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n. 10/2007 - © copyright

CARLO CALVIERI (*)

Concessione e appalto di servizio pubblico come contratti pubblici nei c.d. settori speciali ex esclusi. Il caso del trasporto pubblico locale.

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SOMMARIO: 1. Premessa; 2. Gli elementi costitutivi del “contratto pubblico di concessione: Appalto vs concessione; 3. Il c.d. rischio di gestione; 4. …segue… Il problema alla luce della disciplina propria dei c.d. settori speciali ex esclusi; 5. … segue… Le peculiarità delle concessioni nel campo del trasporto pubblico locale. 6. Alcune considerazioni conclusive.

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1.  Premessa.

L’essenzialità del dato normativo riguardante la concessione di servizi e l’incertezza del confine tra tale istituto e la nozione di appalto pubblico di servizi consigliano un approfondimento di tali tematiche soprattutto con riferimento a settori quali quello del trasporto pubblico in ambito locale ove alla disciplina generale, propria dei c.d. settori ex esclusi, si affianca una articolata disciplina speciale anch’essa di derivazione comunitaria.

Da qui lo spunto per queste riflessioni che senza alcuna pretesa di esaustività, mirano a tentare una ricostruzione della normativa vigente offrendo un riferimento in più per gli operatori utile a meglio orientarsi in un quadro normativo sempre più proteiforme e di difficile lettura e relativa applicazione.

Tra le più significative complessità che si trova a dover affrontare chi abbia in animo di comprendere l’effettività del ruolo del concessionario e le norme ad esso via - via applicabili derivano da una multiforme stratificazione soprattutto normativa che, passando per una netta separazione concettuale tra appalto e concessione, oggi sembra proporre una sostanziale unificazione tra i due istituti sotto l’ombrello del codice dei Contratti Pubblici [1].

Prendendo le mosse proprio dalla nozione di concessione pare utile ricordare in questa premessa che l’ordinamento interno conosce due tipologie astratte e generali, l’una implicante il trasferimento al concessionario, mediante atto autoritativo, di vere e proprie potestà pubbliche, ed una seconda tipologia avente natura contrattuale e assimilabile all’appalto di pubblico servizio dal quale differisce per il fatto che il corrispettivo è rappresentato dal diritto a gestire l’opera e/o da questo accompagnato ad un prezzo [2].

Alla luce della normativa vigente si tratta però di verificare se all’interno di questa seconda ipotesi la fissazione di un prezzo non determini il mutamento della natura intrinseca della concessione avvicinandola ulteriormente all’appalto pubblico di servizi, ma sul punto ci si soffermerà infra.

In ogni caso, in entrambe le ipotesi più sopra prese in considerazione il concessionario riveste una duplice qualifica: di destinatario dell’affidamento (di servizi e/o di lavori) e di stazione appaltante se è questo il soggetto tenuto a provvedere agli affidamenti di lavori e/o servizi a soggetti terzi. In tale ipotesi occorre però ulteriormente distinguere tra le nozioni di concessione di lavori e di servizi.

Sul punto non offre ausilio l’art. 143 del vigente codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 163/06), il quale prevede che: “… le concessioni di lavori pubblici hanno, di regola, ad oggetto la progettazione definitiva, la progettazione esecutiva e l’esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità, e di lavori ad esse strutturalmente e direttamente collegati, nonché la loro gestione funzionale ed economica”. Infatti tale definizione comprende sia l’aspetto realizzativo connesso ai lavori che quello gestionale proprio dei servizi pubblici, di conseguenza non è facile distinguere tra concessioni di lavori e di servizi. Dovremmo quindi richiamare i più significativi principi comunitari per tentare di trovare il discrimine tra le due formule concettuali, ma anche tale passaggio non offre risultati pienamente convincenti. Il “diritto di gestire l’opera o tale diritto accompagnato da un prezzo” è infatti l’elemento che, sulla base dell’art. 1.3 della direttiva 18/2004, si pone come l’unico connotato idoneo a distinguere la concessione di lavori pubblici dall’appalto pubblico di lavori e, sempre la medesima disposizione al punto 4 definisce la concessione di servizi in modo analogo alla concessione di lavori distinguendola da questo solo sulla base dell’oggetto, riferito, in tal caso, non ai lavori ma alla “fornitura di servizi”. Pare di tutta evidenza il rischio di cadere in pericolose tautologie.

Il dato normativo comunitario ci consente comunque una prima conclusione: ogni qualvolta l’aspetto gestionale sia correlato all’esecuzione di un’opera dovremmo parlare di concessione di lavori pubblici mentre quando l’attività sia  limitata all’esclusiva erogazione di servizi, solo in tal caso si dovrebbe parlare di vera e propria concessione di servizi pubblici. Ma quello che potrebbe sembrare di facile soluzione non lo è, atteso che la stessa normativa interna di recepimento della direttiva appena richiamata all’art.3, definisce la concessione di lavori (co. 11) e la concessione di servizi (co. 12) in forma diversa e più articolata rispetto alle analoghe disposizioni di matrice comunitaria. E questa è solo una prima non risolutiva asimmetria rispetto ad una complessità di problemi via - via crescenti, man mano che si approfondisce l’analisi e che porta a riflettere sulla stessa particolare nozione di “contratto pubblico” dotata di peculiarità e specificità tali da allontanarla dalla definizione generale di matrice privatistica [3].

Di conseguenza il codice civile e la legge generale sul procedimento amministrativo (art. 2 co. 3) costituiscono ulteriori stratificazioni normative  da prendere in considerazione per tentare di chiudere il cerchio della parte mancante alla nuova normativa in materia [4]. Ma anche così non abbiamo ancora una disciplina compiuta, infatti alcuni contratti attivi, di natura associativa [5], si pensi alle molteplici società a partecipazione mista pubblico-privata impegnate nella gestione di servizi pubblici rimangono fuori dalla disciplina e sono oggetto di trattazione nel corpo dell’ormai risalente Testo Unico degli Enti Locali il cui titolo quinto (artt. 112 e ss.)  è  il punto di arrivo di una tormentata serie di modifiche legislative protrattesi con cadenza quasi annuale ed oggi oggetto di una ulteriore significativa riforma [6].

Come già segnalato la “stratificazione” normativa non si arresta con il riferimento alle normative speciali e generali appena richiamate, ma va anche ulteriormente arricchita delle plurime disposizioni contenute nelle leggi di regolazione dei diversi settori: acqua, gas, energia, trasporti, che oggi, proprio con riferimento ai contratti concessori in forza dell’articolo 216 del D.lgs. n. 163/06 sono esclusi dall’applicazione codicistica.

La mancanza di una vera e propria cornice di riferimento rende l’idea della complessità del problema che si vuole affrontare con spirito di semplificazione e volontà di chiarezza.

