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Articoli e note

n. 3/2004

Domenico Chinello*

Gare d’appalto e sanabilità dei documenti prodotti in sede di offerta

[nota a Consiglio di Stato, sez. V, 4 febbraio 2004, n. 364]

 Sommario: 1. Premessa. – 2. La vicenda processuale. – 3. I pincipi della massima partecipazione e della par condicio. – 4. La sanatoria di atti e documenti irregolari. – 5. La riferibilità dell’offerta all’impresa offerente. – 6. La sentenza in esame. – 7. Considerazioni conclusive.

1. Premessa.

Qualora un’impresa partecipi ad una gara pubblica ed, in sede di offerta, presenti una dichiarazione sostitutiva priva di firma, quel documento si ha per non esistente con tutte le eventuali conseguenze – anche in termini di esclusione dalla procedura selettiva – previste dalla legge e/o dal bando di gara o dalla lettera d’invito; e ciò in quanto la sottoscrizione si collega razionalmente alla necessità di individuare con certezza il collegamento tra l’impresa, la sua offerta e i documenti allegati. Né può ammettersi la sanabilità ex post di un simile vizio, atteso che anche il principio della regolarizzazione trova il proprio limite nel fatto che i documenti prodotti dalle parti difettino di requisiti essenziali, com’è la mancanza di firma, e ciò anche, e soprattutto, a garanzia della par condicio tra i concorrenti.

È quanto ha sostenuto la Sezione Quinta del Consiglio di Stato con la pronuncia 4 febbraio 2004, n. 364, operando interessanti precisazioni con riguardo alla concreta portata dell’istituto della sanatoria delle irregolarità formali, in relazione ai documenti prodotti dalle imprese in sede di offerta pubblica. 

2. La vicenda processuale.

Per una più agevole comprensione del decisum in esame, appare opportuno ripercorrere brevemente gli antefatti, anche accennando a quanto, in precedenza, statuito nella pronuncia di primo grado.

Ad inizio 2002, il Comune di Verona aveva bandito una licitazione privata per aggiudicare il servizio di trasporto dei recipienti contenenti i pasti delle mense scolastiche comunali, e la relativa lettera di invito alla gara stabiliva che le imprese con determinati requisiti dovevano presentare, tra gli altri documenti, anche una dichiarazione sostitutiva redatta in carta libera, ai sensi del D.P.R. 445/2000, attestante che l’impresa non era assoggettata agli obblighi di assunzione obbligatoria delle persone disabili di cui alla legge 12 marzo 1999, n. 68.

All’apertura delle offerte, veniva accertato che un’impresa  – l’appellante nel giudizio concluso con la pronuncia de qua – aveva presentato una dichiarazione sostitutiva compilata dall’amministratore delegato della società, priva della sottoscrizione, ma poiché l’amministratore – ivi presente – confermava verbalmente quella dichiarazione, la commissione di gara provvedeva ad ammettere l’impresa, la cui offerta veniva poi giudicata la migliore, così da conseguire l’aggiudicazione del servizio.

La società seconda classificata contestava, tuttavia, tale decisione comunale, ed impugnava avanti al T.A.R. Veneto sia la determinazione con la quale il dirigente dell’Ufficio economato-approvvigionamenti del Comune di Verona aveva disposto l’ammissione della vincitrice, sia i provvedimenti di gara recanti l’aggiudicazione provvisoria, prima, e quella definitiva, poi.

A fronte di un ricorso articolato in diversi motivi di censura, il Tribunale regionale accoglieva quello riguardante la mancata sottoscrizione della suddetta dichiarazione sostitutiva. I Giudici di primo grado, in primis, evidenziavano che la firma del dichiarante, scritta di suo pugno, rappresenta l’espressione grafica della paternità ed impegnatività della dichiarazione che la precede, la cui mancanza rende l’atto del tutto inesistente, con riguardo ai fini ai quali è destinato; quindi, concludevano che la facoltà della stazione appaltante di consentire l’integrazione documentale deve comunque rispettare il principio della par condicio tra le imprese offerenti, per cui non può spingersi fino a consentire ad un concorrente di introdurre per la prima volta, oltre il termine perentorio, un documento essenziale richiesto dalla lex specialis di gara [1].

