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n. 1/2009 - © copyright

LUCA BUSICO

La difesa delle amministrazioni pubbliche
nelle controversie di lavoro

SOMMMARIO: 1) L’art. 417 bis c.p.c.: disciplina; 2) Critiche; 3) Le spese di lite a favore della p.a. vittoriosa.

1) L’art. 417 bis c.p.c.: disciplina.

L'art. 63 del D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (in precedenza art. 68 del D.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29) ha disposto il passaggio dalla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo a quella del giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, di tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, incluse quelle concernenti l'assunzione al lavoro, il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali e la responsabilità dirigenziale, nonché le indennità di fine rapporto, comunque denominate e corrisposte, ancorché vengano in questione atti amministrativi presupposti [1].

L’intervenuta privatizzazione e contrattualizzazione del rapporto di pubblico impiego, avviato all’inizio dell’ultimo decennio del secolo scorso, ed il progressivo avvicinamento dell’impiego pubblico a quello privato sul piano sostanziale e delle fonti di disciplina (codicistiche e contrattuali) hanno avuto come logico e coerente corollario l’attribuzione al medesimo giudice (il giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro) di tutto il contenzioso relativo al rapporto di lavoro: se la disciplina sostanziale del lavoro pubblico tende ad avvicinarsi a quella con il datore privato, anche il giudice deve essere il medesimo.

Alla devoluzione delle controversie sul pubblico impiego all’autorità giudiziaria ordinaria si affianca una novità di basilare rilevanza per le amministrazioni pubbliche: la difesa in giudizio, che in passato competeva alla sola Avvocatura dello Stato, innanzi al giudice del lavoro in primo grado viene affidata dall'amministrazione, in base all'art. 417 bis c.p.c. (introdotto dall’art.42, comma 1 del D.lgs. 31 marzo 1998, n. 80 e modificato dall’art.19, comma 17 del D.lgs. 29 ottobre 1998, n. 387), ai "propri dipendenti” [2].

Tale norma al primo comma prevede che nelle controversie relative ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui al quinto comma dell'art. 413, limitatamente al primo grado di giudizio, le amministrazioni pubbliche possono stare in giudizio avvalendosi direttamente di propri dipendenti.

Il secondo comma, che riguarda le amministrazioni statali e ad esse equiparate, attribuisce all’Avvocatura dello Stato, ove vengano in rilievo questioni di massima o aventi notevoli riflessi economici, il potere di assumere direttamente la trattazione della causa. L’Avvocatura dello Stato, qualora non ravvisi la necessità della trattazione diretta della controversia, deve trasmettere immediatamente, e comunque non oltre sette giorni dalla notifica degli atti introduttivi, gli atti stessi all’amministrazione interessata perché provveda alla propria difesa secondo quanto previsto al primo comma.

Dal combinato-disposto dei primi due commi dell’art. 417 bis c.p.c. si ricava, pertanto, che nelle controversie in materia di pubblico impiego la regola è data dalla difesa dell’amministrazione tramite propri dipendenti, mentre l’eccezione è costituita dalla difesa da parte dell’Avvocatura dello Stato.

La rappresentanza e difesa in giudizio delle amministrazioni pubbliche da parte dei propri dipendenti è una soluzione sempre più frequentemente riscontrabile nel nostro ordinamento. Sono diverse le ipotesi, che possono essere ricordate: le opposizioni a sanzioni amministrative (art. 23, comma 4 della legge 24 novembre 1981, n. 689), il contenzioso tributario in primo e secondo grado (art.11 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546), le controversie pensionistiche dinanzi alla Corte dei Conti (art. 6, comma 4 della legge 14 gennaio 1994, n 19), il contenzioso sul diritto di accesso agli atti amministrativi (art. 4, comma 3 della legge 21 luglio 2000, n. 205). A tali ipotesi si aggiungeva, poi, la generale previsione che consentiva alle amministrazioni statali, previa intesa con l'Avvocatura dello Stato, di farsi rappresentare da propri funzionari nei giudizi pretorili ed innanzi al conciliatore (art. 3 del regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611), da intendersi oggi superata in considerazione della scomparsa delle preture e del conciliatore (di cui il giudice di pace non è giuridicamente un “successore”). Resta, invece, ferma la possibilità di delega da parte dell’Avvocatura a funzionari per svolgere attività defensionale presso Tribunali fuori sede, ai sensi dell’art.2 del citato r.d. n. 1611.

