanto, ad esclusione di quanto previsto in tema di privacy (laddove è previsto un obbligo per la pubblica amministrazione di consentire l’accesso a dati relativi ai singoli richiedenti) la pubblica amministrazione non può essere costretta a fornire dati non costituiti nella forma di documenti escludendosi, pertanto, l’obbligo di elaborare informazioni, predisporre dati o generiche informazioni che non costituiscano già documenti in senso proprio.

Quanto al comma 5, esso costituisce la diretta conseguenza dell’esclusione (ad opera del comma 2 del presente articolo) della pubblica amministrazione tra i soggetti interessati. Il comma 5 prevede l’ipotesi ordinaria in cui l’acquisizione di informazioni tra pubbliche amministrazioni avvenga ai sensi dell’articolo 43, comma 2, del D.P.R. 445/00 (ossia mediante consultazione diretta) e l’ipotesi residuale in cui, non essendo ciò possibile, l’acquisizione di informazioni si informata al principio della leale collaborazione di derivazione costituzionale (articolo 120 Cost.). Questa disposizione ha un senso in quanto in questo modo si semplificano i rapporti tra pubbliche amministrazioni posto che non sembra necessaria alcuna motivazione della richiesta di accesso né alcun vincolo di alcun tipo nel seguire procedure formali; se connessa, inoltre, con il nuovo articolo 3-bis che prevede l’incentivazione dell’uso della telematica, questa disposizione dovrebbe servire a rendere maggiormente efficiente l’attività amministrativa.

Infine, il comma 6, sempre nell’ottica di non imporre alla pubblica amministrazione pesi inutili, sancisce che l’accesso possa essere esercitato soltanto finchè permanga l’obbligo di conservazione del documento.

Articolo 24 Esclusione dal diritto di accesso, commi 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7

1. Il diritto di accesso è escluso:

a) per i documenti coperti da segreto di Stato ai sensi della legge 24 ottobre 1977, n. 801, e successive modificazioni, e nei casi di segreto o di divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge, dal regolamento governativo di cui al comma 6 e dalle pubbliche amministrazioni ai sensi del comma 2 del presente articolo;

b) nei procedimenti tributari, per i quali restano ferme le particolari norme che li regolano;

c) nei confronti dell’attività della pubblica amministrazione diretta all’emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione;

d) nei procedimenti selettivi, nei confronti dei documenti amministrativi contenenti informazioni di carattere psico-attitudinale relativi a terzi.

2. Le singole pubbliche amministrazioni individuano le categorie di documenti da esse formati o comunque rientranti nella loro disponibilità sottratti all’accesso ai sensi del comma 1.

3. Non sono ammissibili istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni.

4. L’accesso ai documenti amministrativi non può essere negato ove sia sufficiente fare ricorso al potere di differimento.

5. I documenti contenenti informazioni connesse agli interessi di cui al comma 1 sono considerati segreti solo nell’ambito e nei limiti di tale connessione. A tale fine le pubbliche amministrazioni fissano, per ogni categoria di documenti, anche l’eventuale periodo di tempo per il quale essi sono sottratti all’accesso.

6. Con regolamento, adottato ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, il Governo può prevedere casi di sottrazione all’accesso di documenti amministrativi:

a) quando, al di fuori delle ipotesi disciplinate dall’articolo 12 della legge 24 ottobre 1977, n. 801, dalla loro divulgazione possa derivare una lesione, specifica e individuata, alla sicurezza e alla difesa nazionale, all’esercizio della sovranità nazionale e alla continuità e alla correttezza delle relazioni internazionali, con particolare riferimento alle ipotesi previste dai trattati e dalle relative leggi di attuazione;

b) quando l’accesso possa arrecare pregiudizio ai processi di formazione, di determinazione e di attuazione della politica monetaria e valutaria;

c) quando i documenti riguardino le strutture, i mezzi, le dotazioni, il personale e le azioni strettamente strumentali alla tutela dell’ordine pubblico, alla prevenzione e alla repressione della criminalità con particolare riferimento alle tecniche investigative, alla identità delle fonti di informazione e alla sicurezza dei beni e delle persone coinvolte, all’attività di polizia giudiziaria e di conduzione delle indagini;

d) quando i documenti riguardino la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni, con particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale e commerciale di cui siano in concreto titolari, ancorché i relativi dati siano forniti all’amministrazione dagli stessi soggetti cui si riferiscono;

e) quando i documenti riguardino l’attività in corso di contrattazione collettiva nazionale di lavoro e gli atti interni connessi all’espletamento del relativo mandato.

7. Deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici. Nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l’accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall’articolo 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale.

Il diritto d’accesso, come ampiamente osservato in precedenza, è ritenuto essere un diritto essenziale; inoltre, sono accessibili tutti i documenti formati o detenuti da una pubblica amministrazione; vi sono però alcune eccezioni, ossia alcuni casi in cui l’accesso ai documenti non può essere consentito. Questi casi di esclusione sono contenuti, quasi esclusivamente, nella nuova versione dell’articolo 24.

Per tracciare una disciplina organica delle esclusioni, possiamo dire che esse possono essere di fonte diversa: (1) normativa, (2) regolamentare nazionale, (3) regionale o locale, (4) autonoma di ciascuna pubblica amministrazione.

1. Le esclusioni normative sono tutte contenute nel testo della L. 241:

- il comma 6 dell’articolo 22 esclude l’accesso per quei documenti per i quali siano scaduti i termini di conservazione da parte della pubblica amministrazione;

- il comma 1 dell’articolo 24 esclude l’accesso dei seguenti documenti:

- coperti da segreto di Stato (per intuitive ragioni di sicurezza nazionale);

- adottati nell’ambito dei procedimenti tributari (per la peculiarità dell’attività svolta dagli uffici tributari);

- relativi all’emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione (i quali non sono esclusi tout court, ma per i quali si applicano le specifiche disposizioni normative che li regolano);

- adottati nell’ambito di procedure concorsuali semprechè contenenti informazioni di carattere psico – attitudinale.

Questi documenti possono essere sottratti all’accesso solo nei limiti della connessione con l’interesse protetto e specificamente individuato nei punti precedenti e fintantoché perduri tale connessione;

- il comma 3 dell’articolo 24 esclude l’accesso se preordinato a un controllo generalizzato dell’attività della pubblica amministrazione, a tutela dell’efficienza della stessa e ad evitare pericolose disfunzioni;

- il comma 7 esclude l’accesso laddove vi siano particolari esigenze di riservatezza (su questo punto, di particolare interesse e complessità, si rinvia alla disamina che sarà fornita al termine del commento del presente articolo).

2. Le esclusioni di natura regolamentare nazionale sono sancite nel comma 6 dell’articolo 24 il quale prevede che il Governo possa adottare ulteriori casi di sottrazione all’accesso di documenti amministrativi quando sussistano esigenze di tutelare:

- la sicurezza, la difesa nazionale e le relazioni internazionali;

- la tutela degli interessi monetari e valutari;

- l’ordine pubblico;

- la vita privata o la riservatezza di persone fisiche o giuridiche;

- l’attività in corso in materia di contrattazione collettiva.

3. Le esclusioni di natura regionale o locale sono tutte quelle che, ai sensi dell’interpretazione sopra accolta del comma 2 dell’articolo 22, possono essere emanate da Regione ed Enti Locali per consentire un ampliamento dei principi contenuti nella L. 241 che, come detto, costituiscono un minimum da assicurarsi a tutti essendo lasciato alla competenza regionale la possibilità di prevedere livelli di trattamento migliorativi.

4. Per quanto riguarda le esclusioni di natura amministrativa, si ritiene che esse non comprendono solo quanto espressamente previsto nei commi 2 e 5 dell’articolo in commento; ossia, laddove ad ogni singola pubblica amministrazione è consentito di adottare specifiche regolamentazioni volte a individuare le categorie di documenti da esse formate rientranti nei casi elencati e il periodo temporale dell’esclusione. Infatti, nonostante che questa previsione sia prevista subito dopo l’elenco delle esclusioni contenute espressamente nel testo, si deve ritenere più coerente che l’attività della pubblica amministrazione in essa prevista sia esperibile in tutti i casi in cui, a prescindere da quale ne sia la fonte, sono sanciti casi di esclusione del diritto d’accesso. Inoltre, in questa sede deve precisarsi che si ritiene compreso nell’ambito dei poteri concessi alla pubblica amministrazione anche il cosiddetto potere di differimento, previsto nel comma 4 dell’articolo 24. Il potere di differimento, già presente nella vecchia normativa, consta del potere concesso alla pubblica amministrazione ricevente una richiesta di ostensione di non negare la stessa ma di differire l’accesso ad un momento successivo, possibilmente determinato o, comunque, determinabile. La nuova disposizione sembra più generica ma, in sostanza, pone a base dell’opzione per il differimento non già esigenze di natura amministrativa bensì di natura sostanziale. Lascia perplessi soltanto il fatto che il comma in commento non disciplini il differimento mentre il comma 3 dell’articolo 25, non modificato, precisa al riguardo che la disciplina applicabile per il differimento è quella prevista nel comma 4 dell’articolo 24: la soluzione preferibile è quella secondo la quale anche questo aspetto dovrà essere regolamentato nell’emanando regolamento sostitutivo del D.P.R. 352/90 [110].

In conclusione del commento dell’articolo 24, merita un approfondimento in sé quanto contenuto nel comma 7 dell’articolo stesso, in materia di rapporto tra diritto d’accesso e diritto alla riservatezza dei dati personali.

Operando, dapprima, una ricostruzione storica, può dirsi che sono esistiti diversi periodi in cui il bilanciamento tra gli interessi sopra indicati si è atteggiato in diverso modo [111]:

1. dopo l’emanazione della normativa sull’accesso e prima di quella sulla privacy, già l’art. 24 della L. 241 e l’art. 8 del D.P.R. 352/92 prevedevano la necessità di un bilanciamento tra la riservatezza dei terzi e l’esigenza che ai richiedenti fosse garantita la visione di quegli atti la cui conoscenza fosse opportuna per curare o difendere i propri interessi. Dunque, la normativa vigente prima della emanazione della Legge sulla privacy non garantiva il diritto alla riservatezza in termini assoluti, ma prevedeva che questo recedesse in presenza di un opposto e prevalente diritto all’accesso esercitato per la difesa di un interesse giuridico [112]; tale criterio si ricava da quanto previsto dall’articolo 8 del D.P.R. 352/92 il quale, nel disciplinare le modalità di esercizio del diritto ed i suoi casi di esclusione, ha sottratto all’accesso i documenti che riguardano la vita privata o la riservatezza delle persone, ma non quando l’accesso a tali documenti dovesse essere esercitato per la difesa di un interesse da parte del richiedente.

2. La prima legge in materia di tutela dei dati personali (L. 31.12.96, n. 675), pur assumendo un rango particolare imposto dal suo collegamento con la Convenzione di Strasburgo, non sembra stravolgere la suddetta impostazione. Essa, infatti, a seguito anche della modifica contenuta nel D.Lgs. 135/99, dopo avere precisato che la comunicazione di dati personali da parte di enti pubblici è ammessa solo se espressamente prevista da norme di legge o di regolamento (articolo 27, comma 3) e che il trattamento di dati sensibili è ammesso solo se autorizzato da norma di legge che ne preveda anche i dati trattabili, le operazioni eseguibili e le finalità di interesse pubblico perseguite (articolo 22, comma 3):

- autorizza, senza necessità di alcun consenso, il trattamento, la diffusione ed il trasferimento all’estero dei dati personali provenienti da registri, elenchi, atti o documenti pubblici conoscibili da chiunque (rispettivamente, art. 12 comma 1 lettera c), art. 20 comma 1 lettera b) e articolo 28 comma 4 lettera f));

- prevede che i soggetti pubblici possano comunicare e diffondere dati personali ai privati in presenza di specifiche disposizioni legislative o regolamentari (articolo 27 comma 3);

- infine, in materia di accesso ai documenti, lascia ferme le vigenti disposizioni in quanto compatibili (articolo 43 comma 2). Quanto ai dati cosiddetti super sensibili, ne consente il trattamento solo se il diritto da fare valere e difendere è di rango almeno pari a quello dell’interessato.

3. La vigente normativa in materia di tutela dei dati personali (D.Lgs. 30.06.96, n. 196), sotto questo aspetto, conferma sostanzialmente quanto ora precisato. Innanzitutto, l’art. 24 comma 1 lett. c) e l’articolo 43 comma 1 autorizzano, senza necessità di alcun consenso, rispettivamente, il trattamento, la diffusione ed il trasferimento all’estero (se vi è il consenso o esso è da considerarsi necessario) dei dati personali provenienti da registri, elenchi, atti o documenti pubblici conoscibili da chiunque; poi, l’articolo 19 comma 3 prevede che i soggetti pubblici possano comunicare e diffondere dati personali ai privati in presenza di specifiche disposizioni legislative o regolamentari; infine, soprattutto, l’articolo 59, in materia di accesso ai documenti, lascia ferme le vigenti disposizioni in quanto compatibili.

Quanto alla possibilità per gli Enti pubblici di compiere il trattamento dei dati:

- per ciò che concerne i dati non sensibili esso è consentito per lo svolgimento di funzioni istituzionali;

- per il trattamento di quelli sensibili è necessario uno specifico consenso dell’interessato a seguito di espressa disposizione di legge che ne preveda le operazioni eseguibili;

- per i cosiddetti dati super sensibili è necessario uno specifico consenso scritto del Garante della privacy.

Quanto al bilanciamento degli interessi, prevale il diritto d’accesso nel primo caso (dati comuni), è necessario un contemperamento degli interessi nel secondo (dati sensibili), si deve ricorrere ad una valutazione in concreto volta a verificare che l’istanza sia preordinata alla tutela di un interesse pari a quello tutelato dalla riservatezza ovvero consiste in un diritto della personalità o in un altro diritto fondamentale ed inviolabile nel terzo caso (dati super sensibili).

Prima di passare all’esame dell’attuale normativa in tema di accesso e all’esame delle soluzioni in essa contenute per bilanciare gli interessi all’accesso e alla riservatezza, è opportuno sottolineare che anche nei casi in cui il diritto di accesso e quello alla privacy abbiano ad oggetto lo stesso documento (che in ipotesi taluno richiede, ma la cui conoscibilità potrebbe ledere la riservatezza dei terzi), non è detto che essi entrino in conflitto: infatti, “il documento acquisito ex art. 22 [L. 241] da un soggetto legittimato nel senso sopra esposto, non è “pubblico” ai sensi dell’art. 12, comma 1, lettera c) della legge del 1996 [ora, 24 comma 1 c) D.Lgs. 196/03] e, quindi, non può essere fatto oggetto di trattamento da parte di un terzo ai sensi di quest’ultima disposizione [113]. L’accesso ai documenti e l’accesso ai dati personali, cioè, pur potendo avere ad oggetto, in concreto, i medesimi atti, in teoria convivono su due piani separati e il relativo discrimen andrebbe trovato nell’oggetto dell’istanza (dati personali, con conseguente applicabilità delle norme del D.Lgs. 196/03, oppure documenti amministrativi, con conseguente applicabilità delle norme della L. 241):

- l’accesso ai documenti è consentito a chiunque sia titolare di un interesse personale e concreto, e per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti anche a contenuto economico. Il richiedente deve motivare la richiesta e può esaminare o estrarre copia di un documento anche informatico, il quale può contenere informazioni relative a terzi, e può essere reso accessibile nella sua interezza, o depurato delle parti la cui divulgazione sarebbe lesiva della riservatezza altrui [114];

- l’accesso ai dati personali, invece, è riservato all’interessato e non presuppone la dimostrazione dell’esistenza del diritto o dell’interesse sottostante; inoltre, non può essere differito né incontra limiti. Al tempo stesso, però, è circoscritto ai dati che riguardano l’interessato e presuppone, quindi, l’esclusione manuale o informatizzata delle informazioni riguardanti i terzi[115].

Tutto ciò, ovviamente, su di un piano teorico: quando, peraltro, venga a verificarsi in concreto un conflitto tra i diritti in parola si deve osservare che anche dopo l’entrata in vigore della legge sulla tutela della privacy si è andato delineando un orientamento volto a salvaguardare il fondamentale diritto all’accesso agli atti amministrativi:

- lo stesso Garante per la protezione dei dati personali aveva già palesato in modo chiaro che la normativa in materia di tutela dei dati personali non ha abrogato le disposizioni sull’accesso ai documenti amministrativi [116];

- la Giurisprudenza di merito ha avuto modo di precisare che la prevalenza dell’accesso sulla riservatezza si ricava da quanto previsto dall’art. 43 della citata legge 675 [ora, 59 D.Lgs. 196/03] il quale prevede espressamente che “restano in vigore le vigenti norme in materia d’accesso [117];

- in tal senso si è anche pronunciato il Consiglio di Stato, il quale dapprima ha affermato che l’interesse alla riservatezza, tutelato dalla normativa mediante una limitazione del diritto di accesso, recede quando l’accesso stesso sia stato esercitato per la difesa di un interesse giuridico [118]; poi, risolvendo una delicata questione attinente al rapporto tra diritto di informazione, diritto di accesso agli atti e diritto alla privacy, ha statuito che il diritto di accesso deve sempre essere garantito sia pure nel rispetto della sopravvenuta disciplina di cui alla tutela dei dati personali [119].

Su questa situazione si è andato ad innestare il nuovo articolato contenuto nel comma 7 dell’articolo 24 della L. 241 che rappresenta il primo effettivo tentativo di disciplinare in modo organico il rapporto tra gli “opposti” interessi.

Dal combinato delle norme in materia di accesso e privacy, risulta dunque che l’accesso può essere chiesto sia a dati personali, sia a documenti:

1. nel caso di accesso ai dati personali, ex articolo 7 D.Lgs. 196/03, l’accesso può essere compiuto solo dal titolare dei dati ed è consentito per un ambito molto esteso;

2. nel caso di accesso ai documenti, l’accesso è consentito anche a terzi purchè, come già visto in sede di disamina del comma 1 dell’articolo 22 della L. 241, essi siano “qualificati”.

Prestando attenzione al secondo dei casi sopra indicati, la soluzione del necessario bilanciamento di interessi si rinviene dal combinato disposto del comma 7 in commento con gli articoli 59 e 60 del D.Lgs. 196/03.

Dalla lettura di essi si desume che:

- quanto all’accesso ai dati comuni, esso è sempre consentito purchè sia necessario per curare o difendere interessi giuridici; trattasi, dunque, di un’ipotesi di semplice soluzione in cui la pubblica amministrazione è vincolata nell’accettazione o meno della richiesta;

- quanto all’accesso ai dati sensibili, l’accesso è consentito solo qualora esso sia strettamente indispensabile; trattasi di una verifica discrezionale che non deve, però, scendere al livello di vagliare gli opposti concreti interessi ma deve focalizzarsi esclusivamente sulla posizione del soggetto che vuole accedere, la cui richiesta deve essere tale da “…dimostrare l’indispensabilità dell’accesso… [120];

- quanto all’accesso ai dati super sensibili, esso è consentito solo qualora il rango della situazione giuridicamente rilevante che si intende tutelare con la richiesta di accesso risulti almeno pari al rango dei diritti del controinteressato; anche in questo caso la pubblica amministrazione esercita un potere discrezionale, che non si limita, a differenza del precedente caso, a valutare in astratto gli interessi ma che è volto ad analizzare nello specifico i sottostanti beni della vita, quello tutelato dalla richiesta di ostensione e quello tutelato dalla riservatezza, uno dei quali, a seconda della scelta compiuta dalla pubblica amministrazione, sarà compromesso.

La valutazione da compiersi nell’ultimo dei casi sopra citati è, peraltro, estremamente rilevante poiché dal combinato disposto dell’articolo 15 del D.Lgs. 196/03 e dell’articolo 2050 del codice civile emerge una responsabilità risarcitoria di natura oggettiva a carico di colui che abbia violato la riservatezza del titolare dei dati (e il pubblico funzionario che conceda l’accesso a terzi compie un’azione che, se ritenuta illegittima dal giudice amministrativo, rientra appieno in questa fattispecie).

Per concludere, pare comodo tracciare uno schema riassuntivo.

 

 Legge / Dato

Dati comuni

Dati sensibili

Dati super sensibili

 Riferimento normativo

art. 24, c. 7, alinea 1 L. 241

art. 24, c. 7, alinea 2 L. 241

art. 24, c. 7, alinea 2 L. 241 e art. 60 D.Lgs. 196/03

 Principio     applicabile

Il diritto d’accesso prevale su quello alla riservatezza se non esiste altro modo per ottenere le informazioni e semprechè la richiesta sia correlata alla necessità di curare o difendere interessi giuridici (processuali, giustiziali o procedimentali)

Il diritto d’accesso prevale su quello alla riservatezza solo nei limiti in cui sia strettamente indispensabile per la cura di interessi giuridici (processuali, giustiziali o procedimentali)

Non vi è supremazia né dell’uno né dell’altro; spetta al richiedente dimostrare che la rilevanza del diritto da fare valere nella difesa di interessi giuridici (processuali, giustiziali o procedimentali) sia almeno di pari rango all’interesse del controinteressato

Natura del potere esercitato

Vincolata

Discrezionale astratta

Discrezionale concreta

Articolo 25 Modalità di esercizio del diritto di accesso e ricorsi, commi 4, 5, 5 bis, 6

4. Decorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta, questa si intende respinta. In caso di diniego dell’accesso, espresso o tacito, o di differimento dello stesso ai sensi dell’articolo 24, comma 4, il richiedente può presentare ricorso al tribunale amministrativo regionale ai sensi del comma 5, ovvero chiedere, nello stesso termine e nei confronti degli atti delle amministrazioni comunali, provinciali e regionali, al difensore civico competente per ambito territoriale, ove costituito, che sia riesaminata la suddetta determinazione. Qualora tale organo non sia stato istituito, la competenza è attribuita al difensore civico competente per l’ambito territoriale immediatamente superiore. Nei confronti degli atti delle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato tale richiesta è inoltrata presso la Commissione per l’accesso di cui all’articolo 27. Il difensore civico o la Commissione per l’accesso si pronunciano entro trenta giorni dalla presentazione dell’istanza. Scaduto infruttuosamente tale termine, il ricorso si intende respinto. Se il difensore civico o la Commissione per l’accesso ritengono illegittimo il diniego o il differimento, ne informano il richiedente e lo comunicano all’autorità disponente. Se questa non emana il provvedimento confermativo motivato entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione del difensore civico o della Commissione, l’accesso è consentito. Qualora il richiedente l’accesso si sia rivolto al difensore civico o alla Commissione, il termine di cui al comma 5 decorre dalla data di ricevimento, da parte del richiedente, dell’esito della sua istanza al difensore civico o alla Commissione stessa. Se l’accesso è negato o differito per motivi inerenti ai dati personali che si riferiscono a soggetti terzi, la Commissione provvede, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, il quale si pronuncia entro il termine di dieci giorni dalla richiesta, decorso inutilmente il quale il parere si intende reso. Qualora un procedimento di cui alla sezione III del capo I del titolo I della parte III del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, o di cui agli articoli 154, 157, 158, 159 e 160 del medesimo decreto legislativo n. 196 del 2003, relativo al trattamento pubblico di dati personali da parte di una pubblica amministrazione, interessi l’accesso ai documenti amministrativi, il Garante per la protezione dei dati personali chiede il parere, obbligatorio e non vincolante, della Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi. La richiesta di parere sospende il termine per la pronuncia del Garante sino all’acquisizione del parere, e comunque per non oltre quindici giorni. Decorso inutilmente detto termine, il Garante adotta la propria decisione.

5. Contro le determinazioni amministrative concernenti il diritto di accesso e nei casi previsti dal comma 4 è dato ricorso, nel termine di trenta giorni, al tribunale amministrativo regionale, il quale decide in camera di consiglio entro trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso, uditi i difensori delle parti che ne abbiano fatto richiesta. In pendenza di un ricorso presentato ai sensi della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, e successive modificazioni, il ricorso può essere proposto con istanza presentata al presidente e depositata presso la segreteria della sezione cui è assegnato il ricorso, previa notifica all’amministrazione o ai controinteressati, e viene deciso con ordinanza istruttoria adottata in camera di consiglio. La decisione del tribunale è appellabile, entro trenta giorni dalla notifica della stessa, al Consiglio di Stato, il quale decide con le medesime modalità e negli stessi termini. Le controversie relative all'accesso ai documenti amministrativi sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

5-bis. Nei giudizi in materia di accesso, le parti possono stare in giudizio personalmente senza l’assistenza del difensore. L’amministrazione può essere rappresentata e difesa da un proprio dipendente, purché in possesso della qualifica di dirigente, autorizzato dal rappresentante legale dell’ente.

6. In caso di totale o parziale accoglimento del ricorso il giudice amministrativo, sussistendone i presupposti, ordina l'esibizione dei documenti richiesti.

6. Il giudice amministrativo, sussistendone i presupposti, ordina l’esibizione dei documenti richiesti.

Prima dell’intervento riformatore in commento, la tutela giurisdizionale del diritto d’accesso era esperibile in via facoltativa al TAR (entro trenta giorni dal diniego o dalla formazione del silenzio rigetto, con previsione di termini abbreviati – 30 gg. – sia per la decisione di primo grado che per l’eventuale appello) oppure al difensore civico (con obbligo di pronuncia entro 30 gg., in assenza della quale l’accesso era consentito); in caso di pendenza di un ricorso giurisdizionale l’impugnazione avverso il diniego d’acceso poteva essere proposta con istanza presentata al Presidente del TAR e decisa con ordinanza istruttoria.

La legge di riforma, riscrivendo i commi 4, 5, 5-bis e 6 dell’articolo 25 apporta svariate innovazioni; la nuova struttura dei ricorsi avverso il diniego d’accesso è la seguente: nel caso di diniego d’accesso oppure di silenzio protratto per 30 gg., il richiedente può chiedere tutela in via giustiziale o in via giurisdizionale. Nel primo caso organi competenti sono il Difensore Civico o la Commissione per l’accesso a seconda della natura dell’Autorità che non ha consentito l’accesso; nel secondo caso competente è il giudice amministrativo in via esclusiva. Nel proseguo del commento saranno illustrati gli aspetti principali di entrambe le procedure contenziose; al termine dell’illustrazione ci si soffermerà su alcun punti critici.

1. La tutela giustiziale, come visto in apertura del commento, non costituisce una novità della novella del 2005 in quanto già la legge 340/00 aveva introdotto nel tessuto originario della L. 241 la possibilità di ricorrere al difensore civico; il Legislatore del 2005 conferma questa impostazione, definisce meglio la competenza del difensore civico, gli affianca quale ulteriore organo amministrativo la commissione per l’accesso, precisa espressamente i termini del procedimento, configura il rapporto tra quest’ultima ed il Garante della privacy, individua la valenza della decisione giustiziale rispetto all’Amministrazione richiesta dell’accesso. Prima di esaminare nel dettaglio gli spunti di novità ora individuati è opportuno chiarire che poiché gli Organi giustiziali “…pur facendo parte dell’organizzazione amministrativa, non si trovano in una posizione di gerarchica sovraordinazione rispetto all’autorità che ha reso la decisione (espressa o tacita) sulla richiesta di accesso ma, piuttosto, sono ad essa collegati da un rapporto funzionale che si estrinseca nella potestà di decidere sulla richiesta di riesame…da una tale configurazione risulta evidente il riferimento al modello del ricorso gerarchico improprio… [121].

Quanto agli Organi cui ricorrere:

- la figura del difensore civico (di origine nord – europea) non prevista nella Costituzione è stata introdotta dapprima dalle Regioni e, successivamente, prevista per gli Enti territoriali dalla legge 142/90 (poi trasfusa nel vigente T.U. sulle autonomie locali – articolo 11) che consentiva a Comuni e Province di prevederlo quale Organo garante del buon andamento e dell’imparzialità dell’azione amministrativa;

- la commissione per l’accesso è stata istituito nell’originario testo della L. 241 con compiti di controllo circa il rispetto delle norme in materia di accesso ai documenti da parte della pubblica amministrazione;

- il ricorso alla tutela giustiziale, che non preclude l’esperibilità del ricorso al TAR, può essere compiuto:

- dinanzi al difensore civico competente per ambito territoriale se presentato avverso pronunce, espresse o tacite, di diniego formate da enti locali e regionali. La norma precisa anche che laddove il difensore civico non sia costituito la competenza transita automaticamente in quello competente per l’ambito territoriale immediatamente superiore;

- dinanzi la commissione nazionale per l’accesso nei confronti di pronunce, espresse o tacite, di diniego formate da Amministrazioni centrali e periferiche dello Stato.

