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n. 2/2009 - © copyright

GIOVANNI DALLA PRIA

Restituzione degli oneri concessori e decorrenza degli
interessi legali nel diniego di sanatoria dell’illecito urbanistico

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Si intende affrontare la problematica relativa alla decorrenza degli interessi maturati dagli oneri di urbanizzazione anticipati per ottenere la sanatoria edilizia di cui all’art. 32, comma 26, L. 24 novembre 2003 n. 326, quando, all’esito degli adempimenti istruttori del caso, la sanatoria non può essere concessa e gli oneri vanno restituiti.

Ci si chiede, in concreto, se gli interessi legali, maturati da tali oneri, siano dovuti dalla data di presentazione dell’originaria istanza di condono (vale a dire dal momento del pagamento degli oneri di urbanizzazione coincidente con tale data) o dalla data di reiezione dell’istanza.

Si ritiene condivisibile la prima soluzione, alla stregua delle considerazioni che seguono.

Secondo i principi generali, la somma detenuta dall’Amministrazione a titolo di corresponsione degli oneri di urbanizzazione costituisce un indebito oggettivo ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2033 c.c. quando, non ricorrendo i presupposti della sanatoria, l’Amministrazione non ha titolo per conservarla.

La predetta norma stabilisce che l’autore del pagamento indebito ha diritto, unitamente alla ripetizione di esso, anche “agli interessi dal giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto era in mala fede, oppure, se questi era in buona fede, dal giorno della domanda”.

Nel caso che ci riguarda, il momento del pagamento ex art. 2033 c.c. coincide con l’istanza di condono edilizio cui è ascritta l’anticipazione degli oneri concessori; il momento della domanda coincide con la successiva istanza di restituzione di tali oneri

Tale istanza deve essere inoltrata con apposita domanda giudiziale secondo un orientamento restrittivo; secondo altra impostazione anche attraverso le semplice costituzione in mora dell’obbligato (1).

In ambito generale, la giurisprudenza ha stabilito che “per quanto concerne la richiesta di interessi, si deve rilevare che, vertendo il giudizio in tema di ripetizione d’indebito, ed essendo certamente in buona fede l’Amministrazione Comunale al momento della ricezione della somma (basti pensare che, al momento del pagamento, il titolo del versamento era esistente) gli interessi decorrono dalla data della domanda …” (2).

La fattispecie suddetta, esaminata dal giudice ordinario, riguarda il singolare caso del soggetto che ha inoltrato istanza di condono edilizio a fronte di una costruzione abusiva di sua proprietà. L’amministrazione ha dato l’assenso alla sanatoria, a conclusione del procedimento amministrativo : ne è derivata la sussistenza (e persistenza) del titolo giuridico del versamento degli oneri e la conseguente buona fede dell’amministrazione al momento della ricezione degli oneri stessi.

Alla fine, però, l’istante non ha realizzato le opere necessarie al condono e ha chiesto la restituzione delle somme relative agli oneri di urbanizzazione.

Il giudice ha riconosciuto, allora, il diritto agli interessi legali non a far data dal pagamento degli oneri urbanizzatori ma a far data dalla successiva domanda di restituzione di questi : infatti, “il versamento degli oneri di concessione edilizia è divenuto senza titolo per motivo successivo al pagamento, non essendo stata realizzata la costruzione la cui edificazione giustifica il versamento dei contributi”.

La problematica che ci occupa riguarda lo stesso ambito ma ha risvolti diversi.

In tale sede, gli oneri di urbanizzazione vengono anticipati quando l’esito del procedimento di sanatoria è indefinito, in quanto appena aperto. Una volta concluso, se la sanatoria è concessa gli oneri vengono trattenuti, se non è accolta vengono restituiti.

 Nel secondo caso, l’originaria anticipazione non può valere a costituire la buona fede dell’Amministrazione (la quale rappresenta, come si è visto, il requisito necessario per ridurre il periodo di corresponsione degli interessi alla stregua dell’art. 2033 c.c.).