Donde l’annullamento dell’aggiudicazione definitiva disposta dal responsabile dell’Amministrazione comunale.

Contro la sentenza del T.A.R., insorgeva però, la controinteressata soccombente, e proponeva appello avanti al Consiglio di Stato, che si è ora pronunciato con la decisione in esame.

3. I principi della massima partecipazione e della par condicio.

La questione affrontata dalla sentenza di cui trattasi impone di esaminare due principi cardine ai quali si devono informare l’interpretazione del bando e, dunque, la concreta gestione di una gara pubblica: il principio della massima partecipazione dei concorrenti e quello – collegato, ma, per certi versi, contrapposto – della par condicio tra di essi [2].

In base al principio, di derivazione comunitaria, della massima partecipazione, a fronte di una disposizione equivoca – sia essa una norma generale che disciplina la materia, o una clausola del bando, ovvero ancora una dichiarazione proveniente da una delle imprese concorrenti – la stazione appaltante deve sempre privilegiare l’interpretazione che favorisca la partecipazione del maggior numero possibile di imprese alla procedura selettiva. Tale impostazione, infatti, è essenziale nella materia degli appalti, poiché è immediatamente correlata all’interesse dell’Amministrazione di avere un ventaglio quanto più possibile ampio di soggetti offerenti, per il miglior perseguimento delle finalità pubblicistiche sottese all’esperimento della gara stessa.

Del resto, risulta evidente che il primo scopo al quale sono finalizzati i procedimenti con cui la P.A. sceglie i propri contraenti è proprio quello di assicurare la massima partecipazione dei soggetti interessati, affinché la stessa Amministrazione possa selezionare l’offerta che meglio risponde all’interesse pubblico perseguito [3].

Tale criterio ermeneutico può essere, tuttavia, utilizzato solo ove non esista una chiara previsione di esclusione dalla gara, a seguito del mancato rispetto delle condizioni poste dal bando e quando, comunque, la clausola da interpretare sia oscura ed ambigua, per cui fra i significati astrattamente attribuibili alla stessa deve essere data la preferenza a quello – ritenuto più rispondente all’interesse pubblico – che consente il confronto fra il maggior numero di offerte. Si tratta, quindi, di un criterio interpretativo meramente sussidiario rispetto a quello che impone di attenersi alla lettera della lex specialis, a garanzia della par condicio dei concorrenti stessi [4].

Invero, l’altro principio cardine – quello prevalente, come vedremo – al quale ciascuna gara pubblica deve ispirarsi è proprio la tutela di una condizione paritaria tra i vari soggetti partecipanti. Esso si sostanzia nel precetto che la procedura di scelta del contraente deve svolgersi assicurando ai concorrenti condizioni di sostanziale parità di trattamento, in modo che l’esito positivo della gara dipenda oggettivamente dalla bontà dell’offerta prodotta e dalle capacità dell’impresa, esplicatesi, peraltro, in un ambito oggettivamente predeterminato, dove a tutti siano garantite uguali potenzialità di sviluppo, senza che peculiari condizioni soggettive dei partecipanti, o particolari rapporti con la stazione appaltante o comportamenti di quest’ultima possano favorire o porre a priori qualcuno di essi in condizioni di vantaggio, ovvero di svantaggio.

