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SEBASTIANO CONTE
Terzo condono
edilizio e vincolo paesaggistico
Riflessioni e commenti a margine
di un orientamento prevalente
Premessa.
A seguito della entrata in vigore della disciplina del nuovo condono edilizio, contenuta tutta nell’art. 32 del D.L. 269/03, convertito in L. 326/03, nonché in alcune successive disposizioni, conseguenti alla sentenza della Corte costituzionale n. 196 del 2004 (in questa Rivista, n. 6/2004), si è acceso un articolato dibattito sulla estensione della applicazione della stessa, specialmente in riferimento alla sua applicabilità nelle zone soggette a vincolo paesaggistico.
Nonostante alcune indicazioni di diverso orientamento, desumibili dalla sentenza della Corte costituzionale n. 196/04, si è venuta consolidando una giurisprudenza della Cassazione penale, secondo cui “nelle aree sottoposte a vincoli imposti dalla legge a tutela degli interessi idrogeologici, ambientali e paesistici, l’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003 (convertito dalla legge n. 326 del 2003) ammette la possibilità di ottenere la sanatoria soltanto per gli interventi edilizi minori (previo parere favorevole dell'autorità preposta alla tutela del vincolo); deve pertanto escludersi la sanabilità di una nuova costruzione realizzata senza titolo, su area soggetta a vincolo paesistico, trattandosi di illecito che il comma 26, lettera a) (in combinato con il comma 27, lettera d)), esclude dalla sanatoria.” (Cass. Pen. Sez. III, 21 dicembre 2004, n. 48956, in questa Rivista, n. 1/2005).
1. La questione continua a suscitare discussioni e perplessità, attesa la non chiara formulazione delle disposizioni ed il contesto nel quale esse sono collocate.
La giurisprudenza appena citata si basa su una lettura delle disposizioni che la stessa cita, che altri leggono in maniera differente, specialmente quando si faccia riferimento alla disposizione dettata dalla lettera d) del comma 27, laddove è stabilito che, fermo restando quanto previsto dagli articoli 32 e 33 della legge 47/85, le opere abusive non sono comunque suscettibili di sanatoria, qualora “siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione delle opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche ed alle prescrizioni degli strumenti urbanistici.”
Tale disposizione viene letta da altri in maniera tale da far ritenere che nelle zone soggette ai predetti vincoli, fermi restando la necessità del parere di cui all’art. 32 e le ipotesi di insanabilità di cui all’art. 33, la condonabilità, non esclusa a priori, sia ammissibile soltanto quando le opere risultino, ancorché abusive, conformi alla norme urbanistiche ed alle prescrizioni degli strumenti urbanistici non solo per le tipologie 4, 5 e 6, ma anche per quelle 1, 2 e 3.
2. L’orientamento di ridurre la applicazione di tale disposizione alle sole tipologie 4, 5 e 6, come viene fatto dalla Cassazione, appare riduttivo e, per molti versi, incomprensibile, per i motivi che verranno di seguito illustrati.
In primo luogo, va osservato come con quella limitazione la disposizione risulterebbe per molti versi inutiliter dicta.
E’ ben difficile dimostrare che vi possano essere norme urbanistiche e prescrizioni di strumenti urbanistici che vietino gli interventi minori, di cui alle tipologie 4, 5 e 6.
Basti ricordare che, per i Comuni che non hanno alcuno strumento urbanistico, la disciplina oggi applicabile è quella dettata dall’art. 9 del DPR 6.6.2001, n.380, che ammette gli interventi di cui alle lettere a), b) e c), dell’art.3 dello stesso DPR (che sono tutti quelli che vanno dalla manutenzione ordinaria, a quella straordinaria, al restauro e risanamento conservativo), in tutto il territorio comunale, anche in assenza di qualsiasi disciplina urbanistica. Ciò dimostra che si tratta di tipologie di interventi che il legislatore ritiene non inibibili, fino al punto che già dal 1982 (art. 7 del DL n. 9) ne aveva assoggettata la realizzabilità a semplice autorizzazione, la cui mancanza non aveva rilevanza penale.