Dal momento della ricezione (e successiva giacenza) fino alla maturazione del silenzio-assenso ex art. 32, comma 37°, D.L. 30/9/2003 n° 269, infatti, la legge legittima l’ente pubblico a ricevere e trattenere la medesima somma semplicemente come anticipazione (art. 32, comma 32°, L. 269/2003) sottoposta alla condizione sospensiva dell’accoglimento o risolutiva del diniego di sanatoria (3); tale somma soggiace ad una sorta di verosimile deposito cauzionale (4).

In altre parole, l’ente pubblico non la riceve e la trattiene credendo in buona fede di esserne legittimo e definitivo titolare (5).

Ne deriva che, non seguendo l’assenso alla sanatoria, per riscontrata assenza dei necessari presupposti giuridici, la dazione deve considerarsi indebita ab origine.

L’istituto normativo della sanatoria può, infatti, essere inquadrato in una fattispecie a formazione progressiva, il cui perfezionarsi dipende rispettivamente dall’avverarsi della condizione sospensiva dell’assenso o risolutiva del diniego.

Ne deriva che gli effetti dell’avveramento di entrambe retroagiscono al tempo in cui è stata presentata l’istanza (v. art. 1360 c.c).

Con riferimento al primo opera, allora, il trattenimento degli oneri da parte della Pubblica Amministrazione che ne diviene titolare ab initio.

Con riferimento al secondo, opera la restituzione perché il titolo giuridico della originaria ricezione è venuto meno fin dal momento della ricezione. Sotto il profilo degli interessi, dunque, questi sono dovuti a far data dall’istanza iniziale di sanatoria perché l’anticipazione degli oneri ha un tratto di oggettiva interinalità incompatibile con un assetto definitivo degli interessi proprio solo dell’effettiva (e definitiva) titolarità del credito, conseguente solo all’esito del procedimento amministrativo.

Peraltro, la giurisprudenza ha affermato che, in tema di indebito oggettivo di cui all’art. 2033 c.c., la mancanza di causa debendi a sostegno dell’azione di ripetizione può essere coeva al pagamento sia successiva ad esso (6).

Con riferimento alla seconda opzione, non può ritenersi indebito il titolo di acquisizione degli oneri solo a far data dalla conclusione (infausta) del procedimento amministrativo, facendo decorrere da tale data i correlati interessi, quasi a voler equiparare ad uno stato di buona fede la percezione della somma ad esclusivo titolo di anticipazione.

Se il procedimento si conclude con il silenzio-assenso, sorge la diversa questione relativa alla responsabilità dell’Amministrazione per il ritardo ascrivibile all’obbligo di conclusione del procedimento (7).

A questo riguardo, la giurisprudenza ha valorizzato l’obbligo dell’amministrazione comunale di risarcire il cittadino nel caso in cui la stessa non risponda tempestivamente alla domanda di condono edilizio, nel senso che adotti un provvedimento di diniego dopo la maturazione del silenzio-assenso (8).

E’ opportuno osservare che il preavviso di diniego ex art. 10 bis L. 7 agosto 1990 n° 241, adottato dall’Amministrazione a fronte delle predette richieste restitutorie non comporta l’obbligo di puntuale confutazione delle deduzioni espresse nella memoria ex art. 10 bis né in sede procedimentale né nella motivazione del provvedimento finale, dovendosi ritenere sufficiente la completezza motivazionale dell’atto finale in sé considerato allorché da esso possano agevolmente e univocamente desumersi le ragioni giuridiche e i presupposti di fatto posti alla base della decisione che disattende le indicazioni di segno contrario dell’interessato intervenuto nel procedimento. Anche tale conclusione deve trarsi con riferimento all’art. 10 bis (9).

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NOTE.

