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Articoli e note

n. 9/2006 - © copyright

LUCA CAPILUPI*

Lo spoils system tra dubbi di costituzionalità
ed incertezze sulla giurisdizione

(note a margine di TRIBUNALE DEL LAVORO DI TIVOLI, ordinanza cautelare dell'8 maggio 2006, sulla decadenza per spoils system del direttore generale di ente parco e sulla domanda di reintegrazione)

L’ordinanza in rassegna del Tribunale di Tivoli (il cui testo è riportato in calce al presente documento) concerne l’applicazione del c.d. spoils system al direttore generale di un ente pubblico (ente parco) dipendente dalla Regione Lazio.

Il sistema del c.d. spoils system ha ormai notevole influenza sull’assetto e sull’efficienza complessive dell’azione amministrativa. Appare, quindi, opportuno inquadrare e leggere in modo organico le disposizioni normative e gli orientamenti giurisprudenziali esistenti in materia.

Come noto, lo spoils system è un sistema normativo nato nei Paesi di common law per consentire il ricambio della dirigenza nominata fiduciariamente dal governo “uscente”, in occasione dei mutamenti di governo.

Il legislatore italiano ha deciso di importare tale sistema in epoca recente, con la dichiarata intenzione di rendere i vertici della dirigenza pubblica più flessibili e, complessivamente, affidabili rispetto al governo in carica. Lo strumento applicativo utilizzato per ottenere il risultato atteso è la declaratoria di decadenza stabilita per le nomine dirigenziali correlate all’azione di governo (cfr. legge n. 145 del 2002).

Le regioni, a loro volta, nell’ambito della rispettiva autonomia normativa statutaria, nel recepire i principi fondamentali del sistema, ne hanno spesso esteso l’applicabilità anche ai dirigenti generali di livello non apicale, ovvero a tutti gli enti pubblici in qualche modo controllati o collegati alle regioni stesse.

La giurisprudenza, sin dalle prime pronunce in materia, ha sollevato dubbi sulla coerenza intrinseca e costituzionale di tale sistema normativo con riferimento agli artt. 3, 97 e 117 secondo comma della Costituzione, oltre ad oscillare in modo rilevante in ordine all’attribuzione della giurisdizione al giudice amministrativo ovvero al giudice ordinario.

Per l’appartenenza della giurisdizione de qua al G.O., si è espressa Cass. SS.UU., con la sentenza 11 febbraio 2003 n. 2065 (in Giust. Civ., Mass. 2003, 315 ed in Foro It., 2003, I, 3384). La decisione, pur precedente all’introduzione dello spoils system, è significativa perché riguarda l’allontanamento del direttore generale di una ASL e stabilisce che, di norma, trattandosi di un rapporto di lavoro autonomo, che intercorre tra detto soggetto e l’ente pubblico (disciplinato da un contratto di diritto privato), le controversie ad esso attinenti rientrano nella giurisdizione del G.O.. Le controversie relative all’impugnazione della deliberazione regionale di conferma o mancata conferma del d.g. di cui trattasi, vengono, invece, attribuite alla cognizione del giudice amministrativo, stante il carattere discrezionale di tale atto e di quello di nomina, in quanto esso implica una valutazione discrezionale sull’idoneità del d.g. stesso a svolgere l’incarico affidatogli, con correlato sorgere di una tipica posizione di interesse legittimo.

Tale posizione diverrebbe di diritto soggettivo, con cognizione del giudice ordinario, ove l’interessato non impugnasse la deliberazione di mancata conferma nell’incarico, ma chiedesse il solo risarcimento dei danni patiti a seguito dell’iniquo comportamento operativo e gestorio della regione datrice di lavoro.

Il G.A., per altro verso, chiamato a pronunziarsi in primo grado sui provvedimenti con i quali, nel 2005, è stata dichiarata la decadenza (automatica) dei direttori generali delle ASL del Lazio, si è invece diversamente orientato sulla questione di cui trattasi:

1) affermando la propria giurisdizione e la legittimità degli atti censurati (cfr., ex multis, TAR Lazio, sez. I ter, ordinanze 2.9.2005 nn. 4772, 4773, 4774 e 4775), con diverso orientamento rispetto a quella pronuncia che, sulla medesima questione, ha negato la costituzionalità del c.d. spoils system e l’appartenenza d tale sistema alla nostra consuetudine giuridica (TAR Lazio, sez. II ter, sent. 8 aprile 2003 n. 3276);

2) dichiarando, sui medesimi provvedimenti di decadenza per spoils system di un direttore generale di ASL, il difetto di giurisdizione del G.A. (TAR Lazio, sez. Latina, ord. del 24.9.2005 n. 613);

3) affermando (TAR Lazio, sezione I ter, ordinanza 28.10.2005 n. 6147) che la decadenza per spoils system non possa applicarsi ai vertici dell’Agenzia regionale “ARPA”, essendo la stessa Agenzia un organo autonomamente disciplinato dall’art. 54 dello Statuto regionale, con forte connotazione tecnico-funzionale, alla quale non si applica, pertanto, lo spoils system di cui all’art. 55 dello Statuto della Regione Lazio.

In definitiva, per cause aventi petitum e causa pretendi sostanzialmente eguali, si riscontra una significativa divergenza tra i recenti orientamenti delle diverse sezioni del TAR del Lazio.