Questo criterio informa, senza dubbio, ogni profilo della gara:  a) così, per esempio, si sostiene che le regole stabilite nel bando vincolano rigidamente l’operato dell’Amministrazione, nel senso che essa deve limitarsi alla loro applicazione, senza che residui in capo all’organo competente alcun margine di discrezionalità nella loro interpretazione e nella loro attuazione, proprio per garantire la par condicio dei diversi concorrenti, che sarebbe altrimenti pregiudicata, ove si consentisse la modifica delle regole di gara cristallizzate nella lex specialis [5]b) sempre a tutela del medesimo principio, è da ritenere che la richiesta di integrazione e di chiarimenti da parte della P.A. non debba tradursi in un’indebita sostituzione della stazione appaltante alla diligenza esigibile – da parte di tutti i concorrenti alla procedura selettiva – nella completezza della documentazione presentata a corredo dell’offerta, per cui il detto potere integrativo non è assolutamente estensibile all’ipotesi di presentazione di documenti sostanzialmente nuovi oltre il termine fissato dal bando di gara [6]; c) analogamente, si giudica necessario che, nelle procedure ad evidenza pubblica, sussista l’assoluta uguaglianza dei requisiti richiesti ai vari offerenti e la contestualità della successiva valutazione [7]d) del pari, l’esigenza di garantire la par condicio dei partecipanti – oltre che la trasparenza e l’imparzialità dell’azione amministrativa – impone che, in una gara pubblica con aggiudicazione all’offerta economicamente più vantaggiosa, l’apertura dei plichi contenenti le offerte tecniche oggetto di valutazione da parte della Commissione di gara sia preceduta dalla completa determinazione dei criteri di attribuzione dei punteggi da parte della Commissione stessa, con conseguente illegittimità della procedura nella quale i parametri valutativi e la relativa griglia di punteggi, con i quali la P.A. autolimita la propria discrezionalità, vengano fissati, anche solo in parte, dopo l’esame degli elaborati progettuali e la conoscenza della loro paternità [8]. Ma l’esemplificazione potrebbe continuare.

A fronte di tali due principi tendenzialmente contrapposti, si tratta quindi di  individuare – come è stato sottolineato – un «… ragionevole punto di equilibrio fra l’esigenza di garantire la massima partecipazione alla gara e la protezione delle imprese concorrenti che, puntualmente, hanno rispettato le prescrizioni del bando, assumendone tutti gli oneri» [9], ed in proposito, non può che evidenziarsi come il rispetto della par condicio debba, comunque, ritenersi prevalente su quello della massima partecipazione alla procedura selettiva. Infatti, se è pur vero che la clausola interpretativa della massima partecipazione trova la sua ratio nella possibilità che l’esperimento di una procedura per la scelta del contraente sia estesa a tutti i possibili soggetti che siano nella capacità tecnica di parteciparvi, è altrettanto e prevalentemente vero che il rispetto rigoroso delle prefissate condizioni di partecipazione alla gara non possa essere successivamente derogato, sulla base di una diversa interpretazione delle condiciones juris preventivamente stabilite.

Corrisponde, dunque, ad un’inderogabile principio logico – prima ancora che giuridico – che il rispetto della parità di trattamento tra i partecipanti sia precedente e prevalente anche rispetto al pur importante e rilevante principio della massima possibile partecipazione dei concorrenti, secondo quello che è ormai il costante insegnamento della giurisprudenza amministrativa [10].

4. La sanatoria di atti e documenti irregolari.

Strettamente collegato con i due principi generali dianzi enunciati è l’istituto  – anch’esso di derivazione comunitaria – della «sanatoria» della documentazione irregolare, in base al quale la stazione appaltante, nell’ambito della propria discrezionalità, ha la facoltà di invitare l’impresa concorrente a regolarizzare la documentazione già prodotta, ove sia stata presentata incompleta od erronea [11]. Anche tale istituto ha come sua evidente finalità quella di consentire la massima partecipazione possibile alla procedura selettiva, da parte delle imprese che hanno presentato l’offerta, evitando che mere carenze formali della documentazione prodotta possano comportare l’esclusione dalla gara di una delle offerenti.

Poiché, tuttavia, devono essere, al contempo, rispettati il principio della par condicio tra i concorrenti – oltre che l’osservanza dei tempi procedimentali stabiliti nel bando di gara o nella lettera d’invito – si deve operare un necessario distinguo tra le mancanze documentali di carattere meramente formale, da un lato, e la carenza di elementi essenziali della domanda, dall’altro.

