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n. 5/2008 - © copyright

FABIO DANI
(Avvocato)

"La tassa sul danno subito": ovvero il prelievo
 fiscale sull'indennità di occupazione usurpativa.

horizontal rule

1) Le vicende relative all'indennità di esproprio, nel nostro Paese, costituiscono l'altra faccia dell'irrisolto problema della disciplina del regime dei suoli e della onerosità della utilizzazione della capacità edificatoria [1].

In questa sede, basterà ricordare che dalla legge fondamentale sulle espropriazioni del 25.6.1865 n. 2359, che prevedeva sostanzialmente l'esproprio a prezzo di mercato, si sono succeduti numerosissimi provvedimenti legislativi che hanno diversamente e più o meno "provvisoriamente" disciplinato l'ammontare dell'indennità da corrispondersi in caso di esproprio.

Dalla "legge fondamentale" n. 2359 del 25.6.1865, che, in via generale, prevedeva la liquidazione del valore di mercato, si è via via fatto riferiscono anche a norme speciali, tra cui la legge 25.1.1885 n. 2892, emanata "per il risanamento della città di Napoli" che prevedeva di corrispondere una media tra valore venale del bene e la somma dei fitti riscossi negli ultimi dieci anni [2] ed il successivo art. 12 della L. 167 del 18 aprile 1962, per gli espropri connessi alla realizzazione di alloggi di edilizia economica e popolare, che aveva ha recepito, per tali interventi, il criterio della legge di Napoli.

Con la legge n. 865 del 22 ottobre 1971, se è invece introdotto un criterio nuovo, sostitutivo, in via generale e cioè per qualsiasi tipo di intervento pubblico, di tutti i precedenti: in forza dall'art. 16 della legge, l'indennizzo era pari al valore agricolo dei terreni e al valore venale degli eventuali fabbricati. Il valore agricolo veniva poi moltiplicato con coefficienti fino a 10 per aree ricomprese nei centri edificati.

Tale disposizione è rimasta in vigore fino alla sentenza n. 5 del 1980 con la quale la Corte Costituzionale ne ha dichiarato la illegittimità costituzionale, a causa del mancato riferimento al valore concreto del bene e per l'evidente disparità di trattamento tra terreni agricoli e terreni edificabili. A seguito di tale pronuncia è stata approvata la legge n. 385 del 29.7.1980, la quale confermava il criterio di cui alla legge n. 865/1971, ma solo a titolo di acconto, da integrarsi sulla base di una normativa che avrebbe dovuto essere emanata entro un anno.

Come era facilmente intuibile, il termine non è stato rispettato, ed è stato più volte prorogato [3], sino all'intervento della Corte Costituzionale che con la sentenza n. 223/1983 ha dichiarato la illegittimità costituzionale della L. n. 385/1980, e delle successive leggi di proroga, afflitte dai medesimi vizi già evidenziati dalla precedente sentenza n. 5/1980.

A questo punto si creò un "vuoto legislativo", colmato (si fa per dire) solo dall'opera interpretativa della Giurisprudenza, la quale ha ritenuto applicabile il criterio originario di cui alla legge n. 2359/1865, ossia l'indennizzo pari al valore di mercato, per i terreni edificabili, mentre per i terreni agricoli, permaneva la previgente normativa di cui alla L. 865/1971.

Tale stato di cose è perdurato sino al D.L. 11.7.1992 n. 333 [4] convertito in Legge 8.8.1992 n. 359, il cui art. 5 bis ha stabilito che, fino all'emanazione di una organica disciplina a valere per tutte le espropriazioni, l'indennità da liquidarsi in caso di espropriazione fosse quella prevista dalla L. 15.1.1885 n. 2892 ("Legge di Napoli") sostituendo in ogni caso i fitti coarcevati dell'ultimo decennio con il reddito dominicale rivalutato: l'importo così determinato veniva ridotto del 40%. Tale criterio comportava la corresponsione di un'indennità pari a circa il 35% del valore di mercato.

In realtà anche questo criterio, pur valutato legittimo dalla Corte Costituzionale [5], aveva comunque le "ore contate" vista la sua sostanziale indipendenza da qualsiasi concreta valutazione del valore del bene, come in via generale aveva peraltro già rilevato la Corte Europea dei diritti dell'uomo [6], ma il T.U. sulle Espropriazioni [7] ha confermato tale criterio, trasformandolo da provvisorio in definitivo.

A questo punto, la Corte Costituzionale [8] è ancora una volta intervenuta, dichiarando la illegittimità costituzionale del sistema così definito Dal Testo Unico, nel presupposto, si badi bene, della sua contrarietà a norme di rango sovranazionale [9].

Ne è conseguita l'emanazione del comma 89 dell'art. 2 della Legge 24.12.2007 n. 244, con il quale si sono determinati i nuovi criteri per calcolare la indennità di espropriazione, in sostituzione di quelli previsti dall'art. 37, commi 1 e 2 del D.P.R. 8.6.2001 n. 327 nel senso di prevedere che l'indennità di espropriazione di un'area edificabile sia determinata nella misura pari al valore venale del bene, mentre, quando l'espropriazione sia finalizzata ad attuare interventi di riforma economico-sociale, l'indennità è ridotta del 25 per cento. Nei casi in cui sia stato concluso un accordo di cessione, o quando esso non è stato concluso per fatto non imputabile all'espropriato, o perchè a questi è stata offerta una indennità provvisoria che, attualizzata, risulta inferiore agli otto decimi di quella determinata in via definitiva, l'indennità è aumentata del 10 per cento [10].

2) Non meno travagliata è stata la individuazione dei criteri da seguire nella determinazione del risarcimento dovuto nel caso in cui l'area sia stata illegittimamente occupata dall'Amministrazione, per realizzarvi un'opera pubblica.