In tale condizione è ben difficile ipotizzare degli strumenti urbanistici che limitino l’esercizio di facoltà che sono ammesse liberamente in tutti i territori sprovvisti di qualsiasi strumento urbanistico.
Ecco perché, laddove esistono tali strumenti urbanistici, di norma tali interventi sono ammessi in tutte le zone, anche in deroga ad altre disposizioni di zona. Ciò anche in ossequio ad un principio che la stessa Corte Costituzionale ha avuto modo di ribadire, dichiarando incostituzionale una disposizione della L.R. 35/87 della Campania, mediante la quale veniva approvato il Piano Urbanistico-Territoriale della Penisola Sorrentino-Amalfitana, avente valenza di piano paesistico, laddove, per motivi di salvaguardia, inibiva interventi di tal genere nelle more della formazione ed approvazione dei nuovi PRG adeguati a tale piano. La Corte (sentenza n. 529 del 29.12.1995) dichiarò incostituzionale quella disposizione in quanto lesiva dello stesso diritto di proprietà, posto che impediva la esecuzione di quegli interventi che sono ritenuti essenziali anche al fine della protezione del bene. (Basti considerare che perfino i Piani Territoriali Paesaggistici predisposti ed approvati per i territori della Campania dallo stesso Ministero in via surrogatoria, ne consentono la eseguibilità in tutte le zone, in deroga a qualsiasi altra disposizione di zona).
3. Ma vi è altro. Fin dal 1985, con l’entrata in vigore della legge Galasso (n. 431/85), è stato stabilito che non abbisognano di autorizzazione paesaggistica gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, di restauro e risanamento conservativo, che non alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici. E tale disposizione è stata ora confermata dall’art.149, comma 1, lett. a) del D.Lgs. 22.1.2004, n. 42.
Ne consegue che interventi del genere che non abbiano alterato l’aspetto esteriore degli edifici non abbisognavano della autorizzazione paesaggistica, e, se eseguiti senza titolo, non hanno rilevanza penale.
Resterebbero assoggettati alla disposizione, con l’obbligo del parere preventivo ai sensi dell’art.32, soltanto quegli interventi del genere che avessero alterato l’aspetto esteriore dell’edificio, oggetto dell’intervento.
4. Qui appare opportuno fare un breve digressione, per precisare di quali alterazioni possa trattarsi. Affinché l’intervento resti nella qualificazione di manutenzione straordinaria o di restauro conservativo, le modifiche esteriori possono consistere unicamente nello spostamento di una finestra o di un balcone, atteso che l’inserimento ex novo di tali aperture, specialmente quando si tratti di un balcone, comporta una differente qualificazione dell’intervento, (quanto meno di ristrutturazione edilizia) con assoggettamento ad un diverso regime giuridico.
E’ stato, infatti, da ultimo sostenuto che “La realizzazione di un balcone costituisce un'opera di ristrutturazione edilizia esterna, visto che realizza un'oggettiva trasformazione della facciata del palazzo mediante la sostituzione e l'inserimento di elementi, nonché la modifica di altri, e non può essere considerato intervento di risanamento conservativo così come previsto dall'art. 31 lett. c) l. n. 457 del 1978.” (T.A.R. Liguria, Genova, Sez.I, 4.11.2004, n.1516, in Riv.giur.edilizia 2005, I, 585), confermando un orientamento già consolidato, secondo cui “Si qualifica ristrutturazione edilizia un intervento che preveda la realizzazione di balconi, degli infissi, delle facciate esterne di chiusura, delle opere di completamento dei vani e di tutti i servizi senza alcun incremento per i volumi, le sagome e le superfici - salvo una diversa distribuzione di quelle assentite - nè una maggiore o diversa occupazione delle aree di sedime.” (Cons. Stato, Sez. V, 15.4.2004, n.2142, in Riv.giur.edilizia 2004, I, 1373), e “L'apertura di balconi sul prospetto di un edificio richiede necessariamente il rilascio della concessione edilizia e non è assimilabile a lavori di manutenzione straordinaria o a quelli di restauro o risanamento conservativo, assoggettati all'autorizzazione comunale gratuita in virtù del combinato disposto degli art. 31 e 48 l. 5 agosto 1978 n. 457 e dell'art. 7 d.l. 23 gennaio 1982 n. 9, convertito, con modificazioni, nella l. 25 marzo 1982 n. 94.” (id. 3.7.1995, n.1004, in Cons. Stato 1995, I,1060).