In proposito, la prevalente interpretazione del Giudice amministrativo è nel senso di consentire la regolarizzazione dei certificati, e della documentazione in genere, solo per profili di carattere formale, tali cioè da non incidere sul punteggio da assegnare poi a quella determinata offerta, in quanto, diversamente opinando, ne riuscirebbe – di fatto – eluso il divieto della riapertura dei termini, per consentire la presentazione della documentazione non prodotta in tempo utile. Così, se un’impresa concorrente non ha tempestivamente provveduto a produrre un certo documento, o l’ha prodotto viziato in maniera tale che esso risulti nullo o inesistente sul piano giuridico, l’impresa non potrà certo essere ammessa alla regolarizzazione, perché ciò significherebbe consentirle di presentare la documentazione richiesta dal bando di gara, dopo la scadenza del termine perentorio fissato nel bando medesimo [12].

A tal fine, in giurisprudenza, è stato esplicitamente evidenziato che la regola della sanatoria trova un duplice limite: a) nell’impossibilità di consentire la prova tardiva del possesso di un requisito per la partecipazione alla gara, in ordine al quale è stata omessa l’allegazione di ogni documento, in sede di presentazione dell’offerta, nel rispetto dei termini fissati nel bando, e  b) nell’impossibilità di precisare e, sostanzialmente, cambiare – attraverso la tardiva produzione di documenti o chiarimenti – elementi costitutivi dell’offerta, oggetto di valutazione ed attribuzione di punteggio [13]. Sulla stessa falsariga, benché a contrariis, si è ritenuto che sia ammissibile la regolarizzazione formale di atti e documenti presentati in procedure concorsuali pubbliche ove i medesimi già contengano tutti gli elementi necessari, giacché, in tal caso, dalla regolarizzazione non viene vulnerata la par condicio dei concorrenti, come viceversa accadrebbe ove il documento fosse integrato con indicazioni che ne modificano il contenuto essenziale [14].

Un ultimo profilo merita, tuttavia, di essere evidenziato in questa sede.

Poiché l’Amministrazione – come abbiamo visto al punto precedente –  è in ogni caso tenuta a rispettare la normativa alla quale si è autovincolata a garanzia del principio di imparzialità e della par condicio, anche con riguardo alle carenze meramente formali, deve ritenersi pregiudicata ogni possibilità di regolarizzazione o sanatoria ex post, ove le prescrizioni del bando o della lettera di invito siano chiare ed insuscettibili di diverse opzioni ermeneutiche o, comunque, prevedano espressamente l’esclusione dalla procedura, quale sanzione dell’inosservanza anche formale delle prescrizioni stesse [15].

In sintesi, quindi, il ricorso alla regolarizzazione deve ritenersi ammissibile ove l’inosservanza di una prescrizione sulle formalità di presentazione dell’offerta, da parte dell’impresa partecipante alla gara, non sia stata prevista espressamente dal bando o dalla lettera invito come clausola di esclusione dalla gara stessa, dovendo in questo caso darsi necessaria applicazione alla lex specialis costituita dal bando.

5. La riferibilità dell’offerta all’impresa offerente.

Venendo, ora, ad analizzare i precedenti giurisprudenziali relativi ad ipotesi molto vicine a quella decisa con la sentenza in esame, possono riscontrarsi due diversi orientamenti interpretativi.

Da un lato, si possono rinvenire talune pronunce che paiono scindere il profilo della riferibilità dell’offerta ad un determinato soggetto – giudicandolo un aspetto meramente formale – rispetto a quello della sostanza dell’offerta stessa. In tal senso sembrerebbero porsi, per esempio, alcune decisioni con le quali il Consiglio di Stato ha giudicato legittimo l’invito – rivolto dall’Amministrazione appaltante ad uno dei concorrenti – di completare la dichiarazione sostitutiva di certificazione richiesta dal bando di gara, mediante l’autenticazione della sottoscrizione, e ciò nonostante il fatto che il bando predetto l’avesse prevista a pena di esclusione [16].