A questo proposito la Giurisprudenza, di fronte alla quantità di casi in cui l'opera veniva realizzata pur in presenza di un procedimento espropriativo non concluso, o annullato da una pronuncia giurisdizionale che ne dichiarava la illegittimità, ha ritenuto di dover intervenire [11], statuendo che nelle ipotesi in cui la pubblica amministrazione ( o un suo concessionario) occupi un fondo di proprietà privata per la costruzione di un opera pubblica e tale occupazione sia illegittima, per mancanza o illegittimità ex tunc di provvedimento autorizzativo per decorso dei termini in relazione ai quali l'occupazione si configura legittima, la radicale trasformazione del fondo da un lato comporta l'estinzione in quel momento del diritto di proprietà del privato e la contestuale acquisizione (a titolo originario) della proprietà in capo all'ente costruttore, dall'altro costituisce un illecito (istantaneo, sia pure con effetti permanenti) che abilita il privato a chiedere, nel termine prescrizionale di cinque anni dal momento della trasformazione del fondo nei sensi prima indicati, la condanna dell'ente medesimo a risarcire il danno derivante dalla perdita del diritto di proprietà, mediante il pagamento di una somma pari al valore del fondo in quel momento, con la rivalutazione per l'eventuale diminuzione del potere di acquisto subita dalla moneta fino al giorno della liquidazione; con l'ulteriore conseguenza che un provvedimento di espropriazione del fondo per pubblica utilità, intervenuto successivamente al momento suddetto, deve considerarsi privo di rilevanza, sia ai fini dell'assetto proprietario sia ai fini della responsabilità da illecito.

Tali principi, erano conseguenti all'applicazione estensiva e analogica di principi civilistici (c.d. "accessione invertita") all'evidente scopo di assicurare una effettiva tutela al privato, illegittimamente o arbitrariamente assoggettato ad una attività dell'Amministrazione tale da sostanzialmente svuotare il suo diritto di proprietà, assicurando il risarcimento del danno da fatto illecito (art. 2043 c.c.), e furono recepiti e fatti propri dalla giurisprudenza [12] e anche dalla legge [13] che dapprima con riferimento agli interventi di edilizia economico e popolare, e poi [14] anche in tutti gli altri i casi di mancanza del provvedimento espropriativo, sanciva il diritto al risarcimento del danno, con esclusione della retrocessione del bene, oltre a rivalutazione monetaria e maggior danno ex art. 1224, secondo comma, c.c., a decorrere dal giorno dell'occupazione.

Tuttavia, con un successivo intervento, il legislatore ha "aggiustato il tiro" prevedendo [15] che in caso di occupazione illegittima di suoli per causa di pubblica utilità intervenuta anteriormente al 30.9.1996, si applichino, per la liquidazione del danno, i criteri allora previsti per la determinazione dell'indennità di cui all'art. 5 bis della legge n. 359/1992, senza la riduzione del 40%, e con l'incremento del 10% [16].

A tale elaborazione giurisprudenziale (c.d. "occupazione acquisitiva") se ne è aggiunta un'altra, relativa alle ipotesi in cui l'occupazione e la trasformazione del fondo non fossero legittimate neppure da una valida dichiarazione di pubblica utilità. Tale processo di elaborazione giurisprudenziale è stato da ultimo efficacemente ricostruito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione [17], le quali hanno ricordato che: "i caratteri salienti del fenomeno appropriativo, sulla base della lunga e (sostanzialmente) costante elaborazione giurisprudenziale, possono essere così sintetizzati:

a) la trasformazione irreversibile del fondo, con destinazione ad opera pubblica o ad uso pubblico, determina l'acquisizione della proprietà alla mano pubblica;

b) il fenomeno, in assenza di formale decreto di esproprio, ha il carattere dell'illiceità, che si consuma alla scadenza del periodo di occupazione autorizzata (e, quindi, legittima) se nel frattempo l'opera pubblica è stata realizzata, oppure al momento della trasformazione qualora l'ingerenza nella proprietà privata abbia già carattere abusivo o se essa acquisti tale carattere perché la trasformazione medesima avviene dopo la scadenza del periodo di occupazione legittima;

c) l'acquisto a favore della pubblica amministrazione, però, si determina soltanto qualora l'opera sia funzionale ad una destinazione pubblicistica, e ciò avviene solo per effetto di una dichiarazione di pubblica utilità formale o connessa ad un atto amministrativo che, per legge, produca tale effetto.

In particolare, il requisito sub c) ha portato ad escludere dall'ambito di applicazione dell'occupazione appropriativa comportamenti della pubblica amministrazione non collegati ad alcuna utilità pubblica formalmente dichiarata, o per mancanza ab inizio della dichiarazione di pubblica utilità o perché questa è venuta meno in seguito ad annullamento dell'atto in cui essa era contenuta o per scadenza dei relativi termini [18].

Secondo tale orientamento nella vicende suddette - definite di occupazione "usurpativa" - non si produce l'effetto acquisitivo a favore della pubblica amministrazione, il proprietario può chiedere la restituzione del fondo occupato e, se a tanto non ha interesse (e quindi vi rinunzi, anche per implicito) può avanzare domanda di risarcimento del danno, che deve essere liquidato in misura integrale.

Va notato, al riguardo, che la differenza tra l'occupazione appropriativa e l'evento ora descritto è stata enunciata da tempo, cioè da quando si affermò che l'occupazione appropriativa non è il fenomeno «indeterminato e generico dell'apprensione sine titolo da parte di un ente pubblico, per qualsivoglia ragione e fine, di un bene immobile del privato, bensì il fenomeno specifico, caratterizzato quale suo indefettibile punto di partenza da una dichiarazione di pubblica utilità dell'opera e quale suo indefettibile punto di arrivo dalla realizzazione dell'opera medesima» [19].

Con l'ulteriore precisazione che se l'occupazione c.d. "acquisitiva" costituisce illecito istantaneo, con effetti permanenti, l'acquisizione c.d. "usurpativa" costituisce invece illecito permanente, con ogni conseguenza in ordine al decorso del termine prescrizionale.

