LexItalia.it  

 Prima pagina | Legislazione | Giurisprudenza | Articoli e note | Forum on line | Weblog

 

Articoli e note

n. 5/2005 - © copyright

DOMENICO CHINELLO*

Portata e limiti della partecipazione al
procedimento amministrativo dopo la legge n. 15/2005

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. La partecipazione al procedimento amministrativo. – 2.1. Le eccezioni giurisprudenziali alla comunicazione di avvio del procedimento. – 2.2. Le innovazioni di cui alla L. n. 15/2005. – 3. Il nuovo art. 10-bis e la ratio dell’istituto. – 3.1. Contenuto, forma e modalità del preavviso di diniego. – 3.2. Competenza all’adozione del preavviso. – 3.3. Effetti sul procedimento. – 3.4. Le ipotesi di esclusione. – 4. Le incoerenti limitazioni di cui all’art. 21-octies.

1. Premessa.

Con il varo della legge 11 febbraio 2005, n. 15, recante «Modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 241, concernenti norme generali sull’azione amministrativa», e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 42 del 21 febbraio 2005, è giunto al termine un lungo e dibattuto processo di riforma della disciplina normativa sul procedimento amministrativo, che aveva preso le mosse dall’originario disegno di legge n. 6844-A – presentato dal deputato prof. Cerulli Irelli ed approvato per la prima volta dalla Camera dei Deputati nell’ottobre 2000 – e che ha vissuto, nel corso degli ultimi anni, un controverso iter parlamentare, costituito da reiterati passaggi tra Camera e Senato e notevoli variazioni al testo normativo di volta in volta approvato da ciascun ramo del Parlamento.

La novella in esame – rispondente ad un’esigenza di aggiornamento dei criteri guida dell’agire della P.A., giudicata senz’altro necessaria ed improcrastinabile alla luce dell’evoluzione giurisprudenziale della materia e delle «significative emergenze sovranazionali» [1] – è appunto intervenuta a rivisitare e correggere, in taluni punti anche ampiamente, le norme della legge n. 241/1990, sia per adeguarle alle modifiche normative medio tempore intervenute o alla prassi che si era instaurata sulla scorta dell’interpretazione della giurisprudenza, sia per cercare di rivitalizzare – se così si può dire – istituti evidentemente giudicati di particolare importanza, ma che non avevano trovato, nella prassi, un valido riscontro applicativo, per la complessità e le problematiche derivanti dall’utilizzazione pratica. Sotto altro aspetto, il legislatore ha per la prima volta disciplinato i concetti di efficacia, esecutività ed esecutorietà del provvedimento amministrativo, procedendo altresì a normare i profili di annullabilità del provvedimento stesso e l’esercizio dell’autotutela da parte della P.A. [2].

Scendendo più nel concreto, può dirsi che i principali aspetti innovativi recati dalla legge n. 15/2005 possono così sintetizzarsi:

–    in primis, vi sono le modifiche recate ai principi generali, ai quali deve informarsi l’azione delle Amministrazioni Pubbliche, ove la novella ha introdotto espressamente il riferimento al criterio della trasparenza e al doveroso rispetto dei principi derivanti dall’ordinamento comunitario [3];

–   sotto altro aspetto, il legislatore è intervenuto a normare in maniera esplicita – benché con molti dubbi circa l’effettiva portata innovativa [4] – i rapporti tra la disciplina pubblicistica e quella privatistica, quali diversi strumenti utilizzabili dall’Amministrazione per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, stabilendo, in via generale, che, ove l’Ente non agisca nell’esercizio dei suoi poteri, assumendo atti di natura autoritativa, è tenuto a rispettare le norme del diritto privato, salvo che la legge – in via di eccezione – non disponga altrimenti;

–   numerose innovazioni sono state, poi, apportate all’iter del procedimento amministrativo, semplificando, da un lato, le modalità per ricorrere avverso il silenzio-rifiuto dell’Amministrazione, e incrementando, dall’altro lato, le garanzie partecipative dei cittadini, mediante una più rigorosa disciplina della comunicazione di avvio del procedimento – in ordine alla quale è stato ampliato il contenuto – e la previsione di un istituto del tutto nuovo, qual è la preventiva comunicazione dei motivi che ostano al rilascio del provvedimento chiesto dal privato, al fine di aumentare le possibilità di un fruttuoso contraddittorio tra istante ed Ente pubblico;

–   sempre in quest’ambito, in senso lato, si inseriscono le modifiche apportate all’art. 6, e volte ad incrementare i poteri del responsabile del procedimento, nonché la rinnovata disciplina – per l’ennesima volta – della conferenza di servizi, quale strumento principe della semplificazione amministrativa, in quanto finalizzato alla conclusione di complessi procedimenti, mediante il rapido coordinamento degli interessi – diversi e talvolta contrastanti – dei quali siano portatori i vari Enti coinvolti [5];

–    altra importante novità è quella che consente alle Amministrazioni pubbliche la generalizzata possibilità di concludere accordi sostitutivi del provvedimento anche in assenza di specifiche previsioni di legge in tal senso, tendendo a favorire l’impiego di moduli negoziali, che rappresentano indubbiamente un passo avanti verso un migliore rapporto tra cittadini e P.A ed una più efficace gestione degli interessi sia pubblici che privati;

–   sotto un diverso profilo, come dianzi accennato, la legge n. 15/2005 ha introdotto, dopo l’art. 21, un intero capo completamente nuovo (il Capo IV-bis, rubricato «Efficacia ed invalidità del provvedimento amministrativo. Revoca e recesso»), con il quale il legislatore ha dettato una specifica disciplina positiva su aspetti fondamentali finora rimasti frutto dell’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale, dotando l’ordinamento di disposizioni di carattere generale «…su taluni snodi essenziali dell’azione autoritativa della pubblica amministrazione» [6]. In pratica, sono stati normati esplicitamente i provvedimenti di secondo grado (id est la revoca per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario, nonché l’annullamento in autotutela degli atti illegittimi, purché entro un termine ragionevole, e nella dovuta comparazione tra le ragioni di pubblico interesse e quelle dei destinatari e dei controinteressati), ma anche i profili di invalidità degli atti amministrativi, consacrando altresì l’esistenza della categoria della nullità del provvedimento e della mera irregolarità formale. La novella ha, inoltre, definito i concetti di efficacia, esecutività ed esecutorietà del provvedimento amministrativo;

–  da ultimo, ma non certo per importanza, la legge in esame ha quasi interamente ridisciplinato l’istituto dell’accesso ai documenti amministrativi, da parte del privato, provvedendo a fornire le definizioni normative dei concetti chiave dell’istituto stesso, riscrivendo contestualmente anche la relativa tutela processuale e rideterminando le ipotesi di esclusione del diritto di accesso, mediante un più congruo coordinamento con la generale disciplina pubblicistica e con le recenti disposizioni del nuovo Codice della privacy.

Per completezza – e pur se le modifiche non risultano strettamente attinenti, in maniera diretta, all’oggetto del presente scritto – va, inoltre, evidenziato che, poco dopo l’entrata in vigore della novella de qua, il legislatore è nuovamente intervenuto a modificare il dettato della legge n. 241/1990: dapprima, con il D.L. 14 marzo 2005, n. 35, il Governo ha interamente riscritto l’art. 19, rubricandolo «Dichiarazione di inizio attività»; poi, con la legge 14 maggio 2005, n. 80, in sede di conversione del predetto decreto legge, le Camere hanno recato ulteriori variazioni, sostituendo in toto l’art. 2 (che ha mantenuto la rubrica «Conclusione del procedimento») e l’art. 20 (tutt’ora rubricato «Silenzio assenso»), e modificando altresì gli artt. 18, 21 e 25 della legge sul procedimento.

Con la presente indagine, comunque, si intende tratteggiare l’istituto della partecipazione al procedimento amministrativo da parte dei soggetti interessati, come introdotto dall’originaria versione della legge n. 241/1990 e come successivamente delineato dall’intervento pretorio, per poi giungere all’attuale disciplina normativa per come definita dalla novella di cui alla legge n. 15/2005.

2. La partecipazione al procedimento amministrativo.

In linea generale, può dirsi che fino ad una quindicina d’anni fa – com’è noto – nell’ordinamento italiano, non poteva rinvenirsi una normativa che disciplinasse in maniera comune tutti i procedimenti degli Enti pubblici, esistendo solamente delle mere discipline di settore, come, ad esempio, quella che regolava il rilascio della vecchia licenza edilizia, con la conseguenza che l’agere della P.A. continuava ad essere ampiamente discrezionale, senza che gli interessati potessero vantare alcun diritto ad interloquire in quei procedimenti comunque destinati a sfociare in atti che potevano incidere, a vario titolo, sulle loro sfere giuridiche [7].

E ciò nonostante il fatto che, già a far data – quantomeno – dagli anni Sessanta del secolo scorso, autorevole dottrina avesse sostenuto che non era coerente con la stessa funzione del procedimento amministrativo escludere proprio l’apporto partecipativo di quei soggetti che ne sono coinvolti e che meglio possono conoscerne i presupposti di fatto e valutarne le conseguenze [8].

In quest’ottica, la necessaria partecipazione dei privati ai procedimenti della P.A. veniva allora tendenzialmente ricondotta agli stessi principi costituzionali ed, in particolar modo, a quello di imparzialità, sostenendo – proprio sulla scorta delle disposizioni della nostra Carta Fondamentale ed, in specie, del combinato disposto degli artt. 1 e 97 – che, mentre lo Stato ottocentesco ben poteva concepire un’Amministrazione di mera spettanza del Sovrano e, dunque, del tutto chiusa nei confronti del popolo, con l’avvento della Costituzione repubblicana, la P.A. avrebbe dovuto rivelarsi aperta al contributo partecipativo dei cittadini. Di qui, poiché, l’art. 1 Cost. attribuisce la sovranità al popolo nei limiti e nelle forme previste dalla stessa Costituzione, si desumeva dal principio di imparzialità di cui all’art. 97 Cost. il conseguente principio della partecipazione dei privati al procedimento amministrativo, onde l’Amministrazione avrebbe dovuto necessariamente comparare – proprio in un’ottica di imparzialità – l’interesse primario di carattere pubblico con quello dei soggetti privati coinvolti [9]. Per altro verso, il fondamento costituzionale della partecipazione si faceva discendere nell’art. 3, secondo comma, Cost., dal quale deriva il coinvolgimento dei cittadini nell’organizzazione politica, economica e sociale del Paese, attraverso l’esercizio dei vari istituti democratici quali ad esempio il diritto di voto [10].

Non mancavano, tuttavia, anche voci dissonanti, decisamente critiche in ordine alla possibilità di far discendere tout court il principio partecipativo dalle norme costituzionali [11].

 Tale ampio dibattito dottrinale è sfociato, dopo decenni, nell’approvazione della legge 7 agosto 1990, n. 241, recante «Norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi» [12], con la quale il legislatore è intervenuto a dettare, in maniera generalizzata, delle regole comuni, valide per tutte le Amministrazioni e per ogni tipo di procedimento, espressamente prevedendo una norma a garanzia della partecipazione dei privati interessati. All’art. 7, è stato, infatti, stabilito che, ove non sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità [13] e fatta salva la possibilità di adottare, comunque, i necessari provvedimenti cautelari, la P.A. è tenuta a comunicare l’inizio del procedimento ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti, a coloro che per legge debbono intervenirvi, nonché a tutti gli altri soggetti individuati o facilmente individuabili ai quali possa derivare un pregiudizio [14]. L’obbligo della comunicazione de qua è stato, invece, espressamente escluso – all’art. 13 della medesima legge – nei confronti delle attività finalizzate all’emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, nonché per i procedimenti tributari e per quelli riguardanti i collaboratori di giustizia [15], per i quali – tutti – rimangono ferme le relative, particolari, norme di settore.

L’istituto della partecipazione è stato, dunque, esteso alla generalità dei procedimenti amministrativi, con ciò introducendosi espressamente nell’ordinamento quello che è stato spesso definito come il «principio del giusto procedimento» [16], in forza del quale la definizione del pubblico interesse deve avvenire (anche) attraverso il contraddittorio con i portatori dei contrapposti interessi coinvolti dall’esercizio del potere dell’Amministrazione. In quest’ottica, anche l’Adunanza plenaria del Collegio di Palazzo Spada ha avuto modo di precisare che l’obbligo della comunicazione di avvio del procedimento ai soggetti nei cui confronti il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti «…ha innestato nell’attività amministrativa un elemento di riqualificazione di grande rilievo civile, consistente nell’introduzione nel procedimento amministrativo della cultura della dialettica processuale, per cui alla prassi della definizione unilaterale del pubblico interesse, oggetto, nei confronti dei destinatari di provvedimenti restrittivi, di un riserbo ad excludendum già ostilmente preordinato a rendere impossibile o sommamente difficile la tutela giurisdizionale, è subentrato il sistema della democraticità delle decisioni e della accessibilità dei documenti amministrativi, in cui l’adeguatezza dell’istruttoria si valuta anzitutto nella misura in cui i destinatari sono stati messi in condizione di contraddire» [17].

Di qui – è stato sottolineato – il procedimento amministrativo deve tendere ad evidenziare ed organizzare i vari interessi rilevanti ai fini dell’esercizio della funzione affidata alla P.A., affinché questa possa perseguire l’interesse pubblico primario, ma in contemperamento – ove possibile – con gli altri interessi in gioco, pubblici e privati. Proprio per tale motivo, deve ritenersi fondamentale l’apporto dei soggetti interessati, al fine di consentire all’Amministrazione procedente di acquisire tutte le informazioni necessarie e la conoscenza di tutti gli interessi coinvolti, onde poterne tener conto nell’amalgama della decisione finale [18].

Per quanto, poi, concerne più specificamente la ratio della norma, si possono ravvisare due posizioni fortemente contrastanti, che tendono a riconoscere nella partecipazione del privato ai procedimenti che lo riguardano due finalità assai diverse: da un lato, una funzione di tutela della propria posizione giuridica soggettiva (la c.d. partecipazione difensiva), che, in un’ottica garantista, è volta a consentire al cittadino di far valere le proprie ragioni, a procedimento ancora in corso – ossia a giochi ancora aperti – in vista del perseguimento di quella utilitas rimessa alla decisione conclusiva (spesso più o meno discrezionale, a seconda della tipologia di procedimento) della Pubblica Amministrazione; dall’altro lato, si ravvisa, invece, una funzione più prettamente collaborativa (anche definita partecipazione in senso stretto), finalizzata al perseguimento dell’efficienza obiettiva dell’azione della P.A., nel senso che, attraverso le osservazioni e le informazioni fornite dal soggetto privato, nell’oggettivo interesse pubblico, l’Amministrazione può meglio conoscere ogni elemento utile per la più consona valutazione del caso concreto [19].

La giurisprudenza, dal canto suo, sembra riconoscere all’istituto in esame sia la funzione collaborativa, sia quella di garanzia degli interessi del privato coinvolto, precisando che l’obbligo di comunicare l’inizio del procedimento «…deve considerarsi finalizzato ad attuare una democratizzazione ed una trasparenza nell’esercizio della attività pubblica, al fine di consentire, per il tramite del principio del contraddittorio, un’efficace tutela delle ragioni del cittadino e contestualmente di apprestare a vantaggio della P.A. elementi di conoscenza utili nell’esercizio dei poteri discrezionali» [20], benché poi, a livello applicativo – come dimostrano le varie tesi sostanzialistiche che si passerà, a breve, ad esaminare – tenda a privilegiare il solo profilo della collaborazione, di fatto non riconoscendo alla comunicazione di avvio altra natura che non sia quella meramente strumentale allo svolgimento dell’azione amministrativa [21].

In un’ottica generale, comunque, e a prescindere dalle diverse finalità dibattute a livello teorico dogmatico, è evidente che la comunicazione di avvio del procedimento – in difetto della quale la partecipazione procedimentale resterebbe un vuoto enunciato – rappresenta lo strumento indispensabile con cui i soggetti indicati dall’art. 7 della legge n. 241/1990 possono venire a conoscenza del procedimento amministrativo in itinere ed avere la possibilità di interloquire fattivamente in esso, con la conseguente configurabilità del vizio di violazione di legge relativamente al provvedimento finale, laddove la detta comunicazione non sia stata inviata ai soggetti interessati [22].

E proprio a tal fine, dunque, il principio di partecipazione non può risolversi in una mera formalità, ma richiede che l’Amministrazione garantisca un vero contraddittorio con ciascun interessato, onde deve ritenersi illegittimo un provvedimento finale assunto a pochi giorni di distanza dalla comunicazione di avvio del procedimento [23], e – a fortiori – nel caso in cui la comunicazione ex art. 7, L. n. 241/1990 sia pervenuta al destinatario o il giorno stesso dell’adozione dell’atto conclusivo o addirittura il giorno successivo, così – di fatto – sottraendo all’interessato ogni spazio temporale ed ogni concreta possibilità di intervenire nel procedimento e di spiegare, in quella sede, una reale ed effettiva difesa [24].