Quanto al procedimento da seguirsi da parte degli Organi sopra indicati, esso non presenta differenze (se non in tema di rapporti con il Garante della privacy, ma di questo si tratterà successivamente): il difensore civico e la commissione per l’accesso devono pronunciarsi sull’istanza entro il termine di 30 gg.;

- se la pronuncia è di rigetto o nel termine non vi è pronuncia il ricorrente può presentare ricorso al TAR avverso l’originario diniego (espresso o tacito) della pubblica amministrazione;

- se la pronuncia è di accoglimento prende avvio un’ulteriore fase in cui la pubblica amministrazione intimata può lasciare decorrere ulteriori 30 gg. senza pronunciarsi, ed in questo caso l’accesso è consentito, ovvero adottare un provvedimento motivato di ulteriore diniego.

2. In via alternativa rispetto al rimedio giustiziale, ovvero in caso che lo stesso non abbia prodotto esiti, è consentito il ricorso al competente TAR. Trattasi di un procedimento camerale speciale caratterizzato dai seguenti elementi: riduzione del termine per la proposizione del ricorso, per la definizione camerale del giudizio e per la proposizione dell’appello (30 gg. per ciascuna delle tre fasi citate); semplificazione della modalità di difesa processuale (è consentito al privato di stare in difesa personalmente e alla pubblica amministrazione di farsi difendere da un proprio dipendente); tipizzazione del potere del giudice (nella forma dell’ordine di esibizione del documento). Il nuovo articolo 25 individua due ipotesi leggermente differenti di ricorso al TAR:

- il primo, quello normale, laddove il ricorrente si lamenti di un mancato accesso;

- il secondo nel caso in cui l’accesso costituisca una fase, per così dire, incidentale rispetto ad un contenzioso già in essere e per la cui soluzione sia essenziale ottenere l’acquisizione di uno specifico documento. La previsione, ovviamente, individua non un obbligo ma una facoltà in capo al ricorrente; si tratta, peraltro, di una innovazione particolarmente rilevante poiché pone un necessario coordinamento tra due ipotesi di ricorso connesse ma, senza questo intervento normativo, non facilmente trattabili nel medesimo giudizio [122].

Come accennato in precedenza, la normativa introdotta pone alcuni punti critici che saranno brevemente tratteggiati nelle prossime pagine.

1. Creazione di nuove ipotesi silenzio significativo. Contrariamente alla volontà da più parti espressa, in primis dalle norme della legge in commento relative ai principi generali, l’articolo 25 introduce due nuove figure di silenzio significativo. Se uno, quello attribuito alla pubblica amministrazione ricevente la pronuncia giustiziale motivata di accoglimento dell’istanza è, quantomeno, un silenzio assenso (ossia, come visto, se la pubblica amministrazione non si pronuncia entro 30 gg. dalla comunicazione della decisione giustiziale, l’accesso è consentito), l’altro configura addirittura un’ipotesi di silenzio rifiuto. Infatti, il comma 4 dell’articolo 25 prevede che “Il difensore civico o la Commissione per l’accesso si pronunciano entro trenta giorni dalla presentazione dell’istanza. Scaduto infruttuosamente tale termine, il ricorso si intende respinto”.

2. Competenza degli organi giustiziali e loro rapporto con il Garante della privacy.

- Quanto alla competenza, si è visto che essa in materia di tutela giustiziale spetta alternativamente al difensore civico o alla commissione per l’accesso, in ragione della natura della pubblica amministrazione che ha negato l’accesso; in particolare che la competenza sia del difensore civico se si sia chiesta l’ostensione di atti a un ente territoriale, sia della commissione nazionale se si sia chiesta l’ostensione di atti a una pubblica amministrazione statale, nazionale o periferica. Pertanto, deve ritenersi che “…ambedue gli organi non abbiano poteri di tutela del diritto d’accesso nei confronti di atti di <<soggetti di diritto pubblico>> diversi dallo Stato e dagli enti pubblici territoriali… [123] e, dunque, soprattutto, che i richiedenti l’accesso avverso atti di pubblica amministrazione non ricompresa nelle due categorie sopra individuate non possono godere del rimedio giustiziale essendo per loro utilizzabile solo lo strumento giurisdizionale.

- Quanto al rapporto con il Garante della privacy, il comma 4 dell’articolo 25 prevede che nel caso in cui il diniego o il differimento d’accesso sono stati disposti per motivi inerenti ai dati personali che si riferiscono a soggetti terzi, la commissione provvede sentito il garante, che si pronuncia entro il termine di 10 giorni dalla richiesta, decorso il quale il parere si intende reso; reciprocamente, nel caso di un procedimento previsto dagli articoli 145 – 160 del D.Lgs. 196/03 e relativo al trattamento pubblico di dati personali da parte di una pubblica amministrazione coinvolgenti l’accesso ai documenti amministrativi, il Garante chiede il parere, obbligatorio e non vincolante, della commissione per l’accesso da rendersi entro 15 gg., durante i quali il termine per la pronuncia del Garante resta sospeso. A prescindere dalla circostanza che la norma fa obbligo di chiedere sempre l’intervento del Garante anziché renderlo facoltativo su scelta della Commissione oppure prescriverlo solo laddove sia necessario a causa della difficoltà del bilanciamento degli interessi richiesto dalla novella (circoscrivendolo, cioè, ai soli casi di tutela di dati cosiddetti super sensibili), si intende soffermare l’attenzione su due punti: la previsione che il Garante intervenga solo in caso di ricorso giustiziale presentato dinanzi alla commissione e non dinanzi al difensore civico; il reciproco ma non simmetrico potere d’intervento concesso al Garante e alla Commissione:

- quanto al primo aspetto, occorre chiedersi se la previsione dell’instaurazione del sub procedimento dinanzi al Garante sia comunque possibile anche da parte del difensore civico e, dunque, l’indicazione della sola Commissione sia stata volontaria e da ritenersi comprensiva ovvero costituisca una svista materiale del Legislatore [124], oppure se la non equivocità della lettera della legge faccia ritenere che al difensore civico non sia consentito di interpellare il Garante [125]. Certo, il tenore letterale della norma è chiaro; letteralmente interpretata essa crea una sensazione di disagio o, meglio, di non organicità dell’intera materia ma, d’altronde, come già accennato, lo stesso disagio si avverte nella non previsione di un organo giustiziale competente avverso i provvedimenti di diniego di amministrazioni diverse da quelle statali o locali: probabilmente, pur nel giudizio positivo sul tentativo di coordinamento dei procedimenti, sarebbe auspicabile un ulteriore intervento di chiarificazione da parte del Legislatore;

- quanto al potere d’intervento, si è detto che esso è reciproco ma non simmetrico; infatti, mentre la Commissione provvede sentito il Garante e il termine concesso al Garante non sospende il procedimento giustiziale, nel caso in cui sia il Garante a chiedere l’intervento della Commissione il parere da rendersi rispetto a questa richiesta è qualificato come obbligatorio ma non vincolante e sospende il termine per la soluzione della controversia. Non si comprende perché due situazioni speculari debbano essere trattate in modo difforme; in particolare, ci si chiede quale sia la natura del parere del Garante che sembra configurarsi anch’esso come obbligatorio ma non vincolante, ma se così fosse non si comprenderebbe perché ciò non sia stato esplicitato; rimane il dubbio circa le ragioni che hanno indotto il Legislatore a prevedere la sospensione dei termini in un caso ma non nell’altro.

Contenuto della decisione giustiziale e sua valenza nei confronti della pubblica amministrazione ricevente la richiesta d’accesso. Si è detto che la previsione dei rimedi giustiziali (in genere) ha una finalità deflattiva del contenzioso; per questa ragione solitamente ne è facile l’accesso, sono ridotte le spese, sono ridotti i termini; nello stesso tempo la pronuncia ottenuta ha una valenza assimilabile a quella giurisdizionale. Se ciò è vero in via generale, nel caso di specie non si riscontra nella tutela giustiziale una significativa facilitazione rispetto a quella giurisdizionale; questo essenzialmente sia perché la tutela giurisdizionale prevede, comunque, delle modalità accelerate e semplificate (già individuate in sede di apertura del commento relativo alla tutela giurisdizionale), sia a causa della scarsa valenza attribuita alla decisione giustiziale. Infatti, dalla lettura della norma sembra incontrovertibile che il provvedimento finale non possieda alcuna natura esecutoria avendo solo la finalità di indurre la pubblica amministrazione a riflettere sul proprio comportamento e a costringerla, laddove ritenga di non adeguarsi, ad adottare un ulteriore provvedimento che contenga la motivazione per la quale essa ritiene di discostarsi dalla decisione giustiziale. Dunque, a seguito di decisione di accoglimento dell’istanza presentata dal ricorrente, l’accesso è consentito solo se l’amministrazione rimane silente (silenzio significativo con valore di assenso), altrimenti la pubblica amministrazione attraverso un provvedimento confermativo del precedente può rendere vano l’intero procedimento giustiziale esperito: è palese che la non attribuzione di efficacia esibitoria alla pronuncia giustiziale potrebbe comportare il fallimento della stessa.

Parziale disinteresse rispetto alla figura dei controinteressati. Si è già detto in sede di commento alla lettera c) del comma 1 dell’articolo 22 che controinteressati sono tutti coloro che vedrebbero compromesso l’interesse alla riservatezza a causa dell’esercizio del diritto d’accesso; si è anche detto che nel testo non è spiegato espressamente quali diritti (o interessi) possiedano i controinteressati e che, in sostanza, la norma dopo averne definito la nozione non si è troppo occupata di loro. Un lampante esempio di quanto in quella sede si è anticipato è costituito dall’articolo in commento laddove risulta palese che la tutela concessa ai controinteressati non sia assolutamente paragonabile a quella, più ampia, attribuita agli interessati, con il connesso rischio di “…non garantire una effettività di tutela al controinteressato all’accesso, che potrebbe vedere gravemente e irrimediabilmente immolato sull’altare della trasparenza il suo diritto alla riservatezza [126]. Al controinteressato, infatti, non è consentito utilizzare lo strumento giustiziale in quanto esso è, dalla lettera della norma (articolo 25, comma 4), espressamente riservato al “richiedente”; inoltre, in sede giudiziale non è prevista alcuna altra garanzia di partecipazione procedimentale. Per il controinteressato, dunque, lo strumento giurisdizionale non costituisce una delle possibili scelte per difendere i propri interessi ma l’unica strada percorribile; peraltro, una strada che non consente una tutela effettiva, posto che il momento dell’accoglimento determina in modo istantaneo il verificarsi del pregiudizio. Al fine di rinvenire una maggiore tutela per il controinteressato una recente dottrina ritiene che a costui possa essere consentito di opporsi al trattamento, connesso all’ostensione documentale, mediante gli strumenti di tutela previsti dal D.Lgs. 196/03; dunque in via giustiziale (dinanzi al Garante) o giurisdizionale (al giudice ordinario) ma come interessato alla protezione dei dati personali e non come controinteressato all’accesso a documenti personali. Questa tesi ha senz’altro il pregio di azionare una effettiva forma di tutela per chi si trovi a dovere tutelare dati personali detenuti da una pubblica amministrazione ma, come sottolineato dallo stesso Autore ha, anche, il difetto di postulare una possibile compresenza di due autorità differenti, competenti a decidere in merito al medesimo caso concreto; se ciò potrebbe astrattamente essere possibile relativamente ai ricorsi giustiziali (la nuova L. 241, come appena detto, coordina i rapporti tra autorità giustiziale per l’accesso, cioè la Commissione per l’accesso, e autorità giustiziale per la riservatezza, cioè il Garante della privacy) difficilmente potrebbe ovviarsi ad un duplice giudicato in caso di ricorso giurisdizionale [127].

Articolo 27 Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi, commi 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7

1. È istituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri la Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi.

2. La Commissione è nominata con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio dei ministri. Essa è presieduta dal sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri ed è composta da dodici membri, dei quali due senatori e due deputati, designati dai Presidenti delle rispettive Camere, quattro scelti fra il personale di cui alla legge 2 aprile 1979, n. 97, su designazione dei rispettivi organi di autogoverno, due fra i professori di ruolo in materie giuridiche e uno fra i dirigenti dello Stato e degli altri enti pubblici. È membro di diritto della Commissione il capo della struttura della Presidenza del Consiglio dei ministri che costituisce il supporto organizzativo per il funzionamento della Commissione. La Commissione può avvalersi di un numero di esperti non superiore a cinque unità, nominati ai sensi dell’articolo 29 della legge 23 agosto 1988, n. 400.

3. La Commissione è rinnovata ogni tre anni. Per i membri parlamentari si procede a nuova nomina in caso di scadenza o scioglimento anticipato delle Camere nel corso del triennio.

4. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, a decorrere dall’anno 2004, sono determinati i compensi dei componenti e degli esperti di cui al comma 2, nei limiti degli ordinari stanziamenti di bilancio della Presidenza del Consiglio dei ministri.

5. La Commissione adotta le determinazioni previste dall’articolo 25, comma 4; vigila affinché sia attuato il principio di piena conoscibilità dell’attività della pubblica amministrazione con il rispetto dei limiti fissati dalla presente legge; redige una relazione annuale sulla trasparenza dell’attività della pubblica amministrazione, che comunica alle Camere e al Presidente del Consiglio dei ministri; propone al Governo modifiche dei testi legislativi e regolamentari che siano utili a realizzare la più ampia garanzia del diritto di accesso di cui all’articolo 22.

6. Tutte le amministrazioni sono tenute a comunicare alla Commissione, nel termine assegnato dalla medesima, le informazioni ed i documenti da essa richiesti, ad eccezione di quelli coperti da segreto di Stato.

7. In caso di prolungato inadempimento all’obbligo di cui al comma 1 dell’articolo 18, le misure ivi previste sono adottate dalla Commissione di cui al presente articolo.

Una delle tante novità introdotte dalla L. 15 nell’articolato originario della L. 241 è costituita dalla riforma della Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi. La commissione era stata inizialmente istituita, sul modello della Commission d’Accéss aux documents administrativs, con compiti essenzialmente di vigilanza sulla corretta attuazione dei principi in materia di accesso; a differenza di quanto previsto per la “sorella” francese, invece, non era attribuito alla Commissione alcun potere paragiurisdizionale. Ebbene, la riforma in commento, riscrivendo l’articolo 27, ha proprio agito su questo fronte consentendo alla commissione un ruolo più attivo proprio in materia di tutela dei diritti dei richiedenti l’accesso.

La commissione è istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, è nominata con decreto del Presidente del Consiglio, è composta di dodici membri oltre al sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, che la presiede, e dura in carica tre anni [128].

Quanto ai compiti, oltre a quanto già ampiamente detto in tema di attività giustiziale, può dirsi che alla luce della riforma la Commissione possiede i seguenti compiti: vigila sulla piena attuazione del principio di conoscibilità degli atti amministrativi; redige una relazione annuale sulla trasparenza nell’attività della pubblica amministrazione; propone al Governo modifiche alle leggi e ai regolamenti al fine di realizzare la più ampia tutela del diritto d’accesso; può chiedere informazioni e documentazione a tutte le amministrazioni; è organo sostitutivo per l’adozione delle misure organizzative idonee a garantire l’applicazione delle disposizioni in materia di autocertificazione e di presentazione di atti e documenti, ai sensi dell’articolo 18 della L. 241.

Nonostante che la modifica indubbiamente arricchisce di compiti la Commissione, si concorda con quella dottrina che, posto nuovamente il problema circa la natura di Authority della commissione stessa, ha escluso questa possibilità [129].
 

7. AMBITO DI APPLICAZIONE

Articolo 29 Ambito di applicazione della legge

1. Le disposizioni della presente legge si applicano ai procedimenti amministrativi che si svolgono nell’ambito delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali e, per quanto stabilito in tema di giustizia amministrativa, a tutte le amministrazioni pubbliche.

2. Le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze, regolano le materie disciplinate dalla presente legge nel rispetto del sistema costituzionale e delle garanzie del cittadino nei riguardi dell’azione amministrativa, così come definite dai princìpi stabiliti dalla presente legge.

L’originario articolo 20 della L. 241 indicava i principi contenuti nella legge quali principi dell’ordinamento giuridico e, pertanto, imponeva alle Regioni a statuto ordinario di adeguare i propri ordinamenti ad essi (norme che erano direttamente applicabili finchè le Regioni non avessero provveduto a legiferare in materia), alle Regioni a statuto speciale e alle province autonome di adeguare gli ordinamenti a quanto contenuto nella legge. In sostanza, quanto contenuto nella L. 241 rappresentava una sorta di minimo comune cui non si poteva derogare da parte delle Regioni; esse, tutt’al più, potevano prevedere garanzie ulteriori.

L’impostazione del rapporto tra le fonti fatto proprio dal Legislatore del ’90 era quello gerarchico tipico dell’epoca; solo nel 2001, con l’emanazione della legge costituzionale 18.10.01 n. 3, al criterio gerarchico se ne è sostituito un altro, definibile quale competenziale. Alla luce del nuovo riparto delle competenze introdotto dalla legge costituzionale 3/01, dunque, il Legislatore del 2005 ha dovuto modificare l’impostazione originaria dell’articolo 29.

Prima di vedere in quale modo si è operato, è necessaria una breve digressione relativa ai principi generali contenuti nella legge costituzionale sopra indicata. Come noto, infatti, la legge costituzionale ha non solo modificato radicalmente il titolo V della Costituzione ma addirittura modificato l’intero assetto costituzionale. Essa ha completamente rovesciato la classificazione degli Enti presenti sul territorio attribuendo a quelli più vicini ai cittadini la maggior parte delle funzioni legislative, regolamentari ed amministrative. Principi fondamentali della riforma sono essenzialmente i seguenti:

- il federalismo [130], inteso come la tendenza ad organizzare gli ordinamenti ripartendo i poteri tipici dello Stato tra questo (inteso come apparato centrale) ed una pluralità di apparati di governo periferici [131]; questo metodo di governo offre concrete risposte sia all’esigenza di offrire livelli decisionali diffusi sul territorio sia alla necessità di evitare la concentrazione delle decisioni in un unico potere centrale;

- la sussidiarietà [132], principio secondo il quale i compiti di rilievo sociale e collettivo devono essere esercitati il più possibile vicino al punto di nascita degli stessi salvo il possibile intervento sostitutivo di organi centrali. La costante applicazione di questo principio potrebbe consentire agli organi pubblici la fissazione di principi e l’effettuazione di controlli lasciando l’effettivo svolgersi delle attività demandato anche a soggetti privati [133]. In sostanza, il principio garantisce l’indipendenza di un’autorità inferiore rispetto ad una superiore o di un potere locale rispetto ad un potere centrale.

Quanto, in particolare al potere legislativo che qui ci interessa, il nuovo articolo 117, al comma primo prevede che la funzione legislativa sia appannaggio di due organi: Stato e Regioni. I successivi commi 2, 3 e 4 declinano il riparto della competenza.

Il comma secondo individua partitamene le materie di tradizionale competenza esclusiva Statale; tra quelle rilevanti per la presente trattazione si evidenziano:

- ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali (lett. g);

- giustizia amministrativa (lett. l);

- determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti sociali e civili (lett. m).

Queste, e le altre materie contenute nel comma 2 dell’articolo 117, sono attribuite integralmente allo Stato in considerazione che le materie indicate hanno tutte ad oggetto interessi preminenti che debbono essere necessariamente trattati in modo affine.

Il comma 3 disciplina i casi di legislazione concorrente.

Il comma 4 prevede una clausola residuale attribuendo alle Regioni la competenza legislativa in tutte le materie non riservate espressamente allo Stato. Dunque, la Regione ha competenza esclusiva per tutte le materie non espressamente attribuite alla competenza legislativa esclusiva dello Stato o ripartita Stato / Regioni [134].

Il comma 6 riserva la potestà regolamentare alle Regioni fatte salve le materie di competenza esclusiva dello Stato e semprechè lo Stato non deleghi comunque l’esercizio della funzione regolamentare alle Regioni anche per queste materie; inoltre, statuisce che anche Comuni, Province e Città Metropolitane abbiano potestà regolamentare relativamente alle funzioni loro attribuite.

Tanto premesso, era ovvio che la L. 15 dovesse contenere una o più disposizioni che permettessero di affermare l’avvenuto rispetto dei principi costituzionali ora succintamente indicati. Il Legislatore del 2005, cioè, a differenza di quello del 1990, non aveva solo l’onere di prevedere in quale modo le Regioni fossero vincolate dai principi contenuti nella legge ma aveva anche l’obbligo di giustificare il titolo della propria legittimazione e di fare sì che le garanzie costituzionali fossero rispettate.

Le norme a tale fine emanate, il cui approfondimento costituisce l’oggetto del presente paragrafo, sono gli articoli 22 (solo relativamente alla disciplina dell’accesso) e 29 della (nuova) L. 241 e l’articolo 22 della L. 15 (non trasfuso nella L. 241 in quanto relativo a principi di natura transitoria) [135].

Ribadito che ai sensi del comma 2 dell’articolo 22 tutti i principi espressi in materia di diritto d’accesso sono considerati principi relativi alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti sociali e civili e, pertanto, in base a quanto contenuto nel sopra citato comma 2, lett. m) dell’articolo 117 della Costituzione la regolamentazione degli stessi è riservata in via esclusiva allo Stato, è giunto il momento di soffermarsi sul contenuto dell’articolo 29 che costituisce la disposizione principale in materia di riparto delle competenze.

L’articolo 29 si compone di due commi i quali esprimono alcuni principi:

1. innanzitutto (comma 1), si afferma che, in generale, le norme della L. 241 si applicano allo Stato e agli enti pubblici nazionali, ai sensi del comma 2, lett. g) dell’articolo 117 Cost.;

2. poi (comma 1), si afferma che le norme specifiche in tema di giustizia amministrativa si applicano a tutte le amministrazioni pubbliche, ai sensi del comma 2, lett. l) dell’articolo 117 Cost.;

3. inoltre (comma 2), si attribuisce alle Regioni e agli Enti Locali il potere di regolare le materie disciplinate dalla L. 241 nel rispetto del sistema costituzionale;

4. infine (comma 2), si prevede che nella regolamentazione delle materie disciplinate dalla L. 241 Regioni ed Enti Locali incontrino un ulteriore limite costituito dalle garanzie del cittadino nei riguardi dell’azione amministrativa, così come definite dai princìpi stabiliti dalla stessa L. 241.

Il comma unico dell’articolo 22 della L. 15, apportando una norma di natura transitoria, dispone che:

5. fino alla data di entrata in vigore della (nuova) disciplina regionale si applica la disciplina regionale vigente o, in mancanza, quanto espressamente previsto dalla stessa L. 241.

Si tratta, ora, di comprendere quanto affermato in questi cinque assiomi e verificare la loro compatibilità con il sistema costituzionale e la loro concreta applicabilità.

Quanto ai principi affermati nei precedenti punti 1, 2 e 3 non sussistono particolari problemi in quanto essi appaiono quali portatori di mere “…precisazioni ricognitive del quadro costituzionale… [136]. Si può solo precisare che il richiamo espresso compiuto oltre che alle Regioni anche agli Enti Locali fa ritenere che i possibili interventi di regolazione possono avere ad oggetto non solo atti di natura normativa ma anche amministrativa (come noto, infatti, gli Enti Locali possiedono solo competenze amministrative).

Maggiori perplessità sorgono da quanto contenuto nei punti 4 e 5. Iniziando da quest’ultimo, ossia dall’articolo 22 della L. 15, può dirsi che esso sia espressione del principio di cedevolezza secondo il quale le norme statali cedono rispetto a quelle regionali laddove la Regione possieda competenza legislativa in materia. L’articolo 22 prospetta un problema di natura costituzionale ed uno relativo alla corretta applicabilità:

- quanto al primo, è stato sottolineato che la possibilità che le disposizioni contenute nella L. 241 si applichino direttamente alle Regioni laddove in queste non esistano già disposizioni previgenti e fino a quando non ne emanino di nuove, è costituzionalmente legittima soltanto laddove le materie dell’intervento normativo siano di tipo concorrente; poiché, altrimenti, essa sarebbe palesemente incostituzionale [137];

- quanto al secondo, poiché le Regioni possono continuare ad applicare la regolamentazione vigente (dunque, emanata ai sensi della L. 241 originaria) fino all’emanazione di specifica normativa attuativa delle nuove disposizioni, esse potrebbero sentirsi legittimate a mantenere valore giuridico a principi non conformi al dettato nazionale continuando a mantenere in vigore, semplicemente non adottando nuove disposizioni in materia, vecchie normative emanate ai sensi del testo originario della L. 241 [138]. In realtà, questo pericolo pare potersi dire scongiurato posta la perdurante vigenza dell’articolo 10 della Legge 10.02.1953, n. 62 secondo cui i Consigli regionali sono chiamati ad applicare i principi fondamentali contenuti in leggi fatte oggetto di modifica da parte dello Stato entro 90 giorni.

Il secondo comma dell’articolo 29 presenta maggiori aspetti degni di considerazione; pertanto, occorrerà ora soffermarsi sul problema posto nel precedente punto 4. Come è da interpretare la disposizione secondo cui nella regolamentazione delle materie disciplinate dalla L. 241 Regioni ed Enti Locali incontrino anche il limite costituito dalle garanzie del cittadino nei riguardi dell’azione amministrativa, così come definite dai princìpi stabiliti dalla stessa L. 241? Per dare risposta a questo quesito occorre affrontare un duplice ordine di problemi: verificare dove sia rinvenibile il limite e se esso sia sufficiente a garantire una certa unitarietà nell’applicazione di quanto previsto nella L. 241. In altre parole, se la previsione di demandare agli Enti territoriali il potere di regolamentare quanto contenuto nella legge in commento è, in astratto, rispettosa del nuovo riparto costituzionale, essa deve però rispondere a due ulteriori requisiti: essere (in concreto) legittima, consentire la corretta ed uniforme applicazione dei principi della L. 241.

I contributi della dottrina in materia sono stati molti e molto variegati. Le tesi prevalentemente perseguite sono le seguenti:

- taluni hanno ritenuto che la disposizione in commento operasse una sorta di rinvio implicito a quanto contenuto nel comma 2 dell’articolo 22 della L. 241; pertanto, tutti i principi della nuova L. 241 costituirebbero livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali di cui al comma 2 lett. m) dell’articolo 117 della Costituzione. Seguendo questa interpretazione, dunque, il potere regolamentare degli Enti territoriali sarebbe esercitabile solo se volto a consentire livelli di tutela ulteriori rispetto a quelli previsti dalla legge nazionale [139]. Questa tesi si scontra con il dato letterale, nel senso che se il Legislatore avesse voluto ritenere quali livelli essenziali tutti principi espressi dalla legge e non solo quelli in tema di accesso, lo avrebbe dovuto affermare espressamente;

- secondo altri, invece, questa norma sarebbe sostanzialmente inapplicabile in quanto tutte le norme della L. 241 costituirebbero applicazione di principi in tema di giustizia amministrativa ai sensi del comma 2 lett. l) dell’articolo 117 della Costituzione [140] salvo i casi in cui nella normativa non vi siano espresse disposizioni afferenti specificamente alle amministrazioni statali o agli enti pubblici nazionali. Anche questa tesi, come la precedente, si scontra con il dato letterale; se tutti i principi della L. 241 riguardassero la giustizia amministrativa, l’articolo 29 sarebbe certamente pleonastico;

- altri ancora ritiene che interpretare i principi della L. 241 quali interposizione dei principi costituzionali possa costituire un limite troppo stringente per gli Enti territoriali e, pertanto, preferisce individuare la fonte delle limitazioni discendenti dall’articolo 29 nella Costituzione stessa e, in particolare, nell’articolo 117 comma 2. Il richiamo a questo comma, più precisamente alla lettera m) relativa ai livelli minimi di prestazioni, consentirebbe di attribuire un maggiore ventaglio di possibilità agli Enti territoriali nella determinazione dei principi di dettaglio [141];

- altri ancora ritengono che il rinvio contenuto nel comma 2 dell’articolo 29 debba essere interpretato in senso letterale; alcuni nel senso che il rinvio vada, cioè, ricondotto solo ai principi espressi dalla L. 241 ossia, letteralmente appunto, ai quattro articoli contenuti nel Capo I rubricato proprio “Principi” [142]; altri nel senso che dal contenuto di tutte le norme andrebbero individuate le disposizioni esplicanti un principio cui gli Enti territoriali devono prestare ossequio [143].