La fattispecie, è stata poi oggetto di organica disciplina ad opera dell'art. 43 del T.U. sulle espropriazioni, a tenore del quale l'utilizzo di immobili per scopo di interesse pubblico e la loro modificazione in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può comportare che esso vada acquisito al suo patrimonio indisponibile, e che al proprietario vadano risarciti i danni, nella misura pari al valore venale, nel caso di aree edificabili.

Pare dunque che la norma elimini le distinzioni giurisprudenziali più sopra ricordate, tra occupazione c.d. "acquisitiva" e quella c.d. "usurpativa", tant'è che il secondo comma del ricordato art. 43 specifica che tali criteri si applicano anche in caso di annullamento del vincolo espropriativo.

Inoltre, lo stesso art. 43, nell'individuare i criteri per la determinazione del risarcimento, faceva [20] riferimento ai medesimi criteri previsti per la determinazione dell'indennizzo da liquidarsi in caso di regolare procedimento espropriativo, con evidente e palese violazione non solo dei principi costituzionali, ma anche della logica comune [21].

3) In questa sede non possiamo ulteriormente approfondire il tema relativo all'indennità, e all'entrata in vigore della nuova norma, il cui tenore ha però già destinato non poche perplessità [22], se non per "inquadrare le situazioni" in relazione al regime fiscale connesso alle vicende espropriative.

A regime, l'indennizzo di esproprio o il prezzo della cessione sono assoggettati all'imposta di registro ai sensi dell'art. 44 D.P.R. 26.4.1989 n. 131; se gli espropriati sono soggetti IVA l'aliquota è del 20% ai sensi dell'art. 16 del D.P.R. n. 633 del 1972, come mod. dall'art. 1 della legge 28.7.1989 n. 263; ai sensi dell'art. 6 del D.P.R. n. 633 del 26.10.1972 la cessione, nei confronti dello Stato, si intende effettuata al momento del saldo del corrispettivo, con la conseguenza che l'assoggettamento a tributo avverrà al momento dell'effettivo pagamento, secondo l'aliquota al tempo vigente.

L'espropriazione è stata esonerata dall'applicazione dell'INVIM, ai sensi dell'art. 2, comma 5, del D.P.R. 26.10.1972 n. 643, introdotto dal D.P.R. 13.12.1977 n. 959, già prima della soppressione di tale imposta.

Gli aspetti che più ci occupano, sono però in relazione alla entrata in vigore della legge 30.12.1991 n. 413, e dell'art. 16 del D.Lvo n. 504 del 30.12.1992.

Quest'ultima disposizione [23], ha introdotto un meccanismo comparativo, prevedendo che l'indennità di esproprio sia "ridotta ad un importo pari al valore indicato nell'ultima dichiarazione o denuncia presentata dall'espropriato ai fini dell'imposta comunale sugli immobili prima della determinazione formale dell'indennità nei modi stabiliti dall'art. 20, comma 3, e dall'art. 22, comma 1, qualora il valore dichiarato risulti contrastante con la normativa vigente ed inferiore all'indennità di espropriazione come determinata in base ai commi precedenti".

"Se per il bene negli ultimi cinque anni è stata pagata dall'espropriato o dal suo dante causa un'imposta in misura maggiore dell'imposta da pagare sull'indennità, la differenza è corrisposta dall'espropriante all'espropriato".

Si tratta di disposizione evidentemente riferibile alle sole aree edificabili, la cui indennità va commisurata al valore indicato nell'ultima dichiarazione o denuncia presentata, qualora il valore dichiarato risulti inferiore all'indennità di espropriazione.

A questo proposito, e per un completo "quadro" dei principi normativi di riferimento, non è superfluo ricordare che presupposto per l'applicazione dell'ICI è l'edificabilità dell'area, intesa peraltro non già come sua idoneità a produrre reddito, ma come elemento che incide sul valore dell'immobile ai soli fini della base imponibile.

Al riguardo, va ricordato che l'edificabilità di un'area, ai fini dell'applicazione del criterio di determinazione della base imponibile fondato sul valore venale, si desume dalla qualificazione ad essa attribuita dal piano regolatore generale adottato dal Comune, indipendentemente dall'approvazione dello stesso da parte della Regione e dall'adozione di strumenti urbanistici attuativi. [24]

Ciò posto, deve, peraltro, rilevarsi che, in tema di ICI, l'art. 1 D.Lgs. 504/1992, in nessun modo ricollega il presupposto dell'imposta all'idoneità del bene a produrre reddito o alla sua attitudine ad incrementare il proprio valore o il reddito prodotto, giacché, ai sensi del successivo art. 5, il valore dell'immobile assume rilievo ai soli fini della determinazione della base imponibile e, quindi, della concreta misura dell'imposta. Ne consegue che deve escludersi che un'area edificabile, assoggettata a vincolo urbanistico che la destini all’espropriazione, sia, per ciò stesso, esente dall'imposta [25].

A parte qualche problema procedurale [26] il punto di maggiore perplessità era costituito dal caso in cui una denuncia o una dichiarazione ai fini ICI non esistesse, poiché risultava evidente la disparità di trattamento tra chi la denuncia l'avesse effettuata, anche se non veritiera, e chi invece non l'avesse mai fatta.

Sul punto è intervenuta la Corte Costituzionale, chiarendo che "le varie ipotesi di evasione totale o parziale formulate nelle ordinanze di rimessione sono tutte erronee nei presupposti: infatti, l'evasore totale non viene affatto avvantaggiato, in quanto è destinato a subire in ogni caso le sanzioni per la omessa dichiarazione, nonché l'imposizione per l'ICI che aveva tentato di evadere; inoltre, la erogazione dell'indennità di espropriazione non può intervenire, se non dopo la verifica che non superi il tetto massimo ragguagliato al «valore» denunciato per l'ICI, e, quindi, solo dopo la presentazione della denuncia ICI e la conseguente regolarizzazione della posizione tributaria, con concreto avvio del recupero dell'imposta e delle sanzioni. Il che presuppone in ogni caso che si tratti di area fabbricabile (tale al momento della dichiarazione) e che il soggetto espropriato fosse, alla data di riferimento dell'indennità, tenuto all'ICI.