 

2.1. Le eccezioni giurisprudenziali alla comunicazione di avvio del procedimento.

Quanto sopra premesso, a grandi linee, sull’istituto della partecipazione al procedimento amministrativo, meritano ora di essere evidenziati quei particolari orientamenti della giurisprudenza, che – nel corso degli anni – hanno in qualche modo determinato una deminutio del diritto del privato ad interloquire con la P.A, giudicando superflua – in un numero di ipotesi sempre maggiore – la previa comunicazione di avvio del procedimento.

I. I procedimenti ad istanza di parte. Un primo profilo da analizzare concerne la necessità o meno, per la Pubblica Amministrazione, di effettuare la comunicazione di cui all’art. 7, L. n. 241/1990 in tutti i casi in cui il procedimento sia stato attivato direttamente su istanza della parte privata.

In questa fattispecie, la giurisprudenza amministrativa pressoché unanime ha finito per escludere la necessità del previo avviso di avvio, ritenendo che tale obbligo di comunicazione sia inapplicabile ai procedimenti iniziati su istanza dei medesimi potenziali destinatari della comunicazione stessa, e ciò in quanto l’istituto in esame – per la sua stessa ratio – sarebbe connaturato ai soli procedimenti avviati d’ufficio, presupponendo necessariamente che l’interessato ignori l’esistenza dell’iter procedimentale in corso.

Di qui – si sostiene – essendo la parte interessata evidentemente già a conoscenza dell’esistenza di un procedimento amministrativo al quale la stessa ha dato impulso, è del tutto privo di senso che l’Ente debba provvedere formalmente ad informarne il privato, ciò costituendo una mera ed inutile duplicazione di attività, idonea soltanto ad aggravare l’iter procedurale.

In proposito, infatti, il Supremo Consesso amministrativo ha avuto modo di precisare che le norme in materia di partecipazione non vanno applicate necessariamente e formalmente, ma debbono essere interpretate in base ad un criterio di realistica valutazione sull’effettiva conoscenza o conoscibilità di una sequenza di atti e dei suoi effetti lesivi, onde consegue che «…l’esigenza di informazione del destinatario dell’azione amministrativa, che ai sensi dell’art. 7, L. n. 241 del 1990, si realizza attraverso la comunicazione dell’avvio del procedimento e l’instaurazione del contraddittorio, non sussiste ogniqualvolta lo stesso destinatario ne sia già informato, ossia allorché il procedimento consegua ad una sua istanza o gli siano noti gli elementi salienti, oppure sia una conseguenza di altri procedimenti o atti già conosciuti» [25].

Tale impostazione ermeneutica – come detto – è stata fondamentalmente seguita per quindici d’anni da pressoché tutti i Giudici amministrativi regionali [26], ravvisandosi invece rarissime pronunce che hanno aderito all’interpretazione contraria.

Quest’ultima si basa sul dettato testuale dell’art. 8, L. n. 241/1990, il quale impone alla P.A. un generale obbligo di dare notizia dell’avvio dell’iter procedimentale, senza alcuna distinzione tra i procedimenti iniziati d’ufficio o quelli ad istanza di parte, con la conseguenza che «…anche in questi ultimi l’Amministrazione è tenuta a dare comunicazione dell’avvio del procedimento, anche in considerazione del fatto che pure in tali procedimenti va soddisfatta l’esigenza di conoscenza della persona del responsabile del procedimento e dell’ufficio ove si può prendere visione degli atti» [27].

Tale seconda interpretazione assolutamente minoritaria è stata, peraltro, giudicata più condivisibile da parte di taluna dottrina, la quale, da un lato, ha evidenziato come la tesi sostanzialistica sposata dalla giurisprudenza predominante finirebbe per introdurre in via pretoria un’ulteriore eccezione rispetto a quelle già codificate dal legislatore negli artt. 7 e 13 della legge sul procedimento amministrativo [28] e, dall’altro lato, ha ribadito come la comunicazione ex art. 7, L. n. 241/1990 abbia un contenuto più ampio rispetto alla mera informazione circa la pendenza di un procedimento – proprio perché dovrebbe indicare tutti gli elementi di cui al successivo art. 8 – senza alcuna specifica distinzione tra procedure che inizino d’ufficio o ad istanza di parte, onde la domanda del privato non potrebbe essere equiparata tout court all’informativa di avvio dell’iter procedurale [29].

II. L’interpretazione sostanzialistica e l’intervenuta conoscenza aliunde del procedimento pendente. Un secondo profilo da prendere in esame attiene al contrasto sussistente tra chi vede la comunicazione di avvio del procedimento come un adempimento della P.A. rigorosamente formale e chi attribuisce a tale istituto finalità prettamente sostanziali, così assegnando pari rilevanza alle diverse possibili modalità con le quali il destinatario della comunicazione de qua sia, comunque, venuto a conoscenza del procedimento pendente.

Le pronunce giurisprudenziali che propugnano un’interpretazione maggiormente formalistica, partono dal dato letterale delle norme dettate in materia di partecipazione e ritengono che l’intervenuta conoscenza in altro modo – in capo al destinatario del provvedimento finale – dell’avvio di un procedimento a suo carico, non possa normalmente invocarsi in funzione sanante del vizio di violazione dell’art. 7, L. n. 241/1990, in quanto una conoscenza di questo tipo non è idonea a supplire la personale e formale comunicazione che deve, tra l’altro, contenere gli elementi prescritti nell’art. 8, L. n. 241/90, ossia l’indicazione dell’amministrazione competente, dell’oggetto del procedimento, del responsabile dello stesso, dell’ufficio in cui prendere visione degli atti e quant’altro espressamente previsto dalle disposizioni sul punto [30].

Sulla base di tali motivazioni, dunque, è stato precisato che «una informazione asserita equivalente a quella di formale comunicazione di avvio del procedimento, disciplinata dagli articoli 7 e 8 della legge n. 241 del 1990, è tale se contiene gli elementi essenziali che queste norme prevedono per assicurare le finalità sopra richiamate» [31], mentre, per converso, risultano «…illegittimi i provvedimenti sanzionatori conclusi senza aver formalmente comunicato l’avvio del predetto procedimento […], non risultando idonee allo scopo altre forme di comunicazione prive della indicazione dell’oggetto e della funzione amministrativa perseguita dal Comune nonché dalla necessaria indicazione del responsabile del procedimento» [32]. Allo stesso modo, è stato precisato che «La notificazione dell’ordinanza di sospensione dei lavori non è equipollente alla comunicazione di avvio del procedimento per l’annullamento della concessione edilizia, prescritta dagli art. 7 e 8 L. n. 241 del 1990, poiché la sospensione dei lavori risponde a finalità del tutto differenti e non ha i contenuti che l’art. 8 cit. richiede per la comunicazione di avvio del procedimento» [33], e – del pari – non è stato giudicato quale atto equipollente della comunicazione di avvio del procedimento sanzionatorio il mero avviso – inviato per conoscenza – da parte di un soggetto diverso da quello procedente, titolare del potere di comminare quella determinata sanzione [34].

Si deve, tuttavia, prendere atto che la giurisprudenza più recente – anche sulla scorta di parte della dottrina [35] – è venuta rivedendo l’interpretazione letterale dell’istituto introdotto con l’art. 7, L. 241/90, nel senso che le pronunce largamente dominanti – sia dei Giudici di primo grado che di Palazzo Spada – tendono a sostenere come la comunicazione di avvio del procedimento abbia finalità sostanziali e non meramente formali, onde si può prescindere dall’invio della stessa quando «…il soggetto interessato ha comunque acquisito aliunde la conoscenza del procedimento, in tempo utile per realizzare l’eventuale partecipazione all’iter istruttorio, ossia in una fase idonea a consentirgli la prospettazione di fatti, documenti, memorie ed interpretazioni di cui la P.A. procedente deve tener conto in sede d’emanazione» [36], con la conseguenza che non può ritenersi viziante del provvedimento finale l’omessa comunicazione in esame, ogniqualvolta il destinatario abbia conosciuto – o, addirittura, avrebbe comunque potuto conoscere [37] – in altra maniera l’esistenza di un determinato procedimento amministrativo che lo riguarda [38].

In quest’ottica, è stato precisato che l’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento amministrativo – al pari di tutte le altre regole sulla partecipazione stabilite dalla legge – non può essere applicato in modo acritico o formalistico, ma dev’essere letto secondo logica e buon senso ed interpretato alla luce dei criteri generali che governano l’agire della P.A. ed individuano i contenuti essenziali del rapporto tra esercizio del pubblico potere e tutela della posizione del privato (ragionevolezza, proporzionalità, logicità ed adeguatezza); di conseguenza – si sostiene – tali regole appaiono rispettate allorquando il soggetto interessato abbia comunque acquisito in altra maniera la conoscenza del procedimento, in tempo utile per realizzare l’eventuale partecipazione all’iter istruttorio, ossia in una fase idonea a consentirgli la prospettazione di fatti, documenti, memorie ed interpretazioni dei quali la Pubblica Amministrazione procedente debba, poi, tener conto in sede d’emanazione dell’atto conclusivo [39].

III. La partecipazione ininfluente. Un terzo aspetto interpretativo a cui si deve necessariamente fare riferimento – ancora più restrittivo, per certi versi, dell’impostazione «sostanziale» dianzi evidenziata – è quello che tende a valutare la possibile influenza che la partecipazione del privato potrebbe avere sull’emanazione del provvedimento conclusivo.

Secondo l’orientamento in questione, cioè, l’omessa comunicazione di avvio del procedimento non è sempre idonea ad inficiare l’atto finale, ma solo qualora l’interessato possa dimostrare che la sua impossibilità di partecipare – per l’intervenuta violazione dell’art. 7, L. 241/1990, da parte della P.A. – abbia impedito l’acquisizione di elementi che, ove conosciuti dall’Amministrazione, avrebbero potuto ragionevolmente incidere, in via causale, sull’emanazione del provvedimento terminale [40]. Come è stato precisato, tale interpretazione – assolutamente funzionale e non formale – dell’avvio del procedimento, si risolve nell’insussistenza di un effettivo interesse del ricorrente a censurare la violazione formale dell’obbligo di inviare la comunicazione di avvio, ogniqualvolta il suo accoglimento non potrebbe ragionevolmente comportare una riedizione del potere con esiti diversi da quelli sfavorevoli già gravati [41].

In sostanza, a fronte di un motivo di impugnazione per violazione dell’art. 7, L. 241/1990, il Giudice amministrativo dovrebbe effettuare un giudizio prognostico ex post, in termini di probabilità, sull’eventuale utilitas della partecipazione pretermessa, quale potenziale contributo al procedimento [42].

Tuttavia, è chiaro che accogliere siffatta impostazione finirebbe per ribaltare l’obbligo giuridico di comunicare l’avvio del procedimento – che, per legge, incombe sull’Amministrazione – trasformandolo nell’obbligo del privato di dimostrare, in giudizio, che egli avrebbe potuto fornire informazioni utili a far sì che la P.A. si pronunciasse in modo diverso. Né ci si può nascondere che una siffatta valutazione prognostica rischierebbe di risultare quantomai inadeguata, se non del tutto errata, dipendendo esclusivamente dal libero apprezzamento di ciascun giudicante al quale il privato si sia rivolto, in sede di impugnazione. Infatti, un giudizio ex post, in ordine al possibile esito della partecipazione procedimentale, di fatto non avvenuta, comporterebbe una previsione che coinvolge moltissime variabili, tra cui l’apprezzamento discrezionale – da parte dell’Amministrazione – degli apporti collaborativi e/o difensivi dell’interessato, tale non lasciar intravedere un esito oggettivamente certo.

Sul punto, dunque, appariva senz’altro maggiormente condivisibile – già prima della novella in esame – quanto sostenuto, tra gli altri, da una recente sentenza del Tribunale amministrativo catanese, il quale ha evidenziato che «…ove si richiedesse al soggetto destinatario dell’azione amministrativa di fornire la prova puntuale relativa alla probabile positiva incidenza delle istanze partecipative sull’esito del procedimento, si creerebbe artificiosamente un inammissibile aggravio processuale a carico proprio del soggetto nel cui interesse l’obbligo di comunicazione è previsto» [43].

IV. I provvedimenti vincolati. Un ultimo profilo da analizzare riguarda la possibilità che l’Ente pubblico ometta la comunicazione ex art. 7, L. 241/1990, qualora il procedimento sia finalizzato all’assunzione di un atto conclusivo che non lasci margini di discrezionalità in capo all’Amministrazione [44].

Secondo tanta parte della giurisprudenza più recente – soprattutto dei Giudici regionali – l’onere di comunicazione dell’avvio del procedimento al destinatario dell’atto – in quanto strumentale ad esigenze di effettiva conoscenza dell’azione amministrativa e, dunque, alla partecipazione al procedimento stesso da parte dell’interessato, nella cui sfera giuridica l’atto è destinato ad incidere – non sussiste con riguardo ai provvedimenti completamente vincolati, perché, nell’assunzione di questi ultimi, l’Amministrazione non effettua alcuna valutazione di carattere discrezionale, onde l’eventuale contributo partecipativo del soggetto interessato non potrebbe comunque influire sul contenuto del provvedimento stesso [45]. Per tale motivo, parte dei Tribunali amministrativi ha escluso la necessità della previa comunicazione ex art. 7 della L. 241/1990 con riguardo all’assunzione delle misure repressive degli abusi edilizi [46], oppure in relazione a provvedimenti volti a garantire il rispetto della normativa ministeriale sui requisiti di ammissione agli esami di abilitazione [47], o nella simile ipotesi di esclusione del candidato da una procedura concorsuale [48], ovvero, ancora, quando l’adozione del provvedimento finale sia doverosa, per l’Amministrazione, i presupposti di fatto dell’atto risultino incontestati tra le parti ed il quadro normativo di riferimento non presenti margini di incertezza sufficientemente apprezzabili [49].

Analogamente, è stata ritenuta superflua la comunicazione di avvio del procedimento qualora l’Amministrazione operi in sede di autotutela, esercitando una potestà autoritativa vincolata, limitata alla verifica della corrispondenza tra la situazione di fatto e i presupposti richiesti dalla legge per l’adozione del provvedimento di ritiro di un previo atto abilitativo [50]. Ed ancora, è stata giudicata non necessaria la comunicazione in esame nel caso di provvedimenti vincolati che siano basati su presupposti verificabili in modo immediato ed univoco, e tali da essere incontestabili [51], come, ad esempio, nel caso in cui la P.A. si limiti a prendere atto dell’avvenuta decadenza di un permesso di costruire per il mancato inizio dei lavori entro il termine stabilito [52].

Al contrario, altra parte della giurisprudenza continua a sostenere che la norma di cui all’art. 7 della L. 241 del 1990 debba trovare applicazione anche in presenza di atti vincolati [53], giacché la ragion d’essere della partecipazione si configura ogniqualvolta i presupposti del provvedimento da adottare richiedano, comunque, un accertamento, configurandosi anche in questo caso l’interesse del privato a prospettare argomenti in suo favore [54]. Invero – si dice – la pretesa partecipativa del soggetto interessato riguarda anche l’accertamento e la valutazione dei presupposti sui quali si deve fondare la determinazione della P.A., poiché non sussiste alcun principio di ordine logico o giuridico che possa impedire al privato, destinatario di un atto vincolato, di rappresentare all’Amministrazione l’inesistenza dei presupposti ipotizzati dalla norma, esercitando preventivamente, sul piano amministrativo, quella difesa delle proprie ragioni che altrimenti sarebbe costretto a svolgere unicamente in sede giudiziaria [55].

In quest’ottica, dunque – e a titolo meramente esemplificativo – è stato ripetutamente affermato che la norma di cui all’art. 7 della legge 241/1990, trova applicazione anche nelle ipotesi di assunzione di atti sanzionatori [56], tra i quali rientrano, per esempio, anche i provvedimenti repressivi in materia edilizia [57]. Allo stesso modo, è stato sostenuto che l’Amministrazione ha l’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento diretto all’annullamento di un nullaosta paesaggistico [58], o all’annullamento dell’autorizzazione regionale alla coltivazione di una cava in zona sottoposta a vincolo paesistico [59].

 

2.2. Le innovazioni di cui alla L. n. 15/2005.

Sull’ampio ventaglio di posizioni interpretative determinato dall’intervento giurisprudenziale degli ultimi quindici anni e di cui si è dianzi effettuata una rapida panoramica, interviene ora il nuovo testo dell’art. 8, L. n. 241/1990, laddove il legislatore della novella ha introdotto, al secondo comma, le disposizioni di cui alla lettera c-bis e alla lettera c-ter, provvedendo ad integrare i contenuti della comunicazione di avvio del procedimento.

La prescrizione della lettera c-bis stabilisce che la comunicazione de qua, oltre ad informare il privato circa l’Amministrazione competente, l’oggetto del procedimento promosso, l’ufficio e la persona fisica del responsabile del procedimento, nonché l’ufficio in cui poter prendere visione degli atti – ossia il generale contenuto originariamente previsto nelle lettere dalla a) alla d) – debba indicare anche la data entro la quale il procedimento stesso deve concludersi e i rimedi esperibili in caso di inerzia della stessa P.A., nell’ottica di rendere più stringente l’obbligo delle Pubbliche Amministrazioni di provvedere entro termini determinati e certi [60].