2. Gli elementi costitutivi del “contratto pubblico di concessione; Appalto vs Concessione.

Pur con tutte le riserve del caso possiamo partire da un punto fermo: con l’entrata in vigore del d. lgs. n. 163 del 2006 si è tentato di introdurre nel nostro ordinamento una nozione tendenzialmente unitaria di “contratto pubblico” o “ad oggetto pubblico” che, da un punto di vista molto generale può essere definito come un contratto a prestazioni corrispettive a titolo oneroso, avente forma scritta ed il cui oggetto si sostanza in una prestazione ( di lavori, servizi o forniture) che presenta una rilevanza pubblica per la natura della prestazione ovvero perché destinatario della stessa è un soggetto pubblico.

Ora, se la causa di un contratto è la sua ragione pratica “…cioè l’interesse che l’operazione è diretta a soddisfare” [7] i contratti pubblici si configurano come contratti di natura sinallagmatica (a prestazioni corrispettive) a titolo oneroso in cui l’eventuale rischio sotteso o connesso alle diverse attività si atteggia diversamente a seconda se si tratta di prendere in considerazione il caso in cui il contratto rientra nella categoria dell’appalto ovvero in quella della concessione.

Se, infatti, in entrambi i casi si può parlare di vera e propria sinallagmaticità e di prestazioni fra loro corrispettive, nella seconda fattispecie il contratto può,  evidenziare connotati anche aleatori, ove l’alea grava sul concessionario, che ritrae dalla gestione il titolo remunerativo della propria prestazione.

Per tale ragione il tipo di sinallagma, cioè l’oggetto dello scambio è differente a seconda che si tratti di  appalto o di concessione.

Nell’appalto pubblico infatti lo scambio avviene tra il facere in capo all’appaltatore ed il suo prezzo cui è tenuta la stazione appaltante (o ente aggiudicatore). Nella concessione invece l’oggetto dello scambio cui è tenuto “l’aggiudicatore” è il diritto di realizzare, utilizzare e gestire (per un certo tempo) un’attività economica di interesse generale verso l’obbligo in capo al concessionario di corrispondere un canone ovvero di svolgere quella determinata attività secondo specifici parametri.

Come molto opportunamente osservato [8] la diversa natura dello scambio incide sulla ripartizione del rischio economico gravante sulle parti.

Infatti, se è vero che l’appalto pubblico differisce dall’ipotesi generale disciplinata dal codice civile solo in funzione del fatto che una delle parti è una pubblica amministrazione e l’oggetto, in genere,  è la realizzazione di un’opera di interesse pubblico, sul piano genetico non differisce dalla disciplina posta nell’art. 1655 ss., c.c..

Proprio sulla base delle disposizioni del codice civile, l’obbligazione assunta dall’appaltatore di eseguire l’appalto “con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio”, non significa che il contratto di appalto possa essere fatto rientrare nella categoria dei contratti aleatori per l’appaltatore e tantomeno per il committente che acquisisce la proprietà del bene alla consegna del medesimo.

La natura dell’obbligazione assunta dall’appaltatore è infatti “di risultato” ove l’appaltatore non assume un rischio diverso da quello conseguente alla normale alea insita in ogni contratto congenere.

Nella concessione invece, ferma la sua natura di contratto anch’esso a prestazioni corrispettive il modello non può essere configurato analogamente all’appalto come contratto di natura commutativa dato che tale caratteristica fa sì che l’entità delle reciproche prestazioni dipenda da fattori casuali che necessariamente trasferiscono l’alea su una delle parti.

E’ quindi nella ipotesi della concessione che il concessionario assumendo su di sé il diritto di gestire l’opera si accolla il “rischio economico dell’impresa” che corrisponde, secondo talune opinioni, a quello correlato all’investimento finanziario fondato su previsioni di rimuneratività che potrebbero non avverarsi [9].

Tale assunto si vuole però opportunamente analizzare in questa sede per verificarne l’effettività e la piena applicazione anche nel campo dei c.d. settori speciali.

Per far questo si partirà dalla problematica connessa al rischio di gestione, da molti assunta come caratteristica esclusiva di ogni concessione, ma assai poco approfondita sul piano delle sue effettive applicazioni.

3. Il c.d. rischio di gestione.

Secondo quanto si è tentato di mettere in rilievo anche grazie al fondamentale apporto del diritto comunitario, la concessione si connoterebbe per essere un contratto che assume il carattere dell’aleatorietà in capo al concessionario.

Tale caratteristica traspare con una certa evidenza nella Comunicazione interpretativa della Commissione sulle concessioni nel diritto comunitario [10].

Secondo tale significativo atto che potremo definire di indirizzo [11] il diritto di gestione permetterebbe al concessionario di percepire, per un determinato periodo, alcuni diritti dall’utilizzatore dell’opera realizzata e/o altre forme di remunerazione derivanti dalla gestione. Si può trattare ad esempio di un pedaggio, di un canone o di una remunerazione del tipo “shadow toll”.

Il fatto che il diritto di gestione possa essere accompagnato da un prezzo non cambierebbe nulla circa il mantenimento nell’alea se questo copre soltanto una parte del costo dell’opera. Può accadere infatti che uno Stato sostenga parzialmente il costo di gestione della concessione al fine di diminuire per gli utilizzatori il prezzo da pagare per il servizio.

Tuttavia – prosegue la comunicazione – tale remunerazione parziale non può avere l’effetto di eliminare totalmente il rischio di gestione che è a carico del concessionario, altrimenti il contratto dovrà essere fatto rientrare nella tipologia degli appalti pubblici [12].

Infatti, se è indubitabile che anche negli appalti pubblici una parte del rischio può essere a carico del contraente, tuttavia l’alea legata all’aspetto finanziario dell’operazione che si può qualificare come il c.d. “rischio di impresa” è propria del fenomeno delle concessioni.

Questo tipo di rischio è in genere collegato ai proventi che il concessionario ritrae dalla gestione dato che, nel caso della concessione, la società in genere sopporta i rischi collegati alla prestazione del servizio ed ottiene la sua controprestazione dagli utenti.

Esiste quindi in tal caso un rapporto giuridico trilaterale tra affidante, affidatario ed utente, mentre al contrario, nell’appalto pubblico di servizi il rapporto giuridico è, di norma, bilaterale ed all’interno del quale il compenso per la prestazione è a carico della stessa Amministrazione aggiudicatrice che tra l’altro sopporta il rischio economico collegato alla fornitura di servizio [13].

Va comunque subito segnalato come la natura bilaterale o triangolare di per sé non costituisca un elemento determinante sul piano giuridico, atteso che tali elementi utili ad individuare i soggetti coinvolti costituiscono fattori di per sé meramente descrittivi [14], con la conseguenza che anche nell’ambito di rapporti costruiti secondo una struttura trilaterale possono giustificarsi elementi tali da ridurre ed anche  escludere il “rischio di gestione [15].