Per le sezioni “capitoline” e “pontine” del TAR del Lazio, il criterio fondante la giurisdizione consiste, rispettivamente, nel fatto che:

a) il direttore generale della ASL costituisce un organo istituzionale della Regione e non il soggetto meramente burocratico di una P.A., con il sorgere di una posizione di interesse legittimo e giurisdizione del G.A. (Tar Lazio di Roma);

b) nella circostanza che il c.d. “petitum sostanziale” oggetto della domanda (TAR Lazio, Latina) abbia intrinseca consistenza di posizione giuridica soggettiva di pertinenza del G.O. (cfr. in termini Cass. SS.UU. ord.za 17.11.2004 n. 21710).

In particolare:

 

1) il TAR di Latina ha sottolineato che la pronunzia di decadenza implica, sostanzialmente, l’accertamento del diritto alla prosecuzione di un rapporto fondato su un contratto di prestazione d'opera in vigore al momento della comunicazione di decadenza. Ha, quindi, evidenziato che non viene in rilievo una questione attinente alla legittimità dell’esercizio di una potestà pubblica (cfr. altresì Cass. SS.UU. 11 febbraio 2003 n. 2065 dove il caso attiene ad una mancata conferma di un direttore generale sulla base di una valutazione discrezionale dell'amministrazione, senza applicazione dello spoils system);

 

2) il TAR di Roma ha evidenziato che la decadenza pronunziata per applicazione dello spoils system, pur essendo un fatto meramente automatico, previsto da una norma legislativa (art. 55, L.R. Lazio n. 1/2004), implica una valutazione discrezionale, fondante la giurisdizione del G.A.

 

Il Consiglio di Stato, sezione V (cfr. ord. nn. 4817, 4818 del 11.10.2005 e n. 5836 del 19.10.2005), sulle medesime vicende oggetto di pronunzia da parte del TAR del Lazio, afferma la sussistenza della giurisdizione del G.A. nella materia della decadenza dei direttori generali delle ASL su narrata. Sospende, però, il giudizio cautelare pendente, in quanto solleva q.l.c. del citato art. 55, comma 4 della L.R. Lazio n.1/2004, nella parte in cui prevede che lo spoils system si applica anche ai direttori generali ASL. In particolare, per il Consiglio di Stato, la giurisdizione del G.A. si fonda sull’attività di tutela della salute svolta dalle ASL e sulla loro sostanziale dipendenza strumentale dalla Regione.

 

Il dubbio di costituzionalità riguarda l’art. 55 comma 4 dello statuto e trova fondamento nell’ipotizzato contrasto di tale norma con gli artt. 97, 32 e 117 della Costituzione. La decadenza dei direttori generali: da un lato produrrebbe un’arbitraria e perniciosa cesura nell’azione amministrativa in un settore delicato come quello della tutela della salute; dall’altro, esulerebbe dalla competenza legislativa regionale, in quanto incidente su rapporti di lavoro e quindi ricadente in materia tipica dell’ordinamento civile.

Per altro verso, i Tribunali ordinari hanno emesso a loro volta decisioni che investono direttamente la materia dello spoils system.

Il Tribunale di Pescara, con decreto del 22 marzo 2006, ritenutosi competente a giudicare, ha stabilito che la decadenza ex lege comminata da una legge regionale abruzzese e relativa alle nomine di competenza degli organi di direzione politica, “…si applica alle sole società per azioni in cui l’ente pubblico, titolare (art.2449 c.c.:”Società con partecipazione dello Stato o di enti pubblici”) di una partecipazione azionaria, abbia il potere, conferitogli dallo statuto o dalla legge, di nominare (al di fuori degli ordinari poteri dell’assemblea sociale) uno o più amministratori o sindaci e, nel predetto ambito, ai soli amministratori e sindaci di siffatte società che siano stati nominati (non dall’assemblea o dall’atto costitutivo ma proprio) dall’organo di direzione politica dell’ente pubblico”. Ha altresì affermato che “…se gli amministratori ed i sindaci di una società partecipata sono nominati, in ossequio alle previsioni dello statuto, dall’assemblea sociale, ossia dalla Regione quale socio e non già quale “organo di direzione politica” (ex artt.2449/2450 c.c.) al di fuori del contraddittorio assembleare di “diritto comune”, la nomina, la revoca e la decadenza dei suddetti organi di vertice e di controllo sono sottratte alla operatività delle cause di nomina e di decadenza “politiche” …” di cui alla citata legge regionale e “…restano governate dalla disciplina privatistica statutaria e codicistica delle s.p.a….”, potendo la regione incidere su tali nomine “…soltanto attraverso l’esercizio degli ordinari poteri “negoziali” e privatistici assembleari”.

Parimenti, pur non essendo edite le relative decisioni, sembra che il Tribunale del Lavoro di Roma, su ricorso del Direttore Generale di una A.O. laziale decaduto, abbia dichiarato il proprio difetto di giurisdizione in favore del G.A., laddove, l’omologo Tribunale di Latina, ritenendosi competente a giudicare, si sarebbe pronunziato in via cautelare per il reintegro di un D.G. decaduto della ASL di Latina (salvo, a quanto consta, accoglimento del reclamo presentato avverso detta decisione).