Si tratta, evidentemente, di un ulteriore strumento volto a consentire all’interessato di avere piena contezza delle modalità con cui si svolge l’iter procedimentale che lo riguarda e di essere, inoltre, adeguatamente informato ab initio circa i mezzi di tutela che l’ordinamento gli concede, a fronte di un’Amministrazione che eventualmente non provveda ad istruire e concludere tempestivamente il procedimento nei termini assegnati dal legislatore.

A sua volta, la lettera c-ter prevede – con una disposizione senz’altro di maggior rilievo, ai nostri fini – che la comunicazione di avvio, nel caso in cui si tratti di procedimenti promossi dalla parte privata, debba indicare esplicitamente anche la data di presentazione della relativa istanza.

Se la prescrizione in commento è anch’essa principalmente finalizzata a dare ragione agli interessati del momento in cui la domanda è stata depositata o è pervenuta presso gli uffici dell’Amministrazione, ai fini di una più chiara individuazione dei tempi concessi alla P.A. per evadere la pratica, è fuor di dubbio, tuttavia, che essa presenti implicazioni ben più rilevanti, mostrandosi in grado di sconfessare e ribaltare tre lustri di pressoché consolidata interpretazione giurisprudenziale.

Ed, infatti, mentre l’impostazione ermeneutica sposata dai Giudici amministrativi a vastissima maggioranza – giusto quanto abbiamo visto dianzi – ha sempre sostenuto come i procedimenti attivati ad istanza di parte non necessitassero della previa comunicazione di avvio, l’attuale scelta legislativa ha rimesso in discussione tale opzione ermeneutica, accogliendo – per contro – le indicazioni di quella parte della dottrina che ha sempre giudicato negativamente il fatto di esonerare la P.A. dall’obbligo di inviare la comunicazione ex art. 7, L. n. 241/1990, pure nei casi di attivazione dell’iter procedurale ad istanza del privato [61].

Inoltre, tale ulteriore obbligo di notificare la comunicazione di avvio anche agli stessi cittadini che hanno promosso il procedimento, nonché la rinnovata attenzione riservata all’oggetto della comunicazione, che è stato debitamente integrato con le indicazioni sopra evidenziate, non possono non indurre gli interpreti a rivalutare tutte quelle fattispecie in cui la giurisprudenza aveva – fino ad oggi – ravvisato delle ulteriori eccezioni al concreto svolgimento della fase partecipativa dei privati, rispetto a quelle normativamente previste negli artt. 7 e 13 della legge sul procedimento.

Siffatta rivalutazione si impone, in particolare, per quelle ipotesi in cui si era finora sostenuta l’irrilevanza dell’esplicita comunicazione de qua, ogniqualvolta l’interessato avesse saputo – o avesse potuto sapere – aliunde della pendenza del procedimento nei suoi confronti, e ciò proprio per la rimarcata importanza ora attribuita al contenuto della comunicazione di avvio: è chiaro, infatti, che tale contenuto non può verosimilmente essere conosciuto dal privato – in specie, circa il termine ultimo concesso alla P.A. per la conclusione dell’iter procedimentale, o con riguardo ai mezzi di tutela apprestati dall’ordinamento in favore del soggetto interessato contro l’eventuale inerzia dell’Ente – mediante mere informative acquisite nella maniera più disparata ed in modo del tutto informale e generico.

Del resto – come è stato autorevolmente evidenziato – l’estensione dell’obbligo di consentire la partecipazione dei cittadini interessati anche nell’ambito dei procedimenti ad istanza di parte «…segna invero il trionfo della tesi che rinviene una garanzia di buona amministrazione nel corretto svolgimento della sua azione rispetto a talune meno convincenti teorie sulla c.d. amministrazione per meri risultati, disgiunta dalla legalità» [62], onde appare senz’altro auspicabile un compiuto ripensamento dell’istituto in esame – a fronte delle chiusure giurisprudenziali degli ultimi anni – che non si limiti a vedere la comunicazione di avvio come un mero aggravio procedimentale, quanto piuttosto come uno strumento finalizzato, finalmente, ad instaurare un diverso rapporto di relazione fra la stessa P.A. e i privati, secondo il modello di un’Amministrazione aperta al cittadino, e tesa ad assicurare informazioni, conoscenze, accesso agli atti, per addivenire al miglior perseguimento dell’interesse pubblico attraverso la più consona e completa valutazione di tutti gli interessi in gioco, ivi compresi quelli dei privati coinvolti.

3. Il nuovo art. 10-bis e la ratio dell’istituto.

Un altro aspetto di forte innovazione introdotto nella L. n. 241/1990 dalla novella de qua e strettamente connesso con il profilo della partecipazione dei soggetti interessati al procedimento amministrativo si rinviene nel nuovo istituto di cui all’art. 10-bis, inserito dall’art. 6 della legge di riforma e denominato dal legislatore «Comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza».

L’unico comma in cui si articola il nuovo disposto normativo così stabilisce: «Nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l’autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all’accoglimento della domanda. Entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, gli istanti hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti. La comunicazione di cui al primo periodo interrompe i termini per concludere il procedimento che iniziano nuovamente a decorrere dalla data di presentazione delle osservazioni o, in mancanza, dalla scadenza del termine di cui al secondo periodo. Dell’eventuale mancato accoglimento di tali osservazioni è data ragione nella motivazione del provvedimento finale. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano alle procedure concorsuali e ai procedimenti in materia previdenziale e assistenziale sorti a seguito di istanza di parte e gestiti dagli enti previdenziali».

In buona sostanza, l’istituto in esame introduce l’obbligo, per la Pubblica Amministrazione, di assumere un atto preliminare – che si potrebbe più agevolmente definire come «preavviso di diniego» – ogniqualvolta, all’esito della fase istruttoria, si accinge a rigettare l’istanza avanzata dal privato, al fine di rendere edotto quest’ultimo dei motivi che indurrebbero l’Ente ad esprimersi negativamente e a consentire all’istante di presentare osservazioni e/o e documenti idonei a suffragare ulteriormente la propria richiesta, così da dargli modo di «...eliminare gli ostacoli all’accoglimento della domanda, prima che essa sia definitivamente respinta» [63]. In seguito a tale comunicazione, si apre quindi quello che è stato condivisibilmente definito come un sub-procedimento partecipativo nel procedimento stesso [64], all’esito del quale l’Amministrazione potrà pervenire all’assunzione del provvedimento finale, sulla scorta delle proprie precedenti conclusioni e delle osservazioni formulate dal privato istante.

La norma – evidentemente ispirata al principio di trasparenza a cui deve informarsi l’agire della P.A. nei rapporti coi cittadini, e a rendere più pregnante il dialogo tra il soggetto interessato e l’Amministrazione, in un contesto procedimentale sempre più simile ad una relazione di tipo comunicativo, basata su un continuo e proficuo scambio di informazioni, e tesa a valorizzare più l’esercizio del potere amministrativo in divenire che non il provvedimento finale tout court [65] – ha l’indubbio fine pratico di introdurre un nuovo strumento di deflazione del contenzioso, consentendo al privato di conoscere anticipatamente le argomentazioni della P.A. – ossia prima che vengano cristallizzate nel provvedimento finale di rigetto dell’istanza – e controdedurre ulteriormente, «giocandosi» un’ultima chance di perseguire il proprio obiettivo ed ottenere dall’Amministrazione quanto richiesto [66]. Appare, infatti, evidente – quantomeno in linea teorica e di principio – che questo dialogo forzoso, introdotto ex novo dal legislatore della novella, possa risultare assai più utile rispetto alla partecipazione dell’interessato nei momenti iniziali del procedimento amministrativo, proprio perché previsto nella fase immediatamente predecisionale, ove l’Ente, per il fatto di aver ormai ultimato l’istruttoria, ha già piena contezza della pratica e dei vari motivi che ritiene ostativi all’accoglimento dell’istanza del privato. Ed ecco, allora – a fronte di un preavviso di diniego preciso e circostanziato – l’importanza del deposito di osservazioni altrettanto circostanziate (eventualmente corredate da documenti, ove necessario), volte a rispondere in maniera puntuale e non generica agli specifici rilievi mossi dalla P.A., così da indurla a rivedere la propria posizione.

Si tratta, dunque, di un istituto astrattamente idoneo a favorire un motivato ripensamento da parte dell’Amministrazione, prima dell’assunzione del provvedimento finale, così scongiurando il rischio di una successiva impugnazione ad opera del privato istante – ciò che, in precedenza, rappresentava invece l’unico rimedio esperibile [[67]] – e di un’eventuale duplicazione del procedimento amministrativo, a seguito dell’eventuale pronuncia giurisdizionale di accoglimento del ricorso.

 Sotto il profilo più strettamente giuridico, pare innegabile che anche per il nuovo preavviso di diniego qui in esame – quale ulteriore riedizione del diritto dell’interessato di partecipare al procedimento amministrativo che lo riguarda e di interloquire nello stesso – possano riproporsi i dubbi e le controversie dogmatiche che già si sono avute in relazione all’istituto della comunicazione di avvio, ossia in ordine alla circostanza che esso sia preordinato a consentire la partecipazione del titolare degli interessi coinvolti dall’azione amministrativa in un’ottica più prettamente collaborativa, ovvero difensiva.

Senza dilungarci, in questa sede, in una compiuta analisi della problematica – già, peraltro, dianzi accennata, trattando della comunicazione ex art. 7, L. n. 241/1990 – basti qui ribadire che, benché non venga negata anche la funzione di tutela degli interessi del privato [68], tuttavia, la prevalente interpretazione giurisprudenziale vede la partecipazione dell’interessato al procedimento amministrativo non come mero strumento di instaurazione del contraddittorio, bensì come introduzione di una forma di partecipazione collaborativa, indirizzata alla determinazione consensuale del contenuto del provvedimento, così esaltando il momento compositivo di interessi contrapposti, con inevitabile riduzione della sfera discrezionale dell’Amministrazione stessa [69].

Tale contrapposta impostazione teorica – come detto – appare senz’altro riproponibile anche per il nuovo preavviso di diniego qui in esame, ferma restando la verosimile «…convivenza, all’interno del procedimento, tra anima garantistica ed anima collaborativa» [70], dovendosi ritenere che prevalga la prima o la seconda più che altro in base al punto di vista – quello soggettivo del privato partecipante, ovvero quello oggettivo degli interessi perseguiti dall’Amministrazione – dal quale si ritenga di guardare all’istituto partecipativo. 

3.1. Contenuto, forma e modalità del preavviso di diniego.

Nella norma in commento, il legislatore non ha individuato in maniera specifica quale debba essere il contenuto del preavviso di diniego, avendo previsto in modo generico che la Pubblica Amministrazione comunichi agli istanti i «motivi» che ostano all’accoglimento della domanda.

Visto che la comunicazione in esame si pone inevitabilmente al termine della fase istruttoria e immediatamente prima dell’assunzione del provvedimento conclusivo dell’iter procedurale [71], deve ritenersi che l’Ente, in quel momento, sia già in possesso di tutti gli elementi di fatto e abbia effettuato le valutazioni di diritto sulla scorta dei quali si sta per determinare al rigetto dell’istanza del privato [72]. È, quindi, ragionevole sostenere che i motivi di cui si discute in questa sede debbano consistere nelle stesse identiche considerazioni con le quali sarebbe motivato il provvedimento finale negativo, ove non fosse stato introdotto il nuovo istituto de quo, con la conseguenza che anche i motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza del privato dovranno «…indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria», secondo il contenuto che l’art. 3 della medesima L. n. 241/1990 attribuisce specificamente alla motivazione vera e propria [73].

Di qui, come ulteriore corollario, può senz’altro affermarsi che il termine «motivi» utilizzato dal legislatore della novella debba comprendere – benché, magari, in maniera più schematica – tutti gli elementi motivazionali che dovrebbero suffragare il provvedimento finale negativo, così da dare piena contezza al destinatario delle conclusioni cui è pervenuta la P.A..

Il privato istante, cioè, deve essere posto nella condizione di poter replicare e controdedurre – mediante la presentazione di osservazioni scritte e l’eventuale produzione di documenti – a tutti i profili che l’Amministrazione ritiene ostativi ai fini del rilascio del provvedimento richiesto, poiché, altrimenti, l’istituito in esame perderebbe gran parte del suo significato, risultando essere un mero aggravio operativo del procedimento, in spregio anche al principio generale sancito dall’art. 1, secondo comma, della stessa legge n. 241/1990. E, infatti, ove l’Amministrazione comunicasse al richiedente solo alcune delle motivazioni che ritiene impeditive dell’accoglimento della domanda, provvedendo poi al diniego finale sulla base di uno o più motivi diversi, è evidente che l’eventuale partecipazione del privato risulterebbe del tutto inutile, poiché egli non avrebbe comunque potuto controdedurre sul motivo o sui motivi – diciamo così – «riservati», ciò frustrando le finalità perseguite dal legislatore.

È quanto può desumersi anche da talune pronunce giurisprudenziali, che si sono espresse sull’analogo istituto della comunicazione di avvio del procedimento, precisando che l’Amministrazione, la quale abbia avviato un procedimento in base a determinati elementi, desunti dall’atto di avvio e dalle successive deduzioni degli interessati, è tenuta a concluderlo in base a quegli stessi elementi, e, ove ritenga invece di prendere in considerazione profili nuovi, non prima prospettati, è tenuta ad iniziare un altro procedimento, rinnovando la comunicazione di avvio sulla base dei diversi dati valutati, onde consentire il corretto esplicarsi del contraddittorio [74]. Ciò, a fortiori, deve valere per l’ipotesi del preavviso di diniego, stante la fase avanzata in cui il legislatore ha previsto tale ulteriore ipotesi di dialogo tra Amministrazione e cittadino.

Se quello appena individuato risulta essere il contenuto normale e imprescindibile della comunicazione ex art. 10-bis, non pare fuor di luogo sostenere che il preavviso di diniego potrebbe eventualmente contenere anche gli stessi dati già indicati nella comunicazione di avvio del procedimento [75], ove fossero medio tempore mutati. Del resto, poiché anche l’istituto qui in esame rappresenta un’ulteriore manifestazione delle garanzie partecipative dei privati, in ossequio al principio di trasparenza e buon andamento, è senz’altro ragionevole che, nel comunicare il preavviso di diniego, la P.A. informi il soggetto istante che, nel frattempo, è cambiato per esempio il responsabile del procedimento, o che è mutato l’ufficio – per un trasferimento di competenze interno all’Ente – al quale rivolgersi per poter visionare gli atti della fase istruttoria [76].

Non pare inverosimile, infatti – ed, anzi, nella prassi, probabilmente diventerà la regola – che il soggetto interessato provveda ad esercitare il diritto d’accesso subito dopo aver ricevuto il preavviso di diniego, al fine di avere più completa contezza di eventuali pareri (si pensi, ad esempio, al parere della commissione edilizia – ove ancora prevista – nell’iter per il rilascio del permesso di costruire) o di altri atti endoprocedimentali, assunti nella fase di istruzione della pratica, così da poter controdedurre con maggiore cognizione di causa.

È, invece, da escludere che il preavviso in questione debba contenere le indicazioni previste in via generale dall’art. 3, quarto comma, della legge n. 241/1990, ossia il termine e l’autorità cui poter proporre ricorso, trattandosi di informazioni che potrebbero addirittura risultare fuorvianti per il destinatario.

Invero, la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza si presenta – per sua stessa natura, oltre che per la definizione fornita proprio dal legislatore nella rubrica del nuovo art. 10-bis – come un atto meramente interno al procedimento amministrativo e, dunque, preparatorio rispetto al provvedimento finale. Di qui, poiché il costante insegnamento della giurisprudenza amministrativa è nel senso di non considerare impugnabili gli atti meramente endoprocedimentali, in quanto sforniti di autonoma capacità lesiva immediata [77], ma di ritenerli censurabili solo congiuntamente all’atto terminale del procedimento in cui si inseriscono [78], anche nel caso qui in esame, deve ragionevolmente ritenersi che il preavviso di diniego non possa essere autonomamente sottoposto a gravame [79].

 Del resto, ciò è quanto deve desumersi anche dalla consolidata interpretazione giurisprudenziale sulla non immediata impugnabilità della comunicazione di avvio del procedimento, stante la forte vicinanza – sia sotto il profilo della ratio giuridica che del concreto modus operandi – tra quest’ultimo istituto e il preavviso di cui all’art. 10-bis. In ordine alla comunicazione ex art. 7, L. n. 241/1990, i Giudici amministrativi hanno, infatti, precisato più volte che «È inammissibile il ricorso avverso la comunicazione di avvio del procedimento […], vuoi perché atto preliminare privo di effetti lesivi propri, vuoi perché, comunque, atto endoprocedimentale non impugnabile ex se» [80] e salvo particolarissime eccezioni [81].