Pare preferibile quest’ultima tesi secondo cui il vincolo derivante dalle garanzie del cittadino nei riguardi dell’azione amministrativa non è rinvenibile nei principi dell’articolo 117 ma in principi espressi in altri articoli della Costituzione; in particolare gli articoli 3 (uguaglianza), 5 (unità della Repubblica), 41 (libertà d’iniziativa privata), e, soprattutto 97 dato che i principi della L. 241 sono per lo più orientati al buon andamento della pubblica amministrazione. Dunque, tornando al doppio quesito posto precedentemente, l’ultimo inciso del comma 2 dell’articolo 29, così interpretato, è legittimo e consente, tramite un indagine caso per caso degli articoli del testo normativo, di individuare quali norme possano essere derogate e quali, invece, costituiscano principi generali [144].

In conclusione, seguendo questa tesi:

- alla luce del comma 2 dell’articolo 22, i principi in materia di accesso costituiscono un limite minimo per cui essi sono derogabili solo se la deroga è volta a garantire livelli di prestazioni ulteriori (comma 2 lett. m) dell’articolo 117 della Costituzione);

- in base al comma 1 dell’articolo 29, i principi in materia di giustizia amministrativa non sono derogabili (comma 2 lett. l) dell’articolo 117 della Costituzione);

- secondo il combinato disposto dei commi 1 e 2 dell’articolo 29, quanto agli altri principi:

- se essi costituiscono un vincolo alle garanzie del cittadino nei riguardi dell’azione amministrativa, non possono essere derogati se non in aspetti di dettaglio e nel limite della cosiddetta sostenibilità;

- se essi contengono solo meri atti di indirizzo sono applicabili solo alle Amministrazioni Statali e agli Enti Pubblici non economici mentre possono essere derogati da Regioni ed Enti Locali.

 

8. CONCLUSIONI

Al termine del lavoro appare opportuno tracciare un quadro conclusivo delle modifiche apportate dalla L. 15 al procedimento amministrativo; individuare, cioè, se esiste un fil rouge che possa aiutare a comprendere il senso della riforma.

1  Il primo elemento comune che emerge con costanza dalla lettura del testo e dei commenti che ne sono seguiti concerne la volontà di incentivare l’uso della telematica. Diversi articoli introdotti dalla novella ne fanno espresso cenno. Già da diversi anni, l’incremento dell’uso della telematica è visto dal legislatore quale un elemento molto rilevante nell’ottica della semplificazione ed economicità dei servizi. A questo proposito con DPCM del 09.08.01 il Consiglio dei Ministri aveva provveduto a definire le deleghe del Ministro per l’Innovazione e le Tecnologie e con successivo decreto del 27.09.01 veniva istituito il Dipartimento per l’innovazione e la Tecnologia. Poi, nel giugno del 2002 sono state emanate specifiche “linee guida del Governo per lo sviluppo della società dell’informazione”. Queste linee guida, contenenti le cosiddette politiche per l’e-government, costituiscono il fulcro di tutta la successiva azione svolta in materia dal Governo [145].

Quanto agli specifici articoli, per il loro commento si rinvia all’analisi all’interno del testo. Qui non resta che osservare che le due disposizioni che maggiormente innovano in materia sono l’articolo 3-bis (Per conseguire maggiore efficienza nella loro attività, le amministrazioni pubbliche incentivano l’uso della telematica, nei rapporti interni, tra le diverse amministrazioni e tra queste e i privati) e l’articolo 14 comma 5-bis (Previo accordo tra le amministrazioni coinvolte, la conferenza di servizi è convocata e svolta avvalendosi degli strumenti informatici disponibili, secondo i tempi e le modalità stabiliti dalle medesime amministrazioni); non a caso il primo è posto tra i principi generali ed è, dunque, da considerare applicabile a tutti i procedimenti disciplinati dalla pubblica amministrazione; il secondo costituisce la soluzione a una delle ragioni per le quali a volte le pubbliche amministrazioni non inviavano propri rappresentanti alle Conferenze di Servizi: la spesa economica derivante dalla “missione”.

2 Il secondo elemento comune concerne il deciso incremento dei casi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Nella sola novella si riscontrano, infatti, ben 4 nuovi casi di giurisdizione esclusiva:

- aventi ad oggetto dichiarazioni di inizio attività (articolo 19 comma 5);

- in materia di determinazione e corresponsione dell’indennizzo a seguito di provvedimenti di revoca di precedenti provvedimenti amministrativi (articolo 21-quinquies);

- inerenti la nullità dei provvedimenti amministrativi in violazione o elusione del giudicato (articolo 21-septies comma 3);

- relativi all'accesso ai documenti amministrativi (articolo 25 comma 5).

Essi sono espressione della volontà del Legislatore di attribuire, laddove sia possibile, la giurisdizione al giudice amministrativo sia per avere certezza circa il giudice cui rivolgersi, sia per una certa preferenza per il giudice amministrativo laddove si verta in tema di atti emanati dalla pubblica amministrazione. Per completare l’argomento può anche dirsi che se non destano particolari questioni i casi di giurisdizione esclusiva introdotti dagli articoli 21-quinquies, 21-septies comma 3 e 25 comma 5, maggiori problemi di riparto costituzionale potrebbero derivare dall’ipotesi di giurisdizione esclusiva introdotta in materia di dichiarazione di inizio attività, che non sembra in linea con quanto argomentato dalla Corte Costituzionale in materia di riparto di giurisdizione. Per comprendere esattamente quanto detto occorre una breve ricostruzione. Ciò su cui la Legge 205/00 in tema di riforma del processo amministrativo ha innovato maggiormente è stata la modalità di individuazione delle materie attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Infatti, se fino ad allora il criterio seguito era stato quello dell’inestricabile presenza di diritti soggettivi ed interessi legittimi, la Legge 205/00 ha invece introdotto un differente criterio attribuendo blocchi di materie nella quale l’intreccio tra diritti ed interessi fosse in realtà non identificabile nelle varie tipologie di controversie bensì nello stesso atteggiarsi dell’azione amministrativa. Questo modo di operare, però, non ha passato il vaglio della Corte Costituzionale la quale con una rilevante sentenza [146], ha riscritto in parte gli articoli 33 e 34 del D.Lgs. 80/98 come modificati dalla Legge 205/00, ed ha precisato che il legislatore può ampliare l’area della giurisdizione esclusiva solo relativamente a materie che, anche in assenza di questa previsione, contemplerebbero pur sempre una giurisdizione generale di legittimità. Pertanto, affinché possa introdursi una giurisdizione esclusiva è necessario che ricorrano i seguenti presupposti: deve trattarsi di materie rientranti nella giurisdizione di legittimità, diritti ed interessi devono essere particolarmente connessi, deve esservi tra questi prevalenza degli interessi sui diritti; in sostanza tramite questa sentenza si è escluso: “…che la mera partecipazione della pubblica amministrazione al giudizio sia sufficiente perché si radichi la giurisdizione del giudice amministrativo…che sia sufficiente il generico coinvolgimento di un pubblico interesse nella controversia perché questa possa essere devoluta al giudice amministrativo… [147]. Dunque, come da taluno sostenuto, alla luce dei principi sopra riportati, potrebbe dirsi che l’individuazione della giurisdizione esclusiva in caso di controversie aventi ad oggetto dichiarazioni di inizio attività, sia fortemente stridente con il riparto giurisdizionale introdotto dalla Costituzione [148].

3 Terzo ed ultimo elemento di cui si vuole sottolineare il rilievo ad esso attribuito dalla novella di riforma della L. 241 concerne la volontà del Legislatore di risolvere, o quantomeno affrontare, il contrasto quasi inevitabile intercorrente tra qualità dei servizi e onerosità degli stessi. Al riguardo, si può partire dal precisare che il cambiamento basilare cui si è assistito negli ultimi anni all’interno della pubblica amministrazione è stato improntato ad attribuirle una nuova immagine, non più vista come ostacolo alla attività dei cittadini (a loro volta partecipanti alla vita amministrativa e non più succubi della stessa), ma come azienda di erogazione dei servizi. Azienda improntata alla Qualità del servizio reso (tramite l'ottimizzazione dei servizi e l'adozione di processi più snelli) intesa non come filosofia ma come concretezza d'agire verso obiettivi dichiarati, nel rigore di ben definiti criteri. Questa trasformazione, che è stata possibile grazie a delle importanti riforme normative avvenute negli anni '90 [149], non è certo stata indolore. E’ ovvio, infatti, per chiunque abbia mai lavorato in una pubblica amministrazione, che la qualità (temine ora inteso in senso improprio, ossia neutro) del servizio offerto sia strettamente e indissolubilmente dipendente dalle risorse utilizzate per l’erogazione del servizio; risorse intese in senso ampio e comprendenti, cioè, risorse umane, tecnologiche, economiche, strumentali, logistiche, ecc. In quello che gli Aziendalisti definiscono “piano a capacità infinità” può arrivarsi a disegnare un processo amministrativo di qualità (termine ora inteso in senso proprio, di servizio, cioè, efficace per gli utenti); ma il disegno organizzativo va poi a scontrarsi, nella sua concreta applicazione, con la pratica realtà quotidiana degli uffici dove le risorse umane sono spesso carenti (numericamente o sotto altri punti di vista), le strutture in cui l’attività è svolta non sono adeguate alle necessità, si riscontra una serie di problemi concreti difficilmente identificabili a priori. Di questa realtà molto spesso non si tiene conto nella formulazione dei testi normativi e, ancora più spesso, si verifica che, tramite testi normativi vengono introdotte delle previsioni applicabili con molta difficoltà nel concreto svolgimento dell’attività lavorativa. A volte, cioè, l’impressione che si ha è che norme anche di pregevole fattura non sortiranno mai i benéfici effetti auspicati per un mancato coordinamento tra quanto in esse previsto e quanto di esse è materialmente attuabile dalla pubblica amministrazione. Ebbene, nella novella in commento si riscontrano disposizioni che sembrano invertire la tendenza ora criticata; che sembrano, cioè, essere disegnate nell’ottica della reale volontà di emanare previsioni normative effettivamente applicabili da chi è chiamato materialmente e quotidianamente a darvi applicazione. Si pensi, ad esempio, all’articolo 10-bis ultimo alinea (Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano alle procedure concorsuali e ai procedimenti in materia previdenziale e assistenziale sorti a seguito di istanza di parte e gestiti dagli enti previdenziali) o ancora all’articolo 21-bis (Qualora per il numero dei destinatari la comunicazione personale non sia possibile o risulti particolarmente gravosa, l’amministrazione provvede mediante forme di pubblicità idonee di volta in volta stabilite dall’amministrazione medesima) o al comma 3 dell’articolo 24 (Non sono ammissibili istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni); ma anche lo stesso tanto criticato articolo 21-octies potrebbe essere letto secondo l’interpretazione ora data.

In definitiva, come penso possa avere compreso chi abbia avuto la pazienza di leggere il testo, il giudizio complessivo sulle innovazioni in atto, emesso dal punto di vista di chi giornalmente si occupa di amministrazione attiva, è senz’altro positivo. Nuovi istituti “complicano” la vita lavorativa, ma altri la “semplificano”: questa circostanza può servire da “consolazione” assieme alla certezza che ciò che nel contingente viene definito come difficoltà, nel lungo periodo costituisce uno stimolo volto a modificare in meglio il proprio modo di lavorare.

 

L. 241/90 vigente

 

Legge 7 agosto 1990, n. 241 (in G.U., 18 agosto 1990, n. 192)

Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi

Modificata da:

Legge 11.02.05 n. 15 (in G.U. 21 febbraio 2005, n. 42)

Decreto Legge 14.03.05 n. 35, convertito in Legge 14.05.05, n. 80 (in G. U. 14.05.05, n. 111) 

Preambolo

(Omissis)

Capo I PRINCÌPI

Articolo 1 Princìpi generali dell’attività amministrativa

1. L'attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia e di pubblicità, di pubblicità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonchè dai princìpi dell’ordinamento comunitario.

1-bis. La pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente.

1-ter. I soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative assicurano il rispetto dei princìpi di cui al comma 1.

2. La pubblica amministrazione non può aggravare il procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell'istruttoria.

Articolo 2 Conclusione del procedimento

1. Ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad una istanza, ovvero debba essere iniziato d'ufficio, la pubblica amministrazione ha il dovere di concluderlo mediante l'adozione di un provvedimento espresso.

2. Con uno o più regolamenti adottati ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro competente, di concerto con il Ministro per la funzione pubblica, sono stabiliti i termini entro i quali i procedimenti di competenza delle amministrazioni statali devono concludersi, ove non siano direttamente previsti per legge. Gli enti pubblici nazionali stabiliscono, secondo i propri ordinamenti, i termini entro i quali devono concludersi i procedimenti di propria competenza. I termini sono modulati tenendo conto della loro sostenibilità, sotto il profilo dell'organizzazione amministrativa, e della natura degli interessi pubblici tutelati e decorrono dall'inizio di ufficio del procedimento o dal ricevimento della domanda, se il procedimento e' ad iniziativa di parte.

3. Qualora non si provveda ai sensi del comma 2, il termine è di novanta giorni.

4. Nei casi in cui leggi o regolamenti prevedono per l'adozione di un provvedimento l'acquisizione di valutazioni tecniche di organi o enti appositi, i termini di cui ai commi 2 e 3 sono sospesi fino all'acquisizione delle valutazioni tecniche per un periodo massimo comunque non superiore a novanta giorni. I termini di cui ai commi 2 e 3 possono essere altresì sospesi, per una sola volta, per l'acquisizione di informazioni o certificazioni relative a fatti, stati o qualità non attestati in documenti già in possesso dell'amministrazione stessa o non direttamente acquisibili presso altre pubbliche amministrazioni. Si applicano le disposizioni dell'articolo 14, comma 2.

5. Salvi i casi di silenzio assenso, decorsi i termini di cui ai commi 2 o 3, il ricorso avverso il silenzio dell'amministrazione, ai sensi dell'articolo 21-bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, può essere proposto anche senza necessità di diffida all'amministrazione inadempiente, fintanto che perdura l'inadempimento e comunque non oltre un anno dalla scadenza dei termini di cui ai predetti commi 2 o 3. Il giudice amministrativo può conoscere della fondatezza dell'istanza. E' fatta salva la riproponibilità dell'istanza di avvio del procedimento ove ne ricorrano i presupposti.

Articolo 3 Motivazione del provvedimento

1. Ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti l'organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei pubblici concorsi ed il personale, deve essere motivato, salvo che nelle ipotesi previste dal comma 2. La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell'amministrazione, in relazione alle risultanze dell'istruttoria.

2. La motivazione non è richiesta per gli atti normativi e per quelli a contenuto generale.

3. Se le ragioni della decisione risultano da altro atto dell'amministrazione richiamato dalla decisione stessa, insieme alla comunicazione di quest'ultima deve essere indicato e reso disponibile, a norma della presente legge, anche l'atto cui essa si richiama.

4. In ogni atto notificato al destinatario devono essere indicati il termine e l'autorità cui è possibile ricorrere.

Articolo 3-bis Uso della telematica

1. Per conseguire maggiore efficienza nella loro attività, le amministrazioni pubbliche incentivano l’uso della telematica, nei rapporti interni, tra le diverse amministrazioni e tra queste e i privati.

 

Capo II RESPONSABILE DEL PROCEDIMENTO

Articolo 4 Unità organizzativa responsabile del procedimento

1. Ove non sia già direttamente stabilito per legge o per regolamento, le pubbliche amministrazioni sono tenute a determinare per ciascun tipo di procedimento relativo ad atti di loro competenza l'unità organizzativa responsabile della istruttoria e di ogni altro adempimento procedimentale, nonché dell'adozione del provvedimento finale.

2. Le disposizioni adottate ai sensi del comma 1 sono rese pubbliche secondo quanto previsto dai singoli ordinamenti.

Articolo 5 Responsabile del procedimento

1. Il dirigente di ciascuna unità organizzativa provvede ad assegnare a sé o ad altro dipendente addetto all'unità la responsabilità della istruttoria e di ogni altro adempimento inerente il singolo procedimento nonché, eventualmente, dell'adozione del provvedimento finale.

2. Fino a quando non sia effettuata l'assegnazione di cui al comma 1, è considerato responsabile del singolo procedimento il funzionario preposto alla unità organizzativa determinata a norma del comma 1 dell'articolo 4.

3. L'unità organizzativa competente e il nominativo del responsabile del procedimento sono comunicati ai soggetti di cui all'articolo 7 e, a richiesta, a chiunque vi abbia interesse.

Articolo 6 Compiti del responsabile del procedimento

1. Il responsabile del procedimento:

a) valuta, ai fini istruttori, le condizioni di ammissibilità, i requisiti di legittimazione ed i presupposti che siano rilevanti per l'emanazione di provvedimento;

b) accerta di ufficio i fatti, disponendo il compimento degli atti all'uopo necessari, e adotta ogni misura per l'adeguato e sollecito svolgimento dell'istruttoria. In particolare, può chiedere il rilascio di dichiarazioni e la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete e può esperire accertamenti tecnici ed ispezioni ed ordinare esibizioni documentali;

c) propone l'indizione o, avendone la competenza, indìce le conferenze di servizi di cui all'articolo 14;

d) cura le comunicazioni, le pubblicazioni e le notificazioni previste dalle leggi e dai regolamenti;

e) adotta, ove ne abbia la competenza, il provvedimento finale, ovvero trasmette gli atti all'organo competente per l'adozione. L’organo competente per l’adozione del provvedimento finale, ove diverso dal responsabile del procedimento, non può discostarsi dalle risultanze dell’istruttoria condotta dal responsabile del procedimento se non indicandone la motivazione nel provvedimento finale.

 

Capo III PARTECIPAZIONE AL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO

Articolo 7 Comunicazione di avvio del procedimento

1. Ove non sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento, l'avvio del procedimento stesso è comunicato, con le modalità previste dall'articolo 8, ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti ed a quelli che per legge debbono intervenirvi. Ove parimenti non sussistano le ragioni di impedimento predette, qualora da un provvedimento possa derivare un pregiudizio a soggetti individuati o facilmente individuabili, diversi dai suoi diretti destinatari, l'amministrazione è tenuta a fornire loro, con le stesse modalità, notizia dell'inizio del procedimento.

2. Nelle ipotesi di cui al comma 1 resta salva la facoltà dell'amministrazione di adottare, anche prima della effettuazione delle comunicazioni di cui al medesimo comma 1, provvedimenti cautelari.

Articolo 8 Modalità e contenuti della comunicazione di avvio del procedimento

1. L'amministrazione provvede a dare notizia dell'avvio del procedimento mediante comunicazione personale.

2. Nella comunicazione debbono essere indicati:

a) l'amministrazione competente;

b) l'oggetto del procedimento promosso;

c) l'ufficio e la persona responsabile del procedimento;

c-bis) la data entro la quale, secondo i termini previsti dall’articolo 2, commi 2 o 3, deve concludersi il procedimento e i rimedi esperibili in caso di inerzia dell’amministrazione;

c-ter) nei procedimenti ad iniziativa di parte, la data di presentazione della relativa istanza;

d) l'ufficio in cui si può prendere visione degli atti.

3. Qualora per il numero dei destinatari la comunicazione personale non sia possibile o risulti particolarmente gravosa, l'amministrazione provvede a rendere noti gli elementi di cui al comma 2 mediante forme di pubblicità idonee di volta in volta stabilite dall'amministrazione medesima.

4. L'omissione di taluna delle comunicazioni prescritte può esser fatta valere solo dal soggetto nel cui interesse la comunicazione è prevista.

Articolo 9 Intervento nel procedimento

1. Qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici o privati, nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, cui possa derivare un pregiudizio dal provvedimento, hanno facoltà di intervenire nel procedimento.

Articolo 10 Diritti dei partecipanti al procedimento

1. I soggetti di cui all'articolo 7 e quelli intervenuti ai sensi dell'articolo 9 hanno diritto:

a) di prendere visione degli atti del procedimento, salvo quanto previsto dall'articolo 24;

b) di presentare memorie scritte e documenti, che l'amministrazione ha l'obbligo di valutare ove siano pertinenti all'oggetto del procedimento.

Articolo 10-bis Comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza

1. Nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l’autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all’accoglimento della domanda. Entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, gli istanti hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti. La comunicazione di cui al primo periodo interrompe i termini per concludere il procedimento che iniziano nuovamente a decorrere dalla data di presentazione delle osservazioni o, in mancanza, dalla scadenza del termine di cui al secondo periodo. Dell’eventuale mancato accoglimento di tali osservazioni è data ragione nella motivazione del provvedimento finale. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano alle procedure concorsuali e ai procedimenti in materia previdenziale e assistenziale sorti a seguito di istanza di parte e gestiti dagli enti previdenziali.

Articolo 11 Accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento

1. In accoglimento di osservazioni e proposte presentate a norma dell'articolo 10, l'amministrazione procedente può concludere, senza pregiudizio dei diritti dei terzi, e in ogni caso nel perseguimento del pubblico interesse, accordi con gli interessati al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale ovvero, nei casi previsti dalla legge, in sostituzione di questo.

1-bis. Al fine di favorire la conclusione degli accordi di cui al comma 1, il responsabile del procedimento può predisporre un calendario di incontri cui invita, separatamente o contestualmente, il destinatario del provvedimento ed eventuali controinteressati (1).

2. Gli accordi di cui al presente articolo debbono essere stipulati, a pena di nullità, per atto scritto, salvo che la legge disponga altrimenti. Ad essi si applicano, ove non diversamente previsto, i princìpi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili.

3. Gli accordi sostitutivi di provvedimenti sono soggetti ai medesimi controlli previsti per questi ultimi.

4. Per sopravvenuti motivi di pubblico interesse l'amministrazione recede unilateralmente dall'accordo, salvo l'obbligo di provvedere alla liquidazione di un indennizzo in relazione agli eventuali pregiudizi verificatisi in danno del privato.

4-bis. A garanzia dell’imparzialità e del buon andamento dell’azione amministrativa, in tutti i casi in cui una pubblica amministrazione conclude accordi nelle ipotesi previste al comma 1, la stipulazione dell’accordo è preceduta da una determinazione dell’organo che sarebbe competente per l’adozione del provvedimento.

5. Le controversie in materia di formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi di cui al presente articolo sono riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

(1) Comma aggiunto dall'art. 3-quinquies, d.l. 12 maggio 1995, n. 163, conv. in l. 11 luglio 1995, n. 273.

Articolo 12 Provvedimenti attributivi di vantaggi economici

1. La concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari e l'attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati sono subordinate alla predeterminazione ed alla pubblicazione da parte delle amministrazioni procedenti, nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti, dei criteri e delle modalità cui le amministrazioni stesse devono attenersi.

2. L'effettiva osservanza dei criteri e delle modalità di cui al comma 1 deve risultare dai singoli provvedimenti relativi agli interventi di cui al medesimo comma 1.

Articolo 13 Ambito di applicazione delle norme sulla partecipazione

1. Le disposizioni contenute nel presente capo non si applicano nei confronti dell'attività della pubblica amministrazione diretta alla emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione.

2. Dette disposizioni non si applicano altresì ai procedimenti tributari per i quali restano parimenti ferme le particolari norme che li regolano, nonché ai procedimenti previsti dal decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82, e successive modificazioni, e dal decreto legislativo 29 marzo 1993, n. 119, e successive modificazioni (1).

(1) Comma così modificato dall'art. 22, l. 13 febbraio 2001, n. 45.

 

Capo IV SEMPLIFICAZIONE DELL'AZIONE AMMINISTRATIVA

Articolo 14 Conferenza di servizi

1. Qualora sia opportuno effettuare un esame contestuale di vari interessi pubblici coinvolti in un procedimento amministrativo, l'amministrazione procedente indìce di regola una conferenza di servizi.

2. La conferenza di servizi è sempre indetta quando l'amministrazione procedente deve acquisire intese, concerti, nulla osta o assensi comunque denominati di altre amministrazioni pubbliche e non li ottenga, entro quindici giorni dall'inizio del procedimento, avendoli formalmente richiesti entro trenta giorni dalla ricezione, da parte dell’amministrazione competente, della relativa richiesta. La conferenza può essere altresì indetta quando nello stesso termine è intervenuto il dissenso di una o più amministrazioni interpellate.

3. La conferenza di servizi può essere convocata anche per l'esame contestuale di interessi coinvolti in più procedimenti amministrativi connessi, riguardanti medesimi attività o risultati. In tal caso, la conferenza è indetta dall'amministrazione o, previa informale intesa, da una delle amministrazioni che curano l'interesse pubblico prevalente. Per i lavori pubblici si continua ad applicare l'articolo 7 della legge 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni. L'indizione della conferenza può essere richiesta da qualsiasi altra amministrazione coinvolta.

4. Quando l'attività del privato sia subordinata ad atti di consenso, comunque denominati, di competenza di più amministrazioni pubbliche, la conferenza di servizi è convocata, anche su richiesta dell'interessato, dall'amministrazione competente per l'adozione del provvedimento finale (1).

5. In caso di affidamento di concessione di lavori pubblici la conferenza di servizi è convocata dal concedente ovvero, con il consenso di quest’ultimo, dal concessionario entro quindici giorni fatto salvo quanto previsto dalle leggi regionali in materia di valutazione di impatto ambientale (VIA) (2). Quando la conferenza è convocata ad istanza del concessionario spetta in ogni caso al concedente il diritto di voto.

5-bis. Previo accordo tra le amministrazioni coinvolte, la conferenza di servizi è convocata e svolta avvalendosi degli strumenti informatici disponibili, secondo i tempi e le modalità stabiliti dalle medesime amministrazioni.

(1) Vedi, anche, l'art. 2, o.p.cons. 12 marzo 2003, n. 3268.

(2) Articolo così sostituito dall'art. 9, l. 24 novembre 2000, n. 340.

Articolo 14-bis Conferenza di servizi preliminare

1. La conferenza di servizi può essere convocata per progetti di particolare complessità e di insediamenti produttivi di beni e servizi, su motivata e documentata richiesta dell'interessato su motivata richiesta dell’interessato, documentata, in assenza di un progetto preliminare, da uno studio di fattibilità, prima della presentazione di una istanza o di un progetto definitivi, al fine di verificare quali siano le condizioni per ottenere, alla loro presentazione, i necessari atti di consenso. In tale caso la conferenza si pronuncia entro trenta giorni dalla data della richiesta e i relativi costi sono a carico del richiedente.

2. Nelle procedure di realizzazione di opere pubbliche e di interesse pubblico, la conferenza di servizi si esprime sul progetto preliminare al fine di indicare quali siano le condizioni per ottenere, sul progetto definitivo, le intese, i pareri, le concessioni, le autorizzazioni, le licenze, i nullaosta e gli assensi, comunque denominati, richiesti dalla normativa vigente. In tale sede, le amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità, si pronunciano, per quanto riguarda l'interesse da ciascuna tutelato, sulle soluzioni progettuali prescelte. Qualora non emergano, sulla base della documentazione disponibile, elementi comunque preclusivi della realizzazione del progetto, le suddette amministrazioni indicano, entro quarantacinque giorni, le condizioni e gli elementi necessari per ottenere, in sede di presentazione del progetto definitivo, gli atti di consenso.

3. Nel caso in cui sia richiesta VIA, la conferenza di servizi si esprime entro trenta giorni dalla conclusione della fase preliminare di definizione dei contenuti dello studio d'impatto ambientale, secondo quanto previsto in materia di VIA. Ove tale conclusione non intervenga entro novanta giorni dalla richiesta di cui al comma 1, la conferenza di servizi si esprime comunque entro i successivi trenta giorni. Nell'ambito di tale conferenza, l'autorità competente alla VIA si esprime sulle condizioni per la elaborazione del progetto e dello studio di impatto ambientale. In tale fase, che costituisce parte integrante della procedura di VIA, la suddetta autorità esamina le principali alternative, compresa l'alternativa zero, e, sulla base della documentazione disponibile, verifica l'esistenza di eventuali elementi di incompatibilità, anche con riferimento alla localizzazione prevista dal progetto e, qualora tali elementi non sussistano, indica nell'ambito della conferenza di servizi le condizioni per ottenere, in sede di presentazione del progetto definitivo, i necessari atti di consenso.

3-bis. Il dissenso espresso in sede di conferenza preliminare da una amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico, della salute o della pubblica incolumità, con riferimento alle opere interregionali, è sottoposto alla disciplina di cui all’articolo 14-quater, comma 3.

4. Nei casi di cui ai commi 1, 2 e 3, la conferenza di servizi si esprime allo stato degli atti a sua disposizione e le indicazioni fornite in tale sede possono essere motivatamente modificate o integrate solo in presenza di significativi elementi emersi nelle fasi successive del procedimento, anche a seguito delle osservazioni dei privati sul progetto definitivo.

