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n. 7-8/2008 - © copyright

NICOLÒ   D'ALESSANDRO
(Avvocato del Foro di Catania)

Una norma barbara 2
(note a margine dell’art. 54 del D.L. 25 giugno 2008, n. 112 che ha, tra l’altro, ridotto da 10 a 5 anni il lasso di tempo necessario per la perenzione straordinaria dei ricorsi amministrativi)

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A quasi dieci anni dal D.D.L. di riforma del processo amministrativo, sfociato nella L. 205/2000, il Governo, con l’art. 54 del D.L. 112/2008 [1], pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 147/2008, ritorna nuovamente ad occuparsi del processo amministrativo con norme definite di “accelerazione” ma in vero destinate a creare solo ulteriori inutili adempienti e, nella migliore delle ipotesi, qualche modesto maquillage statistico.

L’obiettivo reale, opposto alla ratio legis enfatizzata dalla rubrica data alla norma, è quello di creare impedimenti al fisiologico evolversi del giudizio amministrativo -che dovrebbe procedere speditamente dal ricorso alla sentenza- e sempre maggiori ostacoli alla possibilità di ottenere l’equa riparazione di cui alla c. d. Legge Pinto nel caso di eccessiva durata della lite.

Il paradosso cui si assiste è che il Governo, non riuscendo ad assicurare la soluzione dei conflitti tra cittadini ed amministrazioni in termini ragionevoli (tre – cinque anni), dopo aver aumentato a dismisura il prelievo fiscale sui ricorsi, cerca di creare un ostacolo ulteriore sia alla decisione sia al risarcimento per la mancata decisione.

Con macabra metafora è come se, non riuscendo gli ospedali a curare tempestivamente gli ammalati si tentasse (a volte riuscendovi) di ucciderli e, ancora, ai sopravvissuti, si tentasse di rendere più difficoltoso ottenere il giusto risarcimento per aver atteso invano o troppo a lungo le cure dovute.

E’ mai possibile che non ci si accorga come tali tentativi allontanino i cittadini dal sistema giustizia finendo per avvicinarli ad altri sistemi, clientelari o addirittura malavitosi che, a paragone, offrono un “ordinamento” capace di dare risposte più celeri ed efficaci?

Ritornando alla metafora sopra avviata; rendere meno efficaci gli ospedali pubblici spinge verso la più redditizia (per chi la gestisce) spedalità privata o verso forme di superstizione e magia.

L’ignoto estensore non si è reso conto che il meccanismo previsto dalla norma, non accelera né semplifica ma comporta solamente che le segreterie degli organi giurisdizionali debbano notificare alle parti costituite, decorsi –oggi- cinque anni dal deposito, un apposito avviso con la precisazione che, qualora non si presenti apposita domanda di fissazione con la firma delle parti entro sei mesi il ricorso verrà dichiarato perento; ovviamente il legale dovrà avvisare, a sua volta la parte che, avendo atteso cinque anni inutilmente, interpreterà tale comunicazione (se ottimista) come un risveglio di attenzione del sistema nei suoi confronti e si recherà dal proprio difensore per firmare la nuova domanda di fissazione che, verrà, quindi depositata in segreteria e tutto continuerà come prima.

Nel frattempo si saranno ingolfate le segreterie dei TAR  e gli studi legali di lavoro inutile, l’erario, i cittadini ed i professionisti affronteranno dei costi altrettanto inutili, con l’unico risultato di aver implementato i fascicoli delle cause di una comunicazione e di una nuova domanda di fissazione.

Se tal sforzi organizzativi, piuttosto che a cercare di cogliere in fallo i ricorrenti ovvero andare a ricercare quella modestissima percentuale di giudizi per i quali in appena cinque anni è venuto a cessare l’interesse alla decisione, fossero indirizzati a verificare l’esistenza di ricorsi omogenei che possano decidersi con unica sentenza o con sentenza guida che possa costituire motivazione breve di una serie di decisioni successive, forse si renderebbe miglior servigio ai cittadini ed alla Giustizia.

Accelerare il processo amministrativo dovrebbe significare ricercare soluzioni idonee a rendere più celeri le decisioni delle controversie non cercare il modo di non decidere o di accertare semplicemente che non v’è più nulla da decidere perché il tempo ha tolto ogni interesse o speranza di ottenere una decisione.

Ma l’ignoranza dei concreti meccanismi di funzionamento della macchina giudiziaria amministrativa e la sciatteria del linguaggio raggiunge un acme che si spera non sia mai più eguagliato al secondo comma dell’art. 54 la cui intenzione è prava senza che, però, il meccanismo trappola sia comprensibile.

Iniziamo col dire che qui l’anonimo estensore della disposizione ha dato il meglio di se conservando nelle latebre della propria mente e rendendo incomprensibile la legge a “chiunque spetti di osservarla e farla osservare”.

Al secondo comma dell’art. 54 si dice che la domanda di equa riparazione non è proponibile se nel giudizio amministrativo “in  cui si assume essersi verificata la violazione di cui all’art. 2, comma 1,” non è stata presentata la domanda di prelievo. Ma articolo 2 comma 1 di quale legge ?.

Certo ad un operatore giuridico non è difficile comprendere che si tratta della legge 24 marzo 2001 n° 89; ma poiché la legge è rivolta a “chiunque” sarebbe stato corretto scriverlo.