Sulla stessa falsariga, si pone una decisione del Tribunale amministrativo palermitano, che ha ritenuto ammissibile la regolarizzazione postuma della firma apposta in calce alla domanda di partecipazione ad una procedura concorsuale (T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. II, 7 maggio 1998, n. 814), ma si tratta sicuramente di un orientamento minoritario, e neppure strettamente rapportabile al caso di specie.

Dall’altro lato, invece, si rinviene la giurisprudenza assolutamente prevalente  che attribuisce valore determinante al profilo della riferibilità – ad una certa impresa – della documentazione prodotta in sede di offerta ed, in particolar modo, proprio con specifico riguardo alla necessità della sottoscrizione delle dichiarazioni prodotte.

Così, i Giudici amministrativi hanno precisato anche di recente che l’omessa produzione della copia del documento di identità richiesta dal bando di gara non costituisce una mera irregolarità formale, soggetta alla regola della sanatoria, ma incide su un elemento essenziale della dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, la cui mancanza determina tout court l’inesistenza del documento [17].

Del pari, è stata dichiarata legittima l’esclusione dalla gara di un impresa partecipante, nel caso in cui la lettera di invito prescriveva, a pena di esclusione, che la fotocopia sottoscritta dal legale rappresentante – in luogo dell’attestazione rilasciata da società di attestazione – fosse accompagnata dalla copia del documento di identità dello stesso, il quale non aveva, invece, provveduto a produrla. In quel caso, è stato considerato che il citato inadempimento aveva un valore essenziale – tale da escludere ogni possibile regolarizzazione ex post – in quanto la chiesta copia del documento di identità era volta proprio a garantire la provenienza della documentazione esibita [18].

Venendo, poi, allo specifico requisito della sottoscrizione di un documento che l’impresa concorrente deve presentare in sede di offerta, è appena il caso di evidenziare come la firma rappresenti l’unico elemento idoneo a rendere imputabile con certezza una determinata dichiarazione al soggetto che l’ha resa. Una dichiarazione non sottoscritta dal dichiarante è, infatti, priva dell’elemento essenziale per la sua stessa giuridica esistenza, atteso che un atto ha valore di dichiarazione solo se proviene da un soggetto determinato e chiaramente individuato.

In mancanza della firma, dunque, una dichiarazione risulta del tutto inesistente e non può essere regolarizzata, proprio perché non si tratterebbe semplicemente di integrare, chiarire o regolarizzare un documento incompleto o una dichiarazione già presentata non rispondenti, nella forma, a quella richiesta da prescrizioni del bando, ma si tratterebbe piuttosto di produrre, per la prima volta, una dichiarazione o un documento nuovo.

Così, in ipotesi pressoché identiche a quella qui in esame, i Giudici di Palazzo Spada hanno già avuto modo di precisare che non è ammissibile la regolarizzazione della dichiarazione non firmata dell’impresa, contenente l’elenco delle principali attività da essa svolte negli ultimi tre anni, in quanto la firma di una tale dichiarazione costituisce parte integrante dell’offerta economica, e consentirla in un momento successivo alla presentazione dell’offerta violerebbe il principio della paritaria condizione dei concorrenti [19]. Allo stesso modo, è stato evidenziato che la mancata sottoscrizione dell’atto con il quale il concorrente dichiara il possesso dei requisiti richiesti dal bando per la partecipazione alla gara per pubblico incanto non è configurabile come una semplice irregolarità formale, suscettibile di successiva sanatoria, atteso che una dichiarazione senza la sottoscrizione del dichiarante è priva dell’elemento essenziale per sua stessa giuridica esistenza [20]. Più in generale, è stato stabilito, in altre occasioni, che la produzione di documenti essenziali – privi di sottoscrizione autografa – riguardanti la dimostrazione della capacità tecnico finanziaria o dati relativi ai requisiti giuridici e morali dell’impresa offerente, comporta l’esclusione dalla gara dell’impresa inadempiente ad una specifica prescrizione in tal senso prevista dal bando a pena di esclusione, restando esclusa la possibilità di successiva sanatoria od integrazione [21].