 La Corte Costituzionale è intervenuta in tale contrasto giurisprudenziale e, con sentenza del 16 giugno 2006 n. 233, relativa alla legittimità di una legge regionale calabrese sullo spoils system, ha posto alcuni punti fermi:

1) non è fondata la q.l.c. (artt. 3, 97 e 117 2° comma Cost.) della norma che prevede l’automatica decadenza dei soggetti nominati intuitu personae dalla Regione, dal momento che la nomina fiduciaria è coerente con l’indirizzo politico generale. E’, dunque, legittima la facoltà di rinnovare dette nomine su base personale in conseguenza del mutamento della Giunta regionale, onde garantire in tal modo il buon andamento della pubblica amministrazione, evitando condizionamenti derivanti dalle nomine effettuate allo scadere del mandato della precedente Giunta.

2) La norma regionale va letta ed interpretata (q.l.c. infondata), per la dirigenza regionale, come norma applicabile ai soli incarichi dirigenziali cc.dd. apicali (di livello generale) e non anche a quelli di livello intermedio.

 

3) E’ fondata la q.l.c. laddove la norma ha esteso la decadenza a tutta la dirigenza in carica nelle ASL e nelle AO (direttori di dipartimento, di distretto, etc.), dal momento che tale eventuale rinnovo generalizzato ed indiscriminato provocherebbe una cesura nell’azione amministrativa, con lesione del principio di buon andamento e buona amministrazione di cui all’art. 97 Cost..

 

4) E’ fondata la q.l.c. della norma che prevede la decadenza del Direttore generale della A.O.- universitaria dichiarata unilateralmente dalla Regione. Detta previsione viola l’autonomia universitaria fissata dall’art. 33, 6° comma Cost., in quanto la nomina del soggetto di cui trattasi è effettuata mediante intesa tra Regione ed Università (d.lgs. n. 517/99).

 

Sulla sentenza n. 233/06 la dottrina ha già formulato alcune prime osservazioni critiche (L. Olivieri “Legittimità costituzionale della dirigenza politicizzata”, in Lexitalia.it, n. 6/2006).

 

Nello specifico è stato evidenziato che:

 

- la legittimazione della decadenza della dirigenza legata fiduciariamente al politico, comporta, di fatto, il superamento del principio fissato dall’art. 98 Cost., secondo il quale i pubblici dipendenti sono al servizio esclusivo della nazione.

- la natura del provvedimento di affidamento (e revoca) dell’incarico dirigenziale è di tipo pubblicistico, così ponendo fine al relativo dibattito giurisprudenziale e dottrinale. La regione, infatti, non ha legiferato in materia di ordinamento civile o, più semplicemente, di diritto civile, essendo ciò motivo per dedurre “…che il provvedimento che regola l’incarico e la sua durata, non è di diritto civile, ma appartiene all’ordinamento giuspubblicistico…”, con specifico riguardo ad ogni provvedimento di incarico dirigenziale, alla luce dell’articolo 19, comma 2, del d.lgs 165/2001.

Olivieri, con ricostruzione che si ritiene condivisibile, rileva al riguardo che “…secondo la Consulta il provvedimento attributivo dell’incarico è un atto di diritto amministrativo sostanzialmente equiparabile al provvedimento di aggiudicazione nell’ambito della procedura contrattuale. Venuti meno gli effetti del provvedimento, cessa la causa del contratto, che, pertanto, a sua volta non produce più effetti. Pertanto, il conferimento dell’incarico, quale provvedimento amministrativo, è collocato a monte dell’esercizio dell’incarico stesso, regolato in via successiva dal punto di vista logico e giuridico, da un contratto i cui effetti decadono, a causa della cessazione degli effetti del provvedimento amministrativo che ne è fonte. Ciò conferma che i provvedimenti di assegnazione di incarichi dirigenziali a soggetti estranei alla p.a. non sono semplici attribuzioni di funzioni a dirigenti che già dipendono dall’ente, e che dal provvedimento di incarico traggono la legittimazione ad esercitare funzioni alle quali hanno diritto, per il fatto di far parte dei ruoli dirigenziali dell’ente di appartenenza. Nel caso dei dirigenti a contratto, invece, il provvedimento è fonte sia dell’individuazione delle funzioni gestionali affidate al dirigente esterno, sia della costituzione del rapporto di lavoro.Tale condivisibile ricostruzione costituisce, però, un problema: infatti, resta del tutto indimostrato, dalla Consulta stessa, come sia conforme a Costituzione la possibilità, pur riconosciuta dalla sentenza 233/2006, che gli incarichi dirigenziali esterni siano attribuiti fiduciariamente, senza concorso”.

Un’interpretazione della Corte che sembra, d’altra parte, perfettamente aderente all’orientamento formulato al riguardo (affidamento degli incarichi dirigenziali) dalla Corte dei Conti prima dell’entrata in vigore della c.d. Legge Frattini (L. n. 145/2002).

È costituzionale quella norma regionale che, nella sostanza, stabilisce una connessione necessaria tra organi politici e incarichi dirigenziali, non ritenendosi che ciò violi gli artt. 97 e 98 della Costituzione.