5. Posta così la questione vi sono altre tre disposizioni del medesimo art. 32 del D.L. 269/03, convertito in L. 326/03, che fanno accrescere le perplessità di cui si è detto.
Le prime due sono quelle dettate dal comma 43, col quale è stato riformulato l’art. 32 della L. 47/85, quello che riguarda proprio la formulazione dei pareri cui è condizionato l’accoglimento delle istanze di condono nelle zone soggette a vincoli (tutti i tipi di vincoli.
Con tale disposizione viene introdotta una innovazione sostanziale nella disciplina dei pareri, per quanto riguarda sia le conseguenze del comportamento omissivo della P.A. protrattosi oltre un certo limite, sia le modalità di acquisizione, sia per la competenza di merito.
In particolare, ribaltando il principio definito dal primo comma del testo previgente, come derivante dalle modifiche introdotte dalla L.724/94 e dalla L.662/96, laddove al silenzio della Autorità competente, protrattosi oltre 180 giorni dalla presentazione della richiesta di parere, veniva attribuita valenza di parere favorevole, in via generale e con un doppia differenziazione per il vincolo paesaggistico, per il quale erano previste tipologie di abuso, anche di ampliamento, per il quale l’esito di tacito assenso si conseguiva dopo 120 giorni dalla richiesta di parere, mentre per le tipologie di totale abusività rimaneva l’esito del silenzio-rifiuto dopo 180 giorni dalla stessa data, con la nuova formulazione si attribuisce al comportamento omissivo protrattosi oltre 180 giorni dalla richiesta di parere valenza di silenzio-rifiuto per tutti i tipi di vincoli.
Una seconda innovazione è quella che riguarda le modalità di acquisizione dei pareri, che, contrariamente a quanto disposto per i due precedenti condoni, dovranno essere acquisiti, evidentemente tutti insieme, nell’ambito di una conferenza dei servizi, in applicazione di quanto previsto dall’art.20, comma 6, del DPR 380/2001, per effetto della esplicita ed apposita disposizione dettata dal 4° comma del novellato art.32 di cui si discute.
Ma il medesimo comma contiene anche un’altra rilevante innovazione. Esso stabilisce, infatti, che alla conferenza dei servizi il motivato dissenso espresso da una amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, ivi inclusa la soprintendenza competente, preclude il rilascio del titolo abilitativo edilizio a sanatoria.
La innovazione è di notevole rilevanza, atteso che nel regime precedente il ruolo della Soprintendenza era quello dell’esercizio, eventuale, della potestà di annullamento per soli vizi di legittimità, non potendo, la stessa, sostituire un proprio giudizio di merito a quello dell’autorità delegata o sub-delegata, in applicazione della apposita disposizione dettata dall’art.12 del DL 2.1.1988, n.2, conv. in L.13.3.1988, n.68.
Inoltre, la disposizione che si sta esaminando contiene, ancora, una frase, secondo cui “Il parere non è richiesto quando si tratti di violazioni riguardanti l’altezza, i distacchi, la cubatura o la superficie coperta che non eccedano il 2 per cento delle misure prescritte.”