5. Nel caso di cui al comma 2, il responsabile unico del procedimento trasmette alle amministrazioni interessate il progetto definitivo, redatto sulla base delle condizioni indicate dalle stesse amministrazioni in sede di conferenza di servizi sul progetto preliminare, e convoca la conferenza tra il trentesimo e il sessantesimo giorno successivi alla trasmissione. In caso di affidamento mediante appalto concorso o concessione di lavori pubblici, l'amministrazione aggiudicatrice convoca la conferenza di servizi sulla base del solo progetto preliminare, secondo quanto previsto dalla legge 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni (1).

(1) Articolo aggiunto dall'art. 17, comma 5, l. 15 maggio 1997, n. 127 e così sostituito dall'art. 10, l. 24 novembre 2000, n. 340.

Articolo 14-ter Lavori della conferenza di servizi

01. La prima riunione della conferenza di servizi è convocata entro quindici giorni ovvero, in caso di particolare complessità dell’istruttoria, entro trenta giorni dalla data di indizione.

1. La conferenza di servizi assume le determinazioni relative all'organizzazione dei propri lavori a maggioranza dei presenti.

2. La convocazione della prima riunione della conferenza di servizi deve pervenire alle amministrazioni interessate, anche per via telematica o informatica, almeno dieci cinque giorni prima della relativa data. Entro i successivi cinque giorni, le amministrazioni convocate possono richiedere, qualora impossibilitate a partecipare, l'effettuazione della riunione in una diversa data; in tale caso, l'amministrazione procedente concorda una nuova data, comunque entro i dieci giorni successivi alla prima.

3. Nella prima riunione della conferenza di servizi, o comunque in quella immediatamente successiva alla trasmissione dell'istanza o del progetto definitivo ai sensi dell'articolo 14-bis, le amministrazioni che vi partecipano determinano il termine per l'adozione della decisione conclusiva. I lavori della conferenza non possono superare i novanta giorni, salvo quanto previsto dal comma 4. Decorsi inutilmente tali termini, l'amministrazione procedente provvede ai sensi dei commi 2 e seguenti dell'articolo 14-quater ai sensi dei commi 6-bis e 9 del presente articolo.

4. Nei casi in cui sia richiesta la VIA, la conferenza di servizi si esprime dopo aver acquisito la valutazione medesima ed il termine di cui al comma 3 resta sospeso, per un massimo di novanta giorni, fino all’acquisizione della pronuncia sulla compatibilità ambientale. Se la VIA non interviene nel termine previsto per l'adozione del relativo provvedimento, l'amministrazione competente si esprime in sede di conferenza di servizi, la quale si conclude nei trenta giorni successivi al termine predetto. Tuttavia, a richiesta della maggioranza dei soggetti partecipanti alla conferenza di servizi, il termine di trenta giorni di cui al precedente periodo è prorogato di altri trenta giorni nel caso che si appalesi la necessità di approfondimenti istruttori.

5. Nei procedimenti relativamente ai quali sia già intervenuta la decisione concernente la VIA le disposizioni di cui al comma 3 dell'articolo 14-quater, nonché quelle di cui agli articoli 16, comma 3, e 17, comma 2, si applicano alle sole amministrazioni preposte alla tutela della salute, pubblica del patrimonio storico-artistico e della pubblica incolumità.

6. Ogni amministrazione convocata partecipa alla conferenza di servizi attraverso un unico rappresentante legittimato, dall'organo competente, ad esprimere in modo vincolante la volontà dell'amministrazione su tutte le decisioni di competenza della stessa.

6-bis. All’esito dei lavori della conferenza, e in ogni caso scaduto il termine di cui al comma 3, l’amministrazione procedente adotta la determinazione motivata di conclusione del procedimento, valutate le specifiche risultanze della conferenza e tenendo conto delle posizioni prevalenti espresse in quella sede.

7. Si considera acquisito l'assenso dell'amministrazione il cui rappresentante non abbia espresso definitivamente la volontà dell'amministrazione rappresentata. e non abbia notificato all'amministrazione procedente, entro il termine di trenta giorni dalla data di ricezione della determinazione di conclusione del procedimento, il proprio motivato dissenso, ovvero nello stesso termine non abbia impugnato la determinazione conclusiva della conferenza di servizi.

8. In sede di conferenza di servizi possono essere richiesti, per una sola volta, ai proponenti dell'istanza o ai progettisti chiarimenti o ulteriore documentazione. Se questi ultimi non sono forniti in detta sede, entro i successivi trenta giorni, si procede all'esame del provvedimento.

9. Il provvedimento finale conforme alla determinazione conclusiva favorevole della conferenza di servizi sostituisce, a tutti gli effetti, ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti, o comunque invitate a partecipare, alla predetta conferenza.

9. Il provvedimento finale conforme alla determinazione conclusiva di cui al comma 6-bis sostituisce, a tutti gli effetti, ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti, o comunque invitate a partecipare ma risultate assenti, alla predetta conferenza.

10. Il provvedimento finale concernente opere sottoposte a VIA è pubblicato, a cura del proponente, unitamente all'estratto della predetta VIA, nella Gazzetta Ufficiale o nel Bollettino regionale in caso di VIA regionale e in un quotidiano a diffusione nazionale. Dalla data della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale decorrono i termini per eventuali impugnazioni in sede giurisdizionale da parte dei soggetti interessati (1).

(1) Articolo aggiunto dall'art. 17, comma 6, l. 15 maggio 1997, n. 127 e così sostituito dall'art. 11, l. 24 novembre 2000, n. 340.

Articolo 14-quater Effetti del dissenso espresso nella conferenza di servizi

1. Il dissenso di uno o più rappresentanti delle amministrazioni, regolarmente convocate alla conferenza di servizi, a pena di inammissibilità, deve essere manifestato nella conferenza di servizi, deve essere congruamente motivato, non può riferirsi a questioni connesse che non costituiscono oggetto della conferenza medesima e deve recare le specifiche indicazioni delle modifiche progettuali necessarie ai fini dell'assenso.

2. Se una o più amministrazioni hanno espresso nell'ambito della conferenza il proprio dissenso sulla proposta dell'amministrazione procedente, quest'ultima, entro i termini perentori indicati dall'articolo 14-ter, comma 3, assume comunque la determinazione di conclusione del procedimento sulla base della maggioranza delle posizioni espresse in sede di conferenza di servizi. La determinazione è immediatamente esecutiva.

3. Qualora il motivato dissenso sia espresso da un'amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute, la decisione è rimessa al Consiglio dei ministri, ove l'amministrazione dissenziente o quella procedente sia un'amministrazione statale, ovvero ai competenti organi collegiali esecutivi degli enti territoriali, nelle altre ipotesi. Il Consiglio dei ministri o gli organi collegiali esecutivi degli enti territoriali deliberano entro trenta giorni, salvo che il Presidente del Consiglio dei ministri o il presidente della giunta regionale o il presidente della provincia o il sindaco, valutata la complessità dell'istruttoria, decidano di prorogare tale termine per un ulteriore periodo non superiore a sessanta giorni.

3. Se il motivato dissenso è espresso da un’amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità, la decisione è rimessa dall’amministrazione procedente, entro dieci giorni: a) al Consiglio dei ministri, in caso di dissenso tra amministrazioni statali; b) alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, di seguito denominata «Conferenza Stato-regioni», in caso di dissenso tra un’amministrazione statale e una regionale o tra più amministrazioni regionali; c) alla Conferenza unificata, di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, in caso di dissenso tra un’amministrazione statale o regionale e un ente locale o tra più enti locali. Verificata la completezza della documentazione inviata ai fini istruttori, la decisione è assunta entro trenta giorni, salvo che il Presidente del Consiglio dei ministri, della Conferenza Stato-regioni o della Conferenza unificata, valutata la complessità dell’istruttoria, decida di prorogare tale termine per un ulteriore periodo non superiore a sessanta giorni.

3-bis. Se il motivato dissenso è espresso da una regione o da una provincia autonoma in una delle materie di propria competenza, la determinazione sostitutiva è rimessa dall’amministrazione procedente, entro dieci giorni: a) alla Conferenza Stato-regioni, se il dissenso verte tra un’amministrazione statale e una regionale o tra amministrazioni regionali; b) alla Conferenza unificata, in caso di dissenso tra una regione o provincia autonoma e un ente locale. Verificata la completezza della documentazione inviata ai fini istruttori, la decisione è assunta entro trenta giorni, salvo che il Presidente della Conferenza Stato-regioni o della Conferenza unificata, valutata la complessità dell’istruttoria, decida di prorogare tale termine per un ulteriore periodo non superiore a sessanta giorni.

3-ter. Se entro i termini di cui ai commi 3 e 3-bis la Conferenza Stato-regioni o la Conferenza unificata non provvede, la decisione, su iniziativa del Ministro per gli affari regionali, è rimessa al Consiglio dei ministri, che assume la determinazione sostitutiva nei successivi trenta giorni, ovvero, quando verta in materia non attribuita alla competenza statale ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, e dell’articolo 118 della Costituzione, alla competente Giunta regionale ovvero alle competenti Giunte delle province autonome di Trento e di Bolzano, che assumono la determinazione sostitutiva nei successivi trenta giorni; qualora la Giunta regionale non provveda entro il termine predetto, la decisione è rimessa al Consiglio dei ministri, che delibera con la partecipazione dei Presidenti delle regioni interessate.

3-quater. In caso di dissenso tra amministrazioni regionali, i commi 3 e 3-bis non si applicano nelle ipotesi in cui le regioni interessate abbiano ratificato, con propria legge, intese per la composizione del dissenso ai sensi dell’articolo 117, ottavo comma, della Costituzione, anche attraverso l’individuazione di organi comuni competenti in via generale ad assumere la determinazione sostitutiva in caso di dissenso.

3-quinquies. Restano ferme le attribuzioni e le prerogative riconosciute alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano dagli statuti speciali di autonomia e dalle relative norme di attuazione.

4. Quando il dissenso è espresso da una regione, le determinazioni di competenza del Consiglio dei ministri previste al comma 3 sono adottate con l'intervento del presidente della giunta regionale interessata, al quale è inviata a tal fine la comunicazione di invito a partecipare alla riunione, per essere ascoltato, senza diritto di voto.

5. Nell'ipotesi in cui l'opera sia sottoposta a VIA e in caso di provvedimento negativo trova applicazione l'articolo 5, comma 2, lettera c-bis), della legge 23 agosto 1988, n. 400, introdotta dall'articolo 12, comma 2, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303 (1).

(1) Articolo aggiunto dall'art. 17, comma 7, l. 15 maggio 1997, n. 127 e così sostituito dall'art. 12, l. 24 novembre 2000, n. 340.

Articolo 14-quinquies Conferenza di servizi in materia di finanza di progetto

1. Nelle ipotesi di conferenza di servizi finalizzata all’approvazione del progetto definitivo in relazione alla quale trovino applicazione le procedure di cui agli articoli 37-bis e seguenti della legge 11 febbraio 1994, n. 109, sono convocati alla conferenza, senza diritto di voto, anche i soggetti aggiudicatari di concessione individuati all’esito della procedura di cui all’articolo 37-quater della legge n. 109 del 1994, ovvero le società di progetto di cui all’articolo 37-quinquies della medesima legge.

Articolo 15 Accordi fra pubbliche amministrazioni

1. Anche al di fuori delle ipotesi previste dall'articolo 14, le amministrazioni pubbliche possono sempre concludere tra loro accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune.

2. Per detti accordi si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni previste dall'articolo 11, commi 2, 3 e 5.

Articolo 16 Attività consultiva

1. Gli organi consultivi delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, sono tenuti a rendere i pareri a essi obbligatoriamente richiesti entro quarantacinque giorni dal ricevimento della richiesta. Qualora siano richiesti di pareri facoltativi, sono tenuti a dare immediata comunicazione alle amministrazioni richiedenti del termine entro il quale il parere sarà reso (1).

2. In caso di decorrenza del termine senza che sia stato comunicato il parere o senza che l'organo adito abbia rappresentato esigenze istruttorie, è in facoltà dell'amministrazione richiedente di procedere indipendentemente dall'acquisizione del parere (1).

3. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 non si applicano in caso di pareri che debbano essere rilasciati da amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistica, territoriale e della salute dei cittadini (1).

4. Nel caso in cui l'organo adito abbia rappresentato esigenze istruttorie il termine di cui al comma 1 può essere interrotto per una sola volta e il parere deve essere reso definitivamente entro quindici giorni dalla ricezione degli elementi istruttori da parte delle amministrazioni interessate (2).

5. Qualora il parere sia favorevole, senza osservazioni, il dispositivo è comunicato telegraficamente o con mezzi telematici.

6. Gli organi consultivi dello Stato predispongono procedure di particolare urgenza per l'adozione dei pareri loro richiesti (3).

(1) Comma così sostituito dall'art. 17, comma 24, l. 15 maggio 1997, n. 127.

(2) Comma così sostituito dall'art. 17, comma 24, l. 15 maggio 1997, n. 127. Vedi, anche, l'art. 2, o.p.cons. 12 marzo 2003, n. 3268.

(3) Il comma 5 dell'art. 2, O.P.C.M. 8 luglio 2004, n. 3361 (Gazz. Uff. 17 luglio 2004, n. 166) ha disposto, in deroga a quanto previsto dal presente articolo, che i pareri, i visti e i nulla-osta che si dovessero rendere necessari anche successivamente alla conferenza dei servizi, di intendono inderogabilmente acquisiti con esito positivo trascorsi 10 giorni dalla richiesta effettuata dal legale rappresentante dell'Ente attuatore.

Articolo 17 Valutazioni tecniche

1. Ove per disposizione espressa di legge o di regolamento sia previsto che per l'adozione di un provvedimento debbano essere preventivamente acquisite le valutazioni tecniche di organi od enti appositi e tali organi ed enti non provvedano o non rappresentino esigenze istruttorie di competenza dell'amministrazione procedente nei termini prefissati dalla disposizione stessa o, in mancanza, entro novanta giorni dal ricevimento della richiesta, il responsabile del procedimento deve chiedere le suddette valutazioni tecniche ad altri organi dell'amministrazione pubblica o ad enti pubblici che siano dotati di qualificazione e capacità tecnica equipollenti, ovvero ad istituti universitari.

2. La disposizione di cui al comma 1 non si applica in caso di valutazioni che debbano essere prodotte da amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale e della salute dei cittadini.

3. Nel caso in cui l'ente od organo adito abbia rappresentato esigenze istruttorie all'amministrazione procedente, si applica quanto previsto dal comma 4 dell'articolo 16.

Articolo 18 Autocertificazione

1. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge le amministrazioni interessate adottano le misure organizzative idonee a garantire l'applicazione delle disposizioni in materia di autocertificazione e di presentazione di atti e documenti da parte di cittadini a pubbliche amministrazioni di cui alla legge 4 gennaio 1968, n. 15, e successive modificazioni e integrazioni. Delle misure adottate le amministrazioni danno comunicazione alla Commissione di cui all'articolo 27.

2. I documenti attestanti atti, fatti, qualità e stati soggettivi, necessari per l'istruttoria del procedimento, sono acquisiti d'ufficio quando sono in possesso dell'amministrazione procedente, ovvero sono detenuti, istituzionalmente, da altre pubbliche amministrazioni. L'amministrazione procedente può richiedere agli interessati i soli elementi necessari per la ricerca dei documenti.

3. Parimenti sono accertati d'ufficio dal responsabile del procedimento i fatti, gli stati e le qualità che la stessa amministrazione procedente o altra pubblica amministrazione è tenuta a certificare.

Articolo 19 Dichiarazione di inizio attività

1. Ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l'esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente dall'accertamento dei requisiti e presupposti di legge o di atti amministrativi a contenuto generale e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi, con la sola esclusione degli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all'immigrazione, all'amministrazione della giustizia, alla amministrazione delle finanze, ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco, alla tutela della salute e della pubblica incolumità, del patrimonio culturale e paesaggistico e dell'ambiente, nonchè degli atti imposti dalla normativa comunitaria, è sostituito da una dichiarazione dell'interessato corredata, anche per mezzo di autocertificazioni, delle certificazioni e delle attestazioni normativamente richieste. L'amministrazione competente può richiedere informazioni o certificazioni relative a fatti, stati o qualità soltanto qualora non siano attestati in documenti già in possesso dell'amministrazione stessa o non siano direttamente acquisibili presso altre pubbliche amministrazioni.

2. L'attività oggetto della dichiarazione può essere iniziata decorsi trenta giorni dalla data di presentazione della dichiarazione all'amministrazione  competente.  Contestualmente all'inizio dell'attività, l'interessato ne dà comunicazione all'amministrazione competente.

3. L'amministrazione competente, in caso di accertata carenza delle condizioni, modalità e fatti legittimanti, nel termine di trenta giorni dal ricevimento della comunicazione di cui al comma 2, adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione dei suoi effetti, salvo che, ove ciò sia possibile, l'interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro un termine fissato dall'amministrazione, in ogni caso non inferiore a trenta giorni. E’ fatto comunque salvo il potere dell'amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies. Nei casi in cui la legge prevede l'acquisizione di pareri di organi o enti appositi, il termine per l'adozione dei provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione dei suoi effetti sono sospesi, fino all'acquisizione dei pareri, fino a un massimo di trenta giorni, scaduti i quali l'amministrazione può adottare i propri provvedimenti indipendentemente dall'acquisizione del parere. Della sospensione è data comunicazione all'interessato.

 4. Restano ferme le disposizioni di legge vigenti che prevedono termini diversi da quelli di cui ai commi 2 e 3 per l'inizio dell'attività e per l'adozione da parte dell'amministrazione competente di provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione dei suoi effetti.

5. Ogni controversia relativa all'applicazione dei commi 1, 2 e 3 è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

Articolo 20 Silenzio assenso

1. Fatta salva l'applicazione dell'articolo 19, nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi il silenzio dell'amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide, se la medesima amministrazione non comunica all'interessato, nel termine di cui all'articolo 2, commi 2 o 3, il provvedimento di diniego, ovvero non procede ai sensi del comma 2.

2. L'amministrazione competente può indire, entro trenta giorni dalla presentazione dell'istanza di cui al comma 1, una conferenza di servizi ai sensi del capo IV, anche tenendo conto delle situazioni giuridiche soggettive dei controinteressati.

3. Nei casi in cui il silenzio dell'amministrazione equivale ad accoglimento della domanda, l'amministrazione competente può assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies.

4. Le disposizioni del presente articolo non si applicano agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l'ambiente, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza e l'immigrazione, la salute e la pubblica incolumità, ai casi in cui la normativa comunitaria impone l'adozione di provvedimenti amministrativi formali, ai casi in cui la legge qualifica il silenzio dell'amministrazione come rigetto dell'istanza, nonchè agli atti e procedimenti individuati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con i Ministri competenti.

5. Si applicano gli articoli 2, comma 4, e 10-bis.

Articolo 21 Disposizioni sanzionatorie

1. Con la denuncia o con la domanda di cui agli articoli 19 e 20 l'interessato deve dichiarare la sussistenza dei presupposti e dei requisiti di legge richiesti. In caso di dichiarazioni mendaci o di false attestazioni non è ammessa la conformazione dell'attività e dei suoi effetti a legge o la sanatoria prevista dagli articoli medesimi ed il dichiarante è punito con la sanzione prevista dall'articolo 483 del codice penale, salvo che il fatto costituisca più grave reato.

2. Le sanzioni attualmente previste in caso di svolgimento dell'attività in carenza dell'atto di assenso dell'amministrazione o in difformità di esso si applicano anche nei riguardi di coloro i quali diano inizio all'attività ai sensi degli articoli 19 e 20 in mancanza dei requisiti richiesti o, comunque, in contrasto con la normativa vigente.

2-bis. Restano ferme le attribuzioni di vigilanza, prevenzione e controllo su attività soggette ad atti di assenso da parte di pubbliche amministrazioni previste da leggi vigenti, anche se è stato dato inizio all'attività ai sensi degli articoli 19 e 20.

 

Capo IV-bis EFFICACIA ED INVALIDITÀ DEL PROVVEDIMENTO AMMINISTRATIVO. REVOCA E RECESSO

Articolo 21-bis Efficacia del provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati

1. Il provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati acquista efficacia nei confronti di ciascun destinatario con la comunicazione allo stesso effettuata anche nelle forme stabilite per la notifica agli irreperibili nei casi previsti dal codice di procedura civile. Qualora per il numero dei destinatari la comunicazione personale non sia possibile o risulti particolarmente gravosa, l’amministrazione provvede mediante forme di pubblicità idonee di volta in volta stabilite dall’amministrazione medesima. Il provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati non avente carattere sanzionatorio può contenere una motivata clausola di immediata efficacia. I provvedimenti limitativi della sfera giuridica dei privati aventi carattere cautelare ed urgente sono immediatamente efficaci.

Articolo 21-ter Esecutorietà

1. Nei casi e con le modalità stabiliti dalla legge, le pubbliche amministrazioni possono imporre coattivamente l’adempimento degli obblighi nei loro confronti. Il provvedimento costitutivo di obblighi indica il termine e le modalità dell’esecuzione da parte del soggetto obbligato. Qualora l’interessato non ottemperi, le pubbliche amministrazioni, previa diffida, possono provvedere all’esecuzione coattiva nelle ipotesi e secondo le modalità previste dalla legge.

2. Ai fini dell’esecuzione delle obbligazioni aventi ad oggetto somme di denaro si applicano le disposizioni per l’esecuzione coattiva dei crediti dello Stato.

Articolo 21-quater Efficacia ed esecutività del provvedimento

1. I provvedimenti amministrativi efficaci sono eseguiti immediatamente, salvo che sia diversamente stabilito dalla legge o dal provvedimento medesimo.

2. L’efficacia ovvero l’esecuzione del provvedimento amministrativo può essere sospesa, per gravi ragioni e per il tempo strettamente necessario, dallo stesso organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. Il termine della sospensione è esplicitamente indicato nell’atto che la dispone e può essere prorogato o differito per una sola volta, nonché ridotto per sopravvenute esigenze.

Articolo 21-quinquies Revoca del provvedimento

1. Per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte dell’organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. La revoca determina la inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti. Se la revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l’amministrazione ha l’obbligo di provvedere al loro indennizzo. Le controversie in materia di determinazione e corresponsione dell’indennizzo sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

Articolo 21-sexies Recesso dai contratti

1. Il recesso unilaterale dai contratti della pubblica amministrazione è ammesso nei casi previsti dalla legge o dal contratto.

Articolo 21-septies Nullità del provvedimento

1. È nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali, che è viziato da difetto assoluto di attribuzione, che è stato adottato in violazione o elusione del giudicato, nonché negli altri casi espressamente previsti dalla legge.

2. Le questioni inerenti alla nullità dei provvedimenti amministrativi in violazione o elusione del giudicato sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

Articolo 21-octies Annullabilità del provvedimento

1. È annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza.

2. Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

Articolo 21-nonies Annullamento d’ufficio

1. Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell’articolo 21-octies può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge.

2. È fatta salva la possibilità di convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole.

 

Capo V ACCESSO AI DOCUMENTI AMMINISTRATIVI

Articolo 22

1. Al fine di assicurare la trasparenza dell'attività amministrativa e di favorirne lo svolgimento imparziale è riconosciuto a chiunque vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti il diritto di accesso ai documenti amministrativi, secondo le modalità stabilite dalla presente legge.

2. È considerato documento amministrativo ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni, formati dalle pubbliche amministrazioni o, comunque, utilizzati ai fini dell'attività amministrativa.

3. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge le amministrazioni interessate adottano le misure organizzative idonee a garantire l'applicazione della disposizione di cui al comma 1, dandone comunicazione alla Commissione di cui all'articolo 27.

Articolo 22 Definizioni e princìpi in materia di accesso

1. Ai fini del presente capo si intende:

a) per “diritto di accesso“, il diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi;

b) per “interessati“, tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso;

c) per “controinteressati“, tutti i soggetti, individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, che dall’esercizio dell’accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza;

d) per “documento amministrativo“, ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale;

e) per “pubblica amministrazione“, tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario.

2. L’accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza, ed attiene ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione. Resta ferma la potestà delle regioni e degli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze, di garantire livelli ulteriori di tutela.

3. Tutti i documenti amministrativi sono accessibili, ad eccezione di quelli indicati all’articolo 24, commi 1, 2, 3, 5 e 6.

4. Non sono accessibili le informazioni in possesso di una pubblica amministrazione che non abbiano forma di documento amministrativo, salvo quanto previsto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in materia di accesso a dati personali da parte della persona cui i dati si riferiscono.

5. L’acquisizione di documenti amministrativi da parte di soggetti pubblici, ove non rientrante nella previsione dell’articolo 43, comma 2, del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, si informa al principio di leale cooperazione istituzionale.

6. Il diritto di accesso è esercitabile fino a quando la pubblica amministrazione ha l’obbligo di detenere i documenti amministrativi ai quali si chiede di accedere.

Articolo 23 Ambito di applicazione del diritto di accesso

1. Il diritto di accesso di cui all'articolo 22 si esercita nei confronti delle pubbliche amministrazioni, delle aziende autonome e speciali, degli enti pubblici e dei gestori di pubblici servizi. Il diritto di accesso nei confronti delle Autorità di garanzia e di vigilanza si esercita nell'ambito dei rispettivi ordinamenti, secondo quanto previsto dall'articolo 24 (1).

(1) Articolo così sostituito dall'art. 4, l. 3 agosto 1999, n. 265.

Articolo 24

1. Il diritto di accesso è escluso per i documenti coperti da segreto di Stato ai sensi dell'articolo 12 della legge 24 ottobre 1977, n. 801, per quelli relativi ai procedimenti previsti dal decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82, e successive modificazioni, e dal decreto legislativo 29 marzo 1993, n. 119, e successive modificazioni nonché nei casi di segreto o di divieto di divulgazione altrimenti previsti dall'ordinamento (1).

2. Il Governo è autorizzato ad emanare, ai sensi del comma 2 dell'articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti intesi a disciplinare le modalità di esercizio del diritto di accesso e gli altri casi di esclusione del diritto di accesso in relazione alla esigenza di salvaguardare:

a) la sicurezza, la difesa nazionale e le relazioni internazionali;

b) la politica monetaria e valutaria;

c) l'ordine pubblico e la prevenzione e repressione della criminalità;

d) la riservatezza di terzi, persone, gruppi ed imprese, garantendo peraltro agli interessati la visione degli atti relativi ai procedimenti amministrativi, la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i loro interessi giuridici.

3. Con i decreti di cui al comma 2 sono altresì stabilite norme particolari per assicurare che l'accesso ai dati raccolti mediante strumenti informatici, fuori dei casi di accesso a dati personali da parte della persona cui i dati si riferiscono, avvenga nel rispetto delle esigenze di cui al medesimo comma 2 (2).

4. Le singole amministrazioni hanno l'obbligo di individuare, con uno o più regolamenti da emanarsi entro i sei mesi successivi, le categorie di documenti da esse formati o comunque rientranti nella loro disponibilità sottratti all'accesso per le esigenze di cui al comma 2.

5. Restano ferme le disposizioni previste dall'articolo 9, L. 1º aprile 1981, n. 121, come modificato dall'articolo 26, L. 10 ottobre 1986, n. 668, e dalle relative norme di attuazione, nonché ogni altra disposizione attualmente vigente che limiti l'accesso ai documenti amministrativi.

6. I soggetti indicati nell'articolo 23 hanno facoltà di differire l'accesso ai documenti richiesti sino a quando la conoscenza di essi possa impedire o gravemente ostacolare lo svolgimento dell'azione amministrativa. Non è comunque ammesso l'accesso agli atti preparatori nel corso della formazione dei provvedimenti di cui all'articolo 13, salvo diverse disposizioni di legge.

(1) Comma così modificato dall'art. 22, l. 13 febbraio 2001, n. 45.

(2) Comma così modificato, a decorrere dal 1° gennaio 2004, dal comma 1 dell'art. 176, D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196.

Articolo 24 Esclusione dal diritto di accesso

1. Il diritto di accesso è escluso:

a) per i documenti coperti da segreto di Stato ai sensi della legge 24 ottobre 1977, n. 801, e successive modificazioni, e nei casi di segreto o di divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge, dal regolamento governativo di cui al comma 6 e dalle pubbliche amministrazioni ai sensi del comma 2 del presente articolo;

b) nei procedimenti tributari, per i quali restano ferme le particolari norme che li regolano;

c) nei confronti dell’attività della pubblica amministrazione diretta all’emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione;

d) nei procedimenti selettivi, nei confronti dei documenti amministrativi contenenti informazioni di carattere psico-attitudinale relativi a terzi.