In un caso analogo, anche la Corte dei Conti ha chiarito che il principio secondo cui la mancata sottoscrizione di una prescritta dichiarazione non può costituire causa di esclusione dalla gara – dato che il documento non sottoscritto si trovava nel plico controfirmato dall’interessato sui lembi di chiusura, onde non potevano sorgere dubbi sulla provenienza della dichiarazione stessa – non può trovare applicazione quando la dichiarazione rivesta esclusiva natura documentale, perché sostitutiva di certificazione proveniente dalla pubblica autorità, e sia in quanto tale, per volontà del legislatore, a questa equivalente; né, in tali casi, può essere consentita la sottoscrizione successiva risolvendosi ciò in una violazione della par condicio dei concorrenti [22].

6.  La sentenza in esame.

Con il ricorso in appello, la società che era risultata soccombente in primo grado, ha criticato la pronuncia del T.A.R. Veneto, sostenendo che sarebbe stata improntata ad un eccessivo rigore formalistico, in quanto – a detta dell’appellante – la paternità della contestata dichiarazione sostitutiva doveva ritenersi indiscutibilmente certa sulla base quantomeno di due diverse circostanze: il fatto che l’autocertificazione presentasse il timbro della società concorrente con l’esplicita menzione della sede, e che vi fosse allegato, in fotocopia, il documento di identità del legale rappresentante della società stessa.

Palazzo Spada, tuttavia, non si è dimostrato dello stesso avviso, ed ha invece ribadito – nelle sostanza – le medesime argomentazioni già espresse dai Giudici veneziani.

In primis, il Supremo Consesso amministrativo ha precisato che la dichiarazione sostitutiva prodotta da un’impresa, in sede di offerta di una gara pubblica, deve essere necessariamente firmata, a pena di inesistenza della dichiarazione stessa, e che a nulla possono valere, in via sostitutiva, il timbro della società o la fotocopia del documento di identità del legale rappresentante, in quanto si tratta di meri indizi circa la presumibile volontà dell’impresa di partecipare all’appalto, ma non possono ritenersi determinanti. Soltanto la sottoscrizione è, infatti, idonea ad individuare con certezza il collegamento tra l’offerta, l’impresa e i documenti allegati.

In secondo luogo, il Consiglio di Stato è passato ad analizzare, nello specifico, il principio della sanabilità della documentazione irregolare e, pur ribadendo che, in linea generale, tale principio comunitario trova applicazione anche nel nostro ordinamento interno, ha tuttavia inteso definirne l’esatta portata, individuandone tre specifici limiti:  I) innanzitutto, l’istituto della sanatoria non opera quando risultano mancanti taluni requisiti essenziali dei documenti prodotti dalle parti;  II) può riguardare esclusivamente prescrizioni secondarie della procedura selettiva, consentendo solo il completamento o la chiarificazione di documenti o dichiarazioni già prodotti, e non può, invece, estendersi a profili sostanziali idonei ad identificare i documenti presentati dalle imprese concorrenti;   III) può trovare applicazione – in sostanza – solamente quando si tratti di rimediare ad incertezze derivanti da clausole del bando ambigue o poco chiare o, comunque, a dubbi della normativa applicabile al caso concreto.

E poiché, nella fattispecie, in esame, la pretesa regolarizzazione avrebbe dovuto consistere nell’integrare un documento del tutto inesistente – sul piano giuridico – perché privo di sottoscrizione, i Giudici di Palazzo Spada hanno concluso per l’inapplicabilità del principio della sanatoria, ed hanno conseguentemente respinto il ricorso in appello.

7. Considerazioni conclusive.

La pronuncia in esame risulta interessante proprio perché non si è limitata a definire il caso specifico, ma ha operato una sorta di ricognizione – per quanto schematica – della dominante posizione giurisprudenziale in materia, e ha inteso delineare le ipotesi in cui non può ritenersi consentita la regolarizzazione postuma della documentazione prodotta, in sede di offerta, da una determinata impresa.