La presenza in concreto del rischio di gestione rappresenta pertanto in concreto il fattore determinante ai fini dell’elaborazione di una nozione di concessione pura, e ciò anche al di là delle ambiguità che possono trasparire dalla Comunicazione Interpretativa CE del 2000. Questa risente infatti, dei plurimi residui della dottrina amministrativistica che ancora continua a sostenere che gli elementi determinanti sul piano definitorio dovrebbero essere rintracciati nel c.d. effetto di accrescimento e nel c.d. trasferimento di potestà pubbliche in capo al concessionario [16]. Tali aspetti, ricavabili per lo più dalla dottrina italiana hanno avuto anche un riconoscimento a livello di giurisprudenza comunitaria atteso che nella stessa Sentenza 26 aprile 1994 causa C. 272/91 – Lottomatica – il criterio i distinzione tra appalti e concessioni per la Corte Comunitaria andrebbe individuato proprio nel “trasferimento di poteri al concessionario”. Ma come detto il vero punto di incontro tra principi comunitari e normativa interna sembrerebbe il trasferimento effettivo dell’alea economica all’impresa. Di converso ci troveremo di fronte ad un appalto di pubblico servizio ogni volta che l’onere economico grava sull’Ente aggiudicatore e cioè anche se l’attività o l’opera oggetto del contratto sia destinata ad essere fruita da terzi utenti [17].

4.  segue …Il problema alla luce della disciplina propria dei c.d. settori speciali ex esclusi

Come noto la parte III del Codice dei Contratti Pubblici, in coerenza con la Direttiva 2004/17 CE, disciplina i contratti pubblici di lavori, servizi e forniture nei c.d. settori speciali.

Le varie disposizioni che tendono a limitare il raggio di applicazione del codice con riferimento a questi servizi che rivestono una significativa peculiarità anche per espresso riconoscimento della normativa comunitaria, escludono espressamente i servizi nel campo del gas, energia termica ed elettricità (art. 208), dell’acqua (art. 209), i servizi di trasporto (art. 210), i servizi postali (art. 211), la prospezione ed estrazione di petrolio, gas, carbone e altri combustibili solidi (art. 212), porti e aereoporti (art. 213) [18].

Con disposizione di chiusura del Capo I, l’art. 214  del Codice dei Contratti disciplina gli “appalti” che riguardano una pluralità di settori individuando nel criterio dell’accessorietà il discrimine fra lavori e servizi.

Infatti per distinguere quale parte del codice applicare occorrerà individuare l’attività “principale” in concreto. Peraltro in mancanza di specificazioni in ordine all’effettivo significato relazionale del termine “principale” permangono seri dubbi circa l’effettivo riferimento di detto elemento qualificante l’ambito di applicazione dei servizi o dei lavori.

In pratica appare sensato applicare o il criterio quantitativo, di prevalenza, ovvero quello funzionale, in coerenza con la previsione dell’articolo 14 in materia di “appalti misti”.

Proprio il duplice riferimento alle specifiche figure contrattuali dell’appalto e la stessa collocazione della disposizione dell’art. 214 posta a chiusura del Capo I, della Parte III inducono a ritenere che questo sia un po’ il discrimine che il codice ha inteso porre tra appalti e concessioni.

Infatti, le disposizioni immediatamente successive, inserite nel Capo II, prevedendo l’ambito di esclusione degli appalti (art. 215) e la esplicita non applicabilità del codice alle concessioni sia di lavori che di servizi (art. 216), quando la concessione abbia per oggetto l’esercizio di una delle attività comprese tra gli articoli da 208 a 213, comportano una serie di ulteriori riflessioni.

Innanzitutto il Capo II sembra marcare, come detto, il limite tra il campo degli “appalti pubblici di servizi” che consente l’estensione, anche ai settori esclusi di buona parte delle disposizioni delle parti I e II del Codice dei Contratti, mentre le concessioni vere e proprie sono escluse dalla disciplina codicistica con l’unica eccezione dell’essenziale disciplina posta dall’art. 30 ed alle norme cui tale disposizione rinvia: art. 143 co. 7.

Se ciò è inequivocabile, essendo fondato sul contenuto letterale dell’art. 216 co. 1, cui non sembra fare eccezione lo stesso comma 1 bis di recente introdotto dal primo decreto correttivo (D.lgs. n. 6/2007), occorre capire se ciò è sufficiente a collocare nel campo delle concessioni tutte le attività di costruzione e gestione relative ai settori ex esclusi e quindi nell’ambito dei c.d. contratti a contenuto commutativo caratterizzati dall’assunzione in capo al concessionario del “rischio di gestione”, ovvero occorra meglio dettagliare le varie ipotesi utilizzando le disposizioni codicistiche che a loro volta dovranno “fare sistema” con le più articolate discipline di settore.

L’esclusione tout court inoltre, estesa sia alle concessioni di lavori che a quelle di servizi, rende del tutto irrilevante, ai nostri fini, la ricerca del discrimine tra le due diverse ipotesi di concessione che, come detto, per quanto riguarda i c.d. settori speciali vengono accomunate dall’essere escluse dalla generale disciplina codicistica, fatta eccezione del solo art. 30.

Si tratta allora di capire se, all’interno della principale disposizione applicabile, l’art. 30 del D.lgs. n. 163 del 2006, espressamente richiamata dall’articolo 216, venga in rilievo una sola tipologia di contratto che rispetta il titolo dato dal legislatore all’articolo in parola, ovvero nell’ambito della generale definizione di “concessione di servizi” si annidano una pluralità di modelli.

Si è già detto che le direttive comunitarie 2004/18 CE e 2004/17 CE, all’articolo 1 assimilano la concessione al contratto di appalto di servizi da cui differisce per la natura della controprestazione a carico del concedente che è rappresentata dal conferimento del diritto a svolgere una prestazione di servizio in favore degli utenti percependo il profitto di tale prestazione. In forza della stessa definizione comunitaria il concedente può anche intervenire fornendo un ulteriore corrispettivo in denaro in termini di compensazione economica giustificata dalla natura del servizio ovvero al fine di amministrare i prezzi delle prestazioni al pubblico.

Tale intervento, sempre sulla base delle indicazioni ricavabili dalla Comunicazione interpretativa della Commissione sulle concessioni nel diritto comunitario [19], può avvenire secondo modalità diverse quali l’erogazione di una somma forfettaria garantita o una somma fissa versata in funzione del numero degli utenti, ma ciò non modifica necessariamente la natura del contratto se il prezzo versato copre solo una parte del costo dell’opera e la sua gestione.