L’argomento riguarda in modo particolare le nomine presso enti regionali caratterizzate dall’intuitus personae, ovvero dalla fiducia, indipendentemente dalla valutazione tecnica della professionalità e competenza dei nominati. In altre parole, a giudizio della Consulta, sembra che gli articoli 97 e 98 della Costituzione debbano esser letti quali norme che non tutelano la professionalità e la competenza tecnica dei soggetti “pubblici” ai quali sono affidati incarichi dirigenziali in seno alla p.a.. Per converso, la scelta meramente fiduciaria della dirigenza è ritenuta legittima, in quanto è ritenuta tesa a “…rafforzare la coesione tra l’organo politico regionale (che indica le linee generali dell’azione amministrativa e conferisce gli incarichi in esame) e gli organi di vertice dell’apparato burocratico (ai quali tali incarichi sono conferiti ed ai quali compete di attuare il programma indicato), per consentire il buon andamento dell’attività di direzione dell’ente (art. 97 Cost.)”.

In altri termini, sembra di poter rinvenire nel ragionamento della Corte una vera e propria giustificazione parapolitica della scelta normativa di favore per una dirigenza fiduciaria ed aprofessionale, essendo la sola fiducia “politica” al dirigente incaricato lo strumento idoneo e sufficiente a garantire il buon andamento della p.a.

In accordo con i primi orientamenti dottrinari sulla decisione (cfr. L. Olivieri, cit.), la sentenza, a giudizio dello scrivente, appare in definitiva:

- priva di una motivazione adeguata, utile a comprendere la ragione della ritenuta prevalenza costituzionale della dirigenza “politica”, rispetto a quella (fondata su principio di eguale rango costituzionale e legislativo) “istituzionale”, assunta per concorso a tutela dell’indipendenza e dell’imparzialità dell’azione. Il riferimento in quest’ultima ipotesi è (per assurdo) proprio agli artt. 97 e 98 Cost. da sempre ritenuti cardini del noto principio di separazione tra direzione politica e direzione gestionale (già fissato dal d.lgs n. 29/1993 ed oggi cristallizzato nel d.lgs. n. 165/2001).

- Criticabile per un’affermazione di principio in contrasto con l’esperienza dei primi quindici anni di applicazione del principio di separazione, vista la deteriore tendenza legislativa ad introdurre sempre maggiori deroghe ad esso (consentendo l’assunzione a tempo determinato e l’affidamento di incarichi a dirigenti di sola fiducia politica, in quote vieppiù consistenti, sia sotto l’aspetto numerico che sotto quello qualitativo) e ad infrangere il principio costituzionale di tutela dell’indipendenza e dell’imparzialità dell’azione amministrativa. Tale tendenza è altresì rinvenibile in tutti i CC.NN.LL. della dirigenza pubblica.

Ed infatti, la dirigenza pubblica di vertice, affiancata o addirittura sostituita da una pletora di consulenti esterni (anch’essi assunti in virtù di deroga legislativa), è ormai regolata normativamente e contrattualmente in modo da risultare:

1. affidataria d’incarichi solo se “politicizzata”, ancorché priva di specifica ed elevata professionalità;

2. soggetta a revoca automatica dell’incarico affidato, in caso di mutamento politico del vertice di governo;

3. licenziabile per giusta causa o giustificato motivo, alla stregua di un qualsivoglia dipendente di un’impresa commerciale;

4. valutata negativamente (con revoca dell’incarico o mancato rinnovo dello stesso o licenziamento), ove non “allineata” con il vertice politico;

5. aggredibile e ricattabile (con minacciate valutazioni negative o revoche d’incarico o mancati affidamenti o rinnovi d’incarico o azioni di mobbing, …) dal vertice politico, indipendentemente dai meriti o dalle responsabilità;

6. scarsamente preparata professionalmente, visto che gli incarichi di vertice sono affidati o revocati solo per ragioni politiche.

La separazione tra politica e gestione, voluta con il d.lgs. n. 29/93 e s.m.i per porre rimedio agli eccessi di politicizzazione della precedente gestione politica, non è mai stata dunque attuata e, a dispetto delle dichiarazioni di principio contenute nel citato decreto, la sentenza n. 233 appare, piuttosto, un avallo autorevole della tendenza a legittimare per legge il (mal)costume della politicizzazione della dirigenza, a scapito del bene collettivo, della spesa pubblica e dell’imparzialità dell’azione amministrativa.

Basti al riguardo riflettere sull’incremento della spesa pubblica determinatosi (e criticato da anni dalla Corte dei Conti) per via delle cc.dd. esternalizzazioni degli incarichi e dei servizi già affidati alla dirigenza pubblica; ovvero sugli effetti “distorsivi”, in termini di efficienza e professionalità, determinati dalla scelta “fiduciaria” (ex d.lgs. n. 229/99 e s.m.i.) dei medici con incarichi apicali; ovvero, ancora, sulla concreta e verificata possibilità che il dirigente apicale si disinteressi del “bene collettivo generale” e dell’imparzialità ed indipendenza dell’azione pubblica, essendo di fatto obbligato a finalizzare i propri atti e comportamenti alla sola ricerca del gradimento politico.