La domanda di prelievo, poi, deve essere presentata, “nei sei mesi antecedenti alla scadenza dei termini di durata di cui all’art. 4, comma 1-ter, lettera b)”. Anche qui: di quale legge?

Non la legge 89/2001 che non ha un art. 4, comma 1-ter, lettera b; non la legge (recte: il D.L. 112/2008 in cui è inserito l’art. 54) che, anch’esso non ha l’art. 4, comma 1-ter, lettera b.

La caratteristica della numerazione farebbe pensare ad una disposizione di integrazione di una precedente legge ma, tra quelle, anche non convertite, che si sono occupate della legge Pinto non è dato riscontrare alcun articolo 4, comma 1-ter, lettera b).

Ma anche a prescindere dalla corretta individuazione del termine semestrale richiamato dall’art. 54, 2° comma, quale nesso può mai istaurarsi tra la domanda di prelievo e l’equa riparazione per l’eccessiva durata del processo?

Per ottenere la decisione della causa è sufficiente presentare la domanda di fissazione d’udienza e non invocare una qualche ragione d’urgenza che possa convincere il presidente a non rispettare l’ordine cronologico.

Il diritto alla decisione in tempi ragionevoli riguarda tutti i giudizi non solo quelli ritenuti dallo stesso ricorrente urgenti.

Dispone, infatti, il R. D. 642/1907 all’art. 51 che il ricorrente, tramite il proprio legale, presenta la “domanda di fissazione” ed il segretario “presenta la domanda stessa col ricorso, il contro-ricorso, il ricorso incidentale, le carte e i documenti al Presidente della sezione il quale nomina il relatore ed assegna il giorno dell'udienza. / Nello stesso decreto di fissazione di udienza il Presidente può, ad istanza di parte o d'ufficio, dichiarare il ricorso urgente

Solo la domanda di fissazione è necessaria per impedire la perenzione dei giudizi l’istanza di prelievo è eventuale ed ha lo scopo di sollecitare l’esercizio di un potere schiettamente presidenziale che può stravolgere, in ragione di una qualche particolare ragione d’urgenza, l’ordine cronologico.

Non è difficile immaginare che una disposizione di tal fatta servirà esclusivamente a stimolare gli studi legali a presentare una istanza di prelievo ogni sei mesi (a prescindere da ogni oggettiva ragione d’urgenza) per non precludere al proprio assistito l’eventuale accesso all’equa riparazione per l’eccessiva durata del processo ed anche al fine di sottrarsi a sempre più probabili giudizi di responsabilità professionale.

Anche qui l’effetto sarà quello di ingolfare le segreterie e di implementare di carte, inutili ai fini di una corretta decisione, i fascicoli.

In definitiva non solo barbarie ma ignoranza dei meccanismi processuali e del concreto svolgersi del processo amministrativo, una affermata volontà acceleratrice che si traduce nella produzione di carte e passaggi inutili e nel far girare a vuoto segreterie giurisdizionali e studi legali per adempimenti cervellotitici e del tutto inidonei ad assicurare l’esito naturale di ogni azione giudiziaria: la decisione.

 

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[1] Si riporta, per comodità, qui di seguito il testo dell’art. 54 (intitolato “Accelerazione del processo amministrativo”) del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, il cui testo integrale è stato pubblicato in questa Rivista, pag. http://www.lexitalia.it/leggi/2008-112.htm:

“1. All'articolo 9, comma 2, della legge 21 luglio 2000, n. 205, le parole «dieci anni» sono sostituite con le seguenti: «cinque anni».

2. La domanda di equa riparazione non è proponibile se nel giudizio dinanzi al giudice amministrativo in cui si assume essersi verificata la violazione di cui all'articolo 2, comma 1, non è stata presentata un'istanza ai sensi del secondo comma dell'articolo 51 del regio decreto 17 agosto 1907, n. 642, nei sei mesi antecedenti alla scadenza dei termini di durata di cui all'articolo 4, comma 1-ter, lettera b).».

3. Alla legge 27 aprile 1982, n. 186, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all'articolo 1, primo comma, le parole: «le prime tre con funzioni consultive e le altre con funzioni giurisdizionali» sono sostituite dalle parole: «con funzioni consultive o giurisdizionali, oltre alla sezione normativa istituita dall'articolo 17, comma 28, della legge 15 maggio 1997, n. 127»;

b) all'articolo 1, dopo il quarto comma è aggiunto il seguente: «Il Presidente del Consiglio di Stato, con proprio provvedimento, all'inizio di ogni anno, sentito il Consiglio di Presidenza, individua le sezioni che svolgono funzioni giurisdizionali e consultive, determina le rispettive materie di competenza e la composizione, nonché la composizione della Adunanza Plenaria ai sensi dell'articolo 5, primo comma.»;

c) all'articolo 5, primo comma, le parole da «dal consiglio» sino alla parola: «giurisdizionali.» sono sostituite dalle seguenti parole: «dal Presidente del Consiglio di Stato, sentito il Consiglio di Presidenza.»;

d) all'articolo 5, comma secondo, le parole «in modo da assicurare in ogni caso la presenza di quattro consiglieri per ciascuna sezione giurisdizionale» sono soppresse”.


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