Inoltre, anche con riferimento ad analoghe forme di comunicazione aventi natura meramente informativa, la giurisprudenza ha dichiarato la sostanziale inammissibilità di una immediata impugnazione [82], onde non si ravvisano motivi per discostarsi da tale consolidata impostazione ermeneutica pure nel caso del preavviso di diniego di cui si discute.

Passando, ora, ad esaminare la forma che la comunicazione in commento dovrebbe avere, è facile accorgersi che, anche su questo punto, la norma risulta del tutto silente, ma stante il principio pacifico secondo cui – in linea generale – la forma scritta è elemento essenziale del provvedimento amministrativo [83], è da ritenere che anche il preavviso di diniego, pur non configurandosi come un atto conclusivo del procedimento, debba rivestire la forma scritta [84].

Ciò, peraltro, deve desumersi anche da un duplice aspetto – uno letterale, l’altro contenutistico – dello stesso art. 10-bis. Sotto il primo profilo, la norma consente al privato, destinatario del preavviso de quo, di poter controdedurre entro dieci giorni «…dal ricevimento della comunicazione», ove il termine ricevimento non può che implicare l’invio – da parte dell’Amministrazione – di una comunicazione scritta. Sotto il secondo aspetto, la previsione normativa in forza della quale il preavviso di diniego deve contenere – magari più schematicamente, ma compiutamente – i motivi che l’Ente pubblico giudica ostativi al rilascio del provvedimento richiesto, non può che condurre parimenti alla convinzione che l’atto in esame debba essere redatto per iscritto.

La comunicazione, poi, deve senza dubbio essere personale, ossia rivolta direttamente al cittadino che ha avanzato l’istanza introduttiva del procedimento, non essendo facilmente ipotizzabili delle situazioni in cui gli istanti siano così numerosi da rendere particolarmente gravosa tale attività, e da imporre – in analogia a quanto disposto per la comunicazione di avvio dall’art. 8 della medesima legge n. 241/1990 – l’uso di diverse forme di pubblicità, di volta in volta giudicate idonee dall’Amministrazione.

Strettamente connesso con l’aspetto della forma, è il profilo che attiene alle concrete modalità con cui la P.A. possa – o debba – procedere ad effettuare la comunicazione di cui trattasi.

Se l’adozione e l’invio del preavviso di diniego come atto ad hoc, sembra senz’altro rappresentare la regola generale, non è tuttavia da escludere – come è stato evidenziato [85] – che esso possa essere comunicato al privato istante anche unitamente ad altre informazioni o, comunque, nell’ambito di altri contatti tra il soggetto interessato e l’Amministrazione, come ad esempio, in sede di accesso agli atti istruttori della pratica in discussione.

Da ultimo, sul punto, ci si potrebbe chiedere se possa riconoscersi come valida alternativa all’invio del formale preavviso di diniego anche l’intervenuta conoscenza aliunde – da parte del privato – delle stesse informazioni che l’Ente gli avrebbe potuto fornire con la comunicazione di cui all’art. 10-bis. Aderendo ad un’interpretazione più sostanziale, che miri al risultato pratico conseguito più che all’aspetto formalistico del rispetto della norma procedurale tout court, si potrebbe astrattamente ipotizzare una risposta positiva, anche in ossequio a quella certa impostazione ermeneutica seguita – fino ad oggi – da una parte della giurisprudenza amministrativa in materia di comunicazione di avvio ex art. 7, L. n. 241/1990, e che abbiamo dianzi evidenziato.

In realtà, però, sembra ragionevole escludere una siffatta possibilità. Invero, le modifiche recate all’art. 8, L. n. 241/1990, dalla novella de qua – laddove impongono all’Amministrazione di comunicare all’interessato la data di presentazione dell’istanza ed il termine di evasione della pratica, e pure nei procedimenti ad istanza di parte – sembrano ora escludere la possibilità di sostenere ancora l’equiparazione alla comunicazione di avvio della conoscenza del procedimento intervenuta aliunde, e ciò deve valere a fortiori per il preavviso di diniego qui in esame, essendo difficilmente sostenibile che una conoscenza informale dell’imminente rigetto possa porre l’istante in grado di conoscere in maniera compiuta le motivazioni di una simile futura determinazione negativa, onde consentirgli di replicare adeguatamente. Senza contare – sotto un profilo meramente pratico – che, in mancanza della formale comunicazione ex art. 10-bis, il privato non potrebbe essere a conoscenza del termine di dieci giorni entro i quali interloquire, né sarebbe ipotizzabile il momento dal quale farli decorrere.

3.2. Competenza all’adozione del preavviso.

La norma in esame – con una formulazione esplicitamente definita poco chiara [86] – individua quale soggetto principe, incaricato di comunicare agli istanti i motivi ritenuti ostativi all’accoglimento della domanda, la figura del responsabile del procedimento, ma poi sembra porre sullo stesso piano – in alternativa – un soggetto assai meno determinato, che la lettera della legge definisce utilizzando la locuzione «autorità competente».

Quanto alla figura del funzionario responsabile del procedimento, non vi sono dubbi che si tratti di una scelta logica e coerente del legislatore della novella, sia sotto il profilo formale che sostanziale:

I)   sotto il primo aspetto, è appena il caso di evidenziare come, ai sensi dell’art. 6, lett. d) – nella formulazione originaria della legge n. 241/1990, peraltro rimasta invariata – egli sia il soggetto tenuto a curare le comunicazioni, le pubblicazioni e le modificazioni previste dalle leggi e dai regolamenti, onde il nuovo incarico attribuito in primis al responsabile del procedimento di notiziare il privato istante dei motivi di diniego si pone senz’altro sulla scia delle competenze già attribuite ex lege a tale figura;

II)  quanto all’aspetto più sostanziale, è indiscusso che la legge n. 15/2005 abbia inteso ulteriormente rafforzare la posizione del responsabile del procedimento, che riveste un ruolo chiave nello svolgimento dell’iter procedurale [87]. Del resto, il responsabile che ha provveduto ad istruire la pratica, valutando le condizioni di ammissibilità della domanda del privato, i requisiti di legittimazione ed i presupposti che siano rilevanti per l’emanazione di provvedimento finale, e che è stato chiamato ad accertare d’ufficio i fatti, chiedendo eventuali integrazioni documentali o la rettifica di dichiarazioni erronee o incomplete – solo per citare le principali competenze che gli sono attribuite – è senz’altro la persona che maggiormente può conoscere tutti gli elementi emersi durante la predetta fase istruttoria e le varie sfumature che la stessa può presentare.

Ecco, dunque, che il responsabile del procedimento appare, senza dubbio, la figura più idonea a formulare il preavviso di diniego qui in esame, il quale, ponendosi – come più volte detto – all’esito della fase istruttoria, si configura sostanzialmente come una pre-decisione sulla domanda avanzata dal privato, o – meglio – come una vera e propria bozza del provvedimento finale di rigetto.

Assai meno comprensibile risulta, invece, il riferimento operato dal legislatore della novella – in maniera consapevole? – all’altra generica figura della «autorità competente», che, fin dalle prime letture della norma de qua, si è mostrata foriera di interpretazioni contrastanti: se taluno sembra non avervi attribuito particolare importanza, precisando tout court che l’art. 10-bis avrebbe ulteriormente contribuito simpliciter ad estendere il ruolo di protagonista al responsabile del procedimento, senza provare ad individuare chi sia l’ulteriore autorità competente a comunicare il preavviso di diniego [88], qualche altro Autore vi ha letto – in senso opposto – una irragionevole erosione delle competenze generali di quest’ultima figura di funzionario istruttore, in favore di altro soggetto, tendenzialmente riconosciuto, in linea di massima, in quello competente ad assumere il provvedimento finale [89].

Di qui, se la prima lettura appare forse troppo semplicistica [90], e la seconda, in effetti, si palesa idonea a sollevare dubbi sulla coerenza della scelta legislativa – stante l’intervenuto rafforzamento della figura del responsabile del procedimento nel modificato art. 6 e la contestuale deminutio del suo ruolo nel successivo art. 10-bis – sembrerebbe, dunque, più condivisibile una terza impostazione, la quale – per quanto di non immediata evidenza rispetto al criptico dettato normativo – avrebbe il pregio di cercare di armonizzare il testo del nuovo articolo in esame con il ruolo e la figura del responsabile del procedimento, così come desumibili dalla disciplina previgente e come ulteriormente rafforzati – per quanto dianzi accennato – dalle innovazioni recate all’art. 6, della legge n. 241/1990.

È stato, invero, sostenuto che la «autorità» indicata nell’art. 10-bis potrebbe eventualmente ritenersi «competente» non in via concorrente con il funzionario che ha istruito la pratica, bensì in via esclusiva ma residuale, ossia soltanto «…in tutte quelle ipotesi nelle quali non sia facilmente individuabile, ovvero non sia configurabile, la figura del responsabile del procedimento», come nei casi in cui il soggetto deputato ad assumere il provvedimento finale sia tendenzialmente un organo pluripersonale, nell’ambito del quale venga in rilievo più la volontà dell’organo medesimo che non quella del singolo dirigente, come persona fisica [91]. Anche tale ultima soluzione, peraltro, sembra presentare qualche limite di tenuta, atteso che anche un procedimento che debba essere deciso da un organo collegiale dovrà pur essere previamente istruito da un funzionario di quella data Amministrazione, onde non risulta affatto semplice procedere alla concreta individuazione della predetta «autorità competente», fintantoché l’intervento chiarificatore della giurisprudenza non giungerà a precisare il nuovo dettato normativo anche sotto questo – l’ennesimo – controverso profilo.

3.3. Effetti sul procedimento.

La norma in esame, come abbiamo già anticipato, concede al privato istante, che abbia ricevuto il preavviso di diniego, il diritto di presentare per iscritto le proprie osservazioni, onde cercare di controdedurre in ordine ai motivi che, secondo la P.A. – all’esito della fase istruttoria – si oppongono all’accoglimento dell’istanza avanzata dal cittadino.

La memoria scritta potrà essere eventualmente corredata da ulteriori produzioni documentali, ove l’interessato ne ravvisi la necessità al fine di suffragare la propria posizione, ma non vi sono ragioni per escludere che il privato possa anche solo limitarsi a produrre dei documenti, senza predisporre alcuna osservazione scritta [92], come, ad esempio, nell’ipotesi in cui l’Ente adduca a motivo del futuro diniego la carenza di legittimazione del soggetto che ha chiesto il rilascio di un permesso di costruire, e costui decida simpliciter di depositare copia del contratto di acquisto del terreno sul quale ha chiesto di poter edificare.

Quanto al termine per interloquire, l’art. 10-bis assegna all’interessato un lasso di tempo di dieci giorni, dal ricevimento del preavviso di diniego, termine in ordine al quale, tuttavia, la norma non chiarisce esplicitamente l’eventuale perentorietà.

Su tale punto, nel silenzio del legislatore, potrebbero dunque astrattamente ipotizzarsi entrambe le possibilità. Da un lato, ed argomentando dal testo letterale della norma, che – come detto – non dichiara il termine perentorio, potrebbe ipoteticamente sostenersi che l’Amministrazione abbia il dovere di accettare e valutare anche delle deduzioni pervenute successivamente, con il solo limite – è chiaro – dell’eventualmente già intervenuta conclusione del procedimento, per mezzo dell’assunzione del diniego finale. Dall’altro lato, viceversa – che risulta indubbiamente più convincente e condivisibile – il termine anzidetto sembra doversi ritenere senz’altro perentorio, poiché la disposizione stessa – come vedremo – stabilisce che il tempo per la definizione del procedimento riprende a decorrere dopo il positivo intervento dell’interessato, ovvero, nel silenzio dello stesso, una volta decorsi i dieci giorni anzidetti: consegue, dunque, che non appare ammissibile un deposito tardivo – da parte dell’istante – delle osservazioni e/o dei documenti [93], e ciò sia per evitare possibili disparità di trattamento, lasciando la P.A. libera di decidere discrezionalmente (o arbitrariamente) quali deduzioni tardive valutare o meno, sia ai fini della certezza circa i tempi di conclusione del procedimento medesimo.

Passando, ora, ad analizzare un’ulteriore questione relativa a tale termine, sembra plausibile sostenere che il lasso temporale di dieci giorni – di per sé non amplissimo [94] – sia da considerarsi solo come il termine minimo concesso dal legislatore statale a garanzia dei soggetti interessati, e di conseguenza non riducibile, dovendo però ritenersi del tutto ammissibile che, a livello regionale, o delle stesse amministrazioni locali – magari più in teoria che in pratica – possano essere previsti termini più lunghi, in specie con riferimento a taluni specifici procedimenti particolarmente complessi.

Appare, tuttavia, auspicabile che eventuali termini più lunghi siano previamente stabiliti a livello generale, non sembrando ammissibile che l’Amministrazione possa discrezionalmente assegnare un lasso di tempo diverso di volta in volta, calibrandolo sulla asserita complessità del singolo procedimento. Si tratterebbe di una discrezionalità magari ideale sotto il profilo teorico, ma assai difficilmente gestibile nella prassi, e probabilmente foriera di ipotesi di disparità di trattamento niente affatto marginali [95].

Per quanto riguarda, invece, l’incidenza del preavviso de quo sul procedimento in corso, l’art. 10-bis – come dianzi accennato – prevede che la comunicazione in esame interrompa i termini entro i quali l’Amministrazione dovrebbe pronunciarsi, e che questi ricomincino nuovamente a decorrere dalla data di presentazione delle osservazioni o, in mancanza, dalla scadenza del termine ultimo entro il quale il privato avrebbe potuto interloquire.

Ci si può chiedere, in proposito, se il legislatore della novella abbia inteso parlare di «interruzione» del termine in senso proprio – con la conseguenza che esso dovrebbe, poi, ricominciare dall’inizio, dopo l’intervento dell’interessato o l’infruttuoso spirare dei concessi dieci giorni – ovvero se debba ravvisarsi un riferimento atecnico a tale istituto giuridico e vi sia stata, piuttosto, l’intenzione di prevedere un’ipotesi di mera «sospensione» del termine, il quale riprenderebbe così a decorrere solo da dove sospeso, e non nuovamente ab initio.

Tale seconda impostazione – ossia nel senso che il preavviso di diniego si limiti a sospendere i termini previsti per la conclusione del procedimento, piuttosto che ad interromperli stricto sensu – parrebbe senz’altro più ragionevole e più coerente con le esigenze di celerità dell’intero procedimento, oltre che col principio del minor aggravio possibile dell’iter procedurale. È, infatti, evidente che l’interruzione tout court, intervenendo ad istruttoria completata e, dunque – verosimilmente – pressoché alla conclusione del tempo concesso per l’espletamento della pratica, potrebbe comportare, di fatto, quasi il raddoppio dei tempi normativamente previsti; e senza contare – nella peggiore delle ipotesi – che l’interruzione del termine potrebbe porre nelle mani dell’Ente pubblico uno strumento ai limiti della liceità, per prorogare oltre modo il momento entro il quale dovrebbe determinarsi, reiterando in maniera artificiosa ed illegittima il preavviso di diniego, così da condurre ad un’autentica degenerazione l’istituto in esame [96].

Tuttavia, nonostante i dubbi e le perplessità che un’ipotetica interruzione dei termini è idonea a suscitare, il dato letterale dell’art. 10-bis non sembra proprio consentire una lettura che conduca alla mera «sospensione», dovendosi dunque, concludere per la «interruzione» vera e propria del termine iniziale ad opera della comunicazione del preavviso di rigetto: e ciò non solo in forza dell’uso del verbo «interrompere», ma anche della successiva locuzione utilizzata dal legislatore della novella, secondo cui i termini non ricominciano a decorrere, né riprendono a decorrere, bensì «…iniziano nuovamente a decorrere» [97].

Tale conclusione, peraltro, sembra potersi trarre anche dal confronto con altre norme di carattere procedurale, che disciplinano specificamente l’iter di rilascio del permesso di costruire e del certificato di agibilità, e che contengono un’analoga previsione interruttiva, per l’ipotesi in cui la P.A. provveda a chiedere integrazioni documentali. In proposito, l’art. 20 del T.U. in materia edilizia stabilisce che il termine ordinario per il rilascio del titolo ad aedificandum «…può essere interrotto una sola volta dal responsabile del procedimento, entro quindici giorni dalla presentazione della domanda, esclusivamente per la motivata richiesta di documenti che integrino o completino la documentazione presentata e che non siano già nella disponibilità dell’amministrazione o che questa non possa acquisire autonomamente. In tal caso, il termine ricomincia a decorrere dalla data di ricezione della documentazione integrativa». La stessa formulazione letterale è contenuta nel successivo art. 25, che regola il rilascio del certificato di agibilità degli edifici. Con riguardo a tali fattispecie normative, e pur in presenza di una locuzione verbale assai meno chiara – gli anzidetti artt. 20 e 25, D.P.R. n. 380/2001, prevedono che il termine ricominci a decorrere, e non che inizi nuovamente a decorrere, come invece previsto nel testo dell’art. 10-bis qui in commento – la dottrina appare uniformemente orientata a ritenere configurabile una vera e propria ipotesi di «interruzione» del termine e non di mera «sospensione» [98].

