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Articoli e note

n. 7-8/2006 - © copyright

GIUSEPPE CARINCI
(Pres. on. di Sezione del Consiglio di Stato)

Codice dei contratti pubblici -
Riparto di competenze tra Stato e Regioni
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In attuazione degli artt. 1, 2 e 25 della legge 18 aprile 2005 n. 62 (legge comunitaria 2004), il Consiglio dei Ministri ha approvato, in data 23 marzo 2006, il “Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture”, dopo aver acquisito, sullo schema in precedenza adottato, prima i pareri del Consiglio di Stato e della Conferenza Unificata Stato-Regioni-Città, poi i pareri delle competenti Commissioni permanenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica.

Seguendo le indicazioni contenute nella legge delega, il Consiglio dei Ministri ha recepito in un unico testo le previsioni contenute, rispettivamente, nella direttiva comunitaria 17/2004/CE, relativa agli appalti e alle concessioni di lavori, servizi e forniture nei settori speciali (settori del gas, energia termica, elettricità, acqua, trasporti, servizi postali, sfruttamento di area geografica, come definiti nella parte III dello stesso Codice), e nella direttiva 18/2004/CE, relativa all’unificazione della disciplina degli appalti e concessioni di lavori, servizi e forniture nei settori ordinari (tutti gli altri settori).

Il testo approvato riscrive, nel complesso, tutta la normativa in materia di appalti vigente nel nostro ordinamento, e adempie l’obbligo previsto dalle stesse direttive comunitarie e dalla legge delega, di adeguare la legislazione nazionale all’evoluzione dell’ordinamento comunitario, come integrato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia europea.

Inutile sottolineare che la disposizione è di rilevante importanza e molte sono le osservazioni che potrebbero esse fatte.

Ci limitiamo, in questa sede, a considerare l’aspetto relativo al riparto delle competenze normative tra Stato, Regioni e Province autonome.

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Il riparto di tali competenze, com’è noto, è disciplinato dall’art. 117 della Costituzione. Secondo il testo già vigente, novellato nel 2001, l’articolo attribuiva una competenza legislativa alle Regioni soltanto su determinate specifiche materie. Per tutte le altre, la competenza restava affidata allo Stato.

La novella ha capovolto la situazione. Ha cioè affidato allo Stato la competenza legislativa esclusiva su talune materie, individuandole specificamente nel comma 2. Con il comma 3 ha fissato le materie di competenza concorrente tra Stato e Regioni, riservando al primo la determinazione dei principi fondamentali e alle seconde la normativa di dettaglio. Con norma di chiusura ha infine disposto che “spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento a ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato”.

Secondo la nuova disposizione, lo Stato legifera in via esclusiva sulle materie elencate nel secondo comma; in ordine alle materie elencate nel terzo comma, la competenza è ripartita: la legislazione, cioè, è attribuita alle Regioni e alle Province Autonome, mentre allo Stato spetta soltanto la determinazione dei principi fondamentali; per tutte le altre materie la competenza a legiferare è attribuita, in via residuale, alle Regioni e alle Province Autonome.

Bisogna considerare, a tal punto, che i “contratti della pubblica amministrazione e i lavori pubblici, servizi e forniture” – oggetto disciplinato dal Codice in argomento - non trovano menzione in alcuno degli elenchi contenuti nel citato art. 117: né in quello delle materie di competenza esclusiva dello Stato, né nell’altro contenente materie a competenza ripartita. Per la loro disciplina, quindi, la competenza resterebbe attribuita esclusivamente alle Regioni.

La questione, però, non è di facile soluzione come sembra e sulla stessa occorre soffermarsi su quanto ha affermato la Corte Costituzionale.