Detto ciò dobbiamo però tornare alla recensione dell’articolo 30 per segnalare che le concessioni di servizi prese in considerazione non possono essere ricondotte ad un prototipo unitario. Infatti, è possibile distinguere all’interno della disposizione codicistica due tipologie che si differenziano sia per l’oggetto che per la natura del servizio. Si tratta della “concessione di servizi a terzi” e della “concessione di diritti speciali o esclusivi” che equivale alla c.d. concessione di servizio pubblico. La terminologia del codice indica chiaramente il primo tipo al V° co., mentre il secondo è posto dal successivo alinea che si ispira chiaramente alla clausola di non discriminazione in capo ai titolari di diritti speciali o esclusivi.

Ciò rende del tutto inadeguata e facilmente opinabile la semplicistica tesi di quanti ritengono che la concessione si distingue dall’appalto di servizi in ragione del fatto che solo la prima ha come beneficiario la collettività mentre il secondo è reso in favore dell’amministrazione [20].

Una tesi del genere, seppure ampiamente utilizzata sia in dottrina che in giurisprudenza non coglie il vero nodo del problema messo ben in luce dai principi del diritto comunitario, che come già detto, individuano come elemento peculiare delle concessioni di lavori e servizi il “rischio economico” del concessionario. Pertanto anche servizi resi dalla collettività ben possono essere ascritti al genus degli appalti, resi in favore degli utenti come accade spesso nei casi in cui, indipendentemente dalla forma dei contratti, il costo del servizio gravi sostanzialmente a carico dei bilanci pubblici [21].

Tale assunto conduce alla distinzione, all’interno della disposizione di cui di compone l’art. 30, tra “concessioni di servizi a terzi” e “concessione di servizio pubblico”. Nel primo caso l’oggetto è la cessione, da parte di un’Autorità ad un terzo, del diritto di svolgere una determinata attività economica. Tale prestazione di servizi in favore della collettività oggi si svolge in favore di un operatore economico qualificato anche in forza del principio di sussidiarietà, così come costituzionalmente recepito dallo stesso art. 118 co. 3, Cost.

La concessione di servizi sembra quindi muoversi all’interno della stessa ampia nozione di servizio pubblico posta dall’art. 50 del Trattato ed oggi oggetto della Direttiva 2006/123/CE in materia di servizi che comprende “qualsiasi attività economica non salariata fornita dietro retribuzione”. Va peraltro sottolineato che esulano da tale campo di applicazione sia i servizi universali che, in quanto tali, non rientrano nella definizione di cui all’art. 50 sia i servizi di interesse economico generale, cioè quei servizi la cui fornitura costituisce adempimento di una specifica missione di interesse pubblico affidata al prestatore dallo Stato membro interessato.

Venendo all’applicazione di tali più recenti precetti normativi di matrice comunitaria, va segnalato che i servizi di cui ci si intende occupare, quali quelli legati al settore del trasporto pubblico locale, non rientrando tra i servizi di interesse economico generale, restano esclusi dal raggio di applicazione della direttiva 2006/123 [22].

Di contro, nella diversa figura concettuale cioè nella c.d. “concessione di servizio pubblico”, l’oggetto è dato dalla concessione di diritti speciali o esclusivi finalizzati all’esercizio di un’attività di servizio pubblico (art. 30 co. 6).

Ne consegue un ulteriore fondamentale elemento discretivo fra le due fattispecie prese in considerazione che deve essere rinvenuto nella previsione dello stesso art. 30 co., 2, che al suo interno prevede due distinte disposizioni che, a loro volta portano a scindere la “concessione di servizi” in una tipologia “pura” o “calda”, ove al concessionario è consentita la remunerazione in forza del diritto di sfruttare economicamente il servizio che va distinta da quella c.d. “impura” o “fredda”. Infatti, il secondo capoverso, in forza della necessità di ancorare la gestione a prezzi inferiori a quelli di mercato ovvero di dover assicurare l’equilibrio economico finanziario degli investimenti e della connessa gestione, configura la diversa ipotesi di concessione appunto “impura o fredda” caratterizzata dalla presenza di specifiche compensazioni economiche in favore del concessionario.

Tale differenza mette in luce una sub-distinzione all’interno della “concessione a terzi” dove la seconda fattispecie, quella caratterizzata dalla presenza di un prezzo con funzione compensativa tende ad avvicinare significativamente la c.d. “concessione fredda” ad un appalto di servizio ovvero ad una concessione di servizio pubblico [23]. Ma a questo punto, essendo evidente la difficile individuazione del carattere in grado di connotare la concessione di affidamento di un servizio pubblico in un settore speciale quale quello del trasporto pubblico, non pare più rinviabile la disamina della specifica disciplina di settore, con cui pare anche armonizzarsi la normativa ricavabile dall’art. 30 del codice dei contratti pubblici.

5.segue…, Le peculiarità delle concessioni nel campo del trasporto pubblico locale.

E’ giunto quindi il momento di trasferire le considerazioni fin qui svolte nello specifico terreno del servizio di trasporto pubblico locale. [24]

Come già accennato, possiamo constatare che le diverse disposizioni di cui si compone l’articolo 30 del codice lasciano aperta ogni possibilità di armonizzazione con la disciplina dei servizi pubblici e le relative procedure di affidamento. Infatti, il relativo contenuto normativo si rende pienamente compatibile sia con le procedure di gara ristretta, funzionale alla selezione di un operatore economico [25] sia con le analoghe procedure funzionali alla scelta di un partner industriale nella compagine di una società mista, oppure ancora con lo stesso affidamento in house, inteso come procedura volta a porre in essere un modello organizzativo interno all’amministrazione ed in controtendenza rispetto al modello di esternalizzazione mediante partnerariato pubblico-privato.

Inoltre, sembrerebbero anche compatibili con tale struttura normativa le specifiche discipline di settore anche se comportano diverse e più ampie forme di tutela della concorrenza.

Se questo è quindi il quadro di riferimento generale, si tratta di procedere alla verifica in concreto dell’assunto sulla base di una disamina della specifica normativa di settore, regolante il trasporto pubblico locale tentando di valutare se da questa si finisca con il conseguire un’effettiva sovrapponibilità del modello che ne scaturisce con il parametro generale ricavabile dall’art. 30 del codice dei contratti pubblici.

Nello specifico settore del trasporto pubblico il più rilevante riferimento normativo che deve essere preso in considerazione, anche in forza della sua peculiare efficacia nel nostro ordinamento, è il regolamento del Consiglio del 26.06.1969, n. 1191 relativo all’azione degli stati membri in materia di obblighi inerenti alla nozione di servizio pubblico nel settore dei trasporti per ferrovia, su strada e per via navigabile [26]. Tra le disposizioni più significative regolanti il servizio in parola in ambito locale viene in rilievo l’art. 1, comma 5 che specifica che, a differenza del servizio di trasporto su scala nazionale, le competenti autorità degli Stati membri possono mantenere o imporre “obblighi di servizio pubblico” per i servizi urbani, extraurbani e regionali di trasporto passeggeri [27].