1)Si veda Cian/Trabucchi “Commentario breve al Codice Civile”, CEDAM, art. 2033, secondo cui “in relazione all’ipotesi di buona fede dell’accipiens, un’interpretazione restrittiva ha individuato la domanda di cui alla norma in esame solo in quella giudiziale e non in qualsiasi domanda legalmente efficace a costituire in mora l’accipiens (C.87/2513; 82/2138; 80/63/70; 65/1769)”. In tale prospettiva, la giurisprudenza ritiene che la disposizione di cui all’art. 2033 c.c., in tema di decorrenza degli interessi legali, sia una specificazione del principio enunciato dall’art. 1148 c.c. secondo cui il possessore di buona fede fa suoi i frutti naturali separati fino al giorno della domanda giudiziale e i frutti civili maturati fino allo stesso giorno. Più specificamente “nell’azione di ripetizione dell’indebito oggettivo ex art. 2033 c.c., il debito dell’accipiens, a meno che egli non sia in mala fede, produce interessi solo a seguito di un’apposita domanda giudiziale, non essendo sufficiente un qualsiasi atto di costituzione in mora del debitore, atteso che all’indebito si applica la tutela prevista per il possessore di buona fede, in senso soggettivo, dall’art. 1148 c.c., a norma del quale questi è obbligato a restituire i frutti soltanto dalla domanda giudiziale, secondo il principio per il quale gli effetti della sentenza retroagiscono al momento della proposizione della domanda” (Cass. civ. 4 marzo 2005 n° 4745; in tal senso v. Cass. civ. 30 luglio 2002 n° 11259, Cass. civ. 28 gennaio 2004 n° 1581, Trib. Biella 26 gennaio 2007). La giurisprudenza ha ritenuto sostanzialmente equivalente alla domanda giudiziale, in ragione della certezza del comune termine di adozione, l’istanza di ripetizione adottata in via amministrativa dall’I.N.P.S. volta alla restituzione di crediti previdenziali (Cass., sez. lavoro, sent. 1 dicembre 2008 n° 28516). Diversamente opinando, la dottrina ritiene sufficiente la domanda stragiudiziale data attraverso la semplice costituzione in mora dell’obbligato : cfr. Breccia, la buona fede nel pagamento indebito, RDC, 1974, I,143; Moscati, richiesta stragiudiziale e pagamento dei frutti nella ripetizione dell’indebito, Milano 1973; Roselli, ripetizione di somme pagate per contributi previdenziali non dovuti. Decorrenza degli interessi. G.I. 1994, I, I, 1951. Con riferimento alla problematica che qui segnatamente interessa, si rileva non essere peregrino ritenere applicabile il ragionamento proprio della sentenza Cass. lav. 28516/2008 : l’istanza di ripetizione inoltrata alla Pubblica Amministrazione in via stragiudiziale avrebbe, infatti, senz’altro certezza legale quanto all’indicazione del termine di presentazione, considerati gli obblighi giuridici di protocollazione derivanti dall’art. 53 D.P.R. 28 dicembre 2000 n° 445.

2) Trib. di Tivoli 27 febbraio 2008, causa civile I grado iscritta al n° 4371/06 R.G.

3) L’art. 32, 32 comma, D.L. 30 settembre 2003 n° 269 “Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo per la correzione dell’andamento di conti pubblici” recita : “la domanda relativa alla definizione dell’illecito urbanistico, con l’attestazione del pagamento dell’oblazione e dell’ anticipazione degli oneri concessori, è presentata al comune competente, a pena di decadenza, tra l’11 novembre 2004 e il 10 dicembre 2004, unitamente alla dichiarazione di cui al modello allegato e alla documentazione di cui al comma 35”. Il comma 37 del medesimo articolo recita : “il pagamento degli oneri di concessione , la presentazione della documentazione di cui al comma 35 (…) entro il 31 ottobre 2005, nonché il decorso del termine di ventiquattro mesi da tale data senza l’adozione di un provvedimento negativo del comune, equivale a titolo abilitativo edilizio in sanatoria”.

4) La buona fede corrisponde “ai casi in cui la P.A. abbia trattenuto o ricevuto somme di denaro in base a disposizioni a quel momento vigenti, od in base ad un provvedimento amministrativo o giurisdizionale poi annullato” Vittorio Russo “Note in tema di azione di ripetizione di indebito e rapporti con la P.A.” in calce a Cass. Civ., sez. un., 10 maggio 1993 n° 5332. Lo stesso autore riporta il pensiero della giurisprudenza secondo cui “nella specie, la buona fede va intesa quale inconsapevolezza dell’accipiens, dell’inesistenza di un diritto al pagamento” (Cass. Civ. 27 luglio 1957 n° 3177, in Giust. Civ., 1957, I, 1193; Cass. civ. 9686/91).