Sotto altro profilo, più schiettamente giuridico, appare evidente che i principi costituzionali di imparzialità ed indipendenza (su richiamati) e gli stessi criteri posti originariamente alla base della riforma della dirigenza e dell’organizzazione amministrativa, fondati sulla separazione delle funzioni politiche da quelle gestionali (d.lgs. n 165/2001), rafforzano la critica alla “visione politica” della dirigenza (resa nella sentenza n. 233). Principi costituzionali che appaiono, invece, palesemente violati dalle norme in commento ed in palese contraddizione con l’affermazione della Corte secondo la quale la politicizzazione della dirigenza dovrebbe garantire proprio il rispetto dei principi fissati negli articoli 97 e 98.

Così leggendo la sentenza, si ha in effetti l’impressione di una decisione “politica” della Corte, volta solo a validare (senza fornire idoneo supporto motivazionale) l’attuale, consolidata, consuetudine dei politici di ingerirsi nella gestione della cosa pubblica.

La legittimazione dell’affidamento degli incarichi dirigenziali a soggetti di fiducia del politico appare, in tal modo, nella sua vera essenza di garanzia e tutela della manifestata volontà politica gestionale. Ed infatti, non si vede come l’attuazione generalizzata dello spoils system possa in alcun modo garantire il rispetto dei valori costituzionali di sana ed imparziale gestione del bene collettivo, essendo la confusione ( e non la coesione ) tra politica e dirigenza un fatto che contraddice in radice il principio costituzionale di cui agli artt. 97 e 98 Cost., oltre ad essere inconciliabile con i valori d’imparzialità e professionalità dei pubblici funzionari garantiti dalla Costituzione.

Tale affermazione critica non appare affatto contraddetta dalla limitazione dello spoils system alla sola dirigenza apicale, dal momento che non si vede la ragione della pretesa, necessaria, maggiore coesione di tale categoria della dirigenza con la politica. Correttamente è stato, infatti, rilevato che i poteri gestionali dirigenziali non mutano la loro natura sol perché appartenenti a dirigente apicale. Essi restano poteri gestionali, ancorché di livello strategico, e ben possono essere, a posteriori e sulla base di criteri preventivamente fissati, valutati negativamente dal vertice politico (Cfr. L. Olivieri, art. cit.).

Diversamente, assente (ed è la norma) un sistema di controlli e criteri di valutazione realmente efficaci e costruiti per fini di interesse generale, la decadenza automatica e generalizzata della dirigenza apicale appare, invece, per quello che realmente è: un provvedimento teso alla creazione di una dirigenza asservita alla politica e parallela a quella legittima (voluta dalla carta costituzionale) atecnica ed aprofessionale.

Altro aspetto da non sottovalutare (ed anch’esso non appare affatto positivo) è costituito dal fatto che la sentenza investe anche la dirigenza definita intermedia. Ed infatti, detta dirigenza è di norma incaricata dalla dirigenza apicale (la regolamentazione dell’affidamento e revoca degli incarichi è affidata ai CC.NN.LL.). Ne consegue che la criticata legittimazione della politicizzazione della dirigenza apicale si riflette, inevitabilmente, anche sulla dirigenza sub apicale, condizionata necessariamente dalla tendenza politica del dirigente apicale dal quale dipende la sua stessa sorte.

In tal senso non ha sostanziale riscontro la declaratoria di incostituzionalità della norma regionale calabrese con riguardo alla dirigenza non apicale delle ASL ed AO, visto che poi, di fatto, ancorché non azzerata per lo spoils system, anche tale “inferiore” categoria della dirigenza è costretta a subire la citata politicizzazione, con l’effetto (avversato dalla Corte) di pregiudicare il buon andamento e l’imparzialità dell’azione amministrativa anche sotto tale profilo.

 

Ebbene, è in tale contesto giurisprudenziale che si colloca l’ordinanza emessa dal Tribunale di Tivoli che qui si commenta e che si distingue per due profili:

 

1) per l’oggetto del decisum, che, in applicazione del c.d. spoils system, riguarda la declaratoria di decadenza del direttore generale di un Ente Parco della Regione Lazio;

 

2) per il contenuto della pronunzia, che, seppur in sede cautelare, valuta sostanzialmente in modo positivo l’applicazione dello spoils system, ritenendo inammissibile la domanda di reintegrazione del dirigente pubblico licenziato.

 

Ciò premesso, si evidenzia, in sintesi, che la questione portata all’attenzione del G.O. attiene alla domanda cautelare proposta da un dirigente generale di un ente pubblico regionale di sentir dichiarare la nullità (o l’annullamento) del provvedimento amministrativo con il quale l’ente pronunzia, unilateralmente, in applicazione dello spoils system regionale, la decadenza automatica del dirigente ricorrente dal contratto (e dalle funzioni) di diritto privato stipulato con l’ente medesimo.

L’ordinanza appunta l’attenzione sulla natura del contratto stipulato (di diritto privato, a termine) e sulla disciplina del rapporto pattuito (di tipo dirigenziale, di lavoro subordinato, con applicazione - residuale - del CCNL delle Regioni ed EE.LL.).