E’ poi con l’art. 2 che sono definiti gli “obblighi di servizio pubblico” in capo ai soggetti erogatori del servizio. Questi si sostanziano in quelle attività che l’impresa non assumerebbe o non assumerebbe nella stessa misura, né alle stesse condizioni, ove prendesse in considerazione il proprio interesse commerciale [28].

Lo stesso articolo 2 ai commi terzo, quarto e quinto distingue diverse ipotesi di “obbligo di servizio”. Si tratta di tre tipologie differenti ed intrinseche al trasporto pubblico. Il primo è l’obbligo di esercizio inteso come l’obbligo, gravante sulle imprese concessionarie di linee o impianti o titolari di equivalente autorizzazione, volto a far sì che l’erogatore del servizio adotti tutte le misure in grado di garantire un servizio di trasporto conforme a norme di continuità, regolarità e capacità. Tale obbligo comprende inoltre la garanzia di servizi complementari e gli specifici oneri manutentivi.

Il quarto comma disciplina poi gli obblighi di trasporto cioè gli oneri gravanti sulle imprese di accettare ed effettuare qualsiasi trasporto di persone o merci a prezzi e condizioni generali predeterminati.

Infine il quinto comma sancisce l’obbligo tariffario volto ad imporre alle imprese l’accettazione di prezzi omologati in contrasto con l’interesse commerciale dell’impresa.

Con successive disposizioni il regolamento si preoccupa di disciplinare le modalità di erogazione delle compensazioni economiche necessarie a bilanciare gli obblighi di servizio che possono essere imposti alle imprese [29].

Per quanto riguarda gli obblighi di esercizio e di trasporto, il metodo di compensazione è quello indicato nell’art.10 del regolamento mentre l’obbligo tariffario risulta bilanciato da una delle diverse modalità di calcolo della compensazione economica indicate nell’art. 11 [30].

Appare significativo notare che, a differenza delle disposizioni generali volte ad escludere nel campo dei contratti pubblici pagamenti anticipati, le compensazioni economiche, proprio perché correlate ad obblighi di servizio di particolare rilievo sociale che giustificano evidenti svantaggi economici in capo alle imprese esercenti, devono preventivare l’anticipazione delle compensazioni economiche. Tale principio è però temperato dall’art. 13 co. 2, che prevede il versamento rateizzato delle compensazioni economiche fissate in anticipo, mentre il pagamento di eventuali revisioni disciplinate dal § 2 dello stesso art. 13 vengono effettuate immediatamente dopo la revisione e cioè a consuntivo [31].

A tale importante corpo normativo, che è di chiara portata self executing e di forza superiore rispetto alla stessa legislazione interna anche se successiva, si affianca nel campo del trasporto pubblico locale il D.lgs. n. 422 del 19 novembre 1997, che in attuazione della delega contenuta nella legge n. 59 del 1997 (c.d. prima Bassanini) conferisce alle Regioni ed agli enti locali funzioni e compiti in materia di trasporto pubblico locale.

Di particolare rilievo ai nostri fini le disposizioni poste dall’art. 17 regolante gli “obblighi di servizio pubblico” e l’art. 19 in ordine al contenuto dei contratti di servizio.

L’art. 17 affida all’ente competente titolare del particolare servizio di trasporto (Regione, Provincia o Comune a seconda della natura regionale, locale o urbana del servizio) la definizione degli obblighi di servizio pubblico in coerenza con la specifica previsione di cui all’art. 2 del Regolamento 1191/69/CE sopra richiamato, prevedendo nei contratti di servizio di cui all’articolo 19 le corrispondenti compensazioni economiche in favore delle aziende esercenti il servizio.

Il successivo articolo 19 stabilisce poi una particolare ipotesi di nullità al comma 2 per quei contratti di servizio per i quali non sia assicurata, al momento della loro stipula, la corrispondenza tra gli importi di cui alla lett. e) del comma terzo e le risorse effettivamente disponibili.

Non secondaria importanza riveste nel settore lo stesso art. 20 che, nella sua vigente versione, (modificata dall’art. 1 co. 8 lett c) del D.lgs. n. 400/99 e dall’art. 9 co. 1 D.L. 25 ottobre 2002 n. 236 così come convertito con modificazioni dall’art. 1 della L. n. 284/2002), stabilisce le modalità di riparto dei fondi destinati al trasporto pubblico locale e la sua ripartizione che dovrà essere rideterminata anche sulla base del volume di passeggeri trasportati e dei risultati del monitoraggio indicato nell’art. 8.

Alle disposizioni statali hanno poi fatto seguito numerose leggi regionali che hanno meglio definito i compiti della pianificazione regionale e provinciale attribuendo ai comuni la redazione dei c.d. Piani Urbani della Mobilità all’interno dei quali dovrebbe essere dato contenuto agli obblighi di servizio imposti ai gestori del trasporto in ambito locale.

Ora, tentando di ricondurre tale articolato corpo normativo entro il raggio di applicazione della normativa generale sulle concessioni nei c.d. settori esclusi dovremo considerare quanto segue.

Come già in precedenza segnalato, sulla base dell’art. 216 del codice dei contratti pubblici, la disciplina codicistica non si applica alle concessioni di lavori e servizi nel campo del trasporto pubblico locale potendo invece trovare applicazione ai contratti che possono essere ricondotti alla tipologia generale dei contratti di appalto nei limiti di cui alla Parte III del Codice.

Per quanto invece concerne le concessioni, l’unico richiamo applicabile è quello ricavabile dalla essenziale disciplina posta dall’art. 30 che però, come detto, ricomprende in sé diverse tipologie di concessione correlate ad un diverso oggetto e che abbiamo qualificato, riprendendo recenti spunti di attenta dottrina, come “concessioni di servizi a terzi” e “concessioni di servizio pubblico” [32].

Ora, l’impianto complessivo della legislazione di settore del trasporto pubblico locale pare inequivoca nel  regimentare tale attività qualificandola in relazione alla sua natura sussidiata dal potere pubblico [33].

Ciò comporta che il c.d. rischio di gestione, inteso come l’elemento tipico e caratterizzante le concessioni nel trasporto pubblico locale, secondo i riferimenti ricavabili dalla normativa comunitaria, è in parte ridotto nella sua portata, in coerenza con gli obblighi di servizio pubblico che vengono imposti dalle amministrazioni aggiudicatici. Ciò non può non riflettersi sulle caratteristiche complessive che le concessioni dovrebbero assumere in questo settore.

Qualche supporto in tal caso lo possiamo rinvenire nello stesso articolo 143 del codice che può trovare ragionevole estensione, non solo con riferimento al comma 7, forse erroneamente richiamato dal codice [34], ma anche al successivo comma 8 che non può non trovare coerente applicazione quanto meno analogica.