2. Le singole pubbliche amministrazioni individuano le categorie di documenti da esse formati o comunque rientranti nella loro disponibilità sottratti all’accesso ai sensi del comma 1.

3. Non sono ammissibili istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni.

4. L’accesso ai documenti amministrativi non può essere negato ove sia sufficiente fare ricorso al potere di differimento.

5. I documenti contenenti informazioni connesse agli interessi di cui al comma 1 sono considerati segreti solo nell’ambito e nei limiti di tale connessione. A tale fine le pubbliche amministrazioni fissano, per ogni categoria di documenti, anche l’eventuale periodo di tempo per il quale essi sono sottratti all’accesso.

6. Con regolamento, adottato ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, il Governo può prevedere casi di sottrazione all’accesso di documenti amministrativi:

a) quando, al di fuori delle ipotesi disciplinate dall’articolo 12 della legge 24 ottobre 1977, n. 801, dalla loro divulgazione possa derivare una lesione, specifica e individuata, alla sicurezza e alla difesa nazionale, all’esercizio della sovranità nazionale e alla continuità e alla correttezza delle relazioni internazionali, con particolare riferimento alle ipotesi previste dai trattati e dalle relative leggi di attuazione;

b) quando l’accesso possa arrecare pregiudizio ai processi di formazione, di determinazione e di attuazione della politica monetaria e valutaria;

c) quando i documenti riguardino le strutture, i mezzi, le dotazioni, il personale e le azioni strettamente strumentali alla tutela dell’ordine pubblico, alla prevenzione e alla repressione della criminalità con particolare riferimento alle tecniche investigative, alla identità delle fonti di informazione e alla sicurezza dei beni e delle persone coinvolte, all’attività di polizia giudiziaria e di conduzione delle indagini;

d) quando i documenti riguardino la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni, con particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale e commerciale di cui siano in concreto titolari, ancorché i relativi dati siano forniti all’amministrazione dagli stessi soggetti cui si riferiscono;

e) quando i documenti riguardino l’attività in corso di contrattazione collettiva nazionale di lavoro e gli atti interni connessi all’espletamento del relativo mandato.

7. Deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici. Nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l’accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall’articolo 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale.

Articolo 25 Modalità di esercizio del diritto di accesso e ricorsi

1. Il diritto di accesso si esercita mediante esame ed estrazione di copia dei documenti amministrativi, nei modi e con i limiti indicati dalla presente legge. L'esame dei documenti è gratuito. Il rilascio di copia è subordinato soltanto al rimborso del costo di riproduzione, salve le disposizioni vigenti in materia di bollo, nonché i diritti di ricerca e di visura.

2. La richiesta di accesso ai documenti deve essere motivata. Essa deve essere rivolta all'amministrazione che ha formato il documento o che lo detiene stabilmente.

3. Il rifiuto, il differimento e la limitazione dell'accesso sono ammessi nei casi e nei limiti stabiliti dall'articolo 24 e debbono essere motivati.

4. Decorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta, questa si intende respinta. In caso di rifiuto, espresso o tacito, o di differimento ai sensi dell'articolo 24, comma 6, dell'accesso, il richiedente può presentare ricorso al tribunale amministrativo regionale ai sensi del comma 5 del presente articolo, ovvero chiedere, nello stesso termine, al difensore civico competente che sia riesaminata la suddetta determinazione. Se il difensore civico ritiene illegittimo il diniego o il differimento, lo comunica a chi l'ha disposto. Se questi non emana il provvedimento confermativo motivato entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione del difensore civico, l'accesso è consentito. Qualora il richiedente l'accesso si sia rivolto al difensore civico, il termine di cui al comma 5 decorre dalla data del ricevimento, da parte del richiedente, dell'esito della sua istanza al difensore civico.

4. Decorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta, questa si intende respinta. In caso di diniego dell’accesso, espresso o tacito, o di differimento dello stesso ai sensi dell’articolo 24, comma 4, il richiedente può presentare ricorso al tribunale amministrativo regionale ai sensi del comma 5, ovvero chiedere, nello stesso termine e nei confronti degli atti delle amministrazioni comunali, provinciali e regionali, al difensore civico competente per ambito territoriale, ove costituito, che sia riesaminata la suddetta determinazione. Qualora tale organo non sia stato istituito, la competenza è attribuita al difensore civico competente per l’ambito territoriale immediatamente superiore. Nei confronti degli atti delle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato tale richiesta è inoltrata presso la Commissione per l’accesso di cui all’articolo 27. Il difensore civico o la Commissione per l’accesso si pronunciano entro trenta giorni dalla presentazione dell’istanza. Scaduto infruttuosamente tale termine, il ricorso si intende respinto. Se il difensore civico o la Commissione per l’accesso ritengono illegittimo il diniego o il differimento, ne informano il richiedente e lo comunicano all’autorità disponente. Se questa non emana il provvedimento confermativo motivato entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione del difensore civico o della Commissione, l’accesso è consentito. Qualora il richiedente l’accesso si sia rivolto al difensore civico o alla Commissione, il termine di cui al comma 5 decorre dalla data di ricevimento, da parte del richiedente, dell’esito della sua istanza al difensore civico o alla Commissione stessa. Se l’accesso è negato o differito per motivi inerenti ai dati personali che si riferiscono a soggetti terzi, la Commissione provvede, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, il quale si pronuncia entro il termine di dieci giorni dalla richiesta, decorso inutilmente il quale il parere si intende reso. Qualora un procedimento di cui alla sezione III del capo I del titolo I della parte III del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, o di cui agli articoli 154, 157, 158, 159 e 160 del medesimo decreto legislativo n. 196 del 2003, relativo al trattamento pubblico di dati personali da parte di una pubblica amministrazione, interessi l’accesso ai documenti amministrativi, il Garante per la protezione dei dati personali chiede il parere, obbligatorio e non vincolante, della Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi. La richiesta di parere sospende il termine per la pronuncia del Garante sino all’acquisizione del parere, e comunque per non oltre quindici giorni. Decorso inutilmente detto termine, il Garante adotta la propria decisione.

5. Contro le determinazioni amministrative concernenti il diritto di accesso e nei casi previsti dal comma 4 è dato ricorso, nel termine di trenta giorni, al tribunale amministrativo regionale, il quale decide in camera di consiglio entro trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso, uditi i difensori delle parti che ne abbiano fatto richiesta. In pendenza di un ricorso presentato ai sensi della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, e successive modificazioni, il ricorso può essere proposto con istanza presentata al presidente e depositata presso la segreteria della sezione cui è assegnato il ricorso, previa notifica all’amministrazione o ai controinteressati, e viene deciso con ordinanza istruttoria adottata in camera di consiglio. La decisione del tribunale è appellabile, entro trenta giorni dalla notifica della stessa, al Consiglio di Stato, il quale decide con le medesime modalità e negli stessi termini. Le controversie relative all'accesso ai documenti amministrativi sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

5-bis. Nei giudizi in materia di accesso, le parti possono stare in giudizio personalmente senza l’assistenza del difensore. L’amministrazione può essere rappresentata e difesa da un proprio dipendente, purché in possesso della qualifica di dirigente, autorizzato dal rappresentante legale dell’ente.

6. In caso di totale o parziale accoglimento del ricorso il giudice amministrativo, sussistendone i presupposti, ordina l'esibizione dei documenti richiesti.

6. Il giudice amministrativo, sussistendone i presupposti, ordina l’esibizione dei documenti richiesti.

Articolo 26 Obbligo di pubblicazione

1. Fermo restando quanto previsto per le pubblicazioni nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana dalla legge 11 dicembre 1984, n. 839, e dalle relative norme di attuazione, sono pubblicati, secondo le modalità previste dai singoli ordinamenti, le direttive, i programmi, le istruzioni, le circolari e ogni atto che dispone in generale sulla organizzazione, sulle funzioni, sugli obiettivi, sui procedimenti di una pubblica amministrazione ovvero nel quale si determina l'interpretazione di norme giuridiche o si dettano disposizioni per l'applicazione di esse.

2. Sono altresì pubblicate, nelle forme predette, le relazioni annuali della Commissione di cui all'articolo 27 e, in generale, è data la massima pubblicità a tutte le disposizioni attuative della presente legge e a tutte le iniziative dirette a precisare ed a rendere effettivo il diritto di accesso.

3. Con la pubblicazione di cui al comma 1, ove essa sia integrale, la libertà di accesso ai documenti indicati nel predetto comma 1 s'intende realizzata.

Articolo 27

1. È istituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri la Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi.

2. La Commissione è nominata con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio dei ministri. Essa è presieduta dal sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri ed è composta da sedici membri, dei quali due senatori e due deputati designati dai Presidenti delle rispettive Camere, quattro scelti fra il personale di cui alla legge 2 aprile 1979, n. 97, su designazione dei rispettivi organi di autogoverno, quattro fra i professori di ruolo in materie giuridico-amministrative e quattro fra i dirigenti dello Stato e degli altri enti pubblici.

3. La Commissione è rinnovata ogni tre anni. Per i membri parlamentari si procede a nuova nomina in caso di scadenza o scioglimento anticipato delle Camere nel corso del triennio.

4. Gli oneri per il funzionamento della Commissione sono a carico dello stato di previsione della Presidenza del Consiglio dei ministri.

5. La Commissione vigila affinché venga attuato il principio di piena conoscibilità dell'attività della pubblica amministrazione con il rispetto dei limiti fissati dalla presente legge; redige una relazione annuale sulla trasparenza dell'attività della pubblica amministrazione, che comunica alle Camere e al Presidente del Consiglio dei ministri; propone al Governo modifiche dei testi legislativi e regolamentari che siano utili a realizzare la più ampia garanzia del diritto di accesso di cui all'articolo 22.

6. Tutte le amministrazioni sono tenute a comunicare alla Commissione, nel termine assegnato dalla medesima, le informazioni ed i documenti da essa richiesti, ad eccezione di quelli coperti da segreto di Stato.

7. In caso di prolungato inadempimento all'obbligo di cui al comma 1 dell'articolo 18, le misure ivi previste sono adottate dalla Commissione di cui al presente articolo.

Articolo 27 Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi

1. È istituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri la Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi.

2. La Commissione è nominata con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio dei ministri. Essa è presieduta dal sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri ed è composta da dodici membri, dei quali due senatori e due deputati, designati dai Presidenti delle rispettive Camere, quattro scelti fra il personale di cui alla legge 2 aprile 1979, n. 97, su designazione dei rispettivi organi di autogoverno, due fra i professori di ruolo in materie giuridiche e uno fra i dirigenti dello Stato e degli altri enti pubblici. È membro di diritto della Commissione il capo della struttura della Presidenza del Consiglio dei ministri che costituisce il supporto organizzativo per il funzionamento della Commissione. La Commissione può avvalersi di un numero di esperti non superiore a cinque unità, nominati ai sensi dell’articolo 29 della legge 23 agosto 1988, n. 400.

3. La Commissione è rinnovata ogni tre anni. Per i membri parlamentari si procede a nuova nomina in caso di scadenza o scioglimento anticipato delle Camere nel corso del triennio.

4. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, a decorrere dall’anno 2004, sono determinati i compensi dei componenti e degli esperti di cui al comma 2, nei limiti degli ordinari stanziamenti di bilancio della Presidenza del Consiglio dei ministri.

5. La Commissione adotta le determinazioni previste dall’articolo 25, comma 4; vigila affinché sia attuato il principio di piena conoscibilità dell’attività della pubblica amministrazione con il rispetto dei limiti fissati dalla presente legge; redige una relazione annuale sulla trasparenza dell’attività della pubblica amministrazione, che comunica alle Camere e al Presidente del Consiglio dei ministri; propone al Governo modifiche dei testi legislativi e regolamentari che siano utili a realizzare la più ampia garanzia del diritto di accesso di cui all’articolo 22.

6. Tutte le amministrazioni sono tenute a comunicare alla Commissione, nel termine assegnato dalla medesima, le informazioni ed i documenti da essa richiesti, ad eccezione di quelli coperti da segreto di Stato.

7. In caso di prolungato inadempimento all’obbligo di cui al comma 1 dell’articolo 18, le misure ivi previste sono adottate dalla Commissione di cui al presente articolo.

Articolo 28 Modifica dell’articolo 15 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, in materia di segreto di ufficio

 

Capo VI DISPOSIZIONI FINALI

Articolo 29

1. Le regioni a statuto ordinario regolano le materie disciplinate dalla presente legge nel rispetto dei princìpi desumibili dalle disposizioni in essa contenute, che costituiscono princìpi generali dell'ordinamento giuridico. Tali disposizioni operano direttamente nei riguardi delle regioni fino a quando esse non avranno legiferato in materia.

2. Entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono ad adeguare i rispettivi ordinamenti alle norme fondamentali contenute nella legge medesima.

Articolo 29 Ambito di applicazione della legge

1. Le disposizioni della presente legge si applicano ai procedimenti amministrativi che si svolgono nell’ambito delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali e, per quanto stabilito in tema di giustizia amministrativa, a tutte le amministrazioni pubbliche.

2. Le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze, regolano le materie disciplinate dalla presente legge nel rispetto del sistema costituzionale e delle garanzie del cittadino nei riguardi dell’azione amministrativa, così come definite dai princìpi stabiliti dalla presente legge

Articolo 30 Atti di notorietà

1. In tutti i casi in cui le leggi e i regolamenti prevedono atti di notorietà o attestazioni asseverate da testimoni altrimenti denominate, il numero dei testimoni è ridotto a due.

2. È fatto divieto alle pubbliche amministrazioni e alle imprese esercenti servizi di pubblica necessità e di pubblica utilità di esigere atti di notorietà in luogo della dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà prevista dall'articolo 4 della legge 4 gennaio 1968, n. 15, quando si tratti di provare qualità personali, stati o fatti che siano a diretta conoscenza dell'interessato.

Articolo 31

1. Le norme sul diritto di accesso ai documenti amministrativi di cui al capo V hanno effetto dalla data di entrata in vigore dei decreti di cui all'articolo 24.

 

BIBLIOGRAFIA

 

ID

NOME

COGNOME

TITOLO

PUBBLICAZIONE

1

AA.VV.

Semplificazione e trasparenza. Lo stato di attuazione della Legge n. 241 del 1990

Ed. Scientifiche Italiane. Presidenza dee Consiglio dei Ministri, 02/05

2

AA.VV.

Il silenzio assenso parte a due marce. Nuove attività, la Dia rivede i tempi

Sole 24 Ore, 14.05.05

3

Giacomo

Aiello

La nullità del provvedimento amministrativo tra dubbi e certezze

www.giustizia-amministrativa.it

4

Massimiliano

Alesio

Annullamento degli atti illegittimi: arrivano le regole ma i dubbi restano

Diritto e giustizia, 11/05

5

Massimiliano

Atelli

Attività non autoritativa: largo al diritto privato

Il Sole 24 Ore, Guida al Diritto, 10/05

6

Massimiliano

Atelli

Rilascio copia dell’atto “graduato” alla privacy

Il Sole 24 Ore, Guida al Diritto, 10/05

7

 

Baccini

Direttiva in materia di annullamento d’ufficio di provvedimenti illegittimi, ai sensi dell’articolo 1, comma 136, della legge 30.12.2004, n. 311 e dell’articolo 21-nonies della legge 7.8.1990, n. 241, come introdotto dalla legge 11.2.2005, n. 15

Circolare Ministero Funzione Pubblica, 17.10.2005

8

Giulio

Bacosi

La legge n. 15 del 2005: ecco il nuovo volto della “241”

www.giustizia-amministrativa.it

Francesco

Lemetre

9

Massimiliano

Balloriani

Appunti su rapporto giuridico di diritto pubblico e tutela dell’interesse legittimo

www.lexitalia.it

10

Federico

Basilica

Prime osservazioni sulla riforma della legge n. 241/1990

Rivista Quadrimestrale della Funzione pubblica, II/05

11

Edoardo

Battisti

La riforma della legge sul procedimento amministrativo: osservazioni a prima lettura

www.associazionedeicostituzionalisti.it

12

Edoardo

Battisti

L’iter del disegno di legge di modifica della legge 241/90

www.giustamm.it

13

Claudio

Biondi

Ambito soggettivo di applicabilità delle norme contenute nella legge n. 241/1990 come integrate e modificate dalla legge n. 15/2005

www.giustamm.it

Giuseppe

Giannì

14

Eugenio

Bruno

Il silenzio-assenso diventa regola

Il Sole 24 Ore, 13.06.05

15

Luca

Busico

Silenzio-rifiuto e legge n. 15/2005

www.lexitalia.it

16

Salvatore

Cacace

Trasparenza e riservatezza: una convivenza difficile

Il Sole 24 Ore, 31.07.05

17

Alessandro

Calegari

Sulla natura sostanziale o processuale e sull’immediata applicabilità ai giudizi pendenti delle disposizioni concernenti l’annullabilità dei provvedimenti amministrativi contenute nell’art. 21 octies della L. n. 241 del 1990

www.giustamm.it

18

Andrea

Calzolaio

Prime riflessioni sulla dichiarazione di inizio di attività e sul silenzio assenso a pochi giorni dalla entrata in vigore dalla legge 14 maggio 2005 n. 80 di conversione del D.L. 14 marzo 2005 n. 35

www.diritto.it

19

Manlio

Cammarata

Il cittadino escluso: per legge e dalla legge

www.interlex.it

20

Andrea Maria

Candidi

Il diritto di accesso agli atti prevale sull’obbligo di privacy

Il Sole 24 Ore, 28.09.05

21

Ignazio Francesco

Caramazza

Prospettive della Commissione per l’accesso alla luce della riforma del Titolo V della Costituzione e della riforma legislativa

L’accesso ai documenti amministrativi; commissione per l’accesso, Tomo II, 2005

22

Francesco

Caringella

Il nuovo ruolo del G.A.: articolo 21 OPTIES legge 241

www.giustizia-amministrativa.it

23

Marina

Castellaneta

Silenzio-rifiuto in linea con la direttiva solo se è seguito da una giustificazione

Il Sole 24 Ore, Guida al Diritto, 18/05

24

Giuseppe

Caruso

Svolta per le regole sull’invalidità formale

Il Sole 24 Ore, Guida al Diritto, 10/05

25

Giuseppe

Caruso

L’intervento sostitutivo del magistrato ripara a un’inerzia contraria alle regole

Il Sole 24 Ore, Guida al Diritto, 03/06

26

Franco Elio

Castelluccio

Osservazioni sulle modifiche introdotte alla legge 7/8/1990 n. 241

www.giustamm.it

27

Alfonso

Celotto

Il nuovo art. 29 della l. n. 241 del 1990: norma utile, inutile o pericolosa?

www.giustamm.it

28

Alfonso

Celotto

Legge n. 241 del 1990 e competenze regionali: un “nodo di gordio”

www.giustamm.it

Maria Alessandra

Sandulli

29

Aldo

Ceniccola

Il diritto d’accesso dopo la legge n. 15/2005

www.diritto.it

30

Aniello

Cerreto

Prime osservazioni sulla L. n.15/2005 di modifica della legge 241/1990: “Il nuovo ruolo delle pubbliche amministrazioni

www.giustizia-amministrativa.it

31

Vincenzo

Cerulli Irelli

Osservazioni generali sulla legge di modifica della L. n. 241/90

Rassegna ASTRID n. 4/05

32

Domenico

Chinello

Portata e limiti della partecipazione al procedimento amministrativo dopo la legge n. 15/2005

www.lexitalia.it

33

Massimo

Ciammola

Il diritto di accesso ai documenti dopo la legge n. 15 del 2005: natura, soggetti legittimati e ambito applicativo

www.giustamm.it

34

Salvatore

Cimini

Diritto di accesso e riservatezza: il legislatore alla ricerca di nuovi equilibri

www.giustamm.it

35

Gianpiero Paolo

Cirillo

L’azione amministrativa sospesa tra regole di invalidità e regole di responsabilità: La riforma del procedimento e il risarcimento degli interessi legittimi

www.giustizia-amministrativa.it

36

Gianpiero Paolo

Cirillo

L’accesso ai documenti amministrativi. Prefazione

L’accesso ai documenti amministrativi; commissione per l’accesso, Tomo II, 2005

37

Marcello

Clarich

Con il restyling del rito sul silenzio tutela più estesa davanti al Tar

Il Sole 24 Ore, Guida al Diritto, 23/05

38

Angelo

Clarizia

La riforma della Legge 241 del 1990

www.giustamm.it

Giuseppe

Morbidelli

39

Antonello

Colosimo

Quando il silenzio produce risposte al cittadino

Rivista Quadrimestrale della Funzione Pubblica, I/05

40

Michele

Corradino

Termini, efficacia dei provvedimenti e silenzio dell’Amministrazione nelle “riforme” della legge n. 241/1990

www.giustamm.it

41

Dante

D’Alessio

Più spazio agli accordi sostitutivi e integrativi

Il Sole 24 Ore, Guida al Diritto, 10/05

42

Luigi

D'Angelo

La nullità del provvedimento amministrativo ex L. n. 15/2005: le esequie del funzionario di fatto

www.giustamm.it

43

Luigi

D'Angelo

L’improduttività di effetti del provvedimento amministrativo nullo

www.lexitalia.it

44

Luigi

D'Angelo

L’art. 21 octies, comma 2, l. n. 241/1990: onere probatorio della p.a. ed eccesso di potere controfattuale

www.giustamm.it

45

Luigi

D’Angelo

Nullità provvedimentale e giurisdizione del

www.lexitalia.it

giudice amministrativo: una problematica convivenza

46

Cristina

De Benetti

La nuova disciplina dell’accesso

L’accesso ai documenti amministrativi; commissione per l’accesso, Tomo II, 2005

47

Sergio

De Felice

Della nullità del provvedimento amministrativo

www.giustizia-amministrativa.it

48

Roberto

De Roberto

Riflessioni sulle nuove norme in materia di azione amministrativa

Atti del Convegno: La riforma della L. 241/1990 a seguito della L. 15/2005, SSPA, Bologna, marzo 2006.

49

Daniela

Dell’Oro

Brevi note in tema di nullità-inesistenza del provvedimento amministrativo

www.lexitalia.it

50

Filippo

Di Camillo

Legge n. 15/2005: l’amministrazione “partecipata” tra conferme e nuove prospettive

www.diritto.it

51

Valentina

Di Lello

Nullità del provvedimento e giudizio sul rapporto

www.lexitalia.it

52

Michele

Didonna

I “nuovi” principi dell’attività amministrativa ed il “legittimo affidamento” nel D.D.L. di riforma della L. n. 241/1990

www.giustamm.it

53

Nicola

Durante

L’adozione degli atti di natura non autoritativa, con elettivo riferimento alla tematica del conferimento e della revoca dell’incarico di funzione dirigenziale nell’ambito del rapporto di lavoro con l’amministrazione dello Stato

www.giustizia-amministrativa.it

54

Giuseppe

Farina

L’art 21 octies della nuova legge 241/1990: la codificazione della mera irregolarità del provvedimento amministrativo.

www.diritto.it

55

Tullio

Fenucci

L’evoluzione del concetto di pubblica amministrazione: il caso dell’accesso agli atti degli enti privatizzati

www.giustamm.it

56

Vincenzo

Fera

Il principio del giusto procedimento alla luce della legge 15 del 2005

www.giustamm.it

57

Andrea

Ferrato

Il differimento dell’accesso ai documenti amministrativi dopo la legge 15/2005

www.lexitalia.it

58

Antonio

Ferrucci

Diritto di accesso e riservatezza: osservazioni sulle modifiche alla l. 241/90

www.giustamm.it

59

Andrea

Ferruti

Il differimento dell’accesso ai documenti amministrativi dopo la legge 15/2005

www.lexitalia.it

60

Paola

Ficco

L'atto amministrativo: evoluzione dei vizi di legittimità, nuove anomalie e nodi problematici nella gestione del territorio dopo la riforma della legge 7 agosto 1990, n. 241. La gestione dei rifiuti e i vizi di legittimità dell'atto autorizzatorio

www.diritto.it

61

Enrico

Follieri

La giurisdizione del giudice amministrativo a seguito della sentenza della Corte costituzionale 6.7.2004 n. 204 e dell’art. 21 octies della L. 7.8.1990 n. 241

www.giustamm.it

62

Oberdan

Forlenza

Un’enfatizzazione del principio di efficacia a scapito delle garanzie di tutela dei cittadini

Il Sole 24 Ore, Guida al Diritto, 10/05

63

Oberdan

Forlenza

Se c’è silenzio della Pa ricorso al Tar senza diffida

Il Sole 24 Ore, Guida al Diritto, 10/05

64

Oberdan

Forlenza

Difensore civico, tutela alternativa al giudice

Il Sole 24 Ore, Guida al Diritto, 10/05

65

Oberdan

Forlenza

Riscritta la semplificazione amministrativa

Il Sole 24 Ore, Guida al Diritto, 22/05

66

Oberdan

Forlenza

I nuovi confini dell’illegittimità al primo vaglio dei magistrati

Il Sole 24 Ore, Guida al Diritto, 27/05

67

Fabrizio

Fracchia

Teoria dell’invalidità dell’atto amministrativo e art. 21-octies, l. 241/1990: quando il legislatore non può e non deve

www.giustamm.it

Massimo

Occhiena

68

Fabio

Francario

Dalla legge sul procedimento amministrativo alla legge sul provvedimento amministrativo (sulle modifiche ed integrazioni recate dalla legge 15/2005 alla legge 241/1990)

www.giustamm.it

69

Raffaele

Franza

Relazione tematica su questioni di particolare importanza

Corte Suprema di Cassazione, 23.05.05

Stefano

Evangelista

70

Bruno E. G.

Fuoco

Riflessioni sugli atti recettizi dopo l’entrata in vigore della legge n. 15/2005

www.lexitalia.it

71

Bruno E. G.