A fortiori, quindi, nel caso del preavviso di diniego qui in esame.

Da ultimo, è importante evidenziare che, in forza dell’espresso dettato normativo de quo, l’Amministrazione è tenuta a valutare concretamente le osservazioni presentate dal privato e, ove ritenga di non poterle condividere, deve darne conto in sede di assunzione del provvedimento finale, mediante adeguata motivazione.

 Come risulta evidente, tale norma si pone sulla scia della più generale disposizione contenuta nel precedente art. 10 della medesima legge sul procedimento amministrativo, laddove il legislatore del 1990 – nell’individuare i diritti dei privati partecipanti – ha stabilito, alla lettera b), che la P.A. ha l’obbligo di valutare le memorie scritte e i documenti – ove pertinenti – presentati dal privato durante l’iter procedimentale, ma il nuovo art. 10-bis si spinge più in là, imponendo a chiare lettere all’Amministrazione – come abbiamo visto – non un generico obbligo di valutazione, ma anche il più specifico onere di motivare l’eventuale mancato accoglimento delle deduzioni del privato istante.

Non è agevole, tuttavia, precisare con chiarezza se tale obbligo, imposto alla P.A., di dar contezza dell’avvenuta valutazione degli apporti partecipativi dei privati, ex art. 10-bis, si presenti come una mera precisazione esplicita di quanto già poteva desumersi dalla generale norma dell’art. 10, lett. b), oppure se si tratti di un vero e proprio aspetto innovativo.

Secondo una prima impostazione ermeneutica – che appare, peraltro, minoritaria – l’obbligo degli Enti pubblici di prendere in considerazione gli scritti defensionali di parte nell’ambito del procedimento amministrativo, ai sensi dell’art. 10, lett. b), non si tradurrebbe anche in un obbligo di puntuale confutazione, essendo sufficiente la completezza motivazionale dell’atto complessivamente valutato, allorché da esso possano, comunque, agevolmente e univocamente desumersi le ragioni giuridiche ed i presupposti di fatto posti a base della decisione [99], con la conseguenza che chi aderisce a tale interpretazione, saluta senz’altro come una novità l’espresso onere di motivazione sancito dal nuovo art. 10-bis [100].

Viceversa, secondo altra interpretazione – senz’altro più condivisibile – le regole in tema di partecipazione al procedimento, sono da ritenersi orientate a consentire al privato una fattiva partecipazione all’istruttoria procedimentale, con la conseguenza che, ai sensi dell’art. 10, comma 1, lett. b) della legge n. 241/1990, l’Amministrazione ha l’obbligo di valutare le memorie scritte e i documenti prodotti dall’interessato, ove siano pertinenti all’oggetto del procedimento, dando conto, nelle motivazione del provvedimento finale, delle ragioni che l’hanno indotta a non accogliere quanto rappresentato dal privato, onde risulta «…illegittimo il provvedimento che non esterni compiutamente la motivazione che ha indotto l’amministrazione all’adozione dell’atto pur in presenza di controdeduzioni formalizzate dal destinatario dell’azione amministrativa» [101].

3.4. Le ipotesi di esclusione.

L’ultimo periodo dell’art. 10-bis delimita l’ambito di applicazione della norma stessa, stabilendo espressamente che l’istituto del preavviso di diniego non trova applicazione in una duplice fattispecie: da un lato, nei confronti delle procedure concorsuali e, dall’altro lato, nei procedimenti in materia previdenziale ed assistenziale gestiti dagli enti di previdenza.

La prima ipotesi, qualora si volesse accedere ad un’interpretazione più restrittiva, potrebbe configurare solamente i concorsi e le selezioni per l’assunzione di determinate figure di dipendenti pubblici, o per conseguire l’abilitazione per l’accesso ad albi professionali, e simili, mentre – viceversa – in un’ottica interpretativa più ampia, vi si potrebbero ricomprendere anche le gare d’appalto di lavori, forniture e servizi, le gare per affidare incarichi di progettazione, etc., a seguito delle quali l’Ente dovrebbe provvedere a stipulare i relativi contratti.

La ratio di tale esclusione fa senz’altro optare per l’interpretazione più estensiva, volta a considerare tutte le procedure pubblicistiche in senso lato, finalizzate all’individuazione di un soggetto o di più soggetti privati destinati ad entrare in rapporto con la Pubblica Amministrazione.

In tutti i procedimenti di questo tipo, possono infatti ravvisarsi non solo le stesse esigenze di celerità che inducono a limitare la partecipazione degli istanti, ma anche le medesime difficoltà pratiche di effettuare un utile contraddittorio: non si tratta, invero, di una normale procedura promossa da un singolo privato con il quale interloquire, ma di procedure complesse, normalmente con un elevato numero di partecipanti, nelle quali la risposta negativa sull’istanza di un soggetto dipende, in via automatica e diretta, dall’accoglimento di quella di un altro partecipante, a seguito della valutazione comparata della «posizione» dei vari candidati/concorrenti, posizione cristallizzata in una prova o in un’offerta non comunque modificabili, né integrabili ex post, neppure a seguito di un ipotetico preavviso di diniego.

Quanto alla seconda fattispecie, si tratta dei procedimenti sorti a seguito di istanza di parte (ma tale precisazione è chiaramente superflua, poiché se fossero promossi d’ufficio l’istituto di cui all’art. 10-bis sarebbe inapplicabile sic et simpliciter, senza bisogno di alcuna esplicita eccezione) e riguardanti la materia previdenziale ed assistenziale gestiti dai relativi Enti, cioè di una particolare tipologia di procedimenti senz’altro dotati di una propria specificità e caratterizzati da una disciplina di settore a se stante e compiuta in se stessa.

Sotto un profilo strettamente giuridico, tale ipotesi di esclusione è stata giustificata con il riferimento al fatto che tutta la disciplina normativa del settore previdenziale escluderebbe l’esercizio di un qualsiasi intervento discrezionale da parte degli Enti competenti, con la conseguenza che, a fronte di un’attività pressoché vincolata, anche per il tipo di interessi coinvolti, la fase partecipativa risulterebbe del tutto superflua e configurerebbe un mero aggravio, non potendo i privati fornire alcun elemento idoneo ad indirizzare la conclusione – vincolata, ripetesi – dell’Amministrazione pubblica [102].

Sotto il profilo più eminentemente pratico, è stato invece sostenuto che il legislatore della novella possa aver previsto una simile eccezione anche valutando le ripercussioni che un contraddittorio rafforzato potrebbe avere sui tempi degli itinera procedurali nella materia de qua: trattandosi di procedimenti che costituiscono l’attività quotidiana e normale degli Enti previdenziali, è facilmente immaginabile che la predisposizione del preavviso di diniego, e la successiva valutazione delle deduzioni dei privati, avrebbero potuto comportare quasi una paralisi dell’attività primaria di tali Enti, con un’eccessiva ed insostenibile dilatazione dei tempi di risposta sulle stesse istanze avanzate dai privati [103].

4. Le incoerenti limitazioni di cui all’art. 21-octies.

In aperta contraddizione con il rafforzamento delle garanzie partecipative dei privati, derivante dall’innovato art. 8 della legge sul procedimento, oltre che dal nuovo istituto del preavviso di diniego, ai sensi dell’art. 10-bis, si pone tuttavia la disposizione di cui al secondo comma dell’art. 21-octies, espressione di una visuale del tutto opposta, che guarda all’esercizio del potere degli Enti pubblici dal punto di vista degli Enti stessi, focalizzando l’attenzione, in via esclusiva, sull’effettività del risultato dell’azione amministrativa, a tutto discapito della garanzia delle posizioni dei cittadini [104].

Ed invero, la norma citata contempla due diverse prescrizioni che recepiscono indubbiamente l’insegnamento di quelle pronunce giurisprudenziali di impostazione sostanzialistica, in omaggio al solo principio del raggiungimento dello scopo.

Il primo periodo del predetto secondo comma stabilisce, infatti, che non è mai annullabile il provvedimento amministrativo, pur assunto in violazione delle norme che disciplinano l’iter procedimentale o la forma degli atti, ogniqualvolta, per la natura vincolata del provvedimento stesso, sia palese che il suo contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato dalla P.A..

Pur presentando un’efficacia limitata ai soli provvedimenti vincolati, si tratta – in tutta evidenza – di una previsione dalla portata potenzialmente dirompente nell’attuale sistema del nostro ordinamento, che potrebbe condurre a distorsioni gravissime ove interpretata con troppa disinvoltura, e ad una riduzione, senza limiti certi, dell’ambito di tutela finora assicurato – pur con le sempre maggiori eccezioni di creazione pretoria, come abbiamo visto – ai destinatari dell’azione amministrativa.

In quest’ansia sostanzialistica che ha pervaso il legislatore della novella, lo stesso non si è accorto delle aperte contraddizioni in cui è caduto, mentre appare evidente che una norma di tal fatta è, di per sé, idonea a rendere del tutto inefficace ed inutile il nuovo istituto del preavviso di diniego: ed, invero, in qualsiasi procedimento che possa dirsi a conclusione vincolata [105], la mancata rituale comunicazione dei motivi ostativi al rilascio del provvedimento finale, in aperto spregio dell’art. 10-bis, sarebbe però del tutto irrilevante, ed incapace di determinare l’illegittimità del rigetto assunto alla fine dalla P.A., ove semplicemente il Giudice amministrativo dovesse ritenere «palese» – ma sulla scorta di quali considerazioni? [106] – che il provvedimento conclusivo non avrebbe comunque potuto essere diverso.

Del resto, pur a fronte di interpretazioni dottrinarie in senso restrittivo, secondo le quali la presumibile rilevanza pratica dell’art. 21-octies di cui trattasi «…risulta ragionevolmente circoscritta alle sole ipotesi di violazione strettamente formale e quindi non incidente nella scelta finale di merito effettuata dalla pubblica amministrazione» [107], tuttavia,  le prime decisioni giurisprudenziali, che hanno fatto applicazione della norma de qua, si presentano già idonee a suscitare parecchie perplessità, come quella pronuncia che, in sede di impugnazione di un’ordinanza di demolizione di opere edili abusive, ha rigettato il ricorso, evidenziando: «…in forza della acclarata natura vincolata del provvedimento e del fatto che il contenuto del provvedimento stesso “non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”, il Collegio ritiene che gli altri motivi dedotti, essendo di mero carattere formale (difetto di motivazione; contraddittorietà; omessa acquisizione parere commissione edilizia integrata), seppur astrattamente fondati devono però ritenersi irrilevanti alla luce dell’art. 21 octies, comma 2° dell’art. 14 della legge 11 febbraio 2005 n. 15 (entrata in vigore l’8 marzo 2005)» [108].

Ma non solo. Se talune altre sentenze, pur dichiarando – in astratto – fondata l’eccepita censura di carenza di motivazione, sono peraltro giunte al punto di giudicare del tutto ininfluente anche tale vizio, ai fini della legittimità/illegittimità del provvedimento finale [109], a fortiori, sarebbe ipotizzabile una disapplicazione – de facto – del nuovo istituto del preavviso di diniego [110], atteso che l’eventuale omissione della comunicazione ex art. 10-bis configurerebbe, in effetti, una mera violazione di norme procedurali, mentre l’omessa o carente motivazione non viola solamente l’art. 3 della legge n. 241/1990, ma incide – viceversa – sulla sostanza, sull’essenza stessa, del provvedimento amministrativo.

A sua volta, il secondo periodo del medesimo secondo comma dell’art. 21-octies stabilisce espressamente l’assoluta irrilevanza dell’omessa comunicazione di avvio del procedimento – ai fini della legittimità del provvedimento finale – ogniqualvolta la P.A. possa dimostrare in giudizio che il contenuto del provvedimento stesso non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, anche qualora il privato avesse potuto interloquire durante l’iter procedimentale.

Si tratta, in questo caso, di una prescrizione applicabile a qualsiasi tipo di procedimento, sia esso vincolato o discrezionale.

Il legislatore, con tale disposto normativo, non si è spinto fino ad accogliere quell’estrema interpretazione di certa giurisprudenza che ha, talvolta, imposto al privato l’obbligo di dimostrare in giudizio che egli avrebbe potuto fornire informazioni utili a far sì che la P.A. si pronunciasse in modo diverso (così, di fatto, ribaltando e stravolgendo l’obbligo – incombente invece sull’Amministrazione – di garantire la partecipazione dell’interessato), e quantomeno, ha posto l’onere della prova – circa l’eccepita ininfluenza dell’apporto partecipativo del privato (non consentito) – in capo all’Ente che ha omesso la comunicazione ex art. 7, L. n. 241/1990, ma ha, comunque, adottato una norma idonea a limitare fortemente la possibilità del privato di interloquire nel procedimento amministrativo che lo riguarda.

In definitiva – come dianzi accennato – non può che ribadirsi la notevole e stridente contraddizione in cui è incorso il legislatore della novella, il quale, a fronte di un ampliamento – a questo punto, soltanto formale – degli istituti della partecipazione, ha tuttavia finito per fare non uno, ma più passi avanti (assolutamente preoccupanti) verso una radicale riduzione delle garanzie partecipative del cittadino, in spregio a quel principio di democraticità dell’azione amministrativa che tanta parte aveva avuto nell’ispirare il varo dell’originaria legge sul procedimento.

 


 

(*) Avvocato del Foro di Venezia.

[1] Così G. Bacosi, F. Lemetre, La legge n. 15 del 2005: ecco il nuovo volto della “241”, sul sito istituzionale del Consiglio di Stato, www.giustizia-amministrativa.it.

[2] Per una primissima analisi su diversi profili della novella, cfr. G. Virga, Le modifiche ed integrazioni alla legge n. 241 del 1990 recentemente approvate. Osservazioni derivanti da una prima lettura, in www.lexitalia.it, n. 1/2005; M. Vagli, La comunicazione di avvio del procedimento negli atti vincolati tra evoluzione giurisprudenziale e novità legislative, in www.lexitalia.it, n. 4/2005; A. Laino, L’accesso ai documenti amministrativi tra aperture giurisprudenziali e novità legislative, in www.lexitalia.it, n. 4/2005; L. D’Angelo, L’improduttività degli effetti del provvedimento amministrativo nullo, in www.lexitalia.it, n. 4/2005; L. Busico, Silenzio-rifiuto e legge n. 15/2005, in www.lexitalia.it, n. 4/2005; L. Oliveri, L’irregolarità del provvedimento amministrativo nell’art. 21-octies, comma 2, della legge 241/1990, novellata, in www.lexitalia.it, n. 4/2005; A. Ferruti, Il differimento dell’accesso ai documenti amministrativi dopo la legge 15/2005, in www.lexitalia.it, n. 4/2005; L. Oliveri, La natura giuridica della denuncia di inizio attività nella legge 241/1990 novellata, in www.lexitalia.it, n. 5/2005; B. Fuoco, Riflessioni sugli atti recettizi dopo l’entrata in vigore della legge 15/2005, in www.lexitalia.it, n. 5/2005.

[3] Sul punto, F. Caringella, Profili generali della riforma, in Urbanistica e appalti, 2005, 377, ha evidenziato che, dall’analisi della giurisprudenza comunitaria, è possibile individuare i principi generali che caratterizzano ed influenzano non solo l’attività dell’Amministrazione dell’Unione Europea, ma anche dei singoli Stati membri. Si tratta, principalmente, dei principi di legalità dell’azione amministrativa, dell’obbligo di motivazione, dell’imparzialità, della trasparenza, del diritto di accesso, e specialmente della garanzia del legittimo affidamento dei privati a fronte dell’agire della P.A..

[4] Cfr. M.A. Sandulli, Introduzione, in AA.VV., L’azione amministrativa, Milano, 2005, IX, ove l’A. ha sostenuto come la formula approvata in via definitiva dai due rami del Parlamento non abbia fatto altro che tradurre in forma scritta principi già insiti nel sistema, come da ultimo ribadito dal Giudice delle leggi, con la pronuncia Corte Cost., 6 luglio 2004, n. 204, in Foro amm. CdS, 2004, 2475. Parimenti G. De Marzo, Attività consensuale e attività autoritativa della P.A., in Urbanistica e appalti, 2005, 382 ss., secondo il quale la disposizione di cui al comma 1-bis si occupa – molto più limitatamente rispetto a quanto potrebbe a prima vista sembrare – della mera «possibilità», riconosciuta alle Amministrazioni pubbliche, di ricorrere agli strumenti del diritto privato in difetto di contrarie previsioni normative.

[5] Sulla riscrittura della disciplina della conferenza di servizi, si vedano specificamente A. Gugliotta, Operativa la riforma della 241. La conferenza dei servizi supera anche il voto a maggioranza, in Edilizia e territorio, 2005, f. 8, 6 ss.; G. Nunziata, Colpo di acceleratore con la conferenza di servizi, in Guida dir., 2005, f. 10, 70 ss.; G. Gardini, La conferenza di servizi, in Giorn. dir. amministrativo, 2005, 488 ss.; M. Santini, La conferenza di servizi, in Urbanistica e appalti, 2005, 384 ss..