Sarebbe infatti poco giustificabile, alla luce del un richiamo indistinto che l’articolo 216 opera alle concessioni sia di lavori che di servizi nei settori esclusi, l’impossibilità di prevedere una disciplina in tal caso condizionata da una durata inferiore o vincolata ad un parametro normativo che si è detto non applicabile. Appare inoltre poco legittima la stessa esclusione della possibilità di variazioni delle condizioni di base da parte della stazione appaltante che di conseguenza non potrebbero nemmeno determinare la revisione del piano economico finanziario del gestore in coerenza con la specifica disciplina di settore.

6. Alcune considerazioni conclusive.

Dati gli assunti che precedono e senza presunzione di esaustività, si possono comunque tracciare le linee di costruzione di un possibile modello concessorio nel campo del trasporto pubblico locale.

Innanzitutto quanto alla scelta del soggetto cui attribuire l’affidamento sia esso un operatore economico che un partner di una società mista, questa dovrebbe comunque avvenire a mezzo procedura ristretta seguendo i principi generali posti nell’articolo 30.

Un dato fondamentale nel campo dei servizi di trasporto sarà poi quello della individuazione degli obblighi di esercizio, di trasporto e tariffari, cui dovranno essere commisurate le compensazioni economiche volte a costituire il prezzo integrativo dei ricavi della gestione.

Incombono pertanto, dopo l’entrata in vigore delle disposizioni codicistiche, sia in capo all’Amministrazione aggiudicatrice che sul concessionario, specifici oneri di redazione di adeguati piani economico-finanziari che, costruiti in coerenza con la legislazione comunitaria, statale e regionale, possano essere in grado di quantificare, a monte del contratto di servizio, le necessità finanziarie comprensive della compensazione economica da erogare in coerenza con i più volte richiamati obblighi di servizio e prevedendo sul piano negoziale anche le opportune modalità di revisione [35]. Quello che ne risulta è obiettivamente un modello di concessione sui generis dove forse non si può parlare di vero e proprio rischio di gestione, dato che questo pur essendo insito nell’assunzione degli obblighi di servizio, proprio per tale ragione risulta anche ammortizzato dal prezzo che necessariamente deve riconoscere la P.A. in aggiunta al diritto di gestire il bene, in chiave di sussidio sociale all’utenza.

Di conseguenza il variare degli obblighi e dei rischi connessi determina, alla luce di un’interpretazione comunitariamente e costituzionalmente orientata, il variare anche delle compensazioni economiche in grado di conciliare il livello delle prestazioni sancite dall’amministrazione con l’equilibrio economico finanziario del gestore e ciò al fine di offrire un livello di prestazione conforme all’obiettivo che la stessa amministrazione intende offrire al benessere della sua collettività.

L’approfondimento anche di tale scenario finisce inevitabilmente con il riflettersi nel delicato campo della tutela dei diritti (in questo caso connessi alla mobilità e quindi alla stessa libertà di circolazione), tematica che, ovviamente, sovrasta l’economia di questo breve lavoro che ha solo la pretesa di offrire spunti di riflessione in settori ove lo stato dell’attuale legislazione stratificata tra il livello comunitario, nazionale, regionale e locale rende assai complicata l’interpretazione e di conseguenza l’attività degli operatori che devono confrontarsi con molteplici disposizioni regolanti la materia e che a loro volta implicano un caleidoscopico intreccio concettuale nel quale è difficile districarsi e possibilmente tentare di trarre qualche certezza.

 

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(*) Associato di istituzioni di diritto pubblico e di diritto pubblico dell'economia, Facoltà di Giurisprudenza  Università degli studi di Perugia.    

[1] Per un’analisi complessiva della nuova disciplina del codice di contratti pubblici si veda ora completo commento in R. De NICTOLIS (a cura di) I Contratti pubblici di lavori,servizi e forniture, Milano, Giuffré 2007, Vol I, collana il Nuovo Diritto Amministrativo.

[2] Sul tema F MASTRAGOSTINO (a cura di) Appalti  pubblici di servizio e concessioni di servizio pubblico, Padova 1998.

[3] Appaiono sempre più lontani i tempi in cui F. LEDDA, Il problema del contratto nel diritto amministrativo, Torino, 1962, bollava come inutile logomachia la distinzione tra contratto di diritto pubblico e quello di diritto privato.

[4] In tal senso di recente C. IAIONE, La nozione coalistica di contratto pubblico, in Giust. Amm. 2007

[5] Sulle caratteristiche di contratti di natura associativa quali il contratto di società e sulla loro distinzione rispetto ai contratti di scambio si veda R. CARANTA, I contratti pubblici, Torino, Giappicheli, 2004,90.

[6] Si veda in proposito il ben noto d. di l. Lanzilotta in corso di discussione in Parlamento (A.S.772).

[7] C. M. BIANCA, Diritto Civile, vol. 3, Il contratto, 2000, 447

[8] C. IAIONE, La nozione codicistica di concessionato, cit., p. 4 e ss.

[9] Così F. LEGGIADRO, Comunicazione  interpretativa della commissione sulle concessioni nel diritto comunitario, in Urb. E Appalti, 2000, 1071 e ss. In part. 1074.

[10] In GUCE C. 121 del 29.04.2000.

[11] Che può farsi rientrare nel c.d. soft law di matrice comunitaria caratterizzato da una serie di atti non vincolanti ma produttivi di effetti giuridici. Per una ricostruzione di tale nuovo strumento para-normativo L. SENDEN Soft law in european political center,  London, 2004.

[12] Così la comunicazione interpretativa – cit. p.2  sub campo di applicazione.

[13] Sul punto vedi le conclusioni dell’Avvocato Generale Fennelly nelle conclusioni presentate il 18.05.2000 nella causa Teleaustria (c. 324/98) che sottolinea nel rischio di gestione la caratteristica peculiare della concessione, ma si veda anche la Sentenza Corte di Giustizia 21.07.05 causa C. 231/02 Coname,  e la stessa Sentenza 13.10.2005, C. 458/03 Parking Brixen.

[14] Di avviso diverso sembra la recentissima decisione del Consiglio di Stato Sezione V del 1 agosto 2007 n. 4270 che conferma la distinzione tra appalto e concessione nella struttura trilaterale della seconda e nella circostanza che in tal caso il costo della prestazione finisca con il gravare sull’utente mentre nel caso dell’ appalto l’onere del corrispettivo graverebbe esclusivamente sull’amministrazione, ma come si avrà modo di evidenziare non sempre le diverse fattispecie possono essere così semplificate.

[15] E’ il caso della Sentenza nella causa Aurox ove il Comune di Roanne si assumeva il rischio finanziario della convenzione

[16] Vedi nota 33 in C. IAIONE, op. cit...

