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Articoli e note

n. 4/2005 - © copyright

LUIGI D'ANGELO*

L’improduttività di effetti del provvedimento amministrativo nullo

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Il provvedimento amministrativo nullo, come contemplato dalla L. n. 15/2005, appare caratterizzato dalla improduttività di qualsivoglia effetto giuridico.

Ciò pare desumersi dalla circostanza che l’art. 21 nonies, prevedendo l’annullamento d’ufficio dei soli provvedimenti affetti da vizi incompetenza, violazione di legge ed eccesso di potere - con esclusione, dunque, dei “vizi da nullità” - implicitamente parrebbe avallare l’assunto per cui soltanto la prima tipologia di invalidità non andrebbe ad incidere, elidendola, sull’efficacia, esecutività ed esecutorietà dell’atto emanato (come d’altronde pacificamente ammesso), a differenza, pertanto, della seconda e più grave patologia provvedimentale che, invece, precluderebbe l’esplicazione di effetti giuridici.

Il fatto che non sia stato previsto espressamente un potere di annullamento della P.A. nei confronti di provvedimenti nulli, significherebbe, verosimilmente, che la nullità, come intesa dal legislatore del 2005, renderebbe inidoneo il provvedimento amministrativo a fungere da intermediario tra la norma attributiva del potere, laddove sia individuabile, e l’effetto giuridico conseguibile dal suo esercizio, con il risultato di una “immodificazione” della altrui sfera giuridica, con conseguente non necessità (e configurabilità) di interventi di secondo grado.

Di qui, l’impossibilità di predicare meccanismi di “affievolimento” o “degradazione” delle situazioni giuridiche soggettive “intercettate” da provvedimenti nulli.

Mentre, tuttavia, i primi due casi codificati di nullità appaiono riconducibili a ipotesi di inesistenza provvedimentale, il terzo (violazione/elusione del giudicato) sembra configurare una ipotesi autentica di nullità/qualificazione negativa.

Non pare potersi parlare, quindi, almeno con riferimento alle prime due ipotesi (a differenza della terza), di cause di invalidità che operano di diritto, nel senso che l’atto venuto in luce divenga comunque oggetto di una qualificazione negativa da parte dell’ordinamento e che andrebbe altresì scrutinato dall’organo giurisdizionale in quanto “titolo presuntivamente valido” [1].

Si è alla presenza, infatti, di casi di inqualificazione che, a ben vedere, sollevano il cittadino dall’onere di azioni giurisdizionali. Dovendosi, infatti, essere portatori di un interesse per la proposizione dell’azione di nullità (art. 1421 cc), non si vede come il giudice adito, alla luce di un mancato esercizio di potere amministrativo e dunque in considerazione della inqualificabilità di un provvedimento come autoritativo rectia incidente sull’altrui sfera giuridica, possa ritenere sussistente un interesse in capo all’autore della domanda giudiziale.

Quest’ultima, dovrebbe essere rigettata per carenza di interesse ex art. 100 cpc. poiché “la legittimazione generale all'azione di nullità prevista dallo art.. 1421 cc … non esime il soggetto che propone detta azione dal provare, in concreto, la sussistenza di un proprio interesse ad agire, secondo le norme generali e con riferimento all'art.. 100 cpc, attraverso la dimostrazione della necessità di ricorrere al giudice per evitare una lesione attuale del proprio diritto ed il conseguente danno alla propria sfera giuridica [2].

Ma, se il provvedimento amministrativo invalido non appare degno nemmeno di qualificazione giuridica negativa, poiché tamquam non esset e dunque non costituente “titolo presuntivamente valido”, l’organo giurisdizionale, in tal caso, non potrebbe che rilevare una carenza di interesse all’azione.

Il difetto assoluto di attribuzione (di potere) in capo alla PA procedente, sembrerebbe indicare, infatti, l’assenza di una previa norma. E’ qui violato il principio di legalità dell’azione amministrativa. Il termine “assoluto”, inserito nella nuova disposizione legislativa in commento, non può che paventare l’ipotesi della mancanza in astratto del potere (carenza di potere in astratto). Potrebbe addirittura essere prospettata, sussistendone i requisiti soggettivi, la fattispecie di usurpazione di pubbliche funzioni (347 cp). I casi di carenza di potere in concreto, andrebbero ricondotti invece ad ipotesi di illegittimità per violazione di legge.