Fuoco

L’art. 1, comma 1 bis, della legge n. 241/1990. Alla ricerca delle proprietà alchemiche del diritto privato

www.lexitalia.it

72

Diana Urania

Galetta

Notazioni critiche sul nuovo art. 21-octies della Legge n. 241/90

www.giustamm.it

73

Carlo Emanuele

Gallo

La riforma della legge sull’azione amministrativa ed il nuovo titolo v della nuova costituzione

www.giustamm.it

74

Silvio

Gambino

Il diritto di accesso. La nuova disciplina legislativa (legge n. 15/2005) alla luce della revisione costituzionale del Titolo V

www.federalismi.it

75

Salvatore

Giacchetti

Una nuova frontiera del diritto d’accesso: il riutilizzo dell’informazione del settore pubblico (direttiva 2003/98/CE)

L’accesso ai documenti amministrativi; commissione per l’accesso, Tomo II, 2005

76

Marco

Giardetti

Trasparenza : un nuovo parametro dell’agire della Pubblica Amministrazione.

www.diritto.it

77

Marco

Giardetti

Il silenzio della pa come novellato dal decreto Legge 35/05

www.filodiritto.it

78

Walter

Giulietti

La conclusione di accordi tra amministrazioni e privati dopo la legge n. 15 del 2005: ambito applicativo e profili sistematici

www.associazionedeicostituzionalisti.it

79

Giovanni

Grasso

Spunti di riflessione sull’art. 21 octies, 2° comma l. n. 241/90

www.lexitalia.it

80

Federico

Gualandi

Le innovazioni introdotte dalla l. n. 80/2005 alla legge 241/1990: appunti di prima lettura

www.lexitalia.it

81

Giuseppe

La Greca

I nuovi principi dell’attività amministrativa tra ordinamento statale e legislazione regionale siciliana alla luce della nuova legge 241/90

www.diritto.it

82

Aurelio

Laino

L’accesso ai documenti amministrativi tra aperture giurisprudenziali e novità legislative

www.lexitalia.it

83

Laura

Lamberti

Il diritto di accesso ai documenti amministrativi dopo la legge 15/2005

www.giustamm.it

84

Fiorenzo

Liguori

Note su diritto privato, atti non autoritativi e nuova denuncia di inizio dell’attività

www.giustamm.it

85

Marco

Lipari

Il processo in materia di accesso ai documenti (dopo la l. 11 febbraio 2005 n. 15)

www.giustamm.it

86

Nino

Longobardi

La legge n. 15/2005 di riforma della legge n. 241 del 1990. Una prima valutazione.

www.giustamm.it

87

Maurizio

Lucca

Il c.d. preavviso di rigetto tra buona fede e legittima aspettativa del privato

www.lexitalia.it

88

Salvatore

Magra

Considerazioni a margine della disciplina in materia d’invalidità dell’atto amministrativo, introdotta dalla riforma della legge 241

www.filodiritto.com

89

Patrizia

Marzaro Gamba

La nuova disciplina della dichiarazione di inizio di attività

www.giustamm.it

90

Alberto

Massera

La riforma della Legge 241/1990 sul procedimento amministrativo: una prima lettura (a cura di)

www.diritto.it

91

Giovanna

Mastrodonato

La motivazione del provvedimento nella riforma del 2005

www.lexitalia.it

92

Salvatore

Mezzacapo

Entrata in vigore solo dopo il regolamento

Il Sole 24 Ore, Guida al Diritto, 10/05

93

Salvatore

Mezzacapo

Il legislatore concede l’azione popolare negata dalla legge sulla trasparenza

Il Sole 24 Ore, Guida al Diritto, 46/05

94

Francesco

Minniti

Gli atti, i procedimenti, la trasparenza: ecco che cosa cambia con la riforma

Diritto e giustizia, 11/05

Massimo

Minniti

95

Giancarlo

Montedoro

Potere amministrativo, sindacato del giudice e difetto di motivazione

www.giustamm.it

96

Giancarlo

Montedoro

L’azione di annullamento

www.giustamm.it

Claudio

Gentili

97

Luca

Monteferrante

La nuova disciplina degli accordi procedimentali: profili di tutela giurisdizionale

www.giustamm.it

98

Gabriele

Nunziata

Colpo di acceleratore con la conferenza di servizi

Il Sole 24 Ore, Guida al Diritto, 10/05

99

Massimo

Occhiena

Riforma della l. 241/1990 e “nuovo” silenzio-rifiuto: del diritto v’è certezza

www.giustamm.it

100

Luigi

Olivieri

L’irregolarità del provvedimento amministrativo nell’articolo 21-octies, comma 2, della legge 241/1990, novellata

www.lexitalia.it

101

Giuseppe

Panassidi

La denuncia di inizio attività dopo il d.l. 35/05

www.lexitalia.it

102

Nino

Paolantonio

Considerazioni su esecutorietà ed esecutività del provvedimento amministrativo nella riforma della l. 241/90

www.giustamm.it

103

Laura

Paolucci

Il diritto di accesso ai documenti amministrativi tra Codice privacy e legge n. 15/2005

Atti del Convegno La riforma della L. 241/1990 a seguito della L. 15/2005, SSPA, Bologna, marzo 2006.

104

Alessandro

Quarta

L’art.1, comma 1 bis della nuova legge generale sul procedimento amministrativo (legge 11 febbraio 2005, n.15)

www.giustamm.it

105

Massimo

Ragazzo

La conferenza di servizi: esiti della riforma ex lege n. 15/2005 e novità giurisprudenziali

www.lexitalia.it

106

Stefano

Rodotà

Il principio del cd. pari rango

Relazione Garante Privacy 2004

107

Renato

Rolli

Brevi riflessioni sulla riforma della legge n. 241 del 1990

www.giustamm.it

108

Antonio

Romano Tassone

Prime osservazioni sulla legge di riforma della L. n. 241/1990

www.giustamm.it

109

Antonio

Romano Tassone

Legge n. 241 del 1990 e competenze regionali: osservazioni sulla posizione di A. Celotto – A. M. Sandulli

www.fedralismi.it

110

Fabio

Saitta

Un abbozzo di codificazione per l’esecuzione amministrativa (Note a margine dell’art. 21-ter della 'nuova' 241)

www.giustamm.it

111

Nazareno

Saitta

Ancora sul silenzio della p.a.: se ne sparla troppo (estemporaneità a caldo sulla legge “80”)

www.giustamm.it

112

Nazareno

Saitta

'005: licenza di sostituire' (a proposito del 'nuovo' art. 11 della legge n. 241)”

www.giustamm.it

113

Maria Alessandra

Sandulli

La riforma della legge sul procedimento amministrativo tra novità vere ed apparenti

www.federalismi.it

114

Maria Alessandra

Sandulli

Competizione, competitività, braccia legate e certezza del diritto (note a margine della legge di conversione del D.L. 35 del 2005)

www.giustamm.it

115

Guglielmo

Saporito

“Perimetro” allargato per il silenzio-assenso

Il Sole 24 Ore, 24.05.05

116

Filippo

Satta

La riforma della legge 241/90: dubbi e perplessità

www.giustamm.it

117

Stefano Salvatore

Scoca

Il termine come garanzia nel procedimento amministrativo

www.giustamm.it

118

Stefano Salvatore

Scoca

Il ritardo nell’adozione del provvedimento e il danno conseguente

www.giustamm.it

119

Mario R.

Spasiano

L’interesse pubblico e l’attività della p.a. nelle sue diverse forme alla luce della novella della l. 241 del 1990.

www.giustamm.it

120

Sara

Spuntarelli

Le nuove norme generali sull’azione amministrativa introdotte dalle legge 11 febbraio 2005, n. 15, di modifica e integrazione della l. n. 241/1990

www.diritto.it

121

Giuseppe

Stipo

Il regime d’invalidità degli atti amministrativi nel nuovo sistema delineato dalla legge n. 15/2005

Atti del Convegno La riforma della L. 241/1990 a seguito della L. 15/2005, SSPA, Bologna, marzo 2006.

122

Roberto

Tommasi

Provvedimenti amministrativi nulli – dopo la riforma della legge n. 15 del 2005 – e lesioni possessorie tutelate dal giudice amministrativo

www.filodiritto.it

123

Giovanni

Tarantini

L. 11 febbraio 2005, n. 15 “modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 241, concernenti norme generali sull’azione amministrativa

www.federalismi.it

124

Stefano

Tarullo

L’art. 10-bis della legge n. 241/90: il preavviso di rigetto tra garanzia partecipativa e collaborazione istruttoria

www.giustamm.it

125

Stefano

Tarullo

Il giudizio di ottemperanza: profili ricostruttivi alla luce della legge n. 15 del 2005

www.giustamm.it

126

Stefano

Toschei

Maggiori poteri al responsabile del procedimento

Il Sole 24 Ore, Guida al Diritto, 10/05

127

Giuseppe

Totaro

Ostacoli operativi alla protezione del cittadino avverso il silenzio della P.A.

www.giustamm.it

128

Giovanni

Tulumello

Il nuovo regime di atipicità degli accordi sostitutivi: forma di Stato e limiti all’amministrazione per accordi

www.giustamm.it

129

Antonio

Vacca

Il dissenso in seno alla conferenza di servizi ed il ruolo attribuito alle conferenze intergovernative dalla L. 15/05. (Commento dell’art. 14 quater L. n. 241/90)

www.lexitalia.it

130

Matteo

Vagli

La comunicazione di avvio del procedimento negli atti vincolati tra evoluzione giurisprudenziale e novità legislative

www.lexitalia.it

131

Francesco

Vetrò

La nuova disciplina dei ricorsi amministrativi e giurisdizionali per la tutela del diritto di accesso

www.giustamm.it

132

Giovanni

Virga

Le modifiche ed integrazioni alla legge n. 241 del 1990 recentemente approvate. Osservazioni derivanti da una prima lettura

www.lexitalia.it

133

Laura

Zanettini

Resoconto sul convegno Riforma della l. 241/1990 e processo amministrativo: una riflessione a più voci

www.giustamm.it

 

SENTENZE

 

ID

ORGANO

SEZIONE

GIORNO

MESE

ANNO

NUMERO

1

CONSIGLIO DI STATO

V

1

12

1939

-

2

CONSIGLIO DI STATO

ADUNANZA PLENARIA

16

06

1954

20

3

CORTE CASSAZIONE

CIVILE

20

10

1959

2987

4

CORTE CASSAZIONE

SEZIONI UNITE

2

2

1963

179

5

CORTE CASSAZIONE

CIVILE

10

4

1973

1016

6

CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA

-

26

9

1986

161

7

CONSIGLIO DI STATO

ADUNANZA GENERALE

19

2

1987

7

8

CORTE CASSAZIONE

SEZIONI UNITE

17

6

1988

4116

9

TAR SICILIA, CATANIA

I

11

9

1992

631

10

CONSIGLIO DI STATO

IV

30

11

1992

990

11

CONSIGLIO DI STATO

IV

26

11

1993

1036

12

TAR ABRUZZO, PESCARA

-

30

4

1994

257

13

CONSIGLIO DI STATO

VI

19

7

1994

1243

14

CONSIGLIO DI STATO

IV

28

11

1994

950

15

CONSIGLIO DI STATO

IV

29

7

1995

579

16

CONSIGLIO DI STATO

ADUNANZA PLENARIA

25

1

1996

5

17

CONSIGLIO DI STATO

VI

15

4

1996

563

18

CONSIGLIO DI STATO

VI

7

5

1996

649

19

CORTE COSTITUZIONALE

-

17

10

1996

369

20

CONSIGLIO DI STATO

V

28

1

1997

99

21

CONSIGLIO DI STATO

VI

3

6

1997

843

22

CORTE COSTITUZIONALE

-

23

7

1997

262

23

TAR ABRUZZO, PESCARA

-

5

12

1997

681

24

CONSIGLIO DI STATO

IV

26

6

1998

992

25

CONSIGLIO DI STATO

ADUNANZA PLENARIA

24

6

1999

16

26

CONSIGLIO DI STATO

V

27

3

2000

1765

27

TAR SICILIA, PALERMO

II

16

11

2001

-

28

CONSIGLIO DI STATO

ADUNANZA PLENARIA

9

1

2002

1

29

CONSIGLIO DI STATO

VI

15

5

2002

2636

30

CORTE COSTITUZIONALE

-

26

2

2002

282

31

CONSIGLIO DI STATO

VI

19

2

2003

7

32

CONSIGLIO DI STATO

VI

30

5

2003

2992

33

CORTE COSTITUZIONALE

-

1

10

2003

303

34

CORTE COSTITUZIONALE

-

13

1

2004

14

35

CORTE COSTITUZIONALE

-

21

1

2004

6

36

CORTE GIUSTIZIA EUROPEA

-

21

4

2004

C/186

37

CORTE COSTITUZIONALE

-

6

7

2004

204

38

CORTE COSTITUZIONALE

-

22

7

2004

259

39

CORTE COSTITUZIONALE

-

27

7

2004

272

40

CORTE COSTITUZIONALE

-

15

11

2004

245

41

CORTE COSTITUZIONALE

-

2

12

2004

372

42

CORTE DEI CONTI, ABRUZZO

-

14

1

2005

67

43

TAR CAMPANIA, SALERNO

I

27

1

2005

671

44

TAR PUGLIA, BARI

III

26

2

2005

 

45

TAR VENETO

II

9

3

2005

935

46

TAR ABRUZZO, PESCARA

-

7

4

2005

186

47

TAR CAMPANIA, NAPOLI

IV

12

4

2005

3780

48

TAR ABRUZZO, PESCARA

-

14

4

2005

174

49

TAR PIEMONTE, TORINO

I

20

4

2005

1367

50

TAR LOMBARDIA, MILANO

II

22

4

2005

85

51

CONSIGLIO DI STATO

VI

29

4

2005

2954

52

TAR SICILIA, PALERMO

II

17

5

2005

941

53

TAR SARDEGNA, CAGLIARI

I

25

5

2005

1170

54

TAR PUGLIA, LECCE

II

24

5

2005

2913

55

TAR PUGLIA, LECCE

II

26

5

2005

4184

56

TAR VENETO

II

31

5

2005

2358

57

TAR SICILIA, PALERMO

II

3

6

2005

941

58

TAR LAZIO, LATINA

-

10

6

2005

534

59

CONSIGLIO DI STATO

IV

14

6

2005

3124

60

TAR CALABRIA

I

23

6

2005

1356

61

CONSIGLIO DI STATO

VI

5

7

2005

4686

62

TAR SICILIA, PALERMO

I

20

7

2005

1721

63

TAR CALABRIA

-

16

8

2005

1319

64

CONSIGLIO DI STATO

IV

22

7

2005

3916

65

CONSIGLIO DI STATO

ADUNANZA PLENARIA

15

9

2005

7

66

TAR SICILIA, CATANIA

-

17

10

2005

1725

67

CONSIGLIO DI STATO

IV

27

10

2005

6023

68

CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA

-

4

11

2005

726

69

CONSIGLIO DI STATO

Consultiva

13

02

2006

3586


 

(*) Alma Mater Studiorum - Università di Bologna - Facoltà di Medicina e Chirurgia - Coordinatore dei Servizi di Facoltà.

[1]  Legislatura 14° - Disegno di Legge N. 1281 - Relazione Preliminare, in www.senato.it .

[2] Per un attento esame dell’iter della legge 15/05 si rinvia a E. BATTISTI, L’iter del disegno di legge di modifica della legge 241/1990, in www.giustamm.it .

[3]  Mi riferisco in particolare a O. FORLENZA, Un’enfatizzazione del principio di efficacia a scapito delle garanzie di tutela dei cittadini, in Guida al Diritto, 3/05, pag. 42.

[4]  D’altronde, già l’importanza della “originaria” Legge 241/90 era stata rinvenuta proprio nel fatto che essa operava “…contemporaneamente su due versanti: quello garantista nei riguardi del cittadino e quello della efficienza e della trasparenza del potere amministrativo…”: E. CASETTA, Profili della evoluzione dei rapporti tra cittadini e pubblica amministrazione, in Diritto Amministrativo, 1993, 6, pag. 5.

[5] Consultabile in: www.governo.it/costituzione_europea/doc_costituzione/cost_87_04.pdf e che nella parte specifica prevede che:

ARTICOLO II-101 Diritto ad una buona amministrazione: 1. Ogni persona ha diritto a che le questioni che la riguardano siano trattate in modo imparziale, ed equo ed entro un termine ragionevole dalle istituzioni, organi e organismi dell'Unione. 2. Tale diritto comprende in particolare: a) il diritto di ogni persona di essere ascoltata prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che le rechi pregiudizio; b) il diritto di ogni persona di accedere al fascicolo che la riguarda, nel rispetto dei legittimi interessi della riservatezza e del segreto professionale; c) l'obbligo per l'amministrazione di motivare le proprie decisioni. 3. Ogni persona ha diritto al risarcimento da parte dell’Unione dei danni cagionati dalle sue istituzioni o dai suoi agenti nell'esercizio delle loro funzioni conformemente ai principi generali comuni agli ordinamenti degli Stati membri. 4. Ogni persona può rivolgersi alle istituzioni dell'Unione in una delle lingue della Costituzione e deve ricevere una risposta nella stessa lingua.

ARTICOLO II-102 Diritto d'accesso ai documenti: Ogni cittadino dell'Unione nonché ogni persona fisica o giuridica che risieda o abbia la sede sociale in uno Stato membro ha il diritto di accedere ai documenti delle istituzioni, organi e organismi dell’Unione, a prescindere dal loro supporto.

[6] Taluni autori, in realtà, hanno acutamente individuato che un ulteriore principio di particolare interesse in quanto apportatore di innovativi spunti potrebbe anche essere il principio di proporzionalità. Infatti, mentre il principio di proporzionalità conosciuto nel nostro Ordinamento si estrinseca nella ragionevolezza degli atti che vanno ad incidere sui privati, “…in diritto comunitario il principio acquista una forte accentuazione circa il rispetto delle posizioni dei soggetti privati a fronte di esigenze di intervento pubblico. Esso guarda più all’esigenza di non limitazione, se non nei casi di stretta necessità, della libertà dei privati, piuttosto che all’esigenza di migliore soddisfazione dell’interesse pubblico…”: V. CERULLI IRELLI, Osservazioni generali sulla legge di modifica della l. n. 241/90, in ASTRID Rassegna, 2005.

[7] Si intende fare riferimento al quesito circa la sorte che subisce il contratto posto a valle della fase procedimentale nel momento in cui un atto di questa venga ritenuto illegittimo mediante una pronuncia del giudice amministrativo. Sinteticamente può dirsi che al riguardo sussistono diverse teorie: 1. la tesi della Cassazione, preordinata alla tutela della pubblica amministrazione, secondo cui i vizi della fase provvedimentale comportano sulla successiva fase negoziale solo una mera annullabilità da farsi valere da parte della pubblica amministrazione contraente; questo perché la disciplina dell’evidenza pubblica non dà luogo a norme imperative la cui violazione possa provocare nullità (C. Cass., 14.02.64 n. 337 e, più recentemente, C. Cass., 08.05.96 n. 4269); 2. la tesi del Consiglio di Stato secondo cui attribuire alla pubblica amministrazione il potere di mantenere o meno in vita il contratto è contrario ai principi del diritto comunitario e che, pertanto, debbano trovarsi soluzioni di maggiore tutela per il contraente privato. Al riguardo possono riconoscersi: 2.a. La tesi della nullità relativa (propugnata da molti TAR ma riconducibile appieno a TAR Campania, I, 29.05.02 n. 3177), che trova il proprio fondamento nella inappagatezza in concreto delle ragioni del ricorrente vittorioso, implica che l’invalidità possa essere fatta valere non solo dalla pubblica amministrazione ma anche dal soggetto legittimato all’impugnativa giurisdizionale dell’aggiudicazione in quanto la dichiarata illegittimità di questa travolgerebbe con sé anche il successivo contratto; l’accertamento della nullità rientrerebbe nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ed alla sentenza di accertamento conseguirebbe un effetto ripristinatorio ed un connesso obbligo conformativo per la pubblica amministrazione. 2.b. La tesi della caducazione automatica (sostenuta dalle sezioni semplici del Consiglio di Stato - ex multis, Cons. St., VI, 30.05.2003, n. 2992), che si basa sull’ipotizzata inefficacia del contratto a seguito del venire meno della legittimità della procedura di aggiudicazione che del contratto costituisce prius logico e temporale (e, pertanto, si configura anche quale condizione di efficacia dello stesso), comporta che il contratto sia travolto dal venire meno della regolarità della procedura. Trattandosi di inefficacia e non di nullità, conseguenza di questa tesi è anche quella di fare salvi eventuali interessi dei terzi di buona fede (che non possono però essere i resistenti nel giudizio amministrativo qualora il contratto sia stipulato dopo che il giudizio stesso sia stato notificato). Alla luce dell’influsso crescente del diritto comunitario secondo il quale anche le regole dell’evidenza pubblica devono esprimere esigenze di tutela della concorrenza e del mercato, rappresentato proprio dal principio del legittimo affidamento ora analizzato, deve ritenersi che questa soluzione sia preferibile in quanto consente di tutelare l’affidamento legittimo del privato nei confronti dell’operato della pubblica amministrazione.

[8] Fu utilizzata per la prima volta quando l’istituzione della IV Sezione del Consiglio di Stato impose la necessità di trovare criteri esaustivi per ripartire in modo univoco la competenza tra giudice ordinario e giudice amministrativo. Al riguardo, una delle prime teorie fu proprio quella secondo la quale dovesse parlarsi di diritti soggettivi, e che, dunque, la competenza dovesse incardinarsi presso il giudice ordinario, quando il privato risultava leso da atti posti in essere dalla pubblica amministrazione nell’esercizio di poteri privatistici (cd. atti paritetici); viceversa, ove la pubblica amministrazione esercitasse poteri pubblicistici (cd. atti autoritativi) essendo lesi interessi legittimi la competenza doveva essere attribuita al giudice amministrativo (Cons. St., V, 01.12.39 in Foro It., 1940, III, 9).

[9] A. QUARTA, L’art. 1, comma 1 bis della nuova legge generale sul procedimento amministrativo (legge 11 febbraio 2005, n. 15), in www.giustamm.it , pag. 7.

[10]  In questo senso, Corte dei Conti, Abruzzo, 14.01.05 n. 67, in www.corteconti.it .

[11] Quanto alla possibilità che il giudice amministrativo potesse accertare - sia pure nel solo caso dell’emanazione di atti vincolati - la fondatezza di quanto preteso l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, argomentando dalla ratio acceleratoria del rito speciale di cui all’articolo 21 bis della legge 1034/71 e dal principio generale che assegna la cura dell’interesse pubblico all’Amministrazione ed al giudice amministrativo il solo controllo sulla legittimità della cura di questo interesse, ha affermato che il giudice non può sostituirsi all’Amministrazione ma è chiamato ad accertare “…se il silenzio sia o non sia illegittimo e, nel caso di accoglimento del ricorso, impone all’Amministrazione di provvedere sull’istanza entro il termine assegnato…[in caso di ulteriore inadempimento]…il commissario ad acta esercita, in via sostitutiva, la potestà amministrativa appartenente all’organo rimasto inadempiente”: Cons. St., Ad. Plen., 09.01.02 n. 1 (si noti che, nella specie, il giudizio aveva ad oggetto un provvedimento di natura strettamente vincolata quale la fissazione di una data per lo svolgimento di una prova attitudinale e che l’Adunanza Plenaria ha accolto l’appello avverso la sentenza TAR che imponeva la fissazione della data anziché pronunciarsi solo sull’illegittimità del silenzio).

[12] Circolare dell’ 08.01.91 n. 60397-7/463.

[13] Da taluni ritenuto una vera e propria “interpretazione autentica”: M. OCCHIENA, Riforma della l. 241/90 e “nuovo” silenzio-rifiuto: del diritto v’è certezza, in www.giustamm.it , pag. 2, al quale si rinvia anche per l’ulteriore analisi in merito al rapporto tra la norma qui commentata e quella in tema processuale di cui all’art 21 bis della legge 1034/71.

[14]  Per i casi sottoelencati vedi, rispettivamente, Cons. St., V, 27.03.00, n. 1765; Cons. St., IV, 28.11.94, n. 950, Cons. St., VI, 23.10.01, n. 5573, TAR Sicilia, Palermo, II, 16.11.01.

[15]  “…l’attuale previsione del termine finale di novanta giorni ha una valenza sicuramente meno sanzionatoria, per quanto tale aspetto rimane in parte, e più valida dal punto di vista dell’impegno che l’amministrazione è tenuta ad adempiere. Infatti, mentre il termine di trenta giorni era quantomeno difficile da osservare, e dunque prevaleva la valenza sanzionatoria, seppure non accompagnata da sanzione, il termine di novanta giorni risulta più congruo da rispettare, e dunque prevale per tale termine residuale il valore di imposizione dell’adempimento”: S. S. SCOCA, Il termine come garanzia nel procedimento amministrativo, in www.giustamm.it , pag. 26, nota 60.

[16] Cons. Giust. Amm., 26.09.86, n. 161.

[17]  Cons. St., VI, 19.02.03, n. 939.

[18] Cons. St., Ad. Plen., 15.09.05, n. 7.

[19]  Corte Cost., 23.07.97, n. 262.

[20] Argomentazioni critiche rispetto a questa consolidata interpretazione si possono leggere in S. S. SCOCA, Il ritardo nell’adozione del provvedimento e il danno conseguente, in www.giustamm.it .

[21] Cons. St., Ad. Plen., 09.01.02, n. 1, della quale si riporta la massima ufficiale: “Il giudizio disciplinato dall’art. 2 bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, introdotto dall’art. 2 della legge 21 luglio 2000, n. 205, è diretto ad accertare se il silenzio serbato da una pubblica amministrazione sull’istanza del privato violi l’obbligo di adottare il provvedimento esplicito richiesto con l’istanza stessa; pertanto, il giudice, pur se il provvedimento de quo abbia natura vincolata, non può sostituirsi all’amministrazione in alcuna fase del giudizio, ma può (e deve) accertare esclusivamente se il silenzio sia illegittimo o no, imponendo all’amministrazione, nel caso di accoglimento del ricorso, di provvedere sull’istanza entro il termine assegnato”.

[23] In questo senso, TAR Calabria, 23.06.05, n. 1356 e Consiglio di Giustizia Amministrativa, 04.11.05, n. 726; contra, ossia nel senso che il giudice possa conoscere della fondatezza dell’istanza solo nel caso di attività vincolata della pubblica amministrazione, vedi TAR Sicilia, Catania, 17.10.05, n. 1725.

[24] Molto scettico su una soluzione che violi l’articolo 112 c.p.c. appare N. SAITTA, Ancora sul silenzio della p.a.: se ne sparla troppo (estemporaneità a caldo sulla legge “80”), in www.giustamm.it , pag. 2.

[25] Il termine responsabilità deriva dalle parole latine respondeo (rispondere) e habilitas (attitudine) identificando, pertanto, una capacità di fornire risposte.

[26] P. TABARRO, Profili penalistici della responsabilità del pubblico funzionario: il nuovo delitto di abuso di ufficio, in Rivista Trimestrale di Scienza dell’Amministrazione, 1999, 2.

[27] In questo senso, S. TARULLO, L’art. 10 bis della legge n. 241/90: il preavviso di rigetto tra garanzia partecipativa e collaborazione istruttoria, in www.giustamm.it , pag. 7. Nello stesso senso, anche S. S. SCOCA, Il termine come garanzia nel procedimento amministrativo, in www.giustamm.it , pag. 35, secondo il quale “…nonostante [la ricostruzione in termini di interruzione] sembri la più in linea con il dato letterale, sembra doversi preferire in via sistematica quella della semplice sospensione del rapporto procedimentale…”. Al contrario, altri ritengono che il termine “interruzione” sia usato in senso proprio; decorsi i dieci giorni, cioè, i termini del procedimento inizierebbero nuovamente a decorrere: “…tale conclusione…sembra possa trarsi anche dal confronto con altre normative di carattere procedurale…”: D. CHINELLO, Portata e limiti della partecipazione al procedimento amministrativo dopo la legge n. 15/2005, in www.lexitalia.it , pag. 18. Propende per l’interruzione anche chi ritiene che l’interruzione costituisca un elemento maggiormente garantista in quanto consente alla pubblica amministrazione di avere a disposizione un tempo più ampio per la disamina delle nuove argomentazioni: in questo senso, G. MASTRODONATO, La motivazione del provvedimento nella riforma del 2005, in www.lexitalia.it , pag. 11.

[28] L’esplicita esclusione solo della tipologia di procedimenti ora considerata, porta a ritenere che la comunicazione di cui al presente articolo debba ritenersi obbligatoria non solo in caso di procedimenti discrezionali ma anche in ipotesi di procedimenti vincolati.

[29] In questo senso il parere reso dal Consiglio di Stato sulla legge 241/90, laddove si legge che l’ancorare l’applicabilità dell’istituto degli accordi sostitutivi all’esistenza di normative di settore fosse maggiormente rispondente ai criteri di opportunità: Cons. St., Ad. Gen., 19.02.87, n. 7 in Foro It., 1988, III, 22 ss.

[30] Proprio a questo proposito, taluni hanno parlato di esplicitazione “…del principio dell’evidenza pubblica con riguardo agli accordi sia integrativi che sostitutivi di provvedimenti…”: N. LONGOBARDI, La legge n. 15/2005 di riforma della legge n. 241 del 1990. Una prima valutazione, in www.giustamm.it , pag. 20.

[31] Si veda, in particolare, G. TULUMELLO, Il nuovo regime di aticipità degli accordi sostitutivi: forma di Stato e limiti all’amministrazione per accordi, in www.giustamm.it , pag. 7, ad avviso del quale la necessaria trilateralità del rapporto giuridico amministrativo fa sì che lo strumento dell’accordo negoziale non possa essere ritenuto una strumento paragonabile al provvedimento autoritativo.

[32] La questione non è priva di risvolti pratici; infatti, se gli accordi hanno natura pubblicistica può dirsi che la pubblica amministrazione mantiene il potere di esercitare la propria volontà anche nelle forme dell’autotutela, la delibera preliminare deve considerarsi atto presupposto.

[33] M. BALLORIANI, Appunti su rapporto giuridico di diritto pubblico e tutela dell’interesse legittimo, in www.lexitalia.it , pag. 12.

[34] L. MONFERRANTE, La nuova disciplina degli accordi procedimentali: profili di tutela giurisdizionale, www.giustizia-amministrativa.it , pag. 4.

[35] Cons. St., VI, 15.05.02, n. 2636.

[36] G. NUNZIATA, Colpo di acceleratore con la conferenza dei servizi, in Guida al Diritto, 03.05.05, pag. 72.

[37] Per un’attenta analisi critica del sistema attuato dalla normativa in commento e per un suo vaglio anche alla luce delle disposizioni costituzionali, vedi A. VACCA, Il dissenso in seno alla conferenza di servizi ed il ruolo attribuito alle conferenze intergovernative dalla L. 15/05. (Commento dell’art. 14 quater L. n. 241/90), in www.lexitalia.it .