[6] G. Caruso, Svolta per le regole sull’invalidità formale, in Guida dir., 2005, f. 10, 75.

[7] Cfr. F. Caringella, Il diritto amministrativo, Napoli, 2002, p. 646 ss..

[8] Di quegli anni, sull’istituto della partecipazione, cfr. F. Benvenuti, voce Contraddittorio (dir. amm.), in Enc. dir., vol. IX, Milano, 1961, p. 739 ss.; U. Allegretti, L’imparzialità amministrativa, Padova, 1965; G. Pastori, La procedura amministrativa, Vicenza, 1964; M. Nigro, Studi sulla funzione organizzatrice della pubblica Amministrazione, Milano, 1966; S. Cassese, Il privato e il procedimento amministrativo, in Arch. giur., 1970, luglio-ottobre, 25 ss.; Alì, Studi sui procedimenti amministrativi a partecipazione popolare, Milano, 1970.

[9] G. Barone, L’intervento del privato nel procedimento amministrativo, Milano, 1969, passim. Analogamente, A. Cerri, Difesa e contraddittorio nel procedimento amministrativo, in Giur. cost., 1971, 2733, aveva precisato come «Il fatto che la Costituzione esplicitamente non preveda un obbligo di contraddittorio nel procedimento amministrativo non esclude che tale obbligo sia implicito nel principio di imparzialità».

[10] Cfr. F. Levi, Partecipazione popolare e organizzazione, in Riv. trim. dir. pubbl., 1977, 1625 ss., S. Cassese, Burocrazia, democrazia e partecipazione, in Jus, 1985, 81 ss..

[11] Così, per esempio, G. Bergonzini, L’attività del privato nel procedimento amministrativo, Padova, 1975, 127, ove l’A. aveva concluso che «...il contraddittorio tra Amministrazione e privati assurge a rilevanza giuridica soltanto nelle ipotesi in cui ciò è espressamente consentito dalle leggi o desunto dagli orientamenti giurisprudenziali del Consiglio di Stato».

[12] La legge n. 241/1990 ha generato copiosa letteratura. Per un inquadramento complessivo delle disposizioni de quibus, si vedano le opere di carattere generale: G. Corso, F. Teresi, Procedimento amministrativo e accesso ai documenti, Rimini, 1991; D. Georgiacodis, La partecipazione al procedimento amministrativo, in AA.VV., Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi, Atti del Convegno di Milano 21 marzo 1991, Milano, 1992; F.M. Nicosia, Il procedimento amministrativo, Principi e materiali, Napoli, 1992; V. Italia, M. Bassani (a cura di), Procedimento amministrativo e diritto di accesso ai documenti, Milano, 1995; T. Miele, Il procedimento amministrativo e il diritto di accesso, Torino, 1995; I. Franco, Il nuovo procedimento amministrativo, Bologna, 1995; R. Caranta, L. Ferraris, La partecipazione al procedimento amministrativo, Milano, 1999; F. Castiello, Il nuovo modello di azione amministrativa nella legge n. 241/90 e nella riforma “Bassanini”, Rimini, 2002; S. Cogliani (a cura di), Commentario alla legge sul procedimento amministrativo, Padova, 2004.

[13] L’art. 7, L. n. 241/1990, al primo comma, prevede un’esplicita deroga all’obbligo della previa comunicazione dell’avvio del procedimento «ove esistano particolari esigenze di celerità», purché l’Amministrazione procedente provveda a richiamare ed esplicitare in maniera compiuta, nella parte motiva del provvedimento finale, le ragioni d’urgenza che l’hanno indotta ad omettere la comunicazione de qua. Cfr., ex plurimis, Trib. sup.re acque, 12 maggio 2004, n. 57, in Foro amm. CdS, 2004, 1534; T.A.R. Campania, Salerno, sez. I, 12 dicembre 2003, n. 2575, in Foro amm. TAR, 2003, 3603; Cons. Stato, sez. IV; 10 novembre 2003, n. 7178, in Foro amm. CdS, 2003, 3295; T.A.R. Emilia Romagna, Parma, 6 novembre 2003, n. 573, in Foro amm. TAR, 2003, 3225; T.A.R. Toscana, sez. I, 7 aprile 2003, n. 1284, ivi, 2003, 1248; Cons. Giust. Amm. Sicilia, sez. giurisd., 20 gennaio 2003, n. 1, in Comuni Italia, 2003, 99.

[14] Sull’istituto della partecipazione, cfr. anche F. Patroni Griffi, Un contributo alla trasparenza dell’azione amministrativa: partecipazione procedimentale e accesso agli atti (legge 7 agosto 1990, n. 241), in Dir. proc. amm., 1992, 56 ss.; E. Dalfino, L. Paccione, Basi per il diritto soggettivo di partecipazione nel procedimento amministrativo, in Foro ital., 1992, V, 377 ss.; A. Zito, Le pretese partecipative del privato nel procedimento amministrativo, Milano, 1996; F. Figorilli, Il contraddittorio nel procedimento amministrativo, Napoli, 1996.

[15] In particolare, tale ultima ipotesi di eccezione è stata introdotta al secondo comma dell’art. 13, L. n. 241/1990, dall’art. 22 della legge 13 febbraio 2001, n. 45, recante – appunto – «Modifica della disciplina della protezione e del trattamento sanzionatorio di coloro che collaborano con la giustizia nonché disposizioni a favore delle persone che prestano testimonianza».

[16] In realtà, il principio del giusto procedimento e quello della partecipazione possono essere equiparati solamente in via di prima approssimazione, potendosi comunque ravvisare un discrimen basato sulla circostanza che il principio del giusto procedimento, in senso stretto, sarebbe circoscritto ai soli procedimenti destinati a produrre limitazioni della sfera giuridica soggettiva dei cittadini (procedimenti sanzionatori, ablatori, di secondo grado, etc.), mentre il principio della partecipazione avrebbe un ambito di applicazione senz’altro più ampio, estendendosi a tutti i procedimenti amministrativi in generale – ivi compresi quelli ampliativi della sfera giuridica del privato – in ordine ai quali non sussista un’espressa previsione contraria a livello normativo. Sul punto, cfr. A. Sandulli, Il procedimento, in S. Cassese (a cura di), Trattato di diritto amministrativo, Diritto amministrativo generale, II, Milano, 2003, 1075, ed ivi riferimenti di dottrina.

[17] Così la pronuncia Cons. Stato, Ad. Plen., 15 settembre 1999, n. 14, in Appalti urbanistica edilizia, 2000, 36.

[18] Cfr. G. Morbidelli, Il procedimento amministrativo, in L. Mazzarolli, G. Pericu, A. Romano, F.A. Roversi Monaco, F.G. Scoca (a cura di), Diritto Amministrativo, II, Bologna, 1998, 1275.

[19] Per una più approfondita disamina sul punto, si veda F. Mariuzzo, Commento all’art. 7, in V. Italia, M. Bassani, (a cura di), Processo amministrativo e diritto di accesso ai documenti, cit., 139 ss.; nonché la più aggiornata analisi del medesimo A., in sede di commento dello stesso art. 7, L. n. 241/1990, a seguito della novella di cui alla L. n. 15/2005, in AA.VV. L’azione amministrativa, Milano 2005, 225 ss., ed ivi ampi richiami dottrinari. Ma cfr. anche F. Castiello, op. cit., 85 ss..

[20] Così espressamente la decisione Cons. Stato, sez. VI, 8 aprile 2003, n. 1882, in Foro amm. CdS, 2003, 1382, ma anche T.A.R. Sicilia, Catania, sez. I, 1 aprile 2003, n. 563, in Foro amm. TAR, 2003, 1390; nonché Cons. Stato, sez. VI, 14 gennaio 2003, n. 98, in Nuovo dir., 2003, 313. Analogamente, la decisione Cons. Stato, sez. VI, 12 marzo 2002, n. 1453, in Foro amm. CdS, 2002, 768, la quale ha precisato che il privato ha diritto a partecipare al procedimento amministrativo per lui potenzialmente lesivo «…non solo al fine di accrescere l’apporto conoscitivo dell’amministrazione, o di collaborare alla migliore realizzazione dell’interesse pubblico per una scelta più consapevole da parte dell’amministrazione, ma anche per fare emergere la propria posizione differenziata».

[21] Attribuiscono importanza preponderante alla funzione collaborativa le decisioni Cons. Stato, sez. V, 29 gennaio 2004, n. 296, in Dir. & Formazione, 2004, 372; Cons. Stato, sez. IV, 17 aprile 2003, n. 2004, in Comuni Italia 2003, 95; T.A.R. Puglia, Lecce, sez. II, 19 ottobre 2002, n. 5296, in Foro amm. TAR, 2002, 3388; T.A.R. Lazio, sez. II, 1° marzo 2002, n. 1582, ivi, 2002, 929; Cons. Stato, sez. V, 21 gennaio 2002, n. 343, in Riv. giur. edilizia, 2002, I, 819; Cons. Stato, sez. IV, 13 dicembre 2001, n. 6238, in Foro amm., 2001, 3134; T.A.R. Toscana, sez. III, 18 dicembre 2001, n. 2025, ivi, 2001, 3270.

[22] Cfr., per esempio, T.A.R. Lazio, sez. II, 14 gennaio 2002, n. 250, in Foro amm. TAR, 2002, 943: «L’obbligo della P.A. di consentire la partecipazione al procedimento amministrativo dei soggetti interessati trova ragione non solo nell’ampliamento e nell’effettività della tutela delle posizioni del privato, ma anche nella collaborazione dell’interessato ai fini della formazione del provvedimento finale (o di un accordo che determini il contenuto o si sostituisca al provvedimento medesimo). Conseguentemente, laddove non vengano assicurati i diritti di partecipazione, il provvedimento finale risulta viziato per violazione degli artt. 7 ss. della legge stessa», ma anche T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, 15 giugno 2002, n. 3541, ivi, 2002, 2143.

[23] T.A.R. Lombardia, Brescia, 22 novembre 2001, n. 1042, in Foro amm., 2001, 2913, ma analogamente anche T.A.R. Toscana, sez. III, 25 luglio 2001, n. 1247, in Foro toscano, 2001, 297; Cons. Stato, sez. V, 5 giugno 1997, n. 606, in Riv. giur. edilizia, 1998, I, 394.

[24] T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, 7 aprile 2003, n. 167, in Foro amm. TAR, 2003, 1303.

[25] Così espressamente Cons. Stato, sez. V, 21 novembre 2003, n. 7544, in Foro amm. CdS, 2003, 3384, ma anche Cons. Stato, sez. IV, 21 maggio 2004, n. 3305, ivi, 2004, 1385 e Cons. Stato, sez. V, 30 settembre 2002, n. 5058, in Riv. giur. edilizia, 2003, I, 141.

[26] Tra le pronunce più recenti, cfr. T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 27 settembre 2004, n. 12569, in Foro amm. TAR, 2004, 2615; T.A.R. Marche, 12 luglio 2004, n. 912, ivi, 2004, 2099; T.A.R. Trentino Alto Adige, Trento, 6 luglio 2004, n. 248, ivi, 2004, 2004; T.A.R. Lazio, sez. III, 17 giugno 2004, n. 5927, ivi, 2004, 1742; T.A.R. Liguria, sez. I, 25 marzo 2004, n. 290, ivi, 2004, 646; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, 12 dicembre 2003, n. 5773, ivi, 2003, 3439; T.A.R. Sardegna, 23 settembre 2003, n. 1078, ivi, 2003, 2775; T.A.R. Toscana, sez. I, 17 marzo 2003, n. 1020, ivi, 2003, 897.

[27] Così Trib. Sup.re acque, 16 luglio 1999, n. 102, in Cons. Stato, 1999, II, 1179.

[28] M. Occhiena, Il divieto di integrazione in giudizio della motivazione e il dovere di comunicazione dell’avvio dei procedimenti ad iniziativa di parte: argini a contenimento del sostanzialismo, in Foro amm. TAR, 2003, 522 ss., passim.

[29] Cfr. E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2002, 379.

[30] In tal senso, Cons. Stato, sez. IV, 17 febbraio 1999, n. 168, in Foro amm., 1999, 326.

[31] Cfr. la parte motiva della decisione Cons. Stato, sez. V, 27 gennaio 2000, n. 383, in Foro amm., 2000, 79, ma anche la più recente Cons. Stato, sez. V, 15 ottobre 2003, n. 6305, ivi, 2003, 2973, secondo la quale può considerarsi equipollente all’avviso di avvio del procedimento «…solo quell’informazione che contenga effettivamente tutti gli elementi che gli art. 7 e 8, L. n. 241 del 1990 prescrivono per la comunicazione formale».

[32] Così la sentenza T.A.R. Liguria, sez. I, 18 aprile 2002, n. 446, in Foro amm. TAR, 2002, 1244. Idem T.A.R. Liguria, sez. I, 18 marzo 2002, n. 307, ivi, 2002, 873, ma anche la pronuncia T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, 28 ottobre 1993, n. 527, in T.A.R., 1993, I, 4662, che ha precisato come una lettera inviata per conoscenza possa assolvere alla funzione di comunicazione dell’avvio del procedimento qualora possieda i requisiti formali richiesti dall’art. 8 della legge n. 241/1990.

[33] Cons. Stato, sez. V, 5 giugno 1997, n. 603, in Urbanistica e appalti, 1998, 771, ma anche T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 21 ottobre 2003, n. 4860, in Foro amm. TAR, 2003, 2852: «Nel caso in cui l’ordinanza di sospensione dei lavori abbia un contenuto complessivo riferito alle svariate pratiche edilizie e sia caratterizzata dall’assenza di riferimenti specifici che costituiranno gli addebiti del provvedimento sanzionatorio, si deve escludere ogni equipollenza con la comunicazione di avvio del procedimento di cui alla L. n. 241 del 1990».

[34] T.A.R. Liguria, sez. I, 17 ottobre 2003, n. 1144, in Foro amm. TAR, 2003, 2941.

[35] Tra i primi, in dottrina, a propugnare un’interpretazione sostanzialistica vi è stato F. Patroni Griffi, La l. 7 agosto 1990 n. 241 a due anni dall’entrata in vigore. Termini e responsabile del procedimento; partecipazione procedimentale, in Foro ital., 1993, III, 73. L’A. ha sostenuto la necessità di un approccio finalistico al sindacato di legittimità sui vizi meramente procedimentali e formali, equiparando, per esempio, la comunicazione di avvio del procedimento a qualsiasi altra circostanza idonea a rendere comunque edotto l’interessato dell’iter pendente, o anche ritenendo non invalidante il difetto di contraddittorio, ogniqualvolta il provvedimento della P.A. non avrebbe potuto essere differente, o per la natura vincolata dell’atto, o, in ogni caso, perché il privato aveva comunque avuto modo di interloquire.

[36] In termini Cons. Stato, sez. V, 8 settembre 2003, n. 5034, in Comuni Italia, 2003, 110.

[37] Cons. Stato, sez. IV, 20 febbraio 2002, n. 1003, in Foro amm. CdS, 2002, 395 e Cons. Stato, sez. IV, 21 dicembre 2001, n. 6346, in Riv. giur. edilizia, 2002, I, 515.

[38] Cfr., tra le più recenti, T.A.R. Lazio, sez. II, 22 settembre 2004, n. 9670, in Foro amm. TAR, 2004, 2538; T.A.R. Marche, 12 luglio 2004, n. 912, ivi, 2004, 2099; Cons. Stato, sez. IV, 27 ottobre 2003, n. 6631, in Foro amm. CdS, 2003, 2945; Cons. Stato, sez. VI, 26 giugno 2003, n. 3837, ivi, 2003, 1978; Cons. Stato, sez. IV, 9 dicembre 2002, n. 6693, ivi, 2002, 3134; T.A.R. Liguria, sez. I, 29 ottobre 2002, n. 1065, in Foro amm. TAR, 2002, 3151; Cons. Stato, sez. IV, 28 febbraio 2002, n. 1219, in Riv. giur. edilizia, 2002, I, 948.

[39] Cfr. la sentenza T.A.R. Lazio, sez. II, 1 marzo 2002, n. 1582, in Foro amm. TAR, 2002, 929: «L’obbligo della comunicazione dell’avvio del procedimento amministrativo all’interessato trova completamento e giustificazione nel diritto riconosciutogli dalla L. n. 241 del 1990 “di presentare memorie scritte e documenti” che la P.A. ha l’obbligo di valutare, ove siano pertinenti all’oggetto del procedimento. Pertanto, laddove lo scopo “collaborativo” tra privato cittadino ed Amministrazione procedente sia stato ampiamente raggiunto, in qualsiasi modo, ai fini dell’adozione di un atto amministrativo, non occorre, in quanto del tutto superflua, una comunicazione formale di avvio del relativo procedimento, in forza dei principi di economicità e speditezza». Ma vedansi anche T.A.R. Toscana, sez. III, 24 maggio 2002, n. 1056, ivi, 2002, 1586; T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. I, 10 aprile 2002, n. 963, ivi, 2002, 1399; T.A.R. Campania, Napoli, sez. IV, 4 gennaio 2002, n. 88, ivi, 2002, 208; T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, sez. I, 1 marzo 2001, n. 187, in Giur. ital., 2001, 1744.