L'evasore parziale resta soggetto alle stesse conseguenze per il minor valore dichiarato, potendo il Comune - ove nei termini e sempre nel presupposto che l'ICI sia dovuta - procedere ad accertamento una volta richiesto dei dati necessari ai fini del calcolo definitivo dell'indennità di esproprio [27]".

In tal senso, dunque, è stato definitivamente chiarito che "non è consentita una interpretazione additiva della norma, pur da taluni suggerita, nel senso di calcolarsi l'indennizzo sulla base del valore agricolo in caso di mancanza di dichiarazione ICI [28]. In realtà, come la giurisprudenza ha osservato, la finalità della norma è quella di introdurre un elemento dissuasivo "non dell'evasione totale (ritenendo al riguardo sufficienti gli strumenti di controllo, di accertamento e sanzionatori di cui dispone l'amministrazione finanziaria), bensì dell'elusione, che si manifesta col dichiarare valori per le aree edificabili di gran lunga inferiori a quelli collegati al valore venale, ancorché sottoposto al meccanismo correttivo" di cui alle norme in quel momento vigenti [29].

Sul punto ha avuto modo di soffermarsi anche la più recente giurisprudenza.

Le norme che prevedono la parametrazione dell'indennità al valore dichiarato ai fini ICI, infatti, rispondono all'esigenza di stimolare denunce veritiere per l'applicazione di detta imposta comunale, oltre che di apportare un logico coordinamento fra vicende pubblicistiche attinenti al medesimo immobile, esse appunto prevedono, per le aree edificabili, che l'indennità di espropriazione , determinata secondo i criteri stabiliti dalle disposizioni vigenti, sia ridotta all'eventuale minore importo indicato come valore del bene nell'ultima dichiarazione presentata dall'espropriato per quell'imposta. Il correttivo si traduce in una diminuzione del quantum dell' indennità altrimenti dovuta per effetto di una circostanza esterna al rapporto espropriativo e inerente al distinto rapporto tributario. Il carattere esterno di tale circostanza e la sua influenza come fatto impeditivo della liquidazione dell'intera somma che spetterebbe sulla scorta delle regole espropriative evidenziano che la norma non pone un criterio integrativo di quelli legali sulla determinazione dell' indennità , di cui il Giudice debba tenere conto d'ufficio, e implicano, in difetto di deroga alle comuni regole dispositive del processo civile ed ai canoni generali sulla prova, l'onere dell'espropriante di fare valere la situazione a lui favorevole mediante eccezione da formularsi nei modi e nei tempi all'uopo prescritti, nonchè l'onere di offrire la relativa dimostrazione. Non può farsi carico all'espropriato di produrre la predetta ultima denuncia, e tanto meno al Giudice di assumere al riguardo iniziative sostitutive o suppletive, sotto il profilo che la sua presentazione sarebbe quasi una condizione dell'azione di riconoscimento e liquidazione giudiziale dell' indennità espropriativa. Una previsione in tal senso, che sanzionerebbe l'omissione della denuncia fiscale con la perdita della tutela giudiziale del diritto all' indennità espropriativa, e dunque con una decadenza, difetta nella disciplina dell' espropriazione , e difetta anche nella disciplina dell'imposta comunale sugli immobili, la quale peraltro contempla per quell'omissione pene tali da superare largamente il lucro in ipotesi conseguibile dall'evasore totale (in caso di espropriazione )".

Sulla stessa scia si è posta la Corte costituzionale con la già ricordata sentenza n. 351 del 2000, che, nel respingere i dubbi di legittimità della norma per disparità di trattamento tra espropriati "evasori totali" ed espropriati "evasori parziali" dell'ICI, ha osservato che la erogazione dell' indennità di espropriazione non può intervenire, se non dopo che sia stata effettuata la verifica che essa non superi il tetto massimo ragguagliato al valore denunciato per l'ICI e, quindi, solo dopo la presentazione della denuncia e la conseguente regolarizzazione della posizione tributaria, con concreto avvio del recupero dell'imposta e delle sanzioni.

L'espropriato ha, dunque, il diritto di conseguire la determinazione giudiziale dell' indennità di esproprio, secondo il modello procedimentale previsto in materia e sulla base dei criteri dettati dalla normativa vigente. Modulo procedimentale che non si configura quale impugnazione del provvedimento ablatorio limitato al controllo della determinazione amministrativa dell' indennità , ma introduce un giudizio di accertamento della giusta indennità, pienamente autonomo, nel quale il Giudice deve procedere alla concreta determinazione della stessa con tutti i suoi poteri di indagine, alla stregua di criteri legali effettivamente vigenti e riconosciuti applicabili alla fattispecie.

Anche chi ritiene che in realtà il fine perseguito dal legislatore, con le ricordate norme di coordinamento tra indennità e dichiarazione di valore ai fini ICI fosse non solo quello di incentivare fedeli dichiarazioni, ma anche quello di realizzazione una tendenziale armonizzazione dei valori delle aree edificabili ai fini tributari e a quelli espropriativi, ha dovuto riconoscere che è comunque doveroso il necessario bilanciamento tra gli opposti valori costituzionali che vengono messi in gioco nel nostro caso, e cioè il dovere di concorrere alla spese pubblica (art. 53 Cost.) e il diritto del proprietario al giusto indennizzo (art. 42 Cost.).

Da qui la definitiva conseguenza che l'evasore totale non perde il suo diritto all'indennizzo espropriativo [30], ma unicamente è "destinato a subire le sanzioni per la omessa dichiarazione e l'imposizione per l'I.C.I. che aveva tentato di evadere", potendo l'erogazione della indennità di espropriazione "intervenire solo dopo la verifica che essa non superi il tetto massimo ragguagliato al valore accertato per l'I.C.I., ed a seguito della regolarizzazione della posizione tributaria con concreto avvio del recupero dell'imposta e delle sanzioni".