Infine, va tenuta presenta la disposizione dettata dal comma 43 bis, dell’art.32 del DL 269/03, come introdotto in sede di conversione, laddove si stabilisce che “Le modifiche apportate con il presente articolo concernenti l’applicazione delle leggi 28 febbraio 1985, n.47, e 23 dicembre 1994, n.724, non si applicano alle domande già presentate ai sensi delle predette leggi.”
6. Orbene, se si esaminano le disposizioni appena richiamate alla luce dell’orientamento della Cassazione, secondo cui nelle zone soggette a vincolo paesaggistico sarebbero ammessi a sanatoria solo gli abusi minori, rientranti tra gli interventi qualificabili di manutenzione straordinaria o di restauro conservativo, fa sorgere, diventa difficile comprendere la ratio della decisione del legislatore laddove si è premurato di dettare una serie di norme dal contenuto così rilevantemente innovativo, (dichiarandone la applicabilità a questo solo condono e non ai precedenti), attribuendo alla Soprintendenza il diritto-dovere di partecipare alle conferenze dei servizi, con competenza di merito e ruolo decisivo in termini negativi, delle quali non è data alcuna possibilità di utilizzazione, se non nel caso di un lieve spostamento di una finestra.
Quale possa essere la utilità e la praticabilità di una disposizione del genere è ben difficile comprendere.
Si tenga presente che per un intervento di manutenzione straordinaria, rientrante nella tipologia 6, la oblazione dovuta allo Stato è pari a 516 euro, con esclusione di qualsiasi contributo a favore del Comune.
Orbene, la sola convocazione di una conferenza dei servizi, che veda la partecipazione di un rappresentante per ciascuna delle Amministrazioni coinvolte, comporta una spesa per l’Erario enormemente più gravosa, in termini di impegno di personale, spese di missione e di trasferimento.
Per giunta, vi è da domandarsi se sia prescritta la acquisizione del parere in un caso del genere, stante la disposizione che lo esclude quando si tratti di violazioni riguardanti l’altezza, i distacchi, la cubatura o la superficie coperta che non eccedano il 2 per cento delle misure prescritte.
Questa espressione consente di sollevare un duplice interrogativo.
Il primo riguarda la circostanza se sia ragionevole prescrivere l’obbligo della acquisizione del preventivo parere per uno che non abbia incrementato in alcun modo il proprio edificio, ma si sia limitato a spostare una finestra, se ciò è esplicitamente escluso per interventi che, invece, hanno provocato incrementi sia di altezza, che di volumetria e di superficie, ancorché contenuta nel limite del 2%.
Il secondo, che risulta molto più rilevante in riferimento alla problematica che qui si sta affrontando, riguarda la circostanza di come si concilia una disposizione che prevede che siano ammessi a condono edilizio abusi che abbiano comportato innovazioni planovolumetriche nelle zone soggette a vincolo, con esclusione perfino dell’obbligo del parere paesaggistico, con l’affermazione secondo cui l’intero contesto normativo escluderebbe l’applicabilità del condono agli abusi qualificabili nelle tipologie 1, 2 e 3, ed eseguiti nelle zone soggette a vincolo paesaggistico.
Se tale possibilità di conseguire il condono era esclusa in origine, dal comma 26, lett.a), come sostenuto dalla Cassazione, che senso ha la disposizione che ne prevede la sanabilità con procedura semplificata, perfino, senza la necessità del parere dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo, per giunta nella forma nuova della conferenza dei servizi prima richiamata???
Ad ogni buon fine, va tenuto presente che il limite del 2%, che, apparentemente, si manifesta irrilevante, in concreto, per un edificio che abbia 1.500 mq di superficie utile, comporta un incremento di 30 mq di superficie utile, che equivale ad una camera con accessori. (Si ricordi che, ai sensi dell’art.3 del D.M. 5.7.1975 che ha dettato i requisiti minimi igienico-sanitari per la abitabilità, l’alloggio monostanza, per una sola persona, deve avere una superficie minima, comprensiva dei servizi, non inferiore a mq.28).