[40] Così, tra le più recenti, la pronuncia T.A.R. Puglia, Bari, sez. I, 13 maggio 2002, n. 2312, in Foro amm. TAR, 2002, 1732: «Tale orientamento di concezione funzionale e non meramente formale dell’avvio del procedimento, si risolve in sostanza nel rilievo della insussistenza di un effettivo interesse del ricorrente alla censura afferente alla violazione formale dell’obbligo di avvio del procedimento quando il suo accoglimento non possa ragionevolmente comportare una riedizione del potere con esiti diversi da quelli sfavorevoli già gravati».

[41] Cfr., in proposito, la sentenza T.A.R. Sicilia, Catania, sez. I, 15 aprile 2002, n. 624, in Foro amm. TAR, 2002, 1419, nella cui motivazione si legge: «È da ritenere che l’omissione della comunicazione dell’avvio del procedimento debba necessariamente essere apprezzata in correlazione con gli altri motivi di ricorso, onde poterne verificare l’incidenza causale sul provvedimento sia pure alla stregua di un giudizio prognostico ex post sull’utilità della partecipazione pretermessa, da effettuarsi in termini probabilistici. Ed è altresì da ritenere che il giudizio prognostico sull’utilità sarà destinato a dare esito positivo non soltanto quando si lamenti in ricorso che l’omessa partecipazione si è posta in rapporto di connessione causale con vizi di legittimità sostanziale del provvedimento, ma anche quando il ricorrente si limiti a denunciare carenze istruttorie, insufficienze o travisamenti negli accertamenti di fatto; carenze che la partecipazione del privato al procedimento avrebbe consentito di superare e che, invece, hanno avuto efficacia condizionante la determinazione del provvedimento finale. In presenza di censure siffatte sarà possibile operare un giudizio prognostico ex post sulla probabile utilità della partecipazione mancata (idoneità della partecipazione a garantire completezza dell’istruttoria, correttezza ed adeguatezza degli accertamenti di fatto); quel giudizio prognostico che costruisce condizione imprescindibile per una valutazione finalistica della mera violazione di una regola del procedimento». Analogamente la recente pronuncia Cons. Stato, sez. V, 21 gennaio 2002, n. 343, in Riv. giur. edilizia, 2002, I, 819, nella quale si legge che non sussiste violazione dell’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento «…nel caso in cui il ricorrente non censuri, con dati reali, la coerenza, la logicità, la completezza, l’adeguatezza e la ponderazione dell’azione amministrativa, né tanto meno dimostri che sarebbe stato in grado di fornire elementi di conoscenza e di giudizio tali, secondo un giudizio a posteriori, da conformare diversamente le scelte dell’Amministrazione».

[42] T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. I, 29 maggio 2003, n. 1923, in Foro amm. TAR, 2003, 1781.

[43] T.A.R. Sicilia Catania, sez. I, 1 aprile 2003, n. 563, in Foro amm. TAR, 2003, 1390.

[44] Sul punto, si vedano, in dottrina, C. Videtta, La partecipazione nei procedimenti caratterizzati da discrezionalità tecnica, in A. Crosetti, F. Fracchia (a cura di), Procedimento amministrativo e partecipazione, Milano, 2002. Per una rassegna di giurisprudenza sul punto, cfr. B. Tonoletti, La comunicazione di avvio del procedimento nell’interpretatio giurisprudenziale (la questione degli atti vincolati e dichiarativi), in G. Arena, C. Marzuoli, E. Rozo Acuña (a cura di), La legge n. 241/1990: fu vera gloria? Una riflessione critica a dieci anni dall’entrata in vigore, Napoli, 2001.

[45] Così D. Georgiacodis, La partecipazione al procedimento amministrativo, cit., 52 ss.. Cfr. anche T.A.R. Lazio, sez. III, 10 luglio 2002, n. 6245, in Foro amm. TAR, 2002, 2521 e T.A.R. Lazio, sez. III, 10 luglio 2002, n. 6246, ivi, 2002, 2523.

[46] In tal senso, da ultimo, T.A.R. Puglia, Lecce, sez. III, 10 luglio 2004, n. 4974, in Foro amm. TAR, 2004, 2351; T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. II, 4 febbraio 2004, n. 217, ivi, 2004, 512; T.A.R. Campania, Napoli, sez. IV, 26 gennaio 2004, n. 287, ivi, 2004, 190; T.A.R. Valle d’Aosta, 15 ottobre 2003, n. 179, ivi, 2003, 2842; ma anche la decisione T.A.R. Toscana, sez. III, 12 marzo 2002, n. 486, ivi, 2002, 887, nella cui motivazione chiaramente si legge: «Le misure repressive di abusi edilizi danno luogo a provvedimenti tipici di stretta corrispondenza con le tipologie normativamente individuate di guisa che il Comune nell’irrogare le relative sanzioni non effettua alcuna valutazione di carattere discrezionale e, quindi, alcun contributo partecipativo sul punto può essere richiesto e offerto dal destinatario».

[47] T.A.R. Lazio, sez. III, 10 luglio 2002, n. 6245, cit. e T.A.R. Lazio, sez. III, 10 luglio 2002, n. 6246, cit..

[48] T.A.R. Sicilia, Catania, sez. III, 26 febbraio 2004, n. 483, in Foro amm. TAR, 2004, 537.

[49] In termini, T.A.R. Veneto, sez. II, 13 luglio 2004, n. 2322, in Foro amm. TAR, 2004, 2011; T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 31 maggio 2004, n. 665, ivi, 2004, 1535; T.A.R. Toscana, sez. II, 25 maggio 2004, n. 1607, ivi, 2004, 1358.

[50] Cfr. T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. II, 8 ottobre 2002, n. 2339, in Foro amm. TAR, 2002, 3395.

[51] Cons. Stato, sez. V, 22 maggio 2001, n. 2823, in Dir. & Formazione, 2002, 368.

[52] T.A.R. Basilicata, 23 maggio 2003, n. 471, in Giur. merito, 2003, 2295; T.A.R. Toscana, sez. III, 2 dicembre 1999, n. 677, in Comuni Italia, 2000, 751; Cons. Stato, sez. V, 16 novembre 1998, n. 1615, in Foro amm., 1998, f. 11-12. Contra, tuttavia, Cons. Stato, sez. V, 13 novembre 1995, n. 1562, in Riv. giur. edilizia, 1996, I, 345.

[53] In tal senso, tra le più recenti, la decisione Cons. Stato, sez. VI, 14 giugno 2004, n. 3859, in Foro amm. CdS, 2004, 1803, che ha evidenziato: «Stante l’ampia portata precettiva dell’art. 7, L. n. 241 del 1990, l’avviso di avvio di procedimento deve essere dato anche nei casi in cui il provvedimento da adottarsi abbia natura vincolata, ove da esso derivino effetti pregiudizievoli nella sfera del destinatario», ma anche Cons. Stato, sez. V, 22 aprile 2004, n. 2307, in Dir. e Giustizia, 2004, f. 28, 50, con nota adesiva di D. Chinello, Lottizzazioni abusive. Provvedimenti vincolati e avviso di procedimento, ove è stato precisato che «L’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento ai destinatari dell’atto finale sussiste anche con riferimento ai provvedimenti vincolati e sanzionatori, se comunque l’accertamento in fatto richiesto alla P.A. esige valutazioni di natura complessa». Analogamente Cons. Stato, sez. VI, 8 aprile 2004, n. 2000, in Foro amm. CdS, 2004, 1199; Cons. Stato, sez. IV, 4 febbraio 2004, n. 395, ivi, 2004, 384; Cons. Stato, sez. IV, 10 novembre 2003, n. 7178, ivi, 2003, 3295, la quale ultima ha chiarito: «L’avviso d’avvio del procedimento […], fuori dai casi di motivata urgenza del provvedere, non è escluso per il sol fatto che quest’ultima abbia natura vincolata, piuttosto che discrezionale ed è comunque obbligatoria se l’atto conclusivo del procedimento, pur se vincolato, produce effetti diretti o pregiudizievoli nella sfera giuridica del destinatario». In termini, in dottrina, cfr. F.M. Nicosia, op. cit., 197.

[54] Cfr. T.A.R. Abruzzo, Pescara, 25 ottobre 2002, n. 1016, in Giur. merito, 2003, 774; Cons. Stato, sez. VI, 29 maggio 2002, n. 2972, in Studium Juris, 2002, 1271; T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. II, 15 marzo 2002, n. 727, in Foro amm. TAR, 2002, 1086; T.R.G.A. Trentino Alto Adige, Bolzano, 31 gennaio 2002, n. 35, ivi, 2002, 41.

[55] Così T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, 6 maggio 2002, n. 2554, in Foro amm. TAR, 2002, 1695. Analogamente, anche la pronuncia Cons. Giust. Amm. Sicilia, sez. giurisd., 31 maggio 2002, n. 284, in Foro amm. CdS, 2002, 1351, la quale ha precisato che l’apporto partecipativo del privato, cui è finalizzato la comunicazione in esame, assolve appieno tale funzione non soltanto in presenza di un’attività amministrativa discrezionale, ma anche a fronte di attività vincolata nell’an e/o nel quid, ogniqualvolta in cui si renda necessario un apporto istruttorio inteso a chiarire se ricorrano o meno, nella fattispecie concreta, i presupposti di fatto e di diritto ai quali la norma riconnette il legittimo esercizio del potere amministrativo di cui trattasi.

[56] Vedasi la pronuncia Cons. Stato, sez. V, 23 febbraio 2000, n. 948, in Urbanistica e appalti, 2000, 1237, la quale, in relazione ad un procedimento sanzionatorio di una lottizzazione abusiva, ha annullato la sentenza T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 4 febbraio 1994, n. 53 – che si era pronunciata in senso contrario – e ha sostenuto la necessità che l’Amministrazione provveda alla comunicazione in esame, in quanto, stante la delicatezza e la complessità dell’accertamento tecnico preordinato all’emanazione del relativo provvedimento, la partecipazione del privato anche agli accertamenti che precedono atti vincolati può far rilevare circostanze ed elementi tali da indurre la P.A. stessa pure a recedere dall’emanazione degli ipotizzati provvedimenti restrittivi.

[57] T.A.R. Abruzzo, Pescara, 25 ottobre 2002, n. 1016, cit.; T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, 18 febbraio 2002, n. 37, in Foro amm. TAR, 2002, 583.

[58] Cons. Stato, sez. VI, 8 aprile 2002, n. 1912, in Riv. giur. edilizia, 2002, I, 930.

[59] T.A.R. Veneto, sez. II, 4 febbraio 2002, n. 350, in Foro amm. TAR, 2002, 427.

[60] Cfr. T. Di Nitto, Il termine, il responsabile, la partecipazione, la D.I.A., e l’ambito di applicazione della legge, in Giorn. dir. amministrativo, 2005, 501; F. Minniti, M. Minniti, Gli atti, i procedimenti, la trasparenza,: ecco che cosa cambia con la riforma, in Dir. e giustizia, 2005, f. 11, 60.

[61] Cfr. S. Toschei, Maggiori poteri al responsabile del procedimento, in Guida dir., 2005, f. 10, 64.

[62] Così M.A. Sandulli, op. cit., XV.

[63] Così R. Ollari, Per tutelare l’interesse pubblico possibile annullare d’ufficio gare e permessi di costruire, in Edilizia e territorio, 2005, f. 8, 18.

[64] Cfr. G. Bottino, Commento all’art. 10-bis, in AA.VV., L’azione amministrativa, Milano, 2005, 395.

[65] In termini, S. Tarullo, L’art. 10 bis della legge n. 241/90: il preavviso di rigetto tra garanzia partecipativa e collaborazione istruttoria, in www.giustamm.it, n. 2/2005, 2.

[66] In termini, F. Minniti, M. Minniti, op. cit., 60; S. Toschei, op. cit., 65.

[67] Nella pratica, in realtà – com’è noto – era fino ad oggi tutt’altro che infrequente che il soggetto istante – vistosi respingere la propria richiesta – cercasse di chiedere una rivalutazione, in via di autotutela, da parte dell’Amministrazione pubblica, presentando un’apposita istanza di riesame, prima di proporre il ricorso giurisdizionale o in alternativa allo stesso. Tale prassi, tuttavia, sembra ora destinata fatalmente a venire meno: infatti, il nuovo istituto del preavviso di diniego finisce per anticipare alla fase predecisionale la possibilità del privato di far mutare idea alla P.A., apparendo impensabile che vi sia spazio per avanzare richiesta di una successiva rideterminazione da parte dell’Ente, dopo che questo abbia già respinto le deduzioni proposte dall’interessato ai sensi dell’art. 10-bis qui in esame.

[68] Cfr., a titolo esemplificativo, T.A.R. Sicilia, Catania, sez. I, 1 aprile 2003, n. 563, in Foro amm. TAR, 2003, 1390: «La comunicazione di avvio è un obbligo per l’Amministrazione, la quale è tenuta ad adempiervi per tutti i procedimenti che non siano ad istanza di parte, sia che eserciti un potere discrezionale, sia che l’attività sia vincolata; ciò per mettere il destinatario nella condizione di partecipare al procedimento, sia in un’ottica collaborativa, sia in un’ottica prettamente difensiva», ma anche T.A.R. Veneto, sez. I, 16 novembre 1995, n. 1365, in Riv. giur. polizia locale, 1996, 544: «Nel sistema partecipativo introdotto dalla legge generale sul procedimento, gli interessati possono far valere istanze, proposte, osservazioni, segnalazioni di vizi o errori, ecc., in funzione di tutela e di collaborazione: la partecipazione dei privati destinatari del provvedimento corrisponde anche all’interesse pubblico allo svolgimento imparziale, corretto e qualificato del procedimento».

[69] Cfr., ex multis, T.A.R. Lazio, III, 7 gennaio 1998, n. 27, in T.A.R., 1998, I, 439; T.A.R. Sicilia, Catania, sez. III, 14 giugno 1996, n. 1064, in Foro amm., 1997, 296; T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, sez. I, 23 febbraio 1995, n. 110, in T.A.R., 1995, I, 1722; T.A.R. Puglia, Bari, sez. II, 28 settembre 1994, n. 1277, in Foro amm., 1995, 452.

[70] S. Tarullo, op. cit., 3. Cfr., in giurisprudenza, T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, sez. I, 4 ottobre 2002, n. 1404, in Comuni Italia, 2002, 1689: «L’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento si fonda sulla duplice esigenza, da un lato, di porre i destinatari dell’azione amministrativa in grado di far valere i propri diritti di accesso e di partecipazione e, dall’altro, di consentire all’amministrazione di meglio comparare gli interessi coinvolti e di meglio perseguire l’interesse pubblico principale, a fronte degli altri interessi pubblici e privati eventualmente coinvolti».

[71] In proposito, è stato evidenziato che la comunicazione ex art. 10-bis deve venire «tempestivamente» – secondo il dettato normativo – inviata al privato istante nel momento in cui l’Amministrazione, all’esito della fase istruttoria, abbia raggiunto la consapevolezza che la domanda di parte non potrebbe condurre all’emanazione di un provvedimento favorevole, in quanto precluso da motivi di fatto e/o di diritto. Cfr. G. Bottino, op. cit., 403.

[72] Così, per esempio, nell’ambito del procedimento per il rilascio di un permesso di costruire, la P.A. dovrebbe comunicare tutti i profili che ritiene ostativi: sia quelli attinenti a considerazioni più in punto di fatto, come la carenza di legittimazione a chiedere il titolo edilizio, perché magari l’istante risulta essere solo un mero comproprietario del terreno sul quale intenderebbe edificare, sia gli elementi motivazionali più prettamente giuridici, quali il mancato rispetto dei parametri urbanistico-edilizi delle Norme Tecniche, da parte del progetto presentato dal richiedente.

[73] In termini, G. Bottino, op. cit., 405.

[74] In tal senso, la sentenza T.A.R. Valle d’Aosta, 23 agosto 2004, n. 538, in Foro amm. TAR, 2004, 1973.

[75] Invero – come abbiamo visto più sopra – dal contenuto della nuova lettera c-ter) di cui al secondo comma dell’art. 8 della legge in esame, deve desumersi che l’Amministrazione è tenuta a notificare la comunicazione di avvio anche nel caso di procedimenti ad istanza di parte.

[76] Cfr. T. Di Nitto, op. cit., 2005, 503.