Non diversamente, l'evasore parziale resta soggetto alle stesse conseguenze per il minor valore dichiarato, potendo quindi il Comune procedere ad accertamento del maggiore valore dei fondo agli effetti tributari e sulla base di questo commisurare consequenzialmente, in via definitiva, l'indennità espropriativa e non già liquidarla in misura irrisoria, con ancoraggio alla dichiarazione infedele.

Nella quale seconda evenienza, in particolare, va da sè che il previo recupero del tributo ICI, parzialmente evaso, possa avvenire, agli effetti indicati, oltre che per accertamento da parte dell'Amministrazione, anche a seguito di rettifica, in termini, da parte dello stesso proprietario [31].

4) L'ulteriore aspetto di rilevanza fiscale, cui abbiamo peraltro già accennato, è quello conseguente all'entrata in vigore dell'art. 11 della legge n. 413/1991 [32], e, oggi, alla disposizione di cui all'art. 35 del T.U. sulle espropriazioni.

Come detto, nel regime attuale confluisce la normativa previgente la quale, però, a differenza del citato art. 35 del T.U. espropriazioni, prevedeva un effetto retroattivo nel senso di essere applicabile anche alle somme percepite in conseguenza ad atti o a provvedimenti emessi anche dal 31.12.1988 e sino all'1.2.1992: data di entrata in vigore della legge n. 413/1991. Tale retroattività, che pare ora essere venuta meno, essendo essa stata abrogata ex art. 58, comma 1, del T.U. espropriazioni, con conseguente venir meno, a decorrere dall'abrogazione, dell'effetto retroattivo di cui stiamo trattando.

La norma conferma come applicabile l'art. 81, comma 1, lett. b, ultima parte, del D.P.R. n. 917 del 22.12.1986, qualora sia corrisposta, a chi non eserciti una impresa commerciale, una somma a titolo di indennità di esproprio, ovvero di corrispettivo di cessione volontaria, o di risarcimento del danno per acquisizione coattiva di un terreno ove sia stata realizzata un'opera pubblica, all'interno delle zone A, B, C, e D come definito dagli strumenti urbanistici.

Si tratta di disposizione applicabile unicamente all'esproprio di aree edificabili [33], e comporta che il pagamento dell'indennità, o anche il versamento di somme a titolo risarcitorio, conseguente all'ablazione (legittima o illegittima) del bene per causa di pubblica interesse, è soggetto ad una ritenuta, a titolo di imposta, pari al 20%.

A fronte di una tale previsione normativa, non si può che restare più che perplessi, tanto più nella considerazione che essa è stata emanata allorquando i valori indennitari erano assai lontani dai valori reali, e per ciò soggetti alle censure della Corte Costituzionale.

Come si può ritenere ammissibile un prelievo fiscale su indennità riconosciute tanto insufficienti, da essere dichiarate costituzionalmente illegittime? E come possono convincere le argomentazioni che si possono leggere nella relazione ministeriale di accompagnamento secondo cui "tali disposizioni, trovano giustificazione anche nella nuova configurazione che la giurisprudenza della Corte costituzionale ha dato all'indennità di espropriazione, divenuta un serio ristoro per il proprietario del bene espropriato, hanno la finalità di recuperare a tassazione somme che hanno consentito ai soggetti espropriati un realizzo prossimo al valore di mercato per terreni i cui prezzi, peraltro, sono lievitati in virtù non di un'attività produttiva del proprietario possessore, ma per l'avvenuta destinazione edificatoria in sede di pianificazione urbanistica" dato che è evidente che si fondavano solo su affermazioni teoriche, relative a un favorevole regime normativo che è durato solo pochi mesi, a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 5 bis del decreto legge n. 333 del 1992, nient'affatto tradotte in concreti dettati normativi, fino al gennaio 2008?

"All'anomalia logica dell'assoggettamento ad imposizione tributaria di somme corrisposte a titolo riparatorio - ossia, nella prospettiva di lenire, nella misura del socialmente possibile, il pregiudizio inferto al proprietario per via dell'intervento del titolo ablatorio - si ovviava sulla scorta del rilievo, di stampo squisitamente economico, che, comunque, a seguito delle tormentate vicende normativo-giurisprudenziali in materia, il quadro legislativo all'epoca vigente prevedeva, in tema di aree edificabili, un ristoro patrimoniale, per così dire, di particolare serietà, in quanto coincidente con il valore di mercato del terreno. Tale osservazione dava, infatti, corpo all'esigenza di recuperare a tassazione somme atte a consentire all'espropriato un risultato patrimoniale non dissimile da quello conseguibile in ipotesi di alienazione del bene in regime di libera contrattazione" [34]. Ma si tratta di considerazioni prive di senso relativamente al regime vigente dal 1992 al 2008, a tenore del quale l'indennità che come ricordato risultava pari a circa il 35% del valore venale, era poi ulteriormente assoggettata a ritenuta fiscale del 20%, per effetto delle norme in esame.

Al di là di facili ironie sulla tassazione di una indennità pari al 35% del valore del bene [35] alcune considerazioni sarebbero da svolgere in ordine alla retroattività del sistema precedente alla entrata in vigore del T.U. espropriazioni: l'intervenuta abrogazione della norma ne evidenzia sia la valenza "storica" sia comunque la sua applicabilità attuale, in relazione a procedimenti tutt'ora pendenti.

Certo è che il nono comma dell'art. 11 della legge n. 413/1991, prevedeva che tali norme si applicassero a) per provvedimenti emessi successivamente al 31.12.1988; b) per somme corrisposte dopo l'1.1.1992, data di entrata in vigore della Legge n. 413/1991.

