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Articoli e note

n. 5/2006 - © copyright

LUIGI D’ANGELO

Art. 21 octies, L. n. 241/1990:
una “fattispecie esimente”

(note a margine di Cons. Stato, Sez. VI, sentenza 16 maggio 2006*)

La pronunzia che si annota offre interessanti spunti di riflessione sul meccanismo di “sanatoria” introdotto dall’art. 21 octies, L. n. 241/1990.

Il giudizio verteva sulla verifica della legittimità di un permesso di costruire rilasciato da un’amministrazione comunale alla TIM per l’installazione di una stazione radio base per la telefonia mobile.

Lamentavano i ricorrenti che il Comune non aveva provveduto ad attuare le prescrizioni di natura formale/procedimentale di cui all’art. 8, comma 3, della L.R. n. 30/2000, disposizione disciplinante il procedimento per il rilascio delle autorizzazioni per la realizzazione degli impianti fissi di telefonia mobile; in particolare, il Comune, nel pubblicizzare l’avvenuta presentazione dell’istanza della società di telefonia corredata da un programma di localizzazione degli apparati e dalla documentazione tecnica per la valutazione dei campi elettromagnetici, non aveva provveduto ad avvisare la cittadinanza – ex art. 8, comma 3, citato - della possibilità di presentare - entro un certo termine - osservazioni da parte dei titolari di interessi pubblici o privati nonché dei portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, cui poteva derivare un pregiudizio dall'installazione dell'impianto.

Mentre giudici di prime cure accoglievano il ricorso ritenendo il permesso di costruire rilasciato viziato per violazione di legge, il Consiglio di Stato, con la pronunzia de qua, ha riformato la statuizione ritenendo nella specie integrato non un vizio di illegittimità del provvedimento impugnato, bensì una mera irregolarità ovvero “un vizio formale minore .. operante ex ante ed in astratto” e tale non incidere sulla validità/legittimità dell’atto censurato.

Con l’ulteriore precisazione - che qui interessa più da vicino - secondo cui la mancata invalidità, in tal caso, “non è quindi determinata dall’applicazione dell’art. 21 octies della legge n. 241/90, introdotto dalla legge n. 15/2005…norma processuale applicabile anche ai procedimenti in corso o già definiti alla data di entrata in vigore della legge n. 15/05 che non degrada un vizio di legittimità a mera irregolarità, ma fa sì che un vizio, che resta vizio di legittimità, non comporti l’annullabilità dell’atto sulla base di valutazioni, attinenti al contenuto del provvedimento, effettuate ex post dal giudice (il provvedimento non poteva essere diverso)”: soggiungendosi che l’entrata in vigore del citato art. 21 octies non ha “inciso sulla categoria dell’irregolarità dell’atto amministrativo, come già definita da dottrina e giurisprudenza, e abbia invece codificato quelle tendenze già emerse in giurisprudenza mirate a valutare l’interesse a ricorrere, che viene negato ove il ricorrente non possa attendersi, dalla rinnovazione del procedimento, una decisione diversa da quella già adottata (sulla base dell’art. 21 octies il provvedimento non è annullabile non perché assoggettato ad un diverso regime di invalidità o irregolarità, ma perché la circostanza che il contenuto non possa essere diverso priva il ricorrente dell’interesse a coltivare un giudizio, da cui non potrebbe ricavare alcuna concreta utilità)”.

A ben vedere il postulato collegamento tra interesse a ricorrere ed art. 21 octies, L. n. 241/1990 non pare del tutto convincente.

Il Supremo Consesso, in sostanza, nel caso de quo ha richiamato il principio altre volte affermato e secondo il quale “nel processo amministrativo l'interesse a ricorrere è caratterizzato dalla presenza degli stessi requisiti che qualificano l'interesse ad agire di cui all'art. 100 c.p.c., vale a dire dalla prospettazione di una lesione concreta ed attuale della sfera giuridica del ricorrente e dall'effettiva utilità che potrebbe derivare a quest'ultimo dall'eventuale annullamento dell'atto impugnato, con la conseguenza che il ricorso è inammissibile per carenza di interesse in tutte le ipotesi in cui l'annullamento giurisdizionale di un atto amministrativo non sia in grado di arrecare alcun vantaggio all'interesse sostanziale del ricorrente [1].

In realtà, come precisato più volte dalla Cassazione, l'accertamento dell'interesse ex art. 100 c.p.c., inteso quale esigenza di provocare l'intervento degli organi giurisdizionali per conseguire la tutela di una situazione giuridica, deve compiersi con riguardo all'utilità del provvedimento giudiziale richiesto rispetto alla lesione denunziata, “prescindendo da ogni indagine sul merito della controversia e dal suo prevedibile esito [2].

Ora, appare evidente che se l’utilità del provvedimento giudiziale richiesto viene considerata quale “utilità in astratto”, “utilità giuridica”, per le azioni costitutive l’interesse ad agire è sempre in re ipsa: come chiarito da attenta dottrina [3], infatti, soltanto per le azioni di accertamento l’interesse ex art. 100 c.p.c. possiede un autonomo rilievo, mentre per le azioni costitutive nonché quelle di condanna, lo stesso coincide con l’interesse sostanziale di cui si lamenta la lesione e del quale si chiede tutela giurisdizionale. Già il Chiovenda affermava che “nel caso delle azioni costitutive il diritto non può attuarsi se non per mezzo del processo, cioè, che realizzazione del diritto sostanziale e azione coincidono, per cui non c'è niente che sia il diritto prima e al di fuori della sua realizzazione giurisdizionale [4].