Ciò premesso, la decisione, ritenuta assorbente la questione dell’ammissibilità della richiesta tutela ripristinatoria, osserva che l’incarico dirigenziale è stato conferito ad un soggetto estraneo alla p.a. e, analizzata la giurisprudenza dominante nella materia de qua, rigetta l’istanza cautelare per la ritenuta impossibilità di ammettere la reintegrazione del dirigente pubblico “licenziato”, essendo detta tutela consentita per i soli dirigenti di ruolo ed a tempo indeterminato.

Nel contempo, l’ordinanza ritiene, invece, ammissibile l’eventuale risarcimento dei danni patiti dal ricorrente (nell’eventuale fase di merito) ove venisse accertata l’illegittimità del provvedimento di risoluzione del rapporto.

Ebbene, in ordine alla suddetta decisione cautelare sembra possibile formulare le seguenti osservazioni:

1) il giudizio ha per oggetto la contestazione della legittimità del provvedimento amministrativo con il quale l’ente parco ha provveduto a risolvere il rapporto di lavoro in essere con il suo dirigente, in applicazione dello Statuto della Regione Lazio (agli artt. 54 e 55 v’è il c.d. spoils system) e la legittimità del sistema stesso dello spoils system, siccome interpretato ed applicato dall’ente nel caso di specie.

2) Quanto ai profili risarcitori, il giudicante è dell’avviso che essi potrebbero trovare ingresso nell’eventuale fase di merito, ove il ricorrente ivi provasse che il provvedimento di risoluzione del rapporto è stato illegittimo.

3) Per altro verso, l’esame del provvedimento amministrativo, pur effettuato in limine, ai soli fini della valutazione dell’ammissibilità della richiesta tutela ripristinatoria, lascia intendere che il G.O. ritiene ammissibile l’esame e la pronunzia sul provvedimento amministrativo di risoluzione del rapporto.

In tal modo il G.O. ha evidentemente fatto applicazione delle norme del d.lgs. n. 165/2001 (art. 68) che attribuiscono al g.o. la giurisdizione esclusiva in materia di pubblico impiego privatizzato, attribuendo altresì alle facoltà di tale giudice quelle di procedere all’accertamento, alla modifica ed all’annullamento anche dei provvedimenti amministrativi incidenti sui “diritti soggettivi” (nel caso di specie era chiesto il rispetto di un diritto al posto di lavoro contrattualizzato) dei pubblici lavoratori.

La pronunzia conforta, quindi, la tesi di quanti in dottrina (Cfr. O. Forlenza, in lezioni per CEIDA, concorso TAR del 2006 ed in la “La gestione delle controversie nella pubblica amministrazione”, scritti per la stessa CEIDA, 2006, pagg. 1-11) sostengono, da tempo, che la categoria dei cc.dd. interessi legittimi oppositivi è da ritenersi ormai assorbita e riportata nella categoria più ampia dei diritti di cui all’art. 2907 c.c. Affermazione condivisa sia da Corte Cost. n. 275/2001 che da Cass. SS.UU. n. 500/99, laddove, da un lato si afferma che il g.o. ben può essere giudice dei provvedimenti amministrativi e dell’esercizio legittimo del potere amministrativo; dall’altro, si evidenzia che ormai la tutela (diretta) accordata all’interesse legittimo oppositivo è la stessa del diritto soggettivo, con conseguente assorbimento della prima categoria in quella dei diritti soggettivi.

Più nel dettaglio, appare condivisibile e difficilmente controvertibile la decisione nella parte in cui si afferma che il risarcimento dei danni è conseguente all’eventuale accertamento dell’illegittimità del provvedimento che pronunzia la decadenza del dirigente ed è ammissibile nella sola fase di merito.

Sembra, invece, criticabile l’assunto secondo il quale la decadenza automatica del dirigente apicale di un ente regionale costituirebbe un “licenziamento”, come tale assoggettato alle regole ed agli orientamenti giurisprudenziali esistenti per tale categoria giuridica.

Il caso in esame concerne fattispecie diversa dal licenziamento, dal momento che s’impugna innanzi al G.O. la pronunziata decadenza automatica del suddetto dirigente generale dal contratto e dalle funzioni affidategli dall’ente pubblico regionale. E ciò in applicazione del sistema di spoils system disciplinato dallo Statuto della Regione Lazio.

Se tale è il presupposto di fatto sul quale il giudice è stato chiamato a decidere, v’è il ragionevole dubbio che la pronunzia abbia erroneamente assimilato due categorie giuridiche (il licenziamento e la decadenza automatica) ontologicamente e profondamente luce l’una dall’altra, con disciplina ben distinta sotto il profilo legislativo.

L’analisi della questione dimostra, infatti, che, a prescindere dalla legittimità del provvedimento amministrativo con il quale si dichiara la decadenza del dirigente, il giudice è stato chiamato a pronunziarsi sull’applicazione dell’art. 55 dello Statuto della Regione Lazio, che fa esplicito riferimento ad una sorta di decadenza automatica degli organi degli enti dipendenti dalla regione (comma 4) e dei dirigenti con incarichi di direzione delle strutture di massima dimensione, che decadono il 90° successivo all’insediamento dei nuovi organi, salvo conferma (comma 5 dell’art. 55 cit.).