E’ evidente che un abuso del genere andrebbe sanato con versamento di oblazione a metro quadrato di superficie utile, che, nel caso di contrasto con le disposizioni urbanistiche, rientrerebbe nella tipologia 1.
7. Le perplessità appena illustrate inducono a tentare un approccio diverso al complesso di disposizioni, che, dovendo essere lette in maniera comparata ed unitaria, e non potendosi ritenere che alcune di esse siano inutiliter dictae, consentono di delineare una diversa chiave di lettura e di interpretazione.
La lettura comparata deve tener conto di tutte le disposizioni che possono avere incidenza sulla questione, e, segnatamente, quelle contenute nel comma 26, sia la lettera a) che la lettera b), quelle contenute nel comma 27, con particolare attenzione alle lettere e) e f), quelle contenute nei commi 43 e 43 bis prima citati.
Inoltre, la lettura comparata va effettuata anche tenendo ben presenti le indicazioni contenute nella sentenza della Corte Costituzionale n.196/04, ed i poteri esercitati dallo Stato nell’ambito delle complesse competenze, in rapporto alla regioni ed ai Comuni, derivanti dal testo costituzionale vigente.
8. La Corte Costituzionale, nella citata sentenza, ha tenuto a richiamare l’attenzione sul principio secondo cui “Il condono edilizio di tipo straordinario, quale finora configurato nella nostra legislazione, appare essenzialmente caratterizzato dalla volontà dello Stato di intervenire in via straordinaria sul piano della esenzione dell sanzionabilità penale nei riguardi dei soggetti che, avendo posto in essere determinate tipologie di abusi edilizi, ne chiedano il condono…..”, sul presupposto che “solo il legislatore statale può incidere sulla sanzionabilità penale (per tutte, v. la sentenza n.487 del 1989) e che esso, specie in occasione delle sanatorie amministrative, dispone di assoluta discrezionalità in materia <<di estinzione del reato o della pena, o di non procedibilità>> (sentenze n.327 del 2000, n.149 del 1999e n.167 del 1989).”
E, nella considerazione della maggiore ampiezza delle competenze delle Regioni, nell’ambito del novellato art.117 della Costituzione, la stessa Corte ha dichiarato la incostituzionalità del comma 26 nella parte che non prevede una più ampia potestà legislativa regionale, con riferimento anche alle tipologie di abuso 1, 2 e 3, e non solo a quelle 4, 5 e 6, ammettendo che può anche verificarsi “la possibilità che le procedure finalizzate al conseguimento dell’esenzione della punibilità penale si applichino ad un maggior numero di opere abusive rispetto a quelle per le quali operano gli effetti estintivi degli illeciti amministrativi.”
Se, quindi, il condono edilizio per la competenza statale è essenzialmente finalizzato all’aspetto penale, la lettura del comma 26 non può prescindere da ciò.
La sua formulazione, secondo cui “sono suscettibili di sanatoria edilizia le tipologie di illecito di cui all’allegato 1:
a) numeri 1, 2 e 3, nell’ambito dell’intero territorio nazionale, fermo restando quanto previsto alla lettera e) del comma 27 del presente articolo, nonché 4, 5 e 6 nell’ambito degli immobili soggetti a vincolo di cui all’articolo 32 della legge 28 febbraio 1985, n.47;” può dar corso ad una diversa chiave di lettura e di interpretazione.
In sostanza, il legislatore, piuttosto che affermare che le tipologie 1, 2 e 3 si possono sanare nelle zone non soggette a vincolo, nelle quali sarebbero sanabili sono le tipologie 4, 5 e 6, ha inteso individuare tutti gli abusi aventi rilevanza penale ed ammetterli alla possibilità di sanatoria, su tutto il territorio nazionale, come riconosciuto anche dalla Corte Costituzionale nella già citata sentenza laddove ha sentenziato che “l’oggetto fondamentale di tale disposizione è la previsione e la disciplina di un nuovo condono edilizio esteso all’intero territorio nazionale”.