In altri termini la retroattività della norma andava a mio parere riferita al provvedimento con cui era stata pronunciata l'espropriazione per cui l'art. 11, 7° comma, della Legge citata si applica soltanto ai provvedimenti posteriori al 31.12.1988, risultando del tutto irrilevante che il momento in cui è intervenuto il pagamento dell'indennità avvenga successivamente [36].

Si trattava di applicare una norma eccezionale, e dunque di stretta applicazione e interpretazione, e nei confronti della quale, in quanto norma di carattere tributario, non è neppure attribuibile carattere retroattivo [37].

L'assunto è stato condiviso anche dalla Commissione Tributaria Regionale di Bologna, Sez. 1, n. 43 del 27.3.2002, secondo la quale: "il presupposto impositivo relativo alle tre ipotesi di plusvalenza indicate dall'art. 11 comma 5, della Legge n. 413 del 1991 non può identificarsi nella pura e semplice percezione del denaro corrispondente all'incremento del valore integrante la plusvalenza; al contrario deve ravvisarsi nella verificazione del trasferimento del bene a cui la plusvalenza si ricollega e tale trasferimento di verifica nella emissione del decreto di esproprio (con riferimento alla plusvalenza conseguente alla percezione della indennità di esproprio) o alla conclusione della cessione volontaria nel corso del procedimento espropriativo (con riferimento alla plusvalenza conseguente a detta cessione) oppure nel prodursi della c. d. occupazione acquisitiva (con riferimento alla plusvalenza derivante dalla acquisizione coattiva conseguente ad occupazione di urgente divenuta illegittima).

Tutto ciò comporta che tanto la norma dell'art. 11 comma 5 (con riguardo alle plusvalenze percepite dopo il 1 gennaio 1991, data di entrata in vigore della Legge n. 413 del 1991) quanto la norma dell'art. 11 comma 9 della stessa Legge (che assoggetta - retroattivamente - ad imposizione le plusvalenze di cui alle ipotesi indicate nel comma 5 della norma, con riferimento a somme percepite in conseguenza di atti anche volontari - formula nella quale può farsi rientrate l'occupazione acquisitiva, fondandosi essa su di un "atto", sia pure illecito della P.A. - o provvedimenti emessi successivamente al 31.12.1991, purché la percezione sia avvenuta in tale lasso di tempo), debbono ritenersi applicabili soltanto a condizione che siano intervenuti in epoca successiva al 31.12.1988 gli atti integranti il trasferimento cui consegue la plusvalenza, cioè, rispettivamente il decreto di esproprio, la cessione volontaria o l'occupazione acquisitiva, mentre non possono ritenersi applicabili ove detti atti siano intervenuti prima del 31.12.1988, restando così in questo caso la plusvalenza non imponibile.".

A diversamente ritenere si concreterebbe, tra l'altro, una palese violazione dell'art. 30 delle legge n. 212 del 27.7.2000, che sancisce, con norma di principio inderogabile, l'irretroattività delle norme tributarie.

Ulteriore considerazione è invece riferibile al profilo oggettivo del regime di cui alla legge n. 413/1991, secondo la quale la ritenuta a titolo di imposta nella misura del 20% era prevista, dai commi 5 e 7 dell'art. 11, esclusivamente in rapporto a espropriazioni legittime, cessioni volontarie nell'ambito di procedimenti espropriativi ed acquisizioni coattive per occupazione d'urgenza divenuta illegittime.

Ne resta dunque esclusa l'"occupazione usurpativa", conseguente all'annullamento o all'inesistenza della dichiarazione di pubblica utilità [38].

Come abbiamo ricordato, la giurisprudenza ha ormai da anni consolidato la distinzione tra occupazione acquisitiva, che si verifica quando siano scaduti i termini per l'esproprio ma rimanga una valida dichiarazione di pubblica utilità, ed occupazione usurpativa conseguente all'annullamento o all'inesistenza della dichiarazione di pubblica utilità [39].

Pertanto il prelievo previsto dalla norma sui risarcimenti dovuti per effetto di acquisizione coattiva, in un quadro di pubblica utilità, non può essere esteso alla diversa fattispecie di occupazione usurpativa, cioè carente di una valida dichiarazione di pubblica utilità.

In quest'ultima ipotesi, secondo la giurisprudenza appena citata, l'espropriato avrebbe diritto alla restituzione dell'area [40] e quindi l'eventuale risarcimento rappresenta solo una misura patrimoniale alternativa, che non implica percepimento di una plusvalenza appunto perché semplicemente sostitutivo della restituzione in proprietà dei terreni.

Ne consegue, con tutta evidenza, che tale pagamento non è soggetto a prelievo fiscale, perché non costituisce plusvalenza [41].

Da ultimo, non ci pare fuori di luogo osservare che la circostanza che la Corte Europea abbia messo in luce come l’indennità di esproprio “italiana”, ulteriormente ridotta dall’applicazione della ritenuta fiscale del 20%, sia contraria alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, assume oggi ancor più rilevanza alla luce della recente sentenza della Corte Costituzionale del 24 ottobre 2007 n. 348.

Alla luce di tale pronuncia, vale dunque la pena chiedersi se la norma di cui alla Legge 413/1991 (in relazione alle ritenute operate in sua applicazione) e prevedente la ritenuta fiscale del 20% non sia anch’essa da censurare in quanto costituzionalmente illegittima [42], in relazione a indennità inferiori al valore venale del bene.

Come abbiamo ricordato la legge finanziaria 2008 (L. 24.12.2007 n. 244) all’art. 2 comma 89 ha previsto nuovi criteri per la determinazione dell’indennità di espropriazione di un’area edificabile stabilendo che l’indennità “è determinata nella misura pari al valore venale del bene”. Salvo quando l’espropriazione sia finalizzata ad attuare interventi di riforma economico-sociale: nel qual caso “l’indennità è ridotta del 25 per cento”.