Ebbene, data la premessa, si osserva che:

1. la fattispecie normativa (applicazione dell’art. 55 comma 5 dello statuto regionale laziale) doveva essere diversamente inquadrata rispetto alla categoria del licenziamento, trattandosi, piuttosto, di giudicare sull’applicazione ed interpretazione delle norme sullo spoils system previste dallo Statuto della Regione Lazio;

2. la Corte Costituzionale con la sentenza n. 233/06, su commentata, si è pronunziata in linea generale e per norma simile a quella laziale, a favore della legittimità del sistema dello spoils system, così avallando a posteriori e di fatto la legittimità sostanziale dell’ordinanza;

3. la stessa sentenza n. 233/06 ha, però, evidenziato l’incostituzionalità della norma che preveda la decadenza automatica “regionale” del dirigente generale la cui nomina o revoca dipenda, anche in via congiunta, da soggetto ulteriore e diverso rispetto alla Regione (nel caso all’esame della Corte, la decadenza urtava contro le facoltà e l’autonomia concesse dall’art. 33 Cost. all’Università);

4. nel caso portato in giudizio innanzi al Tribunale di Tivoli, sembra venire in rilievo la lesione od erronea interpretazione del medesimo statuto laziale, oltre che del principio costituzionale che fissa l’autonomia degli enti locali e delle associazioni, siccome stabiliti dagli artt. 114 e sgg. Cost., oltre che l’autonomia e la libertà di associazione di cui all’art. 18 Cost.;

5. la decadenza del direttore generale dell’ente parco rappresenta, infatti, un tipo giuridico espressamente disciplinato dal comma 5 dell’articolo 55 del citato statuto laziale ed è legata all’insediamento dei nuovi organi dell’ente nel quale lavora il dirigente che si intende dichiarare decaduto;

6. nell’ente parco resistente, per potersi legittimamente procedere alla decadenza del ricorrente, avrebbero (e ciò non risulta dagli atti processuali) dovuto insediarsi i nuovi organi nominati successivamente al mutamento della giunta regionale;

7. i nuovi organi dell’ente parco, la cui nomina è demandata agli enti locali ed alle associazioni di difesa ambientale, non si sono ancora insediati (presidente, consiglio direttivo, collegio dei revisori, etc.) e, quindi, non sembra essersi realizzata la condizione prevista dall’art 55, comma 5 del nuovo statuto regionale per la declaratoria di decadenza del direttore generale ricorrente.

In diversi termini, sembra che l’ordinanza in commento si sia pronunziata su questione in realtà sostanzialmente diversa rispetto a quella oggetto della controversia.

L’impugnata decadenza è stata pronunziata in applicazione dell’art. 55, comma 5 dello statuto della Regione Lazio, che lega la decadenza della dirigenza “apicale” allo spirare del termine di “90 giorni” decorrente dall’”insediamento dei nuovi organi” dell’ente di cui si tratta

Tali nuovi organi non si sono, però, insediati essendo stato nominato, in via temporanea e per gli affari correnti, unicamente un commissario straordinario regionale.

I suddetti organi sono, invece, individuati normativamente (dall’art. 13 della l.r. 29/97) e vengono nominati in rappresentanza di organismi, associazioni ed enti diversi dalla Regione Lazio (il consiglio direttivo dell’ente parco, ad esempio, è composto da soggetti nominati dai sindaci dei comuni e della provincia su cui insiste il territorio dell’ente parco e da membri che rappresentano associazioni agricole ed ambientaliste; i componenti del collegio dei revisori sono nominati in rappresentanza anche del Ministero dell’Economia).

La ratio legis desumibile dalla lettura del combinato disposto dello statuto regionale e della legge regionale n. 29/97, appare quella di consentire l’eventuale decadenza del direttore generale alla nomina ed investitura degli organi che rappresentano i soggetti e le realtà politiche del territorio sul quale insiste l’ente parco, lasciando a detti organi anche l’opposta facoltà di confermare il direttore generale in carica.

L’ordinanza appare, dunque, criticabile, sotto il segnalato profilo, dal momento che contiene unicamente una pronunzia di ammissibilità del ricorso limitata, erroneamente, alla legittimità del licenziamento ed alla conseguente richiesta di acconsentire alla reintegrazione del ricorrente nel posto di lavoro.

La decisione avrebbe dovuto indagare, seppur sommariamente, la questione della decadenza e della legittimità del provvedimento con il quale l’ente ha provveduto alla relativa pronunzia, accertandone l’apparente legittimità ed eventualmente condannando l’ente al rispetto del contratto di lavoro stipulato dal direttore generale ricorrente.

Ciò a prescindere dai nuovi ed accennati profili di legittimità costituzionale dello statuto laziale che appaiono emergere in relazione alla sentenza C. Cost. n. 233/06, laddove l’interpretazione fornita dall’ente parco sembra, in effetti, urtare con i principi costituzionali di autonomia degli enti locali e delle associazioni, quali soggetti direttamente investiti, per legge, della nomina o della revoca del direttore generale dell’ente parco.

La decisione del Tribunale di Tivoli appare, quindi, inserirsi a pieno titolo nel vero e proprio caos giurisprudenziale che investe da tempo la criticata normativa sullo spoils system e sembra corroborare la richiesta di quella dottrina (alla quale aderisce lo scrivente), di ripensare la questione dello spoils system in un’ottica e con finalità scevre da tensioni politiche e con maggiore attenzione al rispetto effettivo dei principi costituzionali di sana ed imparziale azione amministrativa.