Il Giudice delle leggi, interessato da varie Regioni che già prima della normativa in esame avevano lamentato una pretesa invadenza legislativa dello Stato a loro danno, ha affermato, con riferimento proprio ai “contratti pubblici”, che questi non integrano una vera e propria materia, ma presentano ambiti materiali diversificati che si qualificano a seconda dell’oggetto e della funzione che essi svolgono. La loro disciplina - ha precisato la Suprema Corte - ha carattere trasversale poiché si estende a una pluralità di interessi riscontrabili a volte in materie soggette alla legislazione esclusiva dello Stato, a volte in materie di competenza concorrente Stato-Regioni (Corte Cost. n. 303 del 2003; n. 272 del 2004).

Secondo tale interpretazione, per individuare l’Ente competente a legiferare, è necessario considerare l’oggetto di volta in volta rilevante, e verificare l’esistenza o meno di un collegamento, funzionale o di altra natura, tra l’ambito sostanziale da disciplinare e le materie individuate negli elenchi di cui all’art. 117 della Costituzione.

Tenuto conto di tale indirizzo, esiste, quindi, sicuramente, per i contratti pubblici, un ambito di competenza legislativa statale, e tale ambito va individuato – considerato il carattere trasversale dei vari interessi da cui gli stessi risultano compenetrati – nel collegamento eventualmente riscontrabile tra l’argomento trattato e le materie elencate nell’art. 117 della Costituzione: se il collegamento è rinvenibile con le materie collocate nel secondo comma, la potestà legislativa deve ritenersi attribuita in modo esclusivo allo Stato; se il collegamento è invece rinvenibile con quelle del terzo comma, la potestà legislativa è quella concorrente tra Stato e Regioni.

Il Consiglio di Stato, nell’esprimere il parere richiesto sullo schema di decreto delegato sottoposto alla sua attenzione, ha attentamente analizzato, sulla base appunto di tale indirizzo, il problema del riparto delle competenze e ha dato al Governo utili indicazioni.

Nel complesso e articolato parere ha affermato, tra l’altro, che appartiene sicuramente alla competenza esclusiva dello Stato la disciplina legislativa – nel settore dei contratti pubblici – per tutti i profili che concernono la tutela della concorrenza, l’ordinamento civile, la giurisdizione e norme processuali e la giustizia amministrativa.

Per tutto ciò che concerne la giurisdizione, le norme processuali e la giustizia amministrativa, è di tutta evidenza l’appartenenza dei rispettivi ambiti alla competenza legislativa statale, non solo per evidenti ragioni di ordine sistematico-costituzionale, ma per il dato testuale formulato nell’elenco di cui al secondo comma, lettera l), dell’art. 117 della Costituzione, dove le rispettive voci risultano appunto comprese tra le materie a competenza esclusiva dello Stato. Donde la chiara esistenza del collegamento di cui al ricordato indirizzo giurisprudenziale di livello costituzionale.

Quanto all’ordinamento civile, è stato rilevato che i profili relativi alla stipulazione e all’esecuzione dei contratti non possono che appartenere alla materia contrattuale del diritto civile e all’autonomia privata, per cui la competenza legislativa non può che appartenere allo Stato, in relazione allo stesso comma e alla stessa lettera dell’articolo 117 appena citato, che comprende appunto tale voce.

Più approfondito discorso è stato fatto sulla tutela della concorrenza, in considerazione della rilevanza che la stessa assume non solo nel nostro ordinamento ma anche in quello di ordine comunitario.

In effetti, la concorrenza – voce anch’essa inclusa nell’elenco di cui al secondo comma dell’art. 117 della Costituzione, lettera e) – si caratterizza per la natura funzionale che svolge, in quanto più che gli oggetti, individua le finalità in vista delle quali la potestà legislativa statale viene esercitata. Essa costituisce elemento di rilevante importanza nella disciplina dei “contratti pubblici”, percorre in modo trasversale più materie e denota l’esigenza di ricondurre a unità la disciplina legislativa in un settore con rapporti certamente idonei a incidere su strumenti di politica economica che attengono allo sviluppo dell’intero Paese. Tali considerazioni hanno indotto la stessa Corte Costituzionale a ritenere ampiamente giustificato l’intervento del legislatore statale in via esclusiva, in tutti i casi in cui un problema di concorrenza venga ad assumere rilevanza (Corte Cost. n. 14 e n. 272 del 2004).