[38] D.P.R. 09.05.94 n. 407 (modifica alla tabella C. Per le tabelle A e C ancora non si sa nulla), e D.P.R. 09.05.94 n. 411 [attività escluse dal regime dell’art. 19 (cioè che necessitano di prove che “...comportano valutazioni tecniche discrezionali...”)]. Il quadro normativo non consente di individuare i casi regolati dall’art. 19: spetterà al cittadino, al funzionario ed all’interprete cercare di comprendere se una determinata fattispecie sia riconducibile all’art. 19.

[39] Direttiva Funzione Pubblica, 17.10.05, pag. 2.

[40] “…in assenza…dei due elementi essenziali per poter riconoscere la natura autoritativa degli atti (esclusività del potere amministrativo, assenza del consenso da parte dei destinatari della decisione) risulta evidente che la d.i.a. non presenta i caratteri propri delle manifestazioni autoritative…”: F. LIGUORI, Note su diritto privato, atti non autoritativi e nuova denuncia di inizio dell’attività, in www.giustamm.it , pag. 2.

[41] “…se la DIA fosse un titolo abilitativo tacito non ci sarebbe stato bisogno di attribuire il relativo contenzioso alla giurisdizione esclusiva, non essendoci dubbio alcuno che in caso di attribuzione al silenzio dell’amministrazione di effetti equivalenti a quelli del provvedimento favorevole il terzo leso dispone degli ordinari mezzi impugnatori…”: P. MARZARO GAMBA, La nuova disciplina della dichiarazione di inizio attività, in www.giustamm.it, pag. 5.

[42] In questo senso, A. CALZOLAIO, Prime riflessioni sulla dichiarazione di inizio attività e sul silenzio assenso a pochi giorni dalla entrata in vigore della legge 14 maggio 2005 n. 80 di conversione del D.L.14 marzo 2005 n. 35, in www.lexitalia.it, pag. 8; F. GUALANDI, Le innovazioni introdotte dalla l. n. 80 alle legge 241/1990: appunti di prima lettura, in www.lexitalia.it, pag. 5; G. PANASSIDI, La nuova dichiarazione di inizio attività (DIA), in www.lexitalia.it, pag. 6.

[43] Si tenga presente, peraltro, quanto affermato dal Consiglio di Stato secondo cui, anche nella vigenza delle precedente normativa, i rapporti cui dà luogo l’istituto di cui all’art. 19 vanno distinti in due gruppi: quello tra denunciane e amministrazione e quello che riguarda I controinteressati all’intervento. “Nei rapporti tra denunciante e amministrazione, la denuncia di inizio attività si pone come atto di parte, che…consente al privato di intraprendere una attività in correlazione all’inutile decorso di un termine…L’interessato potrà contestare l’esercizio del potere inibitorio…A tale potere resta estraneo, sul piano normativo della qualificazione degli interessi, colui che si oppone all’intervento…Una volta decorso il termine senza l’esercizio del potere inibitorio…colui che si oppone all’intervento…sarà legittimato a chiedere al Comune di porre in essere i provvedimenti sanzionatori previsti, facendo ricorso in caso di inerzia, alla procedura del silenzio, che pertanto non avrà, nè potrebbe avere, come riferimento il potere inibitorio dell’amministrazione…bensì il generale potere sanzionatorio…”: Cons. St., IV, 22.07.05, n. 3916.

[44]  G. PANASSIDI, La nuova dichiarazione di inizio attività (DIA), in www.lexitalia.it, pag. 4.

[45] Vedi per tutti, Corte Suprema di Cassazione, Ufficio del Massimario e del ruolo, R. FRASCA – S. EVANGELISTA, Relazione tematica su questioni di particolare importanza, § 10, Roma, 23.05.05: “…che la controversia sulla d.i.a…debba comunque essere di pertinenza del giudice amministrativo in via esclusiva potrebbe indurre qualche dubbio di costituzionalità al lume della sentenza n. 204 [n.d.a., Corte Cost., 06.07.04, n. 204] . A tacer d’altro la dichiarazione del privato non è ceto un atto o provvedimento dell’Amministrazione…”. Per un tentativo di ricostruzione vedi P. MARZARO GAMBA, La nuova disciplina della dichiarazione di inizio attività, in www.giustamm.it, pag. 7.

[46]  M. A. SANDULLI, Competizione, competitività, braccia legate e certezza del diritto (note a margine della legge di conversione del D.L. 35 del 2005), in www.giustamm.it, pag. 2.

[47]  In questo senso, O. FORLENZA, Un’enfatizzazione del principio di efficacia a scapito delle garanzie di tutela del cittadino, in Guida al Diritto, Il Sole 24 Ore, 03.05.05, pag 42 e A. ROMANO TASSONE, Prime osservazioni sulla legge di riforma della L. n. 241/90,  in www.giustamm.it , pag. 4.

[48] Così, V. CERULLI IRELLI, Verso un più compiuto assetto della disciplina generale dell’azione amministrativa, in Astrid Rassegna, 4/05.

[49] G. BACOSI - F. LEMETRE, La legge n. 15 del 2005: ecco il nuovo volto della “241”, in www.giustizia-amministrativa.it .

[50]  Un approfondimento circa questo aspetto è stato compiuto da B. E. G. FUOCO, Riflessioni sugli atti recettivi dopo l’entrata in vigore della legge n. 15/2005, in www.lexitalia.it .

[51] Mi riferisco, in particolare, a G. TARANTINI, L. 11 febbraio 2005, n. 15 “modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 241, concernenti norme generali sull’azione amministrativa”, in www.federalismi.it , pag. 13.

[52] Ad esempio, G. CARUSO, Svolta per le regole sull’invalidità formale, in Guida al Diritto, Il Sole 24 Ore, 03.05.05, pag. 76.

[53] N. PAOLANTONIO, Considerazioni su esecutorietà ed esecutività del provvedimento amministrativo nella riforma della l. 241/90, in www.giustamm.it, passim. In particolare, si evidenzia quanto contenuto a pagina 4, laddove ci si chiede se sia ancora valida la nota distinzione Sandulliana tra obblighi di dare, sopportare, fare.

[54] Mi riferisco in particolare a V. CERULLI IRELLI, Osservazioni generali sulla legge di modifica della L. n. 241/90, in Rassegna Astrid, 4/05, pag. 25; a questo proposito, però, vedi anche G. TARANTINI, L. 11 febbraio 2005, n. 15 “modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 241, concernenti norme generali sull’azione amministrativa”, in www.federalismi.it , pag. 15.

[55] Così, ad esempio, F. e M. MINNITI, Gli atti, i procedimenti, la trasparenza: ecco che cosa cambia con la riforma, in Diritto e Giustizia, 11/05, pag. VII.

[56] G. CARUSO, Svolta per le regole sull’invalidità formale, in Guida al Diritto, Il Sole 24 Ore, 03.05.05, pag. 78.

[57] A puro titolo esemplificativo si può citare: la situazione delle assunzioni senza concorso (art.. 3, c. 6, D.Lgs. 3/57); l’assegnazione di mansioni superiori (art. 52, c. 2, D.Lgs. 165/01); l’accertamento tributario difforme dalla risposta d’interpello (art. 11 L. 212/02); gli accordi procedimentali privi del requisito di forma (art. 11 L. 241/90); gli atti emessi dopo il regime di prorogatio (L. 444/94).

[58] Mi riferisco in particolare a V. CERULLI IRELLI, Osservazioni generali sulla legge di modifica della L. n. 241/90, in Rassegna Astrid, 4/05, pag. 30. Contra, Cons. St., 27.10.05, n. 6023 che più volte, anche disquisendo della materia dopo le modifiche della L. 15 parla indifferentemente di inesistenza o nullità assoluta come se le due dizioni concernessero la stessa situazione giuridica.

[59] In campo amministrativo si è iniziato a parlare di nullità dopo l’emanazione del codice civile del 1942 configurando l’istituto nei casi in cui una legge prevedesse espressamente la nullità dell’atto adottato in violazione di determinate norme. Successivamente, si è tentato di fare chiarezza in merito alla differenza esistente tra nullità e inesistenza. Si riportano, in quanto ancora significativa, due massime della Corte di Cassazione: “deve…rispettarsi la distinzione secondo cui la nullità è grave imperfezione dell’atto che non permette allo stesso di produrre alcuni degli effetti suoi propri…mentre l’inesistenza si verifica quando non è possibile identificare alcuna fattispecie negoziale, mancando addirittura gli elementi necessari perché si possa avere una figura esteriore di negozio giuridico…” (Cass. 20.10.59, n. 2987). “…Mentre la nullità e l’annullabilità…presuppongono una riconoscibilità giuridica della fattispecie concreta…l’inesistenza è praticata dalla non riconducibilità dell’atto alla fattispecie legale data…” (Cass. 10.04.73, n. 1016). Un approfondimento sulle differenze intercorrenti tra le figure dell’inesistenza e della nullità può essere letto in G. STIPO, Il regime d’invalidità degli atti amministrativi nel nuovo sistema delineato dalla legge n. 15/2005, pagg. 8-9, in Atti del Convegno La riforma della L. 241/1990 a seguito della L. 15/2005, SSPA, Bologna, marzo 2006.

[60] Vedi, ad esempio, Cass., SSUU, 02.02.63, n. 179 e Cons. St., Ad. Plen., 16.06.54, n. 20.

[61] L’estensione della competenza al giudice ordinario non solo nelle ipotesi di carenza di potere in astratto (esiste in capo alla pubblica amministrazione un potere del tipo di quello esercitato?) ma anche in quelle di carenza di potere in concreto (esiste un potere del tipo di quello esercitato? Sussistono, inoltre, i presupposti e le condizioni volute dalla legge?) si desume esplicitamente da quelle pronunce che ammettono la competenza del giudice ordinario in materia di accessione invertita (per tutte, Cass., SSUU, 17.06.1988, n. 4116). Di diverso avviso, invece, è sempre rimasto il Consiglio di Stato che ha più volte negato questa estensione della carenza di potere e ricondotto sui binari della illegittimità-annullabilità quelle espressioni di potere prive di legittimità solo “in concreto”: si veda, ad esempio, Cons. St., IV, 30.11.92, n. 990.

[62]  Secondo G. STIPO, Il regime d’invalidità degli atti amministrativi nel nuovo sistema delineato dalla legge n. 15/2005, pag. 19, in Atti del Convegno La riforma della L. 241/1990 a seguito della L. 15/2005, SSPA, Bologna, marzo 2006: “…intervenuto un giudicato, possono aversi le seguenti situazioni:

- inottemperanza, qualora l’Amministrazione resti inerte e non esplichi alcuna attività in esecuzione del giudicato;

- violazione del giudicato, qualora l’Amministrazione adotti provvedimenti in contrasto anche parzialmente al comando giudiziale, nel senso che, pur ponendo in essere atti esecutivi del giudicato, si sia conformata alla decisione in modo incompleto o inesatto;

- elusione del giudicato, qualora l’Amministrazione adotti provvedimenti apparentemente attuativi del giudicato, ma sostanzialmente diretti ad eluderne l’applicazione; cioè nel caso in cui l’Amministrazione, pur ponendo in essere atti esecutivi del giudicato, si sia conformata alla decisione in modo fittizio.”

[64] Cons. St., IV, 26.06.98, n. 992. Detto in altri termini: di fronte ad atti di natura vincolata, l’interessato potrà sempre promuovere il giudizio di ottemperanza; di fronte ad atti di natura discrezionale, l’interessato potrà promuovere il giudizio di ottemperanza se il contrasto rilevato sia tra atti dell’amministrazione successivi alla sentenza ed il contenuto di questa, potrà promuovere il normale giudizio di cognizione se il contrasto rilevato concerna profili di illegittimità contenuti negli atti dell’amministrazione successivi alla sentenza.

[65] “…il rapporto tra il secondo ed il primo comma dell’articolo 21-septies non è in termini di eccezione alla regola…: il primo si riferisce solo a posizioni di interesse legittimo…il secondo si riferisce solo a ipotesi che possono coinvolgere posizioni di diritto soggettivo, e pertanto il legislatore ha ritenuto opportuna una precisazione”: M. BALLORIANI, Appunti su rapporto giuridico di diritto pubblico e tutela dell’interesse legittimo, in www.lexitalia.it , pag. 26. Nello stesso senso di ritenere il giudizio di ottemperanza pacificamente mantenuto vedi, anche, R. DE ROBERTO, Riflessioni sulle nuove norme in materia di azione amministrativa, pag. 8, in Atti del Convegno La riforma della L. 241/1990 a seguito della L. 15/2005, SSPA, Bologna, marzo 2006; questo autore, contrariamente alle tesi sopra evidenziate, sostiene che la norma sia addirittura posta a difesa del giudizio di ottemperanza in quanto la previsione “…del regime di nullità anziché di quello tradizionale della annullabilità vale a consentire al giudice dell’ottemperanza…di proseguire nel giudizio considerando tamquam non esset un provvedimento che, per la nullità che lo colpisce, è privo di qualunque efficacia”.

[66] Da ultimo, TAR Lombardia, Milano, II, 22.04.05, n. 85 e TAR Sicilia, I, 20.07.05, n. 1271. In dottrina, vedi anche, G. STIPO, Il regime d’invalidità degli atti amministrativi nel nuovo sistema delineato dalla legge n. 15/2005, pag. 19, in Atti del Convegno La riforma della L. 241/1990 a seguito della L. 15/2005, SSPA, Bologna, marzo 2006; secondo questo autore, “…poiché l’ipotesi del provvedimento nullo…è diversa dalla ipotesi del provvedimento illegittimo…e la giurisdizione del giudice amministrativo è prevista solo nella seconda ipotesi…ne deriva un’ontologica incompatibilità tra atti nulli e giurisdizione amministrativa. Insomma se la legge attribuisce la giurisdizione generale di legittimità nei casi di violazione di legge, eccesso di potere e incompetenza, non esiste una disposizione che, tranne i casi di giurisdizione esclusiva, consente di adire il giudice amministrativo per vizi di vallidità diversi: il secondo comma dell’art. 21 septies ne dà un’implicita conferma, altrimenti detta norma sarebbe stata inutile”.

[67] Da ultimo, TAR Puglia, Lecce, 26.05.05, n. 4184 e TAR Puglia, Bari, III, 26.02.05, n. ___.

[68] E’ principio generale che i ricorsi giurisdizionali non hanno effetto sospensivo dell’esecuzione del provvedimento impugnato; però, onde evitare che nelle more del giudizio si verifichi una situazione tale da vanificare un eventuale successivo accoglimento delle doglianze del ricorrente (essendosi nel frattempo realizzato un pregiudizio irreversibile) è ammesso il ricorso ai cd. rimedi cautelari. Nel processo amministrativo, prima dell’emanazione della Legge 205/00, la tutela anticipatoria si realizzava mediante la cd. sospensiva, concedibile quando dall’esecuzione del provvedimento potessero derivare danni gravi ed irreparabili ai sensi degli articoli 21 L. 1034/71 e 39 TU 1054/24. A seguito delle modifiche introdotte dalla Legge 205/00, alla tutela cautelare propria del processo amministrativo sono stati aggiunti due ulteriori istituti sommari volti a tutela del privato ricorrente: i decreti ingiuntivi e le ingiunzioni in corso di causa. In pratica, attualmente la tutela sommaria:

è estesa all’emissione non solo di atti sospensivi dell’efficacia di precedenti provvedimenti ma anche ad altri atti, di qualunque natura, idonei ad evitare il pregiudizio invocato nell’istanza cautelare;

se concessa e tale da comportare effetti irreversibili, essa (se il bene tutelato non è di rilievo costituzionale) può essere subordinata al pagamento di una cauzione;

in casi di estrema gravità ed urgenza, può essere chiesto al Presidente un atto interinale monocratico (Decreto Presidenziale) che sarà discusso in modo collegiale nella prima udienza utile e che sarà efficace solo fino a quel momento;

accertata la completezza dell’istruttoria e previa integrazione del contraddittorio, può tramutarsi in un giudizio che può essere deciso nel merito;

può essere seguita, su istanza di parte, dal giudizio di ottemperanza che, ora, può essere esperito anche sulle misure cautelari;

nei soli casi di giurisdizione esclusiva aventi ad oggetto diritti soggettivi patrimoniali il TAR può anche disporre la condanna al pagamento di somme di denaro, ex articolo 186 del codice civile.

[69] Si segnala, peraltro, che secondo quanto già espressamente affermato anche dalla giurisprudenza, “…la norma può operare non soltanto nelle ipotesi in cui il provvedimento sia totalmente vincolato, ma, in particolari casi, anche in quelle in cui quest’ultimo presenti, congiuntamente ad ambiti vincolati, margini di discrezionalità. Più specificatamente deve ritenersi che la disposizione normative in questione possa trovare applicazione laddove la soddisfazione della pretesa del private dipenda dal possesso di requisiti di cui il giudice può ictu oculi verificare la presenza e l’amministrazione si sia espresso negativamente senza motivare o enunciando esclusivamente ragioni attinenti a profili diversi da quelli che avrebbero potuto giustificare il diniego…”: TAR Sardegna, 25.05.05, n. 1170.

[70] A questa conclusione giunge, in base all’esame testuale della norma, anche il TAR Campania, IV, 12.04.05, n. 3780; il Giudice campano, però, segnala anche che “la scelta legislativa di escludere l’applicazione dell’art. 21-octies, comma 2, prima parte, nel caso in cui il provvedimento vincolato sia stato emanato da un’autorità incompetente…può destare perplessità nei casi…in cui l’azione di annullamento è strumentale ad una domanda di risarcimento danni”. Di contrario avviso è F. CARINGELLA, Il nuovo ruolo del G.A.: articolo 21 OPTIES legge 241, in www.giustizia-amministrativa.it , pag. 5, secondo cui la ratio della norma volta a “…definire in modo compiuto la vicenda contenziosa…senza strascichi amministrativi inutili per tutti…” farebbe propendere per l’inclusione del vizio di incompetenza, al pari di quello di motivazione, tra i vizi formali.

[71] Solo per citare alcune sentenze: TAR Calabria 16.08.05, n. 1319; TAR Sicilia, Palermo, II, 03.06.05, n. 941; TAR Sardegna, I, 25.05.05, n. 1170; TAR Puglia, Lecce, II, 24.05.05, n. 2913; TAR Abruzzo, Pescara, 14.04.05, n. 174; TAR Veneto, II, 11.03.05, n. 935; in questo senso, anche, Consiglio di Stato, IV, 14.06.05, n. 3124.

[72] “La diversa regola processuale, in questo caso, non produce infatti delle conseguenze limitate al processo ed al suo svolgimento, ma tocca lo stesso diritto di difesa e la stessa tutela giuridica delle situazioni giuridiche soggettive di cui le parti del giudizio sono titolari…”: A. CALEGARI, Sulla natura sostanziale o processuale e sull’immediata applicabilità ai giudizi pendenti delle disposizioni concernenti l’annullabilità dei provvedimenti amministrativi contenute nell’art. 21 octies della L. n. 241 del 1990, in www.giustamm.it , pag. 7.

[73]  Non è semplice concettualizzare differenze anche minime nella spiegazione del fenomeno in oggetto. Con il timore di poter non avere centrato appieno tutte le posizioni espresse, può però dirsi a fini riepilogativi che sostengono:

- la prima delle tesi sotto riportate: G. FARINA, L’art 21 octies della nuova legge 241/1990: la codificazione della mera irregolarità del provvedimento amministrativo, in www.diritto.it , pag. 2; S. MAGRA, Considerazioni a margine della disciplina in materia d’invalidità dell’atto amministrativo, introdotta dalla riforma della legge 241, in www.filodiritto.com , pag. 3; L. OLIVIERI, L’irregolarità del provvedimento amministrativo nell’articolo 21-octies, comma 2, della legge 241/1990, novellata, in www.lexitalia.it , pag. 1.

- La seconda tesi: M. ALESIO, Annullamento degli atti illegittimi: arrivano le regole ma i dubbi restano, in Diritto e giustizia, 11/05, pag. XIV; F. CARINGELLA, Il nuovo ruolo del G.A.: articolo 21 OPTIES legge 241, pag. 3, in www.giustizia-amministrativa.it (nello specifico, secondo questo autore, il principio del raggiungimento dello scopo è da intendersi dalla parte del cittadino; la norma, cioè, costituirebbe una norma di garanzia volta ad evitare che il cittadino subisca la beffa di una vittoria apparente); E. FOLLIERI, La giurisdizione del giudice amministrativo a seguito della sentenza della Corte costituzionale 6.7.2004 n. 204 e dell’art. 21 octies della L. 7.8.1990 n. 241, in www.giustamm.it , pag. 9; M. A. SANDULLI, La riforma della legge sul procedimento amministrativo tra novità vere ed apparenti, www.federalismi.it , pag. 7; M. VAGLI, La comunicazione di avvio del procedimento negli atti vincolati tra evoluzione giurisprudenziale e novità legislative, in www.lexitalia.it , pag. 4; L. ZANETTINI, Resoconto sul convegno Riforma della l. 241/1990 e processo amministrativo: una riflessione a più voci, in www.giustamm.it , pag. 4 (intervento del Consigliere di Stato F. Cintioli).

- La terza tesi: F. FRACCHIA e M. OCCHIENA, Teoria dell’invalidità dell’atto amministrativo e art. 21-octies, l. 241/1990: quando il legislatore non può e non deve, in www.giustamm.it , pag. 27; F. FRANCARIO, Dalla legge sul procedimento amministrativo alla legge sul provvedimento amministrativo (sulle modifiche ed integrazioni recate dalla legge 15/2005 alla legge 241/1990), in www.giustamm.it , pag. 6; A. ROMANO TASSONE, Prime osservazioni sulla legge di riforma della L. n. 241/1990, in www.giustamm.it , pag. 8.

- La quarta tesi: D. U. GALETTA, Notazioni critiche sul nuovo art. 21-octies della Legge n. 241/90, in www.giustamm.it , pag. 10; A. CALEGARI, Sulla natura sostanziale o processuale e sull’immediata applicabilità ai giudizi pendenti delle disposizioni concernenti l’annullabilità dei provvedimenti amministrativi contenute nell’art. 21 octies della L. n. 241 del 1990, in www.giustamm.it , pag. 4.

[74] M.S. GIANNINI, Istituzioni di Diritto Amministrativo, 1981.

[75] Per una chiara elaborazione dell’istituto penalistico delle scriminanti si rinvia a F. MANTOVANI, Diritto Penale, Cedam, 1988, pag. 241.

[76] Questa soluzione si fa preferire anche perché farebbe venire meno un’altra problematica sollevata in dottrina, concernente la mancata previsione di una qualche forma alternativa di soddisfazione per l’istante. Ossia, se il provvedimento è comunque viziato (sia pure non annullabile) perché il Legislatore non ha previsto una qualche forma di indennizzo o risarcimento così come nel caso degli istituti della revoca e del recesso? Ebbene, propendendo per la soluzione adottata nel testo il problema non si pone neppure in quanto “…l’ingiustizia va esclusa in radice, essendo stato il bene della vita dell’interessato legittimamente sacrificato…”: G.P. CIRILLO, L’azione amministrativa sospesa tra regole di invalidità e regole di responsabilità: La riforma del procedimento e il risarcimento degli interessi legittimi, in www.giustizia-amministrativa.it , pag. 11.

[77] Non è mancato, peraltro, chi abbia sottolineato che l’onere probatorio posto a carico della pubblica amministrazione rappresenti, in realtà, un bluff perché tramite esso il privato sarebbe comunque gravato da “…surrettizia quanto inutile probatio diabolica…”: L. D'ANGELO, L’art. 21 octies, comma 2, l. n. 241/1990: onere probatorio della p.a. ed eccesso di potere controfattuale, in www.giustamm.it , pag. 1.

[78] La domanda formulata dall’Amministrazione “…assume consistenza e caratteristiche molti simili…a quelle di una domanda riconvenzionale con la quale…il thema decidendum…[è trasformato]…in un giudizio di merito sul contenuto dispositivo del provvedimento.”: in questo senso: TAR Lazio, Latina, 10.06.05, n. 534. Nello stesso senso, anche O. FORLENZA, I nuovi confini dell’illegittimità al primo vaglio dei magistrati, in Guida al Diritto, 27/05, pag. 99. Secondo questo autore, il necessario accertamento sul contenuto del provvedimento non può che essere letto come estensione del giudicato anche al profilo dell’opportunità. In senso intermedio, vedi TAR Sardegna, Cagliari, I, 25.05.05, n. 1170 secondo cui “…ad avviso del Collegio la norma può operare non soltanto nelle ipotesi in cui il provvedimento sia totalmente vincolato, ma, in particolari casi, anche in quelle in cui quest’ultimo presenti, congiuntamente ad ambiti vincolati, margini di discrezionalità…in tali ipotesi, così come in quelle di atti totalmente vincolati, il giudice è chiamato, dalla nuova disposizione normativa, a compiere un mero riscontro circa la ricorrenza delle condizioni di legge richieste per l’accoglimento della pretesa, che in via fisiologica dovrebbe essere effettuato dall’amministrazione nella fase procedimentale di sua competenza…”.

[79] G. BACOSI - F. LEMETRE, La legge n. 15 del 2005: ecco il nuovo volto della “241”, in www.giustizia-amministrativa.it , pag. 11.

[80] Alla stessa soluzione, ma attraverso diverse considerazioni, giunge anche A. CALEGARI, Sulla natura sostanziale o processuale e sull’immediata applicabilità ai giudizi pendenti delle disposizioni concernenti l’annullabilità dei provvedimenti amministrativi contenute nell’art. 21 octies della L. n. 241 del 1990, in www.giustamm.it , pag. 7.

[82] M. BALLORIANI, Appunti su rapporto giuridico di diritto pubblico e tutela dell’interesse legittimo, in www.lexitalia.it , pag. 10; ne consegue, secondo l’autore, che “…i vizi del provvedimento conservano la loro rilevanza, ma possono essere superati nel giudizio, ove prevale l’accertamento della legittimità del rapporto…rispetto a quello dell’atto…”.

[83] E’ noto come il principio “rispetto della procedura = risultato legittimo” è stato, infatti, da tutta la normativa emanata dagli anni ’90 in poi soppiantato a favore del nuovo principio “gestione per obiettivi e verifica degli stessi = risultato efficace ed efficiente”.

[84] Poste le esigenze di celerità ed efficienza ricadenti sull’agire amministrativo, avrebbe senso accedere all’istituto di cui all’art. 10 bis (comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento della richiesta) in ipotesi vincolate in cui questa comunicazione non avrebbe la funzione che di aggravare il provvedimento? Valga, per tutti, un esempio: se l’ammissione ad un impiego o ad un Corso di Studio universitario è consentita previo esperimento di un concorso pubblico, nel caso di istanza rivolta da un cittadino ad una pubblica amministrazione in cui questi chieda l’ammissione pur non avendo sostenuto la prova prevista senza addurre legittime cause di impedimento, verrebbe meno qualche esigenza di tutela se il pubblico funzionario rispondesse direttamente all’istanza senza accedere all’istituto di cui all’articolo 10 bis e, anzi, ossequiando questo non si aggraverebbe solo il procedimento?

[85] Per una cui sommaria definizione si rinvia al commento del precedente art. 21-quinquies.

[86] Questa interpretazione potrebbe essere contraddetta da quanti dovessero rilevare che, essendo gli interessi di natura economica solitamente preponderanti rispetto agli altri, la fattispecie del 21-nonies sarà applicabile solo in via residuale. Pur essendo condivisibile questa interpretazione, essa si scontra con una recente direttiva della Funzione Pubblica che ha esplicitamente chiarito la perdurante vigenza del 136 primo periodo anche dopo l’emanazione del 21-nonies: Direttiva Funzione Pubblica, 17.10.05, par. 3.

[87] Merita un sia pur breve approfondimento l’aspetto relativo agli interessi dei controinteressati. A questo proposito, poiché il Legislatore non ha utilizzato esplicitamente né il termine “risarcimento” (laddove utilizzato questo termine implica la necessità dell’integrale ristoro patrimoniale: questa interpretazione è costantemente affermata nonostante che la Corte Costituzionale con la sentenza 17.10.96, n. 369 ha statuito che l’integralità del danno da risarcimento è un principio che non trova copertura costituzionale), né il termine “indennizzo” (utilizzato tute le volte in cui il ristoro, sia pure parziale, ha comunque connotati economici), si ritiene che al fine di salvaguardare gli interessi dei privati possano utilizzarsi strumenti differenti dal mero ristoro economico, quali ad esempio: la previsione di una decorrenza non retroattiva del provvedimento o la sostituzione del provvedimento annullato con altro che riduca il danno patrimoniale eventualmente emerso a causa dell’annullamento. Questo sia nel caso del 136 secondo periodo che parla di “tenere indenni” sia nel caso del 21-nonies dove è usata l’espressione “tenere conto” (ad essere precisi, quest’ultima implica, comunque, un atteggiamento di minore rilevanza del precedente.