Nel caso di specie, poi, la decisione appare ampiamente condivisibile se solo si tiene conto che la lettera d’invito includeva espressamente, tra i documenti da presentare, «…una dichiarazione sostitutiva redatta in carta libera (…) ai sensi del D.P.R. 445/2000, attestante che …» [23], e la citata normativa non dà adito a dubbi sulla forma della dichiarazione sostitutiva. In proposito, infatti, l’art. 38, terzo comma, del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 (recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa») stabilisce espressamente che «Le istanze e le dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà da produrre agli organi della amministrazione pubblica o ai gestori o esercenti di pubblici servizi sono sottoscritte dall’interessato in presenza del dipendente addetto ovvero sottoscritte e presentate unitamente a copia fotostatica non autenticata di un documento di identità del sottoscrittore».

In sostanza, la lettera di invito era chiara nel richiedere un determinato documento, richiamandone esplicitamente la relativa fonte normativa e, a sua volta, la norma richiamata è altrettanto chiara nello stabilire che la dichiarazione sostitutiva necessita della sottoscrizione dell’interessato.

Quindi, a fronte di una disciplina applicabile del tutto univoca – e, dunque stringente e vincolante – rimettere alla discrezionalità della stazione appaltante la possibilità di sanare una dichiarazione sostitutiva carente di firma non potrebbe che risultare in violazione della par condicio tra i diversi partecipanti alla procedura selettiva, con conseguente pregiudizio degli altri concorrenti che hanno rettamente formulato la propria offerta, allegando tutta la documentazione appositamente richiesta, nei termini perentori fissati dal bando di gara o dalla lettera d’invito.

 

(*) Avvocato del Foro di Venezia.

[1] È la sentenza T.A.R. Veneto, sez. I, 25 luglio 2002, n. 3834, in www.giustizia-amministrativa.it.

[2] Sulle questioni che si vengono qui ad esaminare, si vedano anche B. De Rosa, La rigidità delle clausole di esclusione dalle gare per motivi esclusivamente formali, in Riv. giur. edilizia, 2002, I, 979;  G. Mari, Sulla disapplicabilità delle clausole del bando di gara e sul principio di regolarizzazione, in Foro amm. TAR, 2002, 1133;  B. De Rosa, Regolarizzazione della carenza documentale nelle gare per l’affidamento di lavori pubblici: facoltà o obbligo per la stazione appaltante, in Riv. giur. edilizia, 2001, I, 1193; L. Bellagamba, La clausola “a pena d’esclusione” alla luce del principio di regolarizzazione, in questa Rivista, all’indirizzo http://www.lexitalia.it/articoli/bellagamba_regolarizzazione.htm.

[3] Cfr., ex multis, T.A.R. Sicilia, Catania, sez. I, 7 gennaio 2003, n. 22, in Foro amm. TAR, 2003, 294;  T.A.R. Calabria, Catanzaro, 29 gennaio 2001, n. 68, in Foro amm., 2001, 1362.

[4] Così T.A.R. Puglia, Lecce, sez. II, 7 ottobre 1999, n. 727, in Comuni d’Italia, 2000, 594.

[5] Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 29 novembre 2002, n. 6530, in Foro amm. CdS, 2002, 2873;  T.A.R. Basilicata, 11 novembre 2002, n. 770, in Foro amm. TAR, 2002, 3779.

[6] T.A.R. Marche, 28 ottobre 2003, n. 1281, in www.giustizia-amministrativa.it.

[7] Cons. Stato, sez. IV, 30 settembre 2002, n. 4989, in Foro amm. CdS, 2002, 2028.

[8] T.A.R. Molise, 12 marzo 2002, n. 184, in Foro amm. TAR, 2002, 1012.

[9] Così De Rosa, La rigidità delle clausole di esclusione dalle gare per motivi esclusivamente formali, cit.