[77] Si ravvisa un’eccezione a tale regola, secondo recente giurisprudenza, «…nel caso di atti di natura vincolata (pareri o proposte), idonei come tali ad imprimere un indirizzo ineluttabile alla determinazione conclusiva, di atti interlocutori, idonei a cagionare un arresto procedimentale capace di frustrare l’aspirazione dell’istante ad un celere soddisfacimento dell’interesse pretensivo prospettato, e di atti soprassessori, che, rinviando ad un avvenimento futuro ed incerto nell’an e nel quando il soddisfacimento dell’interesse pretensivo fatto valere dal privato, determinano un arresto a tempo indeterminato del procedimento che lo stesso privato ha attivato a sua istanza» Così la pronuncia Cons. Stato, sez. VI, 11 marzo 2004, n. 1246, in Foro amm. CdS, 2004, 911, ma già anche Cons. Stato, sez. IV, 11 marzo 1997, n. 226, in Giur. ital., 1997, III, 1, 436.

[78] Ciò vale – in linea generale – per i pareri e per qualsiasi altro atto endoprocedimentale, preparatorio rispetto al provvedimento conclusivo del procedimento amministrativo. In termini, da ultimo, la pronuncia T.A.R. Marche, 28 giugno 2004, n. 781, in Foro amm. TAR, 2004, 1690, la quale ha precisato: «Stante l’impossibilità di censurare un parere, in quanto atto preparatorio del procedimento amministrativo e come tale, deve riconoscersi la possibilità di far valere gli eventuali vizi del parere in sede di impugnativa del provvedimento che lo ha recepito, poiché i suoi eventuali vizi ridondano in vizi del provvedimento terminale, e quindi deve riconoscersi la piena legittimazione passiva dell’Autorità amministrativa cui è riferibile il parere, al fine di consentirgli di difendere l’operato dei propri organi tecnici cui è riferibile il parere, soprattutto nell’ipotesi in cui esso sia fatto oggetto di specifiche ed autonome censure di illegittimità».

[79] Cfr. G. Bottino, op. cit., 400, sub nota 3).

[80] Così la pronuncia T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, 19 giugno 2003, n. 453, in Foro amm. TAR, 2003, 2003. Del pari, la sentenza T.A.R. Lazio, sez. III, 9 gennaio 2004, n. 54, ivi, 2004, 153, che ha puntualizzato: «È inammissibile il ricorso col quale si impugnano gli atti, preparatori, […] e di comunicazione di avvio del procedimento, i quali non dispiegano concretamente alcun effetto immediatamente lesivo della posizione giuridica rivestita dal ricorrente e non sono perciò impugnabili se non congiuntamente all’atto conclusivo il quale ne faccia applicazione, non essendo ammissibile una pronuncia in via di prevenzione sui fatti di cui si controverta in mancanza del provvedimento finale che acclari e consolidi autoritativamente una precisa lesione attuale». Idem T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, 10 dicembre 2003, n. 5734, ivi, 2003, 3438.

[81] Per esempio, la decisione T.A.R. Veneto, sez. I, 15 gennaio 2003, n. 410, in Foro amm. TAR, 2003, 25, ha giudicato quale atto idoneo a ledere direttamente ed immediatamente la posizione giuridica del destinatario la comunicazione di avvio del procedimento finalizzato alla dichiarazione di particolare interesse storico-artistico di taluni beni, ai sensi dell’art. 7, D.Lgs. 29 ottobre 1999 n. 490, in quanto comportante l’immediata applicazione di misure cautelari di controllo.

[82] È stato precisato che «È inammissibile l’impugnazione di un atto di comunicazione avente natura meramente informativa, teso a mettere il destinatario a conoscenza dell’avvenuto avvio del procedimento, ai sensi dell’art. 9, L. 28 febbraio 1985 n. 47, e privo, quindi, di qualsiasi effetto lesivo». Così T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 26 maggio 2003, n. 2377, in Foro amm. TAR, 2003, 1487.

[83] Cfr., tra le pronunce più recenti, T.A.R. Puglia, Bari, sez. I, 20 maggio 2004, n. 2227, in Foro amm. TAR, 2004, 1537: «Anche in mancanza di una legge che imponga esplicitamente la forma scritta, deve ritenersi che gli atti della P.A., anche quelli privatistici adottati in regime di diritto comune ma pur sempre funzionalizzati, debbano scontare – come regola generale giustificata da esigenze di certezza nonché per facilitare il controllo dell’attività amministrativa in funzione del buon andamento della p.a., ex art. 97 Cost. – la forma scritta ad substantiam e possano avere la forma orale soltanto quando la legge o altra fonte normativa lo stabilisca espressamente (es. ordini di polizia, atto di convocazione di Giunta e/o Consiglio per esplicita previsione statutaria o regolamentare)».

[84] È stata, poi, evidenziata – in maniera del tutto condivisibile, peraltro – l’importanza che l’Amministrazione utilizzi una modalità di invio idonea a darle certezza circa la data di ricezione da parte del privato, atteso che è da quella data che decorre il termine di dieci giorni entro i quali il privato istante può controdedurre (così T. Di Nitto, ibidem), e salvo che non si voglia ritenere il detto termine come non perentorio.

[85] S. Tarullo, op. cit., 4.

[86] Cfr. T. Di Nitto, op. cit., 502, il quale ha evidenziato come non si riesca proprio a comprendere per quale ragione il legislatore della novella non abbia attribuito, in via esclusiva, al responsabile del procedimento la competenza ad effettuare la comunicazione di cui trattasi.

[87] Si pensi al fatto che l’ultimo inciso introdotto all’art. 6, lett. e), L. n. 241/1990, dalla legge n. 15/2005, attribuisce valenza determinante alle risultanze dell’istruttoria alle quali è pervenuto il responsabile del procedimento, stabilendo che il dirigente dell’Ufficio, ove intenda discostarsene nell’assunzione del provvedimento finale, non possa farlo se non previa puntuale ed idonea motivazione sulle circostanze che lo inducono a pronunciarsi in maniera difforme.

[88] In termini, S. Toschei, op. cit., 65.

[89] S. Tarullo, op. cit., 5, ove l’A. – nel leggere il termine «autorità» come sinonimo di «dirigente dell’ufficio» incaricato dell’adozione dell’atto conclusivo – sottolinea che una tale scelta legislativa risulta difficilmente armonizzabile con le altre norme che disciplinano la figura e le competenze del responsabile del procedimento, proprio perché tendente a sminuire le funzioni di un soggetto, al quale era stato fin dall’inizio attribuito il ruolo di protagonista.

[90] Dovuta – all’evidenza – al fatto che si trattava di una primissima lettura della norma de qua.

[91] Così G. Bottino, op. cit., 400, il quale ha ipotizzato il caso in cui la competenza ad assumere il provvedimento finale sia attribuita ad organi di indirizzo politico ovvero, comunque, ad organi amministrativi collegiali.

[92] Del resto, l’art. 10 – non modificato dalla recente novella – della medesima legge n. 241/1990, nel fissare in linea generale i diritti dei partecipanti al procedimento amministrativo, stabilisce espressamente – alla lettera b) – che l’interessato possa presentare memorie e documenti, ove la produzione documentale è sempre stata giudicata pacificamente ammissibile anche se non accompagnata da memorie scritte. Di qui, appare senz’altro preferibile una lettura dell’art. 10-bis in conformità alla predetta norma di carattere generale.

[93] In termini, S. Toschei, op. cit., 66, il quale ha evidenziato che «Tutto lascia pensare che il termine fissato dalla legge in dieci giorni sia comunque perentorio, giacché è dallo spirare di tale termine, qualora non siano già provenute le osservazioni dell’interessato, che riprende integralmente a decorrere il termine per la conclusione del procedimento».

[94] È chiaro che, in presenza di motivazioni ostative particolarmente complesse, perché magari fondate su dati tecnici o giuridici di non immediata accessibilità, il soggetto interessato si vedrà costretto a rivolgersi a specifiche figure professionali, le quali dovranno – a loro volta – studiare la documentazione e i dati forniti dalla P.A. e dal privato, con un immaginabile dilatarsi dei tempi, onde appare evidente che un lasso temporale di 10 giorni potrebbe risultare un termine pressoché irrisorio.

[95] In senso contrario S. Tarullo, op cit., 7.

[96] Propendono per la teoria della sospensione anche F. Minniti, M Minniti, op. cit., 60; S. Tarullo, ibidem.

[97] Cfr. G. Bottino, op. cit., 411 - 412. Anche la giurisprudenza, pur non rinvenendosi pronunce del tutto esplicite sul punto, sembra privilegiare l’istituto dell’interruzione: così T.A.R. Lazio, sez. II, 11 giugno 2003, n. 5302, in Foro amm. TAR, 2003, 1975 e T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, 8 febbraio 2003, n. 37, ivi, 2003, 647.

[98] In ordine all’interruzione del procedimento per il rilascio del permesso di costruire, cfr. esplicitamente P. Pittori, I procedimenti per il rilascio dei titoli abilitativi e lo Sportello Unico, in M. De Paolis, M. Pallottino (a cura di), Commentario al Testo Unico dell’edilizia, Rimini, 2004, 189; ma anche R. De Nictolis, V. Poli, I titoli edilizi nel Testo Unico e nella Legge obiettivo, Milano, 2003, 127. Circa il certificato di agibilità, cfr. G. Ruggeri, Commento all’art. 25, in AA.VV., Testo Unico sull’edilizia, Milano, 2003, 421; M. Gentile, A. Varlaro Sinisi, Commento agli artt. 24, 25, 26, in G. De Marzo (a cura di), L’attività edilizia nel Testo Unico, Milano, 2003, 294; S. Sassi, Commento all’art. 25, in R. Ferrara, G.F. Ferrari (a cura di), Commentario al Testo Unico dell’edilizia, Padova, 2005, 315.

[99] Così, in giurisprudenza, T.A.R. Liguria, sez. I, 12 febbraio 2004, n. 146, in Foro amm. TAR, 2004, 393, ma anche la decisione Cons. Stato, sez. VI, 29 gennaio 2002, n. 491, in Foro amm. CdS, 2002, 191; T.A.R. Campania, Napoli, 17 aprile 2000, n.1064, in www.lexitalia.it.

[100] Così, per esempio, S. Toschei, op. cit., 66. Secondo l’A., ai sensi dell’art. 10, comma 1, lett. b), vi è bensì l’obbligo dell’Amministrazione di valutare l’apporto collaborativo del privato, ma sarebbe sufficiente a mantenere indenne la P.A. da censure di inadeguatezza istruttoria il solo fatto «…che nelle premesse dell’atto conclusivo venga dato conto della circostanza che l’interessato ha fattivamente partecipato all’istruttoria presentando memorie e documenti, e che questi sono stati considerati al momento dell’assunzione della decisione finale, ma senza che vi sia uno specifico obbligo di dover esplicitare le ragioni che hanno indotto l’amministrazione a disattenderle ovvero a non tenerne conto».

[101] In termini, esplicitamente, la decisione T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. I, 22 aprile 2002, n. 842, in Foro amm. TAR, 2002, 1390, ma sulla stessa falsariga si vedano anche T.A.R. Lazio, sez. II, 20 aprile 2004, n. 3433, ivi, 2004, 1110; T.A.R. Piemonte, sez. I, 12 marzo 2003, n. 348, ivi, 2003, 829; T.A.R. Trentino Alto Adige, Bolzano, 19 marzo 2002, n. 143, ivi, 2002, 860; T.A.R. Lazio, sez. II, 4 gennaio 2002, n. 43, ivi, 2002, 139; T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 22 giugno 2000, n. 2408, in Ragiufarm, 2001, f. 65, 45. Conformemente, in dottrina, A. Zucchetti, Commento all’art. 10, in AA.VV., L’azione amministrativa, Milano, 2005, 384 ss..

[102] S. Toschei, ibidem.

[103] In termini, G. Bottino, op. cit., 417.

[104] Cfr. O. Forlenza, Un’enfatizzazione del principio di efficacia a scapito delle garanzie di tutela dei cittadini, in Guida dir., 2005, f. 10, 42, ove l’A. evidenzia il netto contrasto tra alcune disposizioni della novella de qua – come, appunto, quella di cui all’art. 21-octies di cui si discute – e l’originaria legge n. 241/1990, che, anche sulla scorta degli insegnamenti della Commissione Nigro, poneva l’accento sul cittadino e sulla sua posizione soggettiva nei confronti della P.A., ricostruendo l’attività dell’Amministrazione Pubblica proprio dal punto di vista del privato.

[105] Basti pensare al rilascio del permesso di costruire, che secondo la più consolidata giurisprudenza, assume una connotazione eminentemente oggettiva e vincolata, priva di apprezzamenti discrezionali, dal momento che l’autorità procedente deve semplicemente valutare l’assentibilità dell’opera, sulla base della normativa urbanistica ed edilizia vigente. Cfr., ex multis, T.A.R. Campania, Napoli, sez. VI, 8 giugno 2004, n. 9278, in Foro amm. TAR, 2004, 1802; T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. II, 11 novembre 2003, n. 3149, ivi, 2003, 3351; Cons. Stato, sez. V, 24 settembre 2003, n. 5446, in Foro amm. CdS, 2003, 2577; T.A.R. Valle d’Aosta, 14 novembre 2002, n. 118, in Foro amm. TAR, 2002, 3538.

[106] Sul punto, è stato evidenziato che i Tribunali amministrativi, per poter pronunciare un tale giudizio di evidenza, circa il fatto che il provvedimento finale non avrebbe comunque potuto essere diverso, dovranno necessariamente scendere ad un esame tanto approfondito della questione di fatto, da lambire pericolosamente il merito della medesima, dando così luogo a rischiose valutazioni, idonee a sostituirsi a quelle effettuate dall’Autorità di amministrazione attiva. Così. M. Alesio, Annullamento degli atti illegittimi: arrivano le regole ma i dubbi restano, in Dir. e giustizia, 2005, f. 11, 71.

[107] Cfr. F. Rocco, Commento all’art. 21-octies, in AA.VV., L’azione amministrativa, Milano, 2005, 914, ove l’A. – in un’ottica garantista del tutto condivisibile – ha evidenziato che possono ritenersi irrilevanti – ai fini della illegittimità del provvedimento finale – le ipotesi di violazioni di regole su di una possibile precostituzione del responsabile del procedimento, ovvero di mancata pubblicazione di tali regole, ma anche l’omessa comunicazione del nominativo del responsabile, ovvero di altre comunicazioni, pubblicazioni e notificazioni previste dalle leggi e dai regolamenti. Viceversa, non possono considerarsi ininfluenti – in via meramente esemplificativa – le violazioni che abbiano determinato il mancato accertamento di fatti determinanti, l’acquisizione istruttoria di atti parimenti determinanti, l’opposizione di ostacoli all’esercizio del diritto di accesso, o ancora l’omessa acquisizione di pareri, o la mancata indizione di conferenze di servizi, in quanto vizianti per il contenuto finale della determinazione assunta dalla P.A.

[108] Così la parte motiva della decisione T.A.R. Veneto, sez. II, 11 marzo 2005, n. 935, in www.lexitalia.it.

[109] Così, per esempio, la pronuncia T.A.R. Abruzzo, Pescara, 14 aprile 2005, n. 174, in www.lextitalia.it, nella cui motivazione si legge: «Deve, invero, in merito ricordarsi che l’art. 21-octies della L. 7 agosto 1990, n. 241, introdotto dall’art. 14 della L. 1 febbraio 2005, n. 15, dispone che non sia annullabile il provvedimento adottato in violazione delle norme sulla “forma degli atti” (cioè da esempio – come nel caso di specie – per difetto di motivazione) “qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello adottato”. Tale norma, cioè, dispone che non possa disporsi l’annullamento da parte del Giudice amministrativo di un atto in relazione ad una sua supposta carenza di motivazione, quando – ove si tratti di un atto vincolato – “sia palese” che il contenuto dispositivo dell’atto (cioè nella specie il disposto rigetto della richiesta di rilascio della licenza di pesca) non sarebbe stato diverso. Ciò posto, il Collegio è dell’avviso che possa prescindersi dall’esaminare analiticamente le doglianze dedotte in quanto è palese che nell’assumere l’impugnato diniego del 15 marzo 1996 in risposta all’ istanza del 20 giugno 1995, l’Amministrazione non avrebbe mai potuto assentire la richiesta licenza di pesca […]. Trattandosi, infatti, di adottare un atto vincolato, l’eventuale sussistenza dei vizi denunciati con il gravame non potrebbero mai condurre all’annullamento dell’atto impugnato, in quanto dall’esame degli atti è “palese” che il contenuto dispositivo dell’atto impugnato (cioè il rigetto della richiesta di rilascio della licenza di pesca) non sarebbe stato diverso». Del pari, la coeva decisione T.A.R. Abruzzo, Pescara, 14 aprile 2005, n. 186, in www.giustizia-amministrativa.it.

[110] Più consona, invece, al rispetto del principio del contraddittorio tra P.A. e cittadino, si è rivelata la pronuncia T.A.R. Lazio, sez. II bis, 18 maggio 2005, n. 3921, in www.lexitalia.it, la quale ha accolto il ricorso proposto dalla parte privata, considerando, tra l’altro, «…che dagli atti emerge chiaramente che l’amministrazione ha disatteso la disposizione di cui al nuovo art. 10 bis della legge sul procedimento» e «…pertanto, che è risultata preclusa per la parte interessata, la partecipazione al procedimento».


Stampa il documento Clicca qui per segnalare la pagina ad un amico