[88]  M. ALESIO, Annullamento degli atti illegittimi: arrivano le regole ma i dubbi restano, in Diritto e giustizia, 11/05, pag. XX.

[89] Qui non si intende fare riferimento al generale interesse pubblico al ripristino della legalità, ma all’interesse all’economicità, efficacia, pubblicità, trasparenza e proporzionalità (inteso come dovere in capo alla pubblica amministrazione di non comprimere le situazioni giuridiche soggettive dei privati, se non nei casi di stretta necessità ovvero di indispensabilità) dell’azione amministrativa: in questo senso, Direttiva Funzione Pubblica, 17.10.05, paragrafo 2.

[90] Si rinvia a quanto espresso nella precedente nota 83.

[91] Quanto al fattore tempo, anche in considerazione del contenuto dell’articolo II-101 della Carta dei Diritti dell’Unione Europea (per la lettura dell’articolo, si rinvia ala nota 4), taluno ha ritenuto che esso non sia tanto importante in sé per sé considerato quanto sia da considerare in rapporto ad un ulteriore fattore rinvenibile nell’attività compiuta dal privato durante il decorso del tempo. Il consolidamento del diritto, cioè, si fonderebbe sul decorso del tempo ma sarebbe influenzato, anche dal concetto di “…tempo riempito, nel senso che si va a valutare cosa concretamente è stato fatto durante il decorso del tempo, ai fini dell’esercizio del potere di annullamento…”: M. ALESIO, Annullamento degli atti illegittimi: arrivano le regole ma i dubbi restano, in Diritto e giustizia, 11/05, pag. XX.

[92]  Il testo regolamentare è stato predisposto dal Governo ed è stato approvato, con la richiesta di apportarvi alcune modifiche, dal Consiglio di Stato (Cons. St., Sezione Consultiva per gli Atti Normativi, 13.02.06). La ragione per la quale l’emanazione del regolamento ha subito un grave ritardo rispetto alle previsioni è da ricondurre al dissidio emerso in sede di esame della bozza regolamentare da parte della Conferenza Unificata Stato-Regioni, nella seduta del 26.01.06. La Conferenza, in sintesi, riteneva che il regolamento sull’accesso dovesse applicarsi direttamente solo alle Amministrazioni statali e agli Enti pubblici economici mentre non fosse applicabile agli Enti Territoriali in virtù di quanto contenuto nel comma 2 dell’articolo 29 della nuova L. 241 (relativamente al contenuto di questo comma, si rinvia a quanto si dirà nel prossimo capitolo relativo all’ambito di applicazione). Il Consiglio di Stato, nel parere richiamato, confuta questa tesi e sostiene che poiché il testo normativo (articolo 22, comma 2, L. 241) funge da norma speciale rispetto a quella contenuta nell’articolo 29, comma 2, la disciplina legislativa dell’accesso spetti alla competenza esclusiva dello Stato ai sensi della lettera m) del secondo comma dell’articolo 117 della Costituzione. Poiché, inoltre, l’accesso è ricondotto nell’ambito dei livelli essenziali dei diritti sociali e civili e ha ad oggetto più che specifiche competenze delle materie trasversali (la cui regolamentazione ben potrebbe comportare una lesione di specifiche competenze regionali), il potere esercitato dallo Stato sarà legittimo purchè la sua esplicazione sia strettamente pertinente alla sola regolazione dei detti livelli essenziali nel territorio e, cioè, non rechi una disciplina ulteriore invasiva delle competenze degli Enti Territoriali. Pertanto, il Consiglio di Stato ha concluso chiedendo al Governo di aggiungere una norma all’interno dell’emanando Regolamento che precisi quali articoli dello stesso siano applicabili su tutti il territorio e quali, invece, non attenendo ai livelli essenziali delle prestazioni o regolamentando la procedura per l’accesso dinanzi a Organi diversi dal Difensore Civico, siano applicabili solo alle Amministrazioni statali e agli Enti pubblici nazionali.

[93]  Cons. St., VI, 19.07.94, n. 1243 in Cons. St. '94, I, 1131.

[94]  Cons. St., VI, 07.05.96, n. 649 in Foro Amm., '97, 1640.

[95]  “…il ricorso previsto a tutela del <<diritto>> d’accesso ai documenti amministrativi ex art. 25 L. 241 del 1990 ha natura impugnatoria di un provvedimento autoritativo di diniego (o dell’inerzia) dell’amministrazione, per cui tale giudizio è sottoposto alla generale disciplina del processo amministrativo. E’, infatti, comunque ravvisabile una posizione di interesse legittimo, tutelata dall’art. 103 Cost., quando un provvedimento amministrativo è impugnabile come di regola entro un termine perentorio; e ciò anche se esso incide su posizioni che, nel linguaggio comune, sono più spesso definite come di <<diritto>>, termine da considerarsi atecnico.”: Cons. St., Ad. Plen., 24.06.99, n. 16.

[96] In questo senso, sia pure in forma dubitativa, tra gli altri, M. CIAMMOLA, Il diritto di accesso ai documenti dopo la legge n. 15 del 2005: natura, soggetti legittimati e ambito applicativo, in www.giustamm.it, pag. 32; L. LAMBERTI, Il diritto di accesso ai documenti amministrativi dopo la legge 15/2005, in www.giustamm.it, pag. 5.

[97]  Cons. St., Sezione Consultiva per gli Atti Normativi, 13.02.06, in www.federalismi.it .

[98] Così S. MEZZACAPO, Entrata in vigore dopo il regolamento, in Guida al Diritto, 3/05, pag. 85.

[99] Possono definirsi diffusi quegli interessi che sono riferibili ad una pluralità indeterminata di soggetti non costituenti una categoria o un gruppo omogeneo; l’interesse diffuso, quindi, sarebbe latente nella collettività e, dunque, privo di titolare.

[100] La prima soluzione è fatta propria da A. CENICCOLA, Il diritto d’accesso dopo la legge n. 15/2005, in www.diritto.it , pag. 2; la seconda da M. CIAMMOLA, Il diritto di accesso ai documenti dopo la legge n. 15 del 2005: natura, soggetti legittimati e ambito applicativo, in www.giustamm.it, pag. 41.

[101] Dello stesso avviso, prima della novella legislativa Corte Cost., 02.12.04, n. 372, secondo cui il diritto d’accesso deve essere contemperato “…con l’interesse pubblico al buon andamento dell’Amministrazione…”.

[102] Da ultimo, Corte di Giustizia Europea, 21.04.04, n. C/186.

[103] Quale esercizio “particolare” del diritto d’accesso, oltre a quello ambientale sono stati individuati, tra i principali, i seguenti: articolo 10 L. 241/90 (accesso partecipativo), articoli 10 e 43 D.Lgs. 267/00 (accesso dei cittadini e dei consiglieri), l’articolo 391-quater del codice di procedura penale (accesso in materia di indagini difensive). Per ulteriori ipotesi di acceso si rinvia a M. CIAMMOLA, Il diritto di accesso ai documenti dopo la legge n. 15 del 2005: natura, soggetti legittimati e ambito applicativo, in www.giustamm.it , pag. 62, nota 147.

[104] “E’ dunque un dato acquisito quello per cui nel più ampio sistema, delineato dalla legge 7 agosto 1990 n. 241…si innesta la disciplina speciale, di origine comunitaria, che riguarda propriamente la libertà d’accesso alle informazioni in materia di ambiente, introducendo quell’azione popolare che la giurisprudenza aveva negato in relazione alla disciplina contenuta nella legge n. 241 del 1990…”: S. MEZZACAPO, Il legislatore concede l’azione popolare negata dalla legge sulla trasparenza, in Guida al Diritto, 46/05, pag. 24.

[105] D’altronde, mentre inizialmente si riteneva che solo la pubblica amministrazione ricevente la domanda di accesso potesse in qualche modo dirsi avere un interesse opposto rispetto a quello dell’accedente (per il mantenimento delle informazioni in modo segreto), successivamente quando si è realmente compreso che la trasparenza dovesse essere uno dei principi portanti l’attività delle pubbliche autorità, si è iniziato a riflettere sulla possibilità che a ogni richiesta di accesso potessero essere connessi ulteriori interessi privati; questa impostazione è stata suffragata da tutta la normativa sulla privacy, il cui stretto rapporto con il diritto d’accesso si è configurato, proprio, a tutela di coloro che a fronte di una richiesta d’accesso potevano vedere compromessi interessi personali. Pertanto, la tutela della riservatezza quale rovescio della medaglia del diritto d’accesso e, dunque, il riconoscimento della natura di controinteressato a chi a seguito di istanze d’accesso potesse vedere minato il diritto alla riservatezza è stato riconosciuto, dapprima in modo isolato, poi sempre più ampiamente dalla giurisprudenza e, infine, nel testo in commento.

[106] Si pensi ad esempio ad una fattispecie concorsuale, laddove ad una richiesta d’accesso ad un elaborato possano essere connessi interessi rilevanti, non solo del candidato del cui elaborato si chieda l’ostensione ma, ad esempio, anche di quello che sia risultato vincitore della procedura: non è quest’ultimo controinteressato a tutti gli effetti?

[107] Si rammenta che il DPR 352/90 prevedeva espressamente che l’accesso potesse essere escluso se fossero richiesti atti non formati dalla pubblica amministrazione alla quale essi erano richiesti.

[108] Secondo l’interpretazione data all’articolo 1, lett. b, comma 2 Direttiva 93/37 CEE dalla Corte di Giustizia Europea (15.01.98), affinchè possa parlarsi di organismo di diritto pubblico è necessaria la contemporanea presenza di tre criteri: il possesso della personalità giuridica, la sottoposizione ad influenza pubblica, il fine costituito dal soddisfacimento di bisogni di interesse generale non aventi carattere industriale o commerciale.

[109] Questa disposizione sembra profilare una sorta di autonomia del diritto ad accedere ai documenti; diritto, cioè, esercitabile di per sé a prescindere del bene della vita cui è collegato. In realtà, questa soluzione non può essere accolta sia per quanto già detto in tema di soggetti interessati, sia per quanto si dirà trattando del bilanciamento degli interessi tra accesso e riservatezza.

[111] Preliminarmente è opportuno precisare che i dati personali sono classificati in tre categorie di rilevanza crescente: dati comuni (ossia quelli meno rilevanti, quali nome, cognome, età, ecc.); dati sensibili (di media rilevanza, quali le opinioni politiche, religiose, ecc.); i dati super sensibili (maggiormente protetti, aventi ad oggetti i dati idonei a rilevare le condizioni sessuali o di salute).

[112] Dapprima, Cons. St., IV, 26.11.93, n. 1036, in Cons. St, '93, I, 1418; idem, 29.07.95, n. 579, in Foro Amm., '96, 1479; Cons. St. Ad. Plen., 25.01.96, n. 5, in Giornale Dir. Amm., '97, 1016; per i vari criteri seguiti nel bilanciamento di questi interessi v.: Cons. St., VI, 19.07.94, n. 1243, in Riv. Amm., '95, 481; TAR Abruzzo, PE, 30.04.94, n. 257, in Orientamento Giur. Lav., '94, 444; TAR Sicilia, CT, I, 11.09.92, n. 631, in Foro Amm., '94, 974.

[113] G. BUTTARELLI, Banche dati e tutela della riservatezza, 1997, pag. 291, nota 211.

[114]  Per quest’ultimo aspetto, vedi Cons. St., VI, 15.04.96, n. 563, in Enti Pubblici, '96 , 1434.

[115]  Come confermato già dal Garante nella relazione al Parlamento per l’anno 1997 del 30.04.98.

[116] Provvedimento del 16.09.97.

[117] TAR Abruzzo, PE, 05.12.97, n. 681, in Foro It., '98, III, 84.

[118] Cons. St., VI, 03.06.97 n. 843, in Cons. St., '97, I, 831.

[119] Cons. St., V, 28.01.97, n. 99.

[122] Per un approfondimento circa gli aspetti del ricorso giurisdizionale si rinvia a M. LIPARI, Il processo in materia di accesso ai documenti (dopo la l. 11 febbraio 2005 n. 15), in www.giustamm.it , passim, ma in particolare, pagg. 27-34.

[123] O. FORLENZA, Difensore civico, tutela alternativa al giudice, in Guida al Diritto, 10/03, pag. 100.

[124] Nel primo senso, V. CERULLI IRELLI, Osservazioni generali sulla legge di modifica della l. n. 241/90, in ASTRID Rassegna, 2005, pag. 50; propende, invece, per la tesi della svista S. CIMINI, Diritto di accesso e riservatezza: il legislatore alla ricerca di nuovi equilibri, in www.giustamm.it, pag. 34.

[125] Così O. FORLENZA, Difensore civico, tutela alternativa al giudice, in Guida al Diritto, 10/03, pag. 100, il quale, però, nel caso opposto, ossia quando spetti al Garante dovere instaurare il sub procedimento, ritiene che possa essere interpellata la Commissione anche se gli atti non riguardino amministrazioni centrali.

[128] La nuova commissione, come prevista ai sensi della novella in commento, è stata istituita con D.P.C.M. 15.07.05.

[129] Si fa rinvio a M. SIMONCINI, La riforma della Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi: nascita o aborto di un’autorità indipendente?, in A MASSERA (a cura di) La riforma della Legge 241/1990 sul procedimento amministrativo: una prima lettura, in www.diritto.it , pagg. 70-73.

[130] Il federalismo, che si qualifica per una ripartizione garantita del potere tra centro e periferia, si distingue dal decentramento in quanto quest’ultimo, pur mirando sempre all’idea di ridistribuzione sul territorio delle competenze, non presuppone una fonte normativa che statuisca indefettibilmente una base cogente per la ridistribuzione. Ancora differente è il regionalismo attraverso cui il decentramento tende ad assumere connotazioni autonomiste simile a quelle del modello federale. Ulteriormente differenti sono la deconcentrazione (in questo caso il trasferimento non riguarda aspetti politici ma solo amministrativi), la delegazione (che implica l’esercizio di poteri da parte di enti delegati) e la devoluzione (che implica il trasferimento del potere decisionale dall’organo centrale a quelli periferici). Per un’attenta disamina di questi aspetti, vedi A. FIORI, Il processo di regionalizzazione della sanità in Italia, in Politica ed organizzazione, quaderni di ricerca dell’AROC, I/04, pag. 56.

[131] Così, G. BAGNETTI, Federalismo, UTET, Torino, 2001, pag. 5.

[132] Il principio di sussidiarietà, enunciato per la prima volta nel Trattato di Maastricht (articolo 3B), impegna le Istituzioni sovraordinate ad intervenire solo nel caso in cui le funzioni non possano essere svolte presso l’Ente (locale) più vicino al cittadino. In Italia è stato introdotto dapprima con la Legge 59/97 e poi con il successivo Decreto Legislativo 112/98; infine con la riforma costituzionale in commento.

[133] Taluni hanno ritenuto che proprio in considerazione dell’attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale, dovranno trovare sempre maggiore appoggio da parte delle Istituzioni tutte le attività di volontariato, inteso come “…uno dei protagonisti per la realizzazione della cittadinanza sociale…”: M. COSENZA, Autonomie funzionali e formazioni sociali: dall’etica alla Costituzione. L’esperienza italiana, in Funzione Pubblica, Rivista Quadrimestrale, 2/04, pag. 119.

[134] Nonostante questa corretta interpretazione di principio è opportuno, peraltro, segnalare che nel vaglio giurisdizionale operato dalla Corte Costituzionale su quelle materie per le quali si è reso difficile definire la ripartizione delle competenze, la Corte ha ampliato la competenza dello Stato introducendo il concetto delle cd. materie trasversali. In sostanza, la Corte Costituzionale in diverse sentenze (ad esempio: in materia di tutela della concorrenza, vedi Corte Cost., 13.01.04, n. 14; in materia di livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, vedi Corte Cost., 26.06.02, n. 282; in materia di ambiente, vedi Corte Cost., 22.07.04, n. 259) argomentando dalla natura delle materie rientranti nella competenza attribuita al legislatore (natura particolarmente restia ad essere circoscritta in un ambito definito e consona, invece, ad essere esercitata su più oggetti) ha ritenuto che ad esse dovesse essere attribuita un’estensione trasversale atta ad investire anche ambiti non rientranti propriamente nella sua competenza (anche se, pertanto, specificamente attribuite alla competenza concorrente o addirittura esclusiva Regionale). Questa ricostruzione estensiva della competenza statale (il cui utilizzo da parte dello Stato deve essere, secondo la Corte, comunque esercitato in modo da non vanificare lo schema di riparto del nuovo art. 117 Cost., ossia esercitato nell’ambito dei principi di proporzionalità-adeguatezza “…al fine di valutare, nelle diverse ipotesi, se la tutela della concorrenza legittimi o meno determinati interventi legislativi dello Stato” (Corte Cost., 27.07.04, n. 272) deve: a) rispettare i principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza; b) dettare una disciplina idonea alla regolazione delle funzioni cui pertiene; c) limitarsi a quanto strettamente necessario; d) essere adottato a seguito di procedure che assicurino la partecipazione dei livelli di governo coinvolti attraverso strumenti di leale collaborazione) è stata elaborata dalla Corte partendo dal principio di sussidiarietà amministrativa di cui all’art. 118 Cost. Le esigenze di unitarietà di alcune importanti funzioni, ad avviso della Corte, “…giustificano…una deroga alla normale ripartizione di competenze…[in questo senso]…un elemento di flessibilità è…contenuto nell’art. 118…il quale…introduce un meccanismo dinamico…[secondo il quale]…la funzione amministrativa può essere esercitata dallo Stato. Ciò non può restare senza conseguenze sull’esercizio della funzione legislativa…” (Corte Cost., 01.10.03, n. 303. Vedi anche, in tal senso, Corte Cost., 21.01.04, n. 6) che, dunque, può attrarre a sé materie non espressamente previste tra quelle di legislazione statale laddove esse per il loro rilievo concreto devono essere svolte dallo Stato al fine di garantire l’unitarietà, l’organicità e la coerenza interna del sistema istituzionale. Deve trattarsi, peraltro, di materie che oltre a coinvolgere più ambiti materiali, devono caratterizzarsi “…per la natura funzionale (individuando, più che degli oggetti, delle finalità in vista delle quali la potestà legislativa statale deve essere esercitata)…[e, pertanto, essere tali da valere]…a legittimare l’intervento del legislatore statale anche su materie, sotto altri profili, di competenza regionale” (Corte Cost., 15.11.04, n. 245).

[135] Mentre il contenuto dell’articolo 29, riportato ad inizio paragrafo si dà per scontato, si riporta, per comodità, il comma unico dell’articolo 22 della legge 15/05: “Fino alla data di entrata in vigore della disciplina regionale di cui all’articolo 29, comma 2, della legge 7 agosto 1990, n. 241, come sostituito dall’articolo 19 della presente legge, i procedimenti amministrativi sono regolati dalle leggi regionali vigenti. In mancanza, si applicano le disposizioni della legge n. 241 del 1990 come modificata dalla presente legge”.

[138] In questo senso, A. CELOTTO – A. M. SANDULLI, Legge n. 241 del 1990 e competenze regionali: un “nodo di gordio”, in www.giustamm.it , pag. 4.

[139] Propendono per questa tesi: V. CERULLI IRELLI, Osservazioni generali sulla legge di modifica della l. n. 241/90, in ASTRID Rassegna, 2005, pag. 47; C. E. GALLO, La riforma della legge sull’azione amministrativa ed il nuovo titolo V della nuova costituzione, in www.giustamm.it, pag. 8; S. GAMBINO, Il diritto di accesso. La nuova disciplina legislativa (legge n. 15/2005) alla luce della revisione costituzionale del Titolo V, in www.federalismi.it , pag. 20; ; L. LAMBERTI, Il diritto di accesso ai documenti amministrativi dopo la legge 15/2005, in www.giustamm.it, pag. 11; G. TARANTINI, L. 11 febbraio 2005, n. 15 “modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 241, concernenti norme generali sull’azione amministrativa, in www.federalismi.it , pag. 7.

[140] “…in presenza di un giudizio amministrativo costruito ancora oggi come giudizio impugnatorio dell’atto amministrativo…non vi è norma dedicata al procedimento e al provvedimento amministrativo che non sia (anche) norma di giustizia amministrativa…”: O. FORLENZA, Riscritta la semplificazione amministrativa, in Guida al Diritto, 22/05, pag. 132.

[141] In questo senso, A. ROMANO TASSONE, Legge 241 del 1990 e competenza regionale: osservazioni sulla posizione di A. Celotto – A. M. Sandulli, in www.federalismi.it , pag. 4.

[142] Soluzione prospettata da C. BIONDI – G. CASSI’, Ambito soggettivo di applicabilità delle norme contenute nella legge n. 241/1990 come integrate e modificate dalla legge n. 15/2005, in www.giustamm.it , pag. 6.

[143] Si intende fare riferimento a A. CELOTTO – A.M. SANDULLI, Legge n. 241 del 1990 e competenze regionali: un “nodo di gordio”, in www.giustamm.it , pagg. 4 – 7.

[144]  Dalla elaborazione compiuta dagli autori citati nella precedente nota risulta che le norme della nuova L. 241 siano raggruppabili, sotto questo punto di vista, in quattro tipi:

1. quelle concernenti diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione; esse sono contenute negli articoli: 22-28.

2.  quelle esprimenti principi generali; esse sono contenute negli articoli: 1; 2 commi 1-4; 3 commi 1-3; 4-7; 8 commi 1-3; 9-10 bis; 11 commi 1-4 bis; 12-13; 14-14 bis (salvo quanto contenuto in materia di ambiente, incolumità pubblica, patrimonio culturale, ecc. in cui riemerge la competenza esclusiva statale); 14 ter commi 6, 6 bis, 7 e 9; 14 quater e quinquies; 15-18; 19 commi 1-4; 20 e 21; 21 bis – 21 sexies; 21 nonies; 29 e 30.

3.  quelle in materia di giustizia amministrativa; esse sono contenute negli articoli: 2 comma 5; 3 comma 4; 8 comma 4; 11 comma 5; 19 comma 5; 21 septies – 21 octies.

4. quelle che esprimono meri indirizzi; esse sono contenute negli articoli: 3 bis; 14 ter commi 01-5 e 8.

[145] Nell'ambito delle azioni correlate al Piano d'Azione e-Government, il Dipartimento per l'Innovazione e le Tecnologie ha stanziato, tramite un apposito avviso (G.U., serie generale n. 78, del 3 aprile 2002), 120 milioni di Euro derivanti dai fondi ottenuti con la vendita delle licenze UMTS (DPCM 14 febbraio 2002). Tali fondi sono destinati al cofinanziamento, in misura non superiore al 50%, di progetti proposti da Regioni ed enti locali, aventi per obiettivo la realizzazione di servizi on-line rivolti ai cittadini e\o alle imprese, e\o l'implementazione di servizi infrastrutturali. A seguito del 1° avviso sono stati selezionati 377 progetti e ne sono stati cofinanziati 134. Nella primavera del 2003 sono state firmate tutte le convenzioni di attivazione dei progetti; attualmente i progetti sono in corso di realizzazione; alcuni sono già conclusi, altri sono in fase di completamento. Sono già state avviate inoltre le operazioni di monitoraggio. La seconda fase dell’e-government prevede in gran parte il potenziamento e l’estensione territoriale delle esperienze già avviate nella prima fase (in primo luogo i 134 progetti cofinanziati sul 1° avviso), ed alcune nuove iniziative. Per l’identificazione delle linee di azione da intraprendere è stata determinante l’approvazione in Conferenza Unificata Stato-Regioni, Città e Autonomie Locali, nel luglio 2003, del documento “ L’e-government per un federalismo efficiente. Una visione condivisa, una realizzazione cooperativa”, che ha posto le basi per uno sviluppo coerente e sostenibile dell’e-government nella pubblica amministrazione italiana avviata verso un sistema federale. Nell’autunno del 2003 è stato invece approvato, sempre dalla Conferenza Unificata Stato-Regioni, Città e Autonomie Locali, il documento “ L’e-government nelle Regioni e negli Enti Locali: II fase di attuazione”, che assume come riferimento normativo il DPCM del 14 febbraio 2002, e definisce le azioni attuative della seconda fase. Le linee di azione previste dal documento sono cinque: lo sviluppo dei servizi infrastrutturali locali; la diffusione territoriale dei servizi per cittadini ed imprese; l’inclusione dei piccoli Comuni nell’attuazione dell’ e-government; l’avviamento di progetti per lo sviluppo della cittadinanza digitale (e-democracy); la promozione dell’utilizzo dei nuovi servizi presso cittadini e imprese.

[146]  C. Cost., 06.07.04 n. 204. Molti sono i commenti a questa sentenza, tra i primi vedi: F. PATRONI GRIFFI, Brevi Riflessioni a margine della sentenza n. 204/2004 della Corte costituzionale, www.astrid-online.it ; A. POLICE, La giurisdizione del giudice amministrativo è piena, ma non è più esclusiva, in Giornale di diritto amministrativo, n. 9, 2004, p. 974; A. PAJNO, Giurisdizione esclusiva ed “arbitrato” costituzionale, in Giornale di diritto amministrativo, n. 9, 2004, p. 983; M. CLARICH, La “tribunalizzazione” del giudice amministrativo evitata: commento alla sentenza della Corte costituzionale 5 luglio 2004, n. 204, in Giornale di diritto amministrativo, n. 9, 2004; B. SASSANI, Costituzione e giurisdizione esclusiva: impressioni a caldo su una sentenza storica, in www.giustamm.it ; F. CINTIOLI, La giurisdizione piena del giudice amministrativo dopo la sentenza n. 204 del 2004 della Corte Costituzionale, in www.giustamm.it .

[147] V. ONIDA, La giustizia costituzionale nel 2004, 20.01.05, pag. 111.

[148] Vedi per tutti, Corte Suprema di Cassazione, Ufficio del Massimario e del ruolo, R. FRASCA – S. EVANGELISTA, Relazione tematica su questioni di particolare importanza, § 10, Roma, 23.05.05: “…che la controversia sulla d.i.a…debba comunque essere di pertinenza del giudice amministrativo in via esclusiva potrebbe indurre qualche dubbio di costituzionalità al lume della sentenza n. 204 [n.d.a., Corte Cost., 06.07.04, n. 204] . A tacer d’altro la dichiarazione del privato non è certo un atto o provvedimento dell’Amministrazione…”. Per un tentativo di ricostruzione vedi P. MARZARO GAMBA, La nuova disciplina della dichiarazione di inizio attività, in www.giustamm.it, pag. 7.

[149]  Si possono rammentare, tra i più rilevanti, i seguenti interventi normativi: la L. 241, per la prima volta introduce concetti fino ad allora non presenti quali: motivazione degli atti; responsabile del procedimento; partecipazione al procedimento; semplificazione dei procedimenti; accesso agli atti; il D.Lgs. 29/93, si iniziano ad introdurre concetti fondamentali quali: l'assoggettamento dei pubblici dipendenti alla normativa di diritto comune; la contrattualizzazione dei rapporti individuali di lavoro; la L. 59/97, tra le altre cose, oltre a delegare il Governo alla emanazione di leggi annuali di semplificazione, prevede un generale programma di riordino delle norme legislative e regolamentari attraverso la redazione di testi unici; la L. 127/97 demarca chiaramente i poteri lasciati all'apparato centrale da quelli ripartiti territorialmente (cd. principio della sussidiarietà); particolarmente rilevante, inoltre, è il D.Lgs 287/99 (cd. decreto sui controlli) che individua le tipologie di controllo interno che le amministrazioni devono porre in essere: controllo di regolarità, controllo gestionale, valutazione dei dirigenti, controllo strategico. Quanto al controllo gestionale, esso costituisce una sorta di quadratura del cerchio potendo essere considerato come strumento principale per verificare l’efficacia, l’efficienza e l’economicità dell’azione amministrativa. In particolare, esso è un processo che prevede attività di: analisi delle risorse acquisite; considerazione dei costi, dei proventi e dei ricavi; confronto tra questi e la quantità e qualità dei servizi offerti; verifica della funzionalità dell’organizzazione dell’Amministrazione.


Stampa il documento Clicca qui per segnalare la pagina ad un amico