Infatti, mentre gli abusi rientranti nelle tipologie 1, 2 e 3, configurano reato in tutto il territorio nazionale, sia quello vincolato che quello non vincolato, quelli rientranti nelle tipologie 4, 5 e 6, configurano reato soltanto nelle zone soggette a vincolo.
Ne consegue che la disposizione va letta nel senso che gli abusi rientranti nelle tipologie 1, 2 e 3, possono essere sanati su tutto il territorio nazionale, con l’unica esclusione di quelli commessi su immobili dichiarati monumento nazionale con provvedimenti aventi forza di legge o dichiarati di interesse particolarmente rilevante ai sensi degli articoli 6 e 7 del D.Lgs. 490/99 (che ha sostituito la L. 1089/39), atteso il richiamo alla lettera e) del successivo comma 27. In aggiunta ad essi (nonché) sono ammessi a sanatoria anche gli abusi rientranti nelle tipologie 4, 5 e 6, commessi nelle zone soggette ad uno dei vincoli di cui all’art. 32 della L. 47/85.
In altre parole, tutti gli abusi che configurano reato.
Per gli abusi rientranti nelle tipologie 4, 5 e 6, che siano stati commessi in zone non soggette a quei vincoli, poiché non configurano reato, ne ha lasciato la scelta di assoggettarli alla normativa di condono alle Regioni, evidentemente per i soli aspetti amministrativi, con la disposizione di cui alla lettera b) dello stesso comma 26, che, altrimenti, non troverebbe alcuna spiegazione.
La formulazione della disposizione di cui alla lettera a), laddove fa riferimento all’intero territorio nazionale, escludendo unicamente gli immobili soggetti a vincolo storico-artistico-monumentale, non consente di affermare che nella esclusione siano comprese, questa volta per implicito, anche le zone soggette ad altri tipi di vincolo, atteso che una esclusione del genere, dopo la espressione “nell’ambito dell’intero territorio nazionale”, e la esplicita esclusione delle zone soggette a vincolo storico andava enunciata apertis verbis, allo stesso modo di quella relativa alle zone soggette a vincolo storico.
9. Ma va aggiunta una ulteriore considerazione. Se fosse fondata l’affermazione della esclusione della sanabilità degli abusi di cui alle tipologie 1, 2 e 3, commessi in tutte le zone soggette ai vincoli di cui all’art. 32, non si vede come ciò si concilierebbe con le disposizioni dei commi 14, 15, 16 e 17 del medesimo art. 32 del DL 269/03, laddove è prevista la possibilità di sanatoria degli abusi eseguiti su aree di proprietà dello Stato o facenti parte del Demanio statale, previa disponibilità da parte dello Stato di cedere a titolo oneroso la proprietà dell’area su cui insiste l’opera abusiva, ovvero a garantire onerosamente il diritto al mantenimento dell’opera sul suolo appartenente allo Stato.
Già la considerazione che la fattispecie degli abusi commessi su suolo di proprietà dello Stato o di altri enti pubblici è sempre stata compresa fra quelle sanabili a condizione, nell’ambito delle disposizioni dettate dall’art.32 della L.47/85, fin dall’origine, induce a far sorgere seri dubbi sulla affermazione che la formulazione del comma 26, lettera a) escluderebbe la condonabilità delle tipologie 1, 2 e 3, nelle zone soggette a vincolo di cui all’art.32 della L.47/85, fra cui vi è anche quello appena richiamato.