[10] In tal senso, tra le pronunce più recenti, si vedano T.A.R. Piemonte, 13 giugno 2003, n. 909, in Foro amm. TAR, 2003, 1856;  T.A.R. Marche, 20 gennaio 2003, n. 9, ivi, 2003, 130;  T.A.R. Liguria, sez. II, 8 gennaio 2003, n. 20, ivi, 2003, 82;  Cons. Stato, sez. IV, 9 dicembre 2002, n. 6672, in Foro amm. CdS, 2002, 3129;  Cons. Stato, sez. V, 1 luglio 2002, n. 3590, ivi, 2002, 1679.

[11] Sul punto, va detto come possa rinvenirsi anche un minoritario orientamento giurisprudenziale, che, sviluppatosi in relazione all’art. 18, comma 3, della legge n. 584 del 1977 prima, e poi in relazione all’art. 21, comma ult., del d.lgs. n. 406 del 1991, riteneva illegittima tout court l’esclusione dalla gara della ditta concorrente per incompletezza della documentazione, qualora la stazione appaltante non avesse consentito l’integrazione documentale, così riconoscendo un vero e proprio potere-dovere procedimentale – in capo alla P.A. – di chiedere la regolarizzazione dei documenti carenti o incompleti. Sul punto, si veda B. De Rosa, Regolarizzazione della carenza documentale nelle gare per l’affidamento di lavori pubblici: facoltà o obbligo per la stazione appaltante, cit.

[12] In tal senso, per esempio, T.A.R. Puglia, Bari, sez. I, 26 ottobre, 2002, n. 4674, in Foro amm. TAR, 2002, 3372;  T.A.R. Lazio, sez. III, 31 maggio, 2002, n. 5055, ivi, 2002, 1654.

[13] Cfr. T.A.R. Marche, 20 gennaio 2003, n. 9, cit.; T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. II, 12 novembre 2002, n. 2864, in Foro amm. TAR, 2002, 3790.

[14] Cons. Stato, sez. VI, 27 settembre 2002, n. 4954, in Foro amm. CdS, 2002, 2161.

[15] Cfr., ex plurimis, T.A.R. Campania Napoli, sez. II, 9 settembre 2002, n. 4693, in Foro amm. TAR, 2002, 2945;  T.A.R. Marche, 27 luglio 2002, n. 950, ivi, 2002, 2465; Cons. Stato, sez. V, 4 luglio 2002, n. 3685, in Foro amm. CdS, 2002, 1687;  Cons. Stato, sez. V, 20 maggio 2002, n. 2717, ivi, 2002, 1257.

[16] Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 11 settembre 1999, n. 1179, in Cons. Stato, 1999, I, 1431;  Cons. Stato, sez. VI, 30 gennaio 1998, n. 120, in Foro it., 1999, III, 268, con nota di M. Occhiena, Istanze, autocertificazione, acquisizione d’ufficio, cause di esclusione, regolarizzazione nei concorsi a pubblico impiego e nelle gare d’appalto prima e dopo la riforma Bassanini.

[17] T.A.R. Sicilia, Catania, sez. I, 13 gennaio 2003, n. 52, in Foro amm. TAR, 2003, 298. Contra T.A.R. Sardegna, 28 novembre 2003, n. 1547, in www.giustizia-amministrativa.it.

[18] T.A.R. Puglia, Lecce, sez. II, 18 novembre 2002, n. 6288, ivi, 2002, 3772.

[19] Cons. Stato, sez. VI, 28 febbraio 2000, n. 1054, in Giur. bollettino legisl. tecnica, 2000, 122.

[20] Cons. Stato, sez. V, 11 ottobre 2002, n. 5489, in Foro amm. CdS, 2002, 2441.

[21] Per esempio, T.A.R. Piemonte, sez. II, 9 marzo 2002, n. 591, in Foro amm. TAR, 2002, 811.

[22] Corte Conti, sez. contr., 18 maggio 1993, n. 82, in Riv. corte conti, 1993, fasc. 4, 19.

[23] Cfr. le considerazioni in punto di fatto contenute nella pronuncia di primo grado, citata.


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