Oggi dunque, il sistema pare "riportato ad equità" nelle ipotesi di cui alla prima parte della disposizione, in quanto relativo ad indennità pari al valore venale del bene di talchè il prelievo fiscale appare giustificabile: sempre a patto però che sia rinvenibile una plusvalenza, cioè un incremento del valore di scambio di un bene fra il momento in cui esso entra nel patrimonio di un soggetto e quello in cui ne esce, mentre invece non è assoggettabile a tassazione fino a quando essa non viene realizzata.

L’art. 81 comma 1 lett b) del D.P.R. n. 917/86 nel cui ambito di applicazione rientrano anche le ipotesi di cui si tratta stabilisce infatti che costituiscono “redditi diversi” le plusvalenze “realizzate mediante cessioni a titolo oneroso”. Da tale disposizione si ricava quindi che la realizzazione della plusvalenza richiede un atto di trasferimento della proprietà a titolo oneroso, in altre parole la realizzazione della plusvalenza è “conseguenza” di detto “trasferimento”.

Ciò comporta, ulteriormente, che [43], senza trasferimento non si ha realizzazione della plusvalenza e, quindi non esiste reddito tassabile così come non si ha plusvalenza allorquando le somme vengono corrisposte a mero titolo risarcitorio.

Dunque “la plusvalenza realizzata richiede perché venga ad esistenza il concorso dei seguenti elementi: 1) un incremento del valore di scambio di un bene fra il momento in cui entra nel patrimonio di un soggetto e quello in cui ne esce (incremento di valore in cui si sostanzia la plusvalenza); 2) un atto di cessione del bene a titolo oneroso; 3) il pagamento di un corrispettivo superiore al prezzo di acquisto (che fa emergere la plusvalenza e ne costituisce realizzazione).”[44]

In tal senso, dunque, deve essere a nostro avviso oggi interpretato l'art. 35 del T.U. espropriazioni, laddove disciplina la ritenuta a titolo di imposta, sulle somme corrisposte a titolo indennitario o risarcitorio.


 

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[1] Basti ricordare che è dalla legge 10 del 18.2.1977 che si tenta di dare un coordinato assetto al c.d. "regime dei suoli", o meglio, al regime delle proprietà fondiaria, senza riuscirvi, e senza riuscire a porre rimedio alla disparità di trattamento irrimediabilmente connessa con la attività di pianificazione urbanistica, a coniugare le risorse economiche disponibili con la liquidazione di un "giusto indennizzo" ex art. 42 Costituzione, e a dare un'adeguata risposta agli "abusi" perpetrati dalla Pubblica amministrazione in sede di acquisizione delle aree.

[2] La norma perseguiva l'intento di liquidare un importo più favorevole all'espropriato, visto il ridotto valore di mercato degli immobili e l'alto importo degli affitti dell'epoca: il progressivo diminuire della rendita catastale ha poi fatto sì che il criterio si trasformasse in riconoscimento di valori significativamente inferiori a quello di mercato.

[3] Da ultimo con l'art. Unico della L. 23.12.1982 n. 943.

[4]  Quali e quante distorsioni abbia creato questo "vuoto" durato nove anni, è facile comprendere, solo che si pensi ai giudizi di opposizione, alle indennità in corso di liquidazione al momento della pronuncia della Corte, agli espropri medio-tempore dichiarati sulla base di certi criteri indennitari, che si sono poi rivelati del tutti inadeguati, con buona pace di tutte le previsioni programmatiche, e così via.

[5]  Sentenza n. 283 dell'8.8.1992 secondo la quale il criterio indennitario era "congruo, nel contesto dell'attuale situazione economico-finanziaria del paese" (!)

[6] Sez. II, 11.1.2001 richiesta n. 38460/1997, M.ma Plata-kou contro Grecia.

[7] D.P.R. n. 327 dell'87.6.2001, art. 37.

[8] Sent. n. 348 del 24.10.2007.

[9] Il riferimento, è alla dichiarazione dei diritti dell'uomo e alla sentenza della Corte di Strasburgo del 29.3.2006 (peraltro preceduta dalla decisione della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, Sez. I, 29.7.2004): che fosse necessario scomodare tali principi, per pervenire a tale risultato, pare, a chi scrive, non condivisibile, ma forse necessario, per "superare" la precedente pronuncia n. 283 dell'8.8.1992.

[10] La stessa norma, prevede che nel caso di utilizzazione di un suolo edificabile per scopo di pubblica utilità in assenza di valido ed efficace provvedimento di esproprio alla data del 30.9.1996, il risarcimento del danno è liquidato in misura pari al valore venale del bene.

[11] Cass. SS.UU. sent. n. 1464 del 1983.

[12] Cass. SS.UU. 3940 del 10.6.1988; id. n. 12546 del 25.11.1992.

[13] N. 458 del 27.10.1988.

[14] Per effetto dell'interpretazione estensiva datane dalla Corte Costituzionale con sentenza an. 486 del 27.12.1991.

[15] Art. 3, comma 65, della legge n. 662 del 23.12.1996: non senza aver tentato, prima, di estendere tout court i criteri di determinazione dell'indennizzo, al risarcimento del danno, con l'art. 1, comma 65 della legge n. 549 del 28.12.1995, come prevedibile abrogato dalla Corte Costituzionale: sent. 2.11.1996 n. 369.

[16]  Criterio ritenuto legittimo dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 148 del 30.4.1999, nella considerazione della eccezionalità della fattispecie considerata e dalle temporaneità delle norme.

[17]  Sent. n. 5902 del 14.4.2003.

[18] Tra le altre, Cass. 4451 del 28.3.2001; 1266 del 30.1.2001; 1814 del 18.2.2000; 148 del 10.1.1998; Sezioni Unite, 1907 del 4.3.1997.

[19] Per il principio, Cass., Sezioni Unite, 3940 del 10.6.1988.

[20] Nella sua stesura originaria, prima che intervenisse la modifica al precedente art. 37 di cui alla legge n. 244/2007.