5) Cfr. Cass. Civ., sez. III, 9 novembre 1989 n° 4725; Cass. Civ., sez. III, 27 gennaio 1995 n° 979; Cass. Civ., sez. III, 21 luglio 2002 n° 9059.

6) Cass. civ., sez. III, 22/6/2007 n° 14585.

7) TAR Puglia, Bari, sez. III, sent. 3472 del 26/7/2004. Più in generale v. Cons. St., Ad. Plen., dec. 16 maggio-15 maggio 2005 n° 7 la quale subordina l’obbligo di corresponsione dei danni derivanti da ritardo procedimentale alla condizione che, all’esito del procedimento amministrativo, origini un atto amministrativo di contenuto positivo ossia favorevole al titolare dell’originario interesse pretensivo).

8) Sempre TAR Puglia 3472/2004 per la quale “si è osservato, in particolare, che i problemi posti dal mancato conseguimento del bene della vita sui cui insiste siffatto interesse, per effetto di illegittimo esercizio del potere da parte della P.A., vadano risolti con riguardo a principi e regole più vicini alla responsabilità contrattuale che a quella extracontrattuale : nel senso che il contatto che s’instaura tra privato ed Amministrazione, allorché il primo sia titolare di un interesse legittimo di natura pretensiva, ha i tratti di un rapporto giuridico di tipo relativo, nel cui ambito il diritto al risarcimento del danno ingiusto conseguente all’adozione di provvedimenti illegittimi presenta una fisionomia sui generis, non riconducibile al modello aquiliano dell’art. 2043 c.c., in quanto (al contrario) caratterizzata da alcuni tratti della responsabilità precontrattuale e di quella per inadempimento delle obbligazioni (cfr. Cons. St., sez. V, 6/8/2001 n° 4239)./ Tale peculiarità riverbera i propri effetti anche sul terreno dell’accertamento dell’elemento soggettivo, assistendosi, sul piano processuale, ad un’inversione dell’onere della prova analoga a quella che caratterizza quei tipi di responsabilità, e quindi spettando al debitore il dovere di fornire la prova negativa dell’elemento soggettivo (per es. per errore scusabile), e non al creditore quella della sua esistenza (cfr. Cons. St., sez. VI, 20/1/2003 nr. 204; id., sez. IV, 14/6/2001, nr. 3169)/ E’ a tali principi che ci si richiama quando si afferma, con eccessiva semplificazione, che in questi casi la prova dell’atteggiamento colpevole della P.A. starebbe in re ipsa nella stessa illegittimità del provvedimento : ciò non è esatto, giacchè quest’ultima resta soltanto uno degli elementi che, unitamente agli altri connotati tipici della responsabilità da danno ingiusto, concorrono nell’accertamento giudiziale della effettiva sussistenza della responsabilità medesima; vi è però l’esigenza, discendente dalla natura stessa della relazione esistente tra Amministrazione e privato, di non accollare a quest’ultimo la probativo (per certi versi diabolica) della sussistenza della colpa in capo alla prima./(…)./A fronte di ciò, sussistono plurimi elementi positivi che depongono nel senso della colpa della medesima Amministrazione : ciò è a dirsi, in particolare, per il notevole ritardo con il quale il Comune riscontrò l’istanza di sanatoria del Castellano; per la grave pretermissione dell’ormai intervenuto decorso del termine biennale cui l’art. 35 co. XII L. nr. 47/85 ricollegava il formarsi del silenzio-accoglimento sull’istanza; per la mancata attivazione di rimedi alternativi, in via di autotutela, con i quali (come sottolineato anche nella richiamata decisione del Consiglio di Stato) l’Amministrazione avrebbe potuto tempestivamente far valere le proprie ragioni, ed in particolare l’asserità posteriorità delle opere al termine legale del 1/10/1983./ In definitiva, ritiene il Collegio che nella fattispecie sussistano I presupposti per il riconoscimento del diritto del ricorrente al risarcimento del danno ingiusto cagionatogli dall’illecita condotta dell’Amministrazione intimata”.

9) TAR Piemonte, sez. I, 19 novembre 2003 n° 2003 n° 1608.


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