Il Consiglio di Stato, poi, non ha mancato di osservare l’esistenza di un nucleo essenziale del contenuto del Codice per il quale non sarebbe possibile l’esercizio decentrato di potestà normative, soprattutto in considerazione del valore unificante della disciplina comunitaria che mira a garantire agli operatori economici dei diversi Paesi analoghe modalità. Ha così individuato taluni profili, riscontrabili nei “contratti pubblici”, da ritenere sicuramente attribuiti alla competenza legislativa dello Stato, come quelli attinenti alla qualificazione e selezione dei concorrenti, alla determinazione dei criteri di aggiudicazione, ai casi del subappalto e, altresì, alla vigilanza sul mercato degli appalti affidata ad una Autorità indipendente.

Altrettanto ha affermato per i casi che riguardano la materia della difesa, la sicurezza dello Stato, l’ordine pubblico e sicurezza, la protezione dei confini nazionali, che chiaramente concernono interessi “statali”.

In ordine ad altri casi il Consiglio di Stato si è invece espresso per una competenza normativa concorrente Stato-Regioni. Ha tuttavia precisato che lo Stato può anche procedere con disciplina esclusiva, ove nel caso di volta in volta considerato emergano profili imprescindibilmente collegati con materie comprese nel secondo comma dell’art. 117. In tali ipotesi, però, la disciplina statale non può essere tanto dettagliata, ma deve porsi entro giusti canoni di adeguatezza e proporzionalità (Corte Cost. n. 272 del 2004; n. 345 del 2004), in considerazione soprattutto degli obiettivi funzionali al cui perseguimento la norma viene posta. Situazioni di tal genere ricorrerebbero, principalmente, nei casi che riguardano la progettazione lavori, servizi e forniture; il collaudo; ovvero la determinazione dei compiti e dei requisiti del responsabile del procedimento. Ed, altresì, in quelli concernenti la localizzazione delle opere pubbliche; la programmazione dei lavori pubblici; l’approvazione dei progetti a fini urbanistici ed espropriativi; e, ancora, negli aspetti attinenti al governo del territorio, ovvero nei casi connessi con la tutela e sicurezza del lavoro; nella valorizzazione dei beni culturali e ambientali.

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In ordine allo schema di decreto legislativo ha espresso parere anche la Conferenza Unificata Stato-Regioni-Città, di cui all’art. 8 del D.Lgs. 28.08.1997, n. 281. Questa, oltre a lamentare il mancato avvio di un percorso condiviso e concertato tra Stato e Regioni, ha criticato ampiamente il testo approvato dal Consiglio dei Ministri, ritenendo, in primo luogo, palesemente violato il campo legislativo delle Regioni e delle Province autonome, e formulando, altresì, contestazioni sia per la mancata previsione di norme cedevoli – nonostante queste fossero espressamente richieste dalla legge delega - sia per eccesso di delega.

Con riguardo all’eccesso di delega, anche il Consiglio di Stato ha ravvisato l’esistenza di taluni punti in cui il decreto legislativo recherebbe disposizioni che andrebbero oltre le previsioni della legge, sia perché sarebbero stati investiti ambiti normativi più estesi rispetto alle direttive, come nei casi attinenti alla disciplina dell’Autorità di vigilanza (art. 6, comma 7, lett. m) e alla giurisdizione (art. 244 e primi due commi dell’art. 245), sia perché determinati interventi non sarebbero ragionevolmente riconducibili all’ambito della prevista semplificazione (disciplina per i contratti sotto soglia di cui all’art. 122; procedura ristretta ex art. 123; appalti di servizi e forniture sotto soglia ex art. 124; lavori servizi e forniture in economia di cui all’art. 125; procedura di affidamento e pubblicazione del bando relativo alle concessioni di lavori pubblici ex art. 144).