Diversamente, considerandosi l’utilità quale concreto vantaggio derivante al ricorrente dall’annullamento, anche per le azioni costitutive l’interesse ex art. 100 c.p.c. viene ad assumere un rilievo autonomo, diverso dall’interesse alla modificazione giuridica derivante dall’annullamento del provvedimento, richiesta con la proposizione del ricorso al giudice amministrativo.

Ebbene, questo accertamento di “secondo stadio”, nel caso di operatività del meccanismo di sanatoria ex art. 21 octies, non può tuttavia prescindere anche da un esame “di merito”, tant’è, ad esempio, che soltanto dopo che la PA avrà assolto all’onere probatorio di cui alla citata disposizione (secondo periodo), il giudice potrà valutare se il contenuto del provvedimento impugnato avrebbe potuto o meno essere diverso da quello in concreto adottato.

In altri termini, sembra che l’aggancio dell’interesse a ricorrere - nelle azioni costitutive - alla concreta utilitas conseguibile dal ricorrente nel processo amministrativo, intanto possa essere sostenuta in quanto si conferisca all’interesse a ricorrere un rilievo autonomo e distinto dalla situazione sostanziale sottesa all’azione giurisdizionale (costitutiva). Ma ciò porta a concludere, contrariamente a quanto affermato da certa giurisprudenza della corte di legittimità, che necessiterà un accertamento non soltanto pregiudiziale, di rito, per la verifica della sussistenza di detto interesse, bensì un accertamento “di merito”.

Ma allora, non si tratta più di valutare l’esistenza o meno di un interesse a ricorrere, ciò poiché l’accertamento giudiziale di “secondo stadio” presuppone la sussistenza e la preventiva delibazione di quell’interesse.

A ben vedere, se davvero si vuole sostenere che l’art. 21 octies non degrada un vizio di legittimità a mera irregolarità, ma fa sì che un vizio, che resta vizio di legittimità, non comporti l’annullabilità dell’atto sulla base di valutazioni, attinenti al contenuto del provvedimento”, deve coerentemente concludersi che, in realtà, l’interesse all’annullamento – nel senso di utilità giuridica derivante dal processo - permane anche dopo la constatazione che il provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello adottato; e ciò proprio perché quel provvedimento continua, secondo l’impostazione della decisione in commento, ad essere viziato.

Invero, pare che ciò che determina il rigetto del ricorso nell’ipotesi di operatività dell’art. 21 octies, non è tanto la constatazione dell’inesistenza (sopravvenuta?) di un interesse a ricorrere – come sostenuto dalla decisione de qua -, quanto l’operare di una sorta di causa di esclusione dell’illegittimità provvedimentale che opera ab initio: il giudice amministrativo si limita ad accertare che l’atto impugnato è legittimo rectia non annullabile, stante l’operatività di una “fattispecie esimente”, quella, appunto, ex art. 21 octies.

Si potrà obiettare che, stante la poca determinatezza di detta fattispecie esimente, sarà rimessa alla fine al giudicante la valutazione dell’operatività o meno della stessa [5]; si evita così, però, di affermare una carenza di interesse ad agire a fronte di un provvedimento che, anche dopo una pronunzia giurisdizionale di rigetto del ricorso, resta affetto da illegittimità.

Se così non fosse, del resto, potrebbero porsi problemi afferenti alla tutela risarcitoria: se infatti il provvedimento non annullato ai sensi dell’art. 21 octies restasse comunque un provvedimento illegittimo, potrebbe sostenersi - aderendosi a quelle tesi che non ritengono necessario il previo annullamento dell’atto illegittimo per ottenere il risarcimento danni - che la perdurante illegittimità del provvedimento non annullato in sede giurisdizionale, possa comunque legittimare domande risarcitorie.

Anzi, potrebbe addirittura sostenersi, seguendosi la costruzione di cui alla decisione in commento, che l’annullamento dell’atto in sede giurisdizionale – dunque l’accertata illegittimità - sarebbe equivalente al non annullamento ai sensi dell’art. 21 octies - che presuppone l’accertamento di un illegittimità che però resta tale - con conseguente ammissibilità, quantomeno in via teorica, di azioni risarcitorie proponibili avanti al giudice amministrativo.

Di qui l’esigenza di costruire il meccanismo di sanatoria in parola quale “fattispecie esimente” che affranca ab initio il provvedimento amministrativo dalle violazioni vizianti contemplate dall’art. 21 octies.

 

[1] Cons. St., Sez. V, 6 ottobre 2003, n. 5899, in Giornale di diritto amministrativo, 2/2004, p. 159 ed in LexItalia.it, n. 10/2003, pag. http://www.lexitalia.it/p/cds/cds5_2003-5899.htm  

[2] Recentemente, Cass. civ., Sez. II, 29 settembre 2005, n. 19152; Cass. civ., Sez. II, 4 marzo 2002, n. 3060

[3] A. Nasi, voce “Interesse a ricorrere”, in Enc. Dir., XXII, 1972; similmente, A. Attardi, L’interesse ad agire, Padova, 1958.

[4] G. Chiovenda, Istituzioni di diritto processuale civile, 2^ Ed., I, Napoli, 1950, 178.

[5] Sullo “strumentario” a disposizione del giudice amministrativo, sia consentito rinviare a L. D’Angelo, L’art. 21 octies, comma 2, l. n. 241/1990: onere probatorio della P.A. ed eccesso di potere controfattuale, in  Lexitalia.it n. 7-8/2005.


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