Diversamente, nel caso di assenza di elementi strutturali dell’atto, la previa norma è rinvenibile, il procedimento avviato è idoneo a diluire il potere in provvedimento, ma quest’ultimo, qualora emesso, non è in grado di essere configurato tale, sorgono dubbi, cioè, sulla stessa esistenza della conclusione dell’iter procedimentale. Il procedimento legittimamente avviato non giunge a termine, manca il cosiddetto provvedimento espresso. Ma allora, l’ipotesi è riconducibile ad un caso di silenzio che consente l’attivazione del ricorso ex art. 2, comma 4 bis, entro il termine massimo ivi previsto, decorso il quale, senza che sia stato proposto il ricorso, l’inesistenza “perdura”, salvo l’adozione tardiva dell’atto. In tal caso possibile, poiché, come detto, la PA procedente è comunque attributaria di un potere che, in assenza di contraria previsione, non conosce consumazione.

Nei casi codificati di nullità per elusione/violazione del giudicato, l’avanzata ipotesi dell’improduttività di effetti, sembrerebbe essere smentita, ciò, se non altro, per il fatto che il secondo comma dell’art. 21 septies prevede espressamente un intervento del giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva, relativamente a quella attività pubblicistica contrastante con il giudicato; dunque, parrebbe, che il vizio di nullità in questione, in quanto suscettibile di scrutinio da parte del GA, tra l’altro in sede di giurisdizione esclusiva, non impedisca al provvedimento amministrativo di incidere su situazioni giuridiche soggettive, anche di diversa natura (stante la natura della giurisdizione), con conseguente individuabilità di una produzione di effetti.

Ma così non è. L’atto amministrativo contrastante col giudicato, dato per scontato che si tratti di un atto non affetto da uno degli altri due “vizi” di nullità (difetto assoluto di attribuzione e mancanza degli elementi essenziali), essendo problematico ipotizzare una coesistenza tra i vari vizi, in realtà presenta proprie peculiarità. Trattasi di un provvedimento indubbiamente dotato di imperatività, il quale, tuttavia, contrastando con il precetto posto dall’autorità giurisdizionale, connotato da definitività, “regolamenta” (tenta di regolamentare), in spregio al principio superiore di divisione dei poteri dello Stato, una fattispecie già definita, appunto, dal potere giurisdizionale.

Il provvedimento amministrativo affetto dalla nullità in parola, è improduttivo di effetti in ragione della avvenuta cristallizzazione del precetto giurisdizionale, che non tollera, allora, nemmeno ad opera del potere amministrativo, invasioni di campo/sovrapposizione di poteri.

In tal caso, dunque, il provvedimento adottato dalla PA diviene oggetto di una qualificazione negativa da parte dell’ordinamento, nel senso che lo stesso è configurabile e riconosciuto come tale, essendo a monte individuabile l’esercizio di un potere attribuito alla PA da una apposita disposizione di legge, ma, tuttavia, nessun effetto giuridico allo stesso può imputarsi, trovando la fattispecie oggetto di (tentata) regolamentazione amministrativa, in altra fonte (altro potere dello Stato) la relativa disciplina giuridica.

Da ciò consegue che l’intervento del giudicante, in tal caso espressamente previsto dall’art. 21 septies, non potrà che avere, limitatamente a tali casi, valore accertativo/dichiarativo di effetti mai prodottisi; di qui, tra l’altro, l’opportunità della previsione della giurisdizione esclusiva, che probabilmente scongiura dubbi sulla configurabilità di decisioni di accertamento del GA (si tralascia il problema della sopravvivenza del giudizio di ottemperanza ex art. 2, n. 4, t.u. Cons. Stato, che potrebbe essere considerato cancellato a fronte della disposizione in commento).

Certo, l’esegesi non è agevole, ma il materiale normativo è quello che è.


 

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(*) Avvocato.

[1] L’espressione virgolettata è di BIANCA, Diritto Civile, Tomo 3°, ed. 1987, p. 589. L’A. precisa che, pur operando la nullità di diritto, “la sentenza si rende tuttavia necessaria per far valere la nullità se la fattispecie contrattuale si presenta come titolo presuntivamente valido”.

[2] Cass. civ, 9 marzo 1982, n. 1475, in Giur. it. 1982, I, 1, pag. 879.


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