Tali questioni, però, forse esulano dal nostro argomento.

Ritornando più espressamente al tema proposto, è il caso di soffermarsi appena sul problema delle norme cedevoli.

Il sesto comma dell’art. 1 della legge delega aveva stabilito che i decreti legislativi di attuazione delle direttive comunitarie dovessero prevedere, se concernenti materie di competenza legislativa delle Regioni e delle Province autonome, l’esplicita indicazione della loro natura sostitutiva e cedevole.

A tal proposito, è utile ricordare la regola fissata dall’art. 117, quinto comma, della Costituzione, secondo cui, ove le Regioni e Province autonome non provvedano tempestivamente all’attuazione delle direttive comunitarie in materia di loro competenza, è data facoltà allo Stato di intervenire in via sostitutiva, con normativa di carattere cedevole e ad efficacia differita.

Nella formulazione dello schema del Codice, la ricordata prescrizione - come lamentato dalla Conferenza unificata - non è stata rispettata. Il Consiglio di Stato, rilevata tale carenza, ha opportunamente richiamato l’attenzione del Governo su detta regola, precisando, tuttavia, che dalla stessa dovessero ritenersi escluse le Province autonome di Trento e Bolzano, in considerazione delle norme di attuazione dello statuto speciale, di cui all’art. 2 del d.Lgs.16.03.1992, n. 266.

Deve però dirsi che ogni problema in proposito risulta superato, atteso che nella stesura definitiva del decreto legislativo il Governo ha provveduto a eliminare la riscontrata carenza, come si rileva dal testo della disposizione contenuta nel quarto comma dell’articolo 4. Resta così assicurato che ove, nei previsti casi, vi sia intervento dello Stato in via sostitutiva, le relative disposizioni vengono a perdere efficacia a decorrere dalla data di entrata in vigore della pertinente normativa adottata da ciascun Ente regionale.

Molto più importante è il problema della ritenuta invadenza normativa.

In proposito, la Conferenza unificata Stato-Regioni-Città ha contestato, in particolare, l’affidamento ad apposito regolamento statale della disciplina esecutiva ed attuativa del Codice, secondo quanto previsto dall’art. 5 dello schema di decreto legislativo. La previsione denoterebbe riconoscimento di competenza esclusiva allo Stato in tutte le numerose materie elencate nel quarto comma dello stesso articolo, con palese violazione delle norme fissate dall’art. 117 della Costituzione.

La questione sollevata pone seri e concreti problemi di certezza del diritto.

Le norme volte a disciplinare il riparto di competenza tra Stato, Regioni e Province autonome sono dettate, nel Codice in argomento, principalmente, con gli artt. 4 e 5. Con l’art. 4 sono state fissate le competenze legislative; con l’art. 5 sono state fissate le competenze in materia di regolamenti e di capitolati.

L’art. 5, così come approvato definitivamente, mantiene la previsione formulata nello schema di decreto.

Ciò premesso, è utile distinguere, ai nostri fini, tra contratti pubblici per lavori, servizi e forniture di esclusiva pertinenza delle Amministrazioni statali, e contratti di interesse regionale e locale.

Per i primi, è scontato che lo Stato sia titolare di potestà legislativa esclusiva, e quindi anche di competenza regolamentare, e non sussistono problemi. Problemi sorgono invece per i secondi, che sono oggetto di disciplina legislativa a competenza ripartita tra Stato e Regioni, ovvero di disciplina a competenza esclusiva di queste ultime.