[17] In tale senso F. MASTRAGOSTINO, Le concessioni di servizi, in R. GAROFOLI, M.A. SANDULLI, Il nuovo diritto degli appalti pubblici, Milano, 2005, 109 e ss. Ma anche C. IAIONE, La nozione codicistica di contratto pubblico, cit. 6 e prima lo stesso C. CARANTA, Concessione di opere e di servizi, in Enc. Dir.,aggiornamento V, Milano 2002.

[18] Pare utile segnalare che il recentissimo secondo decreto correttivo (Decreto legislativo 31 luglio 2007 n. 113), recante disposizioni correttive ed integrative del D.lgs. n. 163 del 2006, ha provveduto a modificare l’articolo 206 del codice dei contratti inserendo un ultimo inciso al comma 1 volto a sancire con norma  di chiusura .<<..nessuna altra norma della parte II titolo I si applica alla progettazione e alla realizzazione delle opere appartenenti ai settori speciali>> il che lascia perplessi in considerazione dei significativi vuoti che in detti settori potrebbero rilevarsi in sede di attuazione dei relativi contratti.

[19] Vedi Comunicazione, cit. § 2.1.2.

[20] R. DE NICTOLIS, I contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, ambito oggettivo e soggettivo, procedure di affidamento, Milano, 2007, 216 e ss.; ID. Oggetto del contratto, procedure di scelta del contraente e selezione delle, in Urb. E Appalti, 2006, 9, 1003. Vedi anche B. MAMELI, Concessioni e pubblici servizi, in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 2001 p. 70 e ss.

[21] La stessa giurisprudenza comunitaria da tempo tende a ricostruire il modello del rapporto legato all’affidamento di servizi onerosi per il bilancio pubblico come figure sostanzialmente assimilabili all’appalto di servizi. Si veda Corte CE, 10 novembre 1998, C. 360/96, BFI Holding ed il commento di G. GRECO in Riv. it. dir. pubbl. com., 1999, 157 e ss..

Per quanto riguarda le ricadute sulla giurisprudenza amministrativa vedi Cons. St., VI, 15 maggio 2002, n. 2634 in Foro Amm. – CDS, 2002, n. 1309 che qualifica come appalto di servizi l’affidamento di un trasporto pubblico di linea. In dottrina vedi MASTRAGOSTINO (a cura di) Appalti pubblici di servizi e concessioni di servizio pubblico. Padova 1998, cit. ed ora anche C. IAIONE, La nozione codicistica cit..

[22] Vedi il considerando 17 della Direttiva 2006/723 (CE).

[23] Sul punto a conforto di quanto si va sostenendo appare estremamente significativa la stessa giurisprudenza comunitaria. Si veda in proposito Corte CE, Sez. I, 18 gennaio 2007,C-220/05J.A.c. Comune de Roane. in Urb. E App. n. 5 2007, 552 e s. ed Ivi, il commento di G. Rondoni, Convenzioni tra amministrazioni aggiudicatici come appalto pubblico di lavori, 555 e s.

[24] Per un’ampia ed articolata disamina in ordine al tema complessivo del trasporto terrestre si rinvia alla esaustiva trattazione di D. U. GALETTA e M. GIAVAZZI voce Trasporti Terrestri in Trattato di Diritto amministrativo europeo, 2172 e ss. Ed in particolare con riferimento al trasporto pubblico locale si veda il capitolo 4 a cura di M. Giavazzi 2209 e s.

[25] Contra DI GIULIO, Modalità di affidamento. Le concessioni in www.giustamm.it, il quale dubita che la concessione di servizi sia ancora presente nell’art. 113 del D.lgs. 267/2000.

[26] Va comunque chiarito che originariamente il regolamento 1191/69 CE non si applicava agli operatori che fornivano in via principale servizi in ambito locale e regionale ma tale disciplina è stata estesa anche a tali servizi in forza dell’entrata in vigore del regolamento CEE 1893/91 che ha anche previsto la necessità di disciplinare gli eventuali obblighi di servizio,che siano imposti dagli enti territoriali a mezzo della ripartizione autoritaria del traffico attraverso plurali modalità di erogazione, attraverso appositi contratti di servizio

[27] Va segnalato che, in ordine al servizio di trasporto locale, dovrebbe trovare ingresso la disciplina normativa dettata dal regolamento CE 1107/70 che supplisce all’eventuale mancata fruizione dei benefici di cui al regolamento 1191/69 da parte delle imprese ferroviarie e di trasporto. Come già segnalato nella nota che precede ciò non ha più rilievo dal momento che il regolamento del 1991 n. 1893 ha esteso la disciplina del 1191 al T.P.L. ed in considerazione del richiamo nello stesso regolamento n. 1107 della disciplina del 1191. Sul tema appare di particolare rilievo la sentenza della Corte di Giustizia CE 24 07 2003 causa c-280/00 Altmark Trans GmbH.Con tale decisione la Corte comunitaria pur consentendo ad uno Stato di non applicare al trasporto locale il regolamento n. 1191 come modificato dal regolamento del Consiglio n. 1893/91, specifica la necessaria applicazione ai casi in cui sia necessaria l’imposizione di specifici obblighi di copertura del servizio e sottolinea la necessità di tener conto della disciplina della norma comunitaria ogni qual volta si dovesse provvedere al ripiano di costi aggiuntivi. Solo così infatti si renderebbe compatibile il sussidio con l’art. 73 del Trattato CE.

[28] M. L. TUFANO I Trasporti terrestri nella CEE, Milano,1990, in particolare 29 e s. e D. U. GALETTA, op. cit. chiariscono la compatibilità di tali interventi a sostegno della politica di sviluppo dei trasporti anche in ambito locale non  rientrano nel divieto generale di cui all’articolo 87 del Trattato e ciò stante anche le deroghe espresse contenute negli articoli 73 e 76 trattato CE.

[29] Per quanto riguarda l’obbligo d’esercizio o di trasporto, l’ammontare della compensazione prevista all’articolo 6 è pari alla differenza tra la diminuzione degli oneri e la diminuzione degli introiti dell’impresa che può derivare, per il periodo di tempo considerato, dalla soppressione totale o parziale corrispondente dell’obbligo in questione.

Tuttavia, se gli svantaggi economici sono stati calcolati suddividendo i costi complessivi sostenuti dall’impresa per la sua attività di trasporto fra le varie parti di questa attività di trasporto, l’ammontare della compensazione è pari alla differenza fra i costi imputabili alla parte attività dell’impresa interessata dall’obbligo di servizio pubblico e l’introito corrispondente.