[21] Sul punto vedi De Paolis e Pallottino: Commentario al T.U. sull'espropriazione per pubblica utilità, Maggioli, 2003, pag. 320 e seg.

[22] Basti pensare alla difficoltà di definire gli interventi finalizzati alla realizzazione di riforme economiche-sociali. In proposito, Pietro Virga: Luci e ombre nel nuovo testo unico sulle espropriazioni, www.lexitalia.it; Giovanni Virga: I nuovi criteri per la determinazione dell'indennità di esproprio previsti dalla legge finanziaria 2008, www.lexitalia.it, n. 12/2007; Sui criteri da applicarsi medio-tempore: Cass., sez. I, 14.1.2008 n. 599; sulla determinazione del risarcimento: Cass., Sez. I, 31.3.2008 n. 8384.

[23] Poi trasposta nei commi 7 e 8 dell'art. 37 del D.L.vo n. 327/2001, modificato dall'art. 1 del D.L.vo 27.12.2002 n. 302.

[24] Cass. SS.UU. 25506 del 30.11.2006.

[25] Cass. 19750 del 4.10.2004; per analoghe considerazioni in tema nozione di edificabilità in materia di imposta di registro: v. Cass. 7676 del 25.5.2002. Cass., Sez. Tributaria, sent. 12.9.2007, n. 19131.

[26] In parte risolto dal nuovo testo, ad esempio, per quanto riguarda il momento in cui il raffronto deve essere operato.

[27] Sent. 25.7.2000 n. 351. Mi pare però che il ragionamento non tenga conto del più che probabile intervenuto decorso dei termini decadenziali o prescrizionali, al momento dell'esproprio, rispetto alla riscossione dell'imposta, o, quanto meno, al recupero di ratei arretrati.

[28] Cass., Sez. I, 17.1.2002, n. 434; Cass., Sez. I, 22.4.2000, n. 5283.

[29]  Così Cass., Sez. I, n. 434 del 2002 cit.

[30] Come reiteratamente affermato già dalla Corte di Cassazione: cfr., da ultimo, sent. n. 24509 del 17.11.2006.

[31] Cass., Sez. I, 3.1.2008 n. 19.

[32] Che modificava l'art. 81, comma 1, lett. f, del D.P.R. 22.12.1986 n. 917,poi modificato dall'art. 2, comma 15, della legge 27.12.1997 n. 449.

[33] V. Bellini: Indennità di esproprio di terreni edificabili, in Comm. Trib., 1992, 1569; Vincenti: Tassazione sull'indennità di espropriazione, Dir. Giur. Agr., 1992 n. 592.

[34] Così Caringella, De Marzo, De Nictolis, Maruotti: L'espropriazione per pubblica utilità, Milano 2002.

[35]  E sulle argomentazioni espresse dalla Corte Costituzionale per "salvare" una norma francamente ingiustificabile: sent. n. 100 del 3.4.1996; n. 533 del 29.12.1995; n, 315 del 20.7.1994.

[36] In tal senso Cons. stato, Sez. VI, sent. n. 447 del 18.6.1993, nonché C.T. Primo Grado Benevento, Sez. III, doc. n. 226 del 4.8.1993; C.T. Primo Grado Forlì, Sez. II, doc. n. 66 del 31.5.1995; Sent. C.T.P. Forlì, Sez. I, n. 328 del 6.5.1997, in termini Comm. Trib. Prov. di Forlì, Sez. 1, sent. n. 260 del 4.6.1988. La bontà della tesi  su esposta trova ulteriore conferma nel fatto che, nella ipotesi in cui, in diverse procedure espropriative, i decreti di esproprio siano stati pronunciati nella medesima data oppure vi siano occupazioni acquisitive verificatesi nello stesso momento, consente di escludere che le plusvalenze realizzate siano o meno assoggettate ad imposizione in dipendenza della maggiore o minore durata della procedura di liquidazione della indennità di espropriazione o del risarcimento del danno a causa delle più varie vicende – tra le quali la maggiore  o minore sollecitudine della Pubblica Amministrazione nel compimento degli adempimenti dovuti o dall’autorità giudiziaria chiamata a risolvere le relative contestazioni, quindi di escludere una situazione di irragionevolezza della disciplina legislativa, che, come giustamente osservato da autorevole dottrina, porrebbe la norma in aperto contrasto con l’art. 3 della Costituzione.”. La riscossione del corrispettivo (o meglio della somma di denaro corrispondente all’incremento di valore) non costituisce pertanto “il presupposto impositivo”, ma soltanto l’elemento che completa la fattispecie impositiva; infatti una determinata somma di denaro può qualificarsi realizzazione di una plusvalenza soltanto nel collegamento con altri elementi, che avremo modo di specificare più avanti.

[37]  Per il principio, v. art. 3 L. 212 del 27.7.2000.

[38] Tra le tante, Cass. 16.7.1997 n. 6515.

[39] Tra le tante Cass. 16.7.1997 n. 6515; Foro It. 1997, I, 3592; Cass. 26.8.1997 n. 6515, Foro It. Rep. 1997, voce Espropriazione per p.i., n. 327; Cass. 10.1.1998 n. 148, ivi Rep. 1998, voce cit., n. 464; Cass. 17.6.1999 n. 5982 e 10.7.1999 n. 7268, Foro It., Mass. 746 e 838; Cass. 15.1.2000 n. 415 e 18.1.2000 n. 479, ivi Mass. 35 e 42.

[40] Cons. stato, Ad. plen., n. 2 del 29.4.2005.

[41] L'assunto è stato condiviso da Comm. Trib. Prov. Bologna, sent. 39 del 14.4.2008.

[42]  Ci stiamo riferendo alla sua applicazione alla fattispecie concretatasi prima dell'entrata in vigore del comma 89 dell'art. 2 della legge 244/2007.

[43] Corte di Cassazione Sent. 29.12.1999 n. 14673.

[44] Cass. n. 14673 del 29.12.1999 cit.


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