E’ noto che il sesto comma dell’art. 117 della Costituzione prevede l’esercizio di poteri regolamentari dello Stato solo per le materie attribuite alla sua legislazione esclusiva, cioè quelle elencate nel secondo comma dello stesso articolo. L’esplicita attribuzione di potere regolamentare stabilita dal citato art. 5 implicherebbe quindi – secondo quanto lamentato dalla citata Conferenza - un riconoscimento di competenza legislativa allo Stato in tutte le materie ivi elencate, materie che non corrispondono a quelle fissate nel secondo comma del citato art. 117.

L’indicata disposizione - tenuto conto del contenuto e delle caratteristiche delle materie nella stessa indicate - non è, in realtà, di facile spiegazione e pone dubbi e perplessità.

Va ricordato però - secondo la richiamata giurisprudenza della Corte Costituzionale – che lo Stato non può ritenersi del tutto privo di potestà legislativa nei settori in cui sia comunque ravvisabile l’esistenza di un interesse trasversale riconducibile a materie di sua competenza.

La stessa Corte ha già fornito i criteri di interpretazione delle disposizioni sul riparto di competenze contenute nel richiamato art. 117, criteri che si basano, come si è visto, sulla ravvisata esistenza di interessi che percorrono in modo trasversale più materie, e sull’esigenza di rapportarli a unità di disciplina, specialmente se vi risultano implicati (come indubbiamente accade nel settore in argomento) rapporti idonei a incidere su strumenti di politica economica che attengono allo sviluppo dell’intero Paese (Corte Cost. n. 345 del 2004).

Anche il Consiglio di Stato – dopo aver ricordato che l’esercizio dei poteri regolamentari è stato attribuito allo Stato solo per materie appartenenti alla sua legislazione esclusiva – ha ritenuto di evidenziare che tale potestà può essere esercitata, pur se in modo limitato, anche in tema di contratti pubblici per lavori, servizi e forniture di “interesse regionale”.

A seguito dei pareri espressi dagli organi ausiliari, il Governo ha accolto, nella stesura definitiva del decreto delegato, taluni suggerimenti e ha apportato alcuni ritocchi sullo schema inizialmente adottato. Ma le modifiche non toccano la sostanza del problema in discussione, e permangono posizioni diversificate e di contrasto, anche se non va taciuto che in molte delle materie elencate nel predetto art. 5 è chiaramente ravvisabile la presenza di interessi di carattere trasversale certamente idonei a stabilire un collegamento con materie attribuite alla competenza legislativa dello Stato.

Non può negarsi, peraltro, che diversi casi disciplinati dal nuovo codice presentano situazioni delicate e a volte molto complesse, per cui è difficile riuscire a fugare totalmente eventuali perplessità e pervenire a soluzioni univoche.

Di ciò deve essersi dimostrato consapevole lo stesso legislatore, se con la stessa legge delega ha ritenuto di prevedere la possibilità dell’adozione, entro due anni dalla data di entrata in vigore delle disposizioni emanate, di nuovi atti normativi, di natura delegata, per interventi integrativi e correttivi (art. 25, comma 3 della legge 18 aprile 2005, n. 62).

Siamo consapevoli che tutto ciò non serve a sciogliere i rilievi evidenziati dalla predetta Conferenza unificata, e certamente sorgeranno nuove controversie e nuovi conflitti che la Corte Costituzionale, come sempre, sarà chiamata a dirimere.

A fronte di tale situazione, ci sembra comunque non inutile richiamare, nell’attuale fase, i principi affermati dalla stessa Corte Costituzionale che, proprio in presenza dei casi più complessi, ha sollecitato al rispetto di due regole fondamentali per il superamento di eventuali contrasti: quella della leale collaborazione tra Enti, che per la sua elasticità consente di avere riguardo alla peculiarità delle singole situazioni; e quella dell’adozione del criterio della prevalenza, qualora appaia evidente l’appartenenza del nucleo essenziale di un complesso normativo a una materia piuttosto che ad altre (Corte Cost. n. 370/2003; n. 50/2005). 

 

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(*) Relazione al Convegno di Teramo del 5 maggio 2006.


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