Ma va anche ricordato che il comma 17 dell’art. 32 del DL 269/03, stabilisce, esplicitamente, che “nel caso di aree soggette ai vincoli di cui all’articolo 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, la disponibilità alla cessione dell’area appartenente al patrimonio disponibile ovvero a riconoscere il diritto a mantenere l’opera sul suolo appartenente al demanio o al patrimonio indisponibile dello Stato è subordinata al parere favorevole da parte dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo.”
La lettura sistematica di tali disposizioni induce a ritenere che la legge prevede casi di nuove costruzioni realizzate abusivamente su suolo di proprietà dello Stato, che sono ammesse non solo a sanatoria, ma anche alla facoltà di acquistare il suolo sul quale sono state realizzate abusivamente, previa disponibilità dello Stato a cederlo e, nel caso di assoggettamento ad uno dei vincoli di cui all’art.32 della L.47/85 (paesaggistico, idrogelogico, forestale, ecc.), previa acquisizione del parere favorevole dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo.
Tale facoltà è da escludere soltanto ove l’area pubblica sia soggetta a vincolo storico-artistico-monumentale, per la esplicita esclusione di sanabilità delle tipologie 1, 2 e 3, in esso, dettata dal comma 27 lett. e), richiamato dal comma 26 lett.a).
Orbene, non si comprende come si possa conciliare tale disciplina con l’interpretazione secondo cui nelle zone soggette a vincolo sarebbero condonabili solo gli abusi rientranti nelle tipologie 4, 5 e 6. Ciò anche alla luce del fatto che le disposizioni dettate dai commi 14, 15, 16 e 17 prima richiamati e dei quali si tratta, fanno sempre riferimento ad “opere eseguite da terzi su aree di proprietà dello Stato”, e non su edifici.
10. Aggiungendo alle note fin qui esposte la lettura sistematica con le disposizioni dettate dal comma 27 lett.d) e con quelle dettate dal comma 43, già prima citato, si giunge a formulare una chiave interpretativa sostanzialmente difforme da quella fatta propria dalla Giurisprudenza della Cassazione dalla quale si è preso spunto.
Il comma 27 fissa una serie di condizioni limitative della condonabilità, stabilendo, richiamando all’attenzione qui nuovamente il testo già citato, che “fermo restando quanto previsto dagli articoli 32 e 33 della legge 28 febbraio 1985, n.47, le opere abusive non sono comunque suscettibili si sanatoria, qualora:
……
d) siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela di degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima delle esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici;”
La disposizione appena citata consente, in primis, alcune considerazioni aggiuntive a sostegno della tesi prima enunciata, in aggiunta a quelle già svolte in riferimento al comma 43 modificativo dell’art.32 della L.47/85.
Come è facile rilevare, dalla elencazione dei vincoli che nei due precedenti condoni rientravano nell’art.32 della L.47/85, viene omesso quello storico-artistico-monumentale, proprio perché nella precedente lett.e) del medesimo comma 27, ne fa esplicita esclusione, richiamata direttamente nella lettera a) del comma 27. Già questa circostanza conferma la differente articolazione della normativa nei confronti dei diversi vincoli.
Inoltre, se la volontà del legislatore fosse stata quella di escludere in radice la sanabilità degli abusi rientranti nelle tipologie 1, 2 e 3, eseguiti nelle zone soggette a vincoli, non avrebbe avuto alcuna necessità di introdurre la disposizione appena citata, oltre che di modificare innovativamente l’art. 32 della L. 47/85.
La negazione a priori della sanabilità in quelle zone avrebbe reso inutile la ricerca del conformità urbanistica, unitamente allo stesso riferimento alla applicabilità degli articoli 32 e 33 della L. 47/85.
Ne deriva che con tale disposizione, ferma restando la estensione a tutto il territorio nazionale della generica ammissibilità a condono, per gli abusi eseguiti nelle zone soggette a vincolo il legislatore ha inteso ammettere a sanatoria soltanto gli abusi di carattere formale, con esclusione di quelli di carattere sostanziale.