[30] Nel caso di un obbligo di natura tariffaria l’ammontare della compensazione prevista all’articolo 6 e all’art.9, § 1, è pari alla differenza fra i due termini: Il primo termine è pari alla differenza tra, da un lato, il prodotto del numero delle unità di trasporto previste per la tariffa più favorevole che potrebbe essere rivendicata dagli utenti se non esistesse l’obbligo in questione: o, in mancanza di tale tariffa, per il prezzo che l’impresa avrebbe applicato nel quadro di una gestione commerciale che tenesse conto dei costi della prestazione in questione nonché della situazione del mercato e, dall’altro il prodotto del numero delle unità di trasporto effettive per la tariffa imposta durante il periodo di tempo considerato. Il secondo termine è pari alla differenza fra il costo che risulterebbe dall’applicazione della tariffa più favorevole o del prezzo che l’impresa avrebbe applicato nel quadro di una gestione commerciale e il costo che risulta dall’applicazione della tariffa imposta.

Se, per la situazione del mercato, la compensazione calcolata in applicazione del § 1 non consente di coprire i costi complessivi del traffico soggetto all’obbligo tariffari in questione, l’ammontare della compensazione prevista all’articolo 9, §1, è pari alla differenza tra detti costi e gli introiti di detto traffico. Le eventuali compensazioni già effettuate ai sensi dell’articolo 10 sono prese in considerazione in questo calcolo

[31] Sulla base dell’articolo 6 della più volte richiamata Decisione della Commissione CE del 28 novembre 2005 si pone particolare controllo delle sovracompensazioni  che dovranno essere restituite dalle imprese beneficiarie salva l’ipotesi di poter riportare in deduzione nell’anno successivo le sovracompensazioni che rientrino nel limite percentuale del 10%.

[32] Si intende qui richiamare le puntuali osservazioni di C. IAIONE, in op. cit., 10.

[33] Un significativo mutamento nell’ottica del superamento del modello caratterizzato dalla presenza del c.d. fondo nazionale trasporti si può rintracciare nel collegato alla legge finanziaria 1996 (legge 28 dicembre 1995 n. 549) che ha previsto la progressiva introduzione di tale sistema di finanziamento con l’introduzione da parte delle regioni di una quota sul gettito della accisa carburanti eliminando così un vincolo di destinazione di risorse pubbliche ed aprendo ad una maggiore autonomia regionale in materia. Si veda M. GIAVAZZI op. cit. 2213 ed anche A. BOITANI e C. CAMBINI Il trasporto pubblico localein Italia,dopo la riforma i difficili albori di un mercato, in Mercato concorrenza regole, 2002, 46.

[34] V. R. DI GIULIO, Modalità di affidamento, cit. il quale evidenzia il lapsus calami in cui sarebbe occorso il legislatore nel richiamare il co. 7 atteso che la vera voluntas legis era il riportare l’art. 19 co. 2 bis introdotto invece nel co. 8 dell’art. 143. Si veda C. IAIONE, op. cit., sub. Nota 78.

[35] Proprio con riferimento a tale peculiare rapporto, supportato da coerenti contratti di servizio, non possono non venire in rilievo le diverse tipologie di contratto proprie dei trasporti locali.

Queste di differenziano in funzione del tipo di rischio a carico dei contraenti: il c.d. rischio industriale legato ai costi di esercizio e gestione dell’attività di impresa e il rischio commerciale vero e proprio, legato all’attività di vendita ossia connesso ai rischi ottenibili dalla gestione. Sulla scorta di tale assunto si potrà procedere a classificare le diverse tipologie contrattuali distinguendo tra: Management Contract, cioè quei contratti ove entrambi i rischi gravano sull’ente affidante ed al gestore viene riconosciuta una remunerazione sostanzialmente indipendente dal risultato raggiunto. Ed è questo il modello in genere usato nel trasporto locale in Francia.

Nel c.d. Gros Cost Contract  invece il rischio è a carico del gestore mentre quello commerciale grava sull’ente concedente.

In tal caso il gestore riceve un corrispettivo basato sui costi pattuiti ex ante e pagati per la produzione di un ammontare predeterminato di servizio. È evidente che in tal caso il gestore non deve fare previsioni sulle entrate riducensosi per questa parte, il rischio imprenditoriale. Tale modello seppur più incentivante rispetto al Management Contract lo è solo dal lato dei costi. E lo si trova usato nelle aree metropolitane inglesi.

Vi è poi il c.d. Net Cost Contract ove entrambi i rischi sono fatti ricadere sul gestore che ricava un corrispettivo ex ante e pari alla differenza tra i costi di esercizio ed i ricavi del traffico preventivati.

Nell’esperienza Europea è possibile individuare anche ulteriori forme contrattuali che però costituiscono dei modelli intermedi rispetto alle tipologie su menzionate. Si possono infatti riscontrare contratti con rischio commerciale (di ricavo) condivisi tra ente concedente e gestore, o con incentivi sulla produttività realizzata, tale da costituire forme mediane tra un Net Contract e Gros Cost  Contract o fra Gos Cost  Contract e Management Contract.

Si veda ad esempio il contratto di Helsingborg in Svezia.

Dall’esame della normativa italiana, in coerenza con l’assunzione di specifici obblighi di servizio e di tariffe sembra giustificarsi l’utilizzo di un modello contrattuale vicino al Gros Cost Contract proprio in funzione di un obbligo di servizio da prestare predeterminato dall’Amministrazione concedente attraverso i Piani Urbani della Mobilità e fissando lo stesso ente la tariffa da applicare. Il che però non giustifica in alcun modo alcuni atteggiamenti da parte di operatori italiani che sottoposti a contratti assimilabili al Gros cost.  Contract tendono ad eliminare quasi del tutto il controllo dell’evasione tariffaria ingenerando perdite contabili anche ingenti all’Ente locale.

Sul tema si veda A. BOITANI e C. CAMBINI, La riforma del trasporto pubblico locale in Italia: problemi e prospettive, W in P. ove gli autori, rilevato che i contratti di servizio devono assicurare almeno il rapporto del 35% tra ricavi da traffico e costi operativi al netto dei costi da infrastruttura, forniscono anche un possibile modello di corrispettivo incentivante assimilabile al price cup e che gli stessi autori definiscono subsity cup ove indicando in Tn il trasferimento concesso da Regioni ed Enti locali nell’anno n, questo sarà soggetto a variazioni secondo la seguente formula: Tn = Tn-1 (1 + IP – Xn) dove IP sta per tasso di inflazione programmato ed Xn il fattore di recupero di efficienza differito dal regolatore e Tn – 1 il trasferimento goduto dall’impresa nel periodo precedente.

Certo è che come ogni formula non può essere asetticamente applicabile ed ai fattori dovranno corrispondere dati effettivamente sostenibili dalle imprese, atteso che è di tutta evidenza che attribuire un livello molto alto al fattore X potrebbe anche determinare il tragico fallimento dell’azienda erogatrice dei servizi.

Proprio per tale ragione non sono molti gli esempi concreti di applicazione del subsity scup ai contratti esistenti nel campo del T.P.L.


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