 

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*Avvocato in Roma e docente incaricato di diritto pubblico presso l’Università di Roma, La Sapienza.

 

 

TRIBUNALE DEL LAVORO DI TIVOLI - ordinanza cautelare dell'8 maggio 2006.

1.     Direttore Generale Ente Parco Regione Lazio. Provvedimento di decadenza automatica per applicazione dello spoils system.

2.     Reintegrazione inammissibile. Ammissibilità per la dirigenza di ruolo a tempo indeterminato.

3.     Licenziamento illegittimo. Diritto al risarcimento del danno nella fase di merito.

r.g. 823/06

Il Giudice, dott. Renato Castaldo, letti gli atti, sciogliendo la riserva che precede, osserva:

con il ricorso in esame il dott……..ha chiesto ordinarsi all’ente convenuto la reintegra nell’incarico dirigenziale.

Per il carattere assorbente appare necessario esaminare la questione dell’ammissibilità della tutela richiesta.

Con il contratto stipulato in data 10/02/05 a seguito di decreto di nomina n. 17/05, al ricorrente, soggetto esterno alla pubblica amministrazione, è stato conferito l’incarico di direttore generale dell’ente parco dei ………..

Dalla lettura dell’accordo emerge la natura di contratto di diritto privato a termine, posto che la durata dello stesso viene fissata nella misura massima in 5 anni con previsione di alcune ipotesi di risoluzione anticipata del rapporto tra cui la scadenza del mandato del Presidente della Giunta regionale.

Per la disciplina del rapporto le parti rinviano, per quanto non previsto nel contratto, alle disposizioni del codice civile ed alla contrattazione collettiva dei dirigenti regionali.

La normativa applicabile e la concreta disciplina pattuita (c.f.r. i profili retributivi) evidenziano che tra le parti si è instaurato un rapporto di lavoro di tipo dirigenziale.

Tanto premesso deve verificarsi se i ipotesi di incarico dirigenziale conferito a tempo determinato a soggetto estraneo ala pubblica amministrazione sia ammissibile in caso di illegittima risoluzione del rapporto una pronuncia che disponga il ripristino dello stesso e condanni l’ente pubblico alla riattribuzione dell’incarico.

La dominante giurisprudenza esclude tale tipo di tutela.

La giurisprudenza pacifica formatasi in materia di lavoro privato (Sez. L, sentenza .11692 del 1/06/2005; n.12092 del 2004) afferma costantemente che il dipendente a tempo determinato illegittimamente licenziato in difetto di giusta causa ha diritto non alla reintegrazione nel posto di lavoro ma al risarcimento del danno, che può legittimamente quantificarsi, in via equitativa, sulla base delle retribuzioni che gli sarebbero spettate fino alla scadenza del termine.

L’affermazione mantiene validità anche nel rapporto di pubblico impiego privatizzato ricorrendone la medesima ratio e disciplina.

Quanto al particolare rapporto dei dirigenti si osserva che se in giurisprudenza si discute della ammissibilità della reintegrazione dei pubblici dirigenti con contratto di lavoro a tempo indeterminato o se invece per il dirigente illegittimamente licenziato vi sia spazio solo per una tutela di tipo risarcitorio, ciò avviene solo limitatamente ai c.d. dirigenti di ruolo cioè a quelli per i quali il rapporto fiduciario fra parte datrice e dirigente si esplica nel momento dell’attribuzione dell’incarico mentre la costituzione del rapporto avviene per concorso.

Si esclude invece, per tutte le altre forme di rapporto dirigenziale, la possibilità di una tutela di tipo ripristinatorio (c.f.r. trib. Roma 15/04704; Cons. Stato 26/4700 n.2; Trib. Roma 5/6/00; Trib. Enna 5710/01).

Nell’ipotesi in esame non vi è una distinzione fra rapporto di lavoro dirigenziale ed il conferimento dell’incarico trattandosi di incarico conferito a soggetto esterno alla pubblica amministrazione.

Nella fattispecie in oggetto, pertanto, un eventuale vizio del provvedimento con i quale il ricorrente è stato rimosso dall’incarico potrebbe portare solo ad una pronunzia di tipo risarcitorio e non ad una di tipo reintegratorio, atteso che la stessa è al più ammissibile in rapporto di lavoro dirigenziale per dirigenti di ruolo.

Tali conclusione acquistano maggiore forza ove si qualificasse il rapporto in questione come di lavoro autonomo o come rapporto professionale di collaborazione coordinata.

In simili ipotesi, che peraltro è quella che il ricorrente ritiene sussistere, è pacifico che a qualsiasi condotta inadempiente della controparte contrattuale non può che conseguire il risarcimento del danno e non certo la condanna del resistente ad accettare la prestazione del ricorrente.

Ne consegue che il ricorso cautelare deve essere respinto atteso che viene chiesta una tutela maggiore e diversa da quella che potrebbe ottenersi nel giudizio di merito.

Resta assorbita ogni altra questione.

La natura della controversia ed i motivi della decisione giustificano la compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

1) respinge il ricorso;

2) compensa tra le parti le spese di lite.

Si comunichi.

Tivoli 8/5/06

Il Giudice

Depositato in cancelleria il 8.5.2006


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