Come venne ipotizzato da qualche commentatore fin dai primi giorni dopo l’entrata in vigore del DL269/03, si tratta di una disposizione che ha legittimato quella che era stata definita la “sanatoria giurisprudenziale”, che era stata ritenuta ammissibile, soltanto sotto il profilo amministrativo, senza implicazioni penali, da una certa giurisprudenza, in assenza del requisito della doppia conformità voluta dall’art. 13 della L. 47/85, per conseguire quella formale, da cui discendeva anche l’estinzione dell’azione penale ai sensi dell’art. 22 della medesima legge.
Una conclusione del genere, oltre a risultare coerente con la lettura sistematica delle varie disposizioni, appare anche coerente con precedenti norme, se vista in coordinata applicazione con le innovazioni introdotte nell’art.32 della L.47/85, mediante il comma 43, laddove è stata prevista la conferenza dei servizi con la partecipazione diretta del rappresentante della Soprintendenza con potestà di entrare nel merito e condizionare l’esito della istanza.
Se si tiene conto che, dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 29.10.1999, n. 490, col quale era stata introdotta una prima formulazione di Testo Unico dei Beni Culturali, trovava applicazione la disposizione di cui all’art. 150, laddove, al comma 2, è stabilito che i piani regolatori generali e gli altri strumenti urbanistici si conformano alle previsioni dei piani territoriali paesistici e dei piani urbanistico-territoriali di cui all’art. 149, si perviene alla conclusione che l’applicazione della disposizione dettata dal comma 27 lett. d) del D.L. 269/03 non era sostanzialmente lesiva degli interessi paesistici, atteso che le norme urbanistiche dovevano essere state adeguate a quelle dei piani paesistici redatti ed approvati nel corso degli anni novanta, o dalle Regioni o dal Ministero in via surrogatoria.
E, laddove tale adeguamento non fosse stato effettuato, la salvaguardia degli interessi paesistici sottesi ai piani paesistici è stata ugualmente garantita in sede di parere paesistico sulla istanza di condono, proprio mediante la partecipazione del rappresentante della Soprintendenza alla conferenza dei servizi, al quale è attribuita una competenza di merito, oltre che di legittimità, con potestà di stroncare il procedimento di condono con un motivato parere contrario, che, ancorché minoritario, ha effetto preclusivo al rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria, per la esplicita disposizione contenuta nel 4° comma dell’art. 32 della L. 47/85, come innovato dal comma 43 del D.L. 269/03.
11. Risulta evidente che, ove tale differente chiave di lettura fosse ritenuta fondata e convincente, si imporrebbe l’obbligo della sospensione dei procedimenti, ai sensi del combinato disposto degli artt. 38 e 44 della L. 47/85, anche per i procedimenti penali relativi ad abusi rientranti nelle tipologie 1, 2 e 3, ricadenti in zone soggette a vincolo, con esclusione di quelli eseguiti in violazione del vincolo storico-artistico-monumentale, tenuto conto che la stessa Corte Costituzionale, nella citata sentenza n.196/04, esplicitamente afferma che “il richiamo dell’intero capo IV della legge n. 47 del 1985 rende applicabile anche al presente condono la sospensione dei procedimenti amministrativi e giurisdizionali disposta dall’art. 44 della legge n. 47 del 1985, con effetto dalla data di entrata in vigore del decreto e fino alla scadenza dei termini fissati per la presentazione delle domande di sanatoria. .. La regolare e tempestiva presentazione di tale domanda al Comune competente, nonché il versamento dell’oblazione, “sospende il procedimento penale e quello per le sanzioni amministrative” (art. 38, primo comma, della legge n. 47 del1985).”
Salvo a richiedere al Comune competente, come spesso viene fatto per la congruità della oblazione versata, una certificazione di conformità urbanistica delle opere oggetto della istanza di condono per verificare la sussistenza del requisito di ammissibilità della istanza e della conseguente applicabilità del beneficio.