La versione originaria dell’art. 417 bis, introdotta dall’art. 42, comma 1 del D.lgs. n. 80 del 1998, prevedeva che le amministrazioni pubbliche potessero stare in giudizio avvalendosi di propri funzionari, muniti di mandato generale o speciale per ciascun giudizio, mentre il testo vigente prevede che possono stare in giudizio avvalendosi di propri dipendenti. La modifica apportata dall’art.19, comma 17 del D.lgs. n. 387 del 1998, come è stato efficacemente evidenziato [3], esprime una scelta antiformalistica del legislatore, che ha sostituito la restrittiva dizione “funzionario” con quella più generica di “dipendente” ed ha escluso la necessità del mandato generale o speciale. Il D.lgs. n. 387 del 1998 riconduce la rappresentanza in giudizio dell’amministrazione al rapporto di immedesimazione organica, ritenendo irrilevante sia la qualifica del dipendente sia il conferimento di incarico da parte del legale rappresentante dell’ente.

La soppressione del riferimento al mandato generale o speciale non può che essere interpretato come volontà del legislatore di escludere la necessità di procura conferita dall’amministrazione al dipendente che la difende in giudizio [4], che è tenuto soltanto a far constatare al giudice ed alla controparte il proprio status di dipendente dell’amministrazione. Deve, pertanto, ritenersi frutto di un’errata interpretazione dell’art.417 bis c.p.c. (e soprattutto della modifica apportata dall’art.19, comma 17 del D.lgs. n. 387 del 1998) la prassi invalsa in alcuni uffici giudiziari [5] di pretendere dal dipendente che interviene all’udienza l’esibizione della delega dell’amministrazione (o addirittura della previa intesa con l’Avvocatura dello Stato sulla trattazione diretta della controversia). Si tratta, infatti, di atti interni all’amministrazione irrilevanti rispetto al rapporto processuale.

Un’eccezione a quanto detto è rappresentata dall’ultimo comma dell’art. 417 bis c.p.c., secondo il quale gli enti locali, anche al fine di realizzare economie di gestione, possono utilizzare le strutture dell'amministrazione civile del Ministero dell'interno, alle quali conferiscono mandato nei limiti di cui al comma 1 (vale a dire per la rappresentanza e la difesa nel giudizio di primo grado) [6]. In simili casi, pertanto, sarà necessaria l’esistenza di un mandato rilasciato dall’ente locale convenuto in giudizio al dipendente del Ministero dell'interno, mentre deve escludersi che quest’ultimo debba a sua volta ricevere mandato dall’amministrazione di appartenenza.

L’ambito di applicabilità dell’art. 417 bis è dallo stesso definito mediante il rinvio alle controversie “di cui al quinto comma dell’art. 413”. Poiché tale norma disciplina la competenza territoriale nelle controversie individuali di lavoro, si è conseguentemente dedotta l’inapplicabilità dell’art. 417 bis c.p.c., comma 1 ai procedimenti per la repressione della condotta antisindacale ex art.28 della legge 20 maggio 1970, n. 300 ed alle altre controversie collettive contemplate dall’art. 63, comma 3, del D.lgs. n. 165 del 2001 [7].

Se è pacifica la possibilità per le amministrazioni di difesa ex art. 417 bis nei procedimenti cautelari, qualche problema ha posto, invece, l’estensione della norma alla fase del reclamo. La giurisprudenza è prevalentemente orientata in senso affermativo sulla base della condivisibile constatazione che la procedura cautelare costituisce un procedimento sommario prodromico al giudizio di primo grado per l’adozione di provvedimenti interinali destinati a perdere efficacia nel caso in cui non sia instaurato il giudizio di merito, per cui anche la fase di reclamo (che dopo la riforma del giudice unico si svolge innanzi al giudice di primo grado, seppur in composizione collegiale) deve farsi rientrare nel giudizio di primo grado [8].

2) Critiche.

Il sistema di difesa delle amministrazioni pubbliche delineato dall’art. 417 bis c.p.c. ha incontrato diverse critiche e perplessità in dottrina.

E’ stata, anzitutto, sostenuta l’illegittimità costituzionale dell’art. 417 bis c.p.c. in relazione all’art.33, comma 5 della Costituzione [9], che prevede il superamento di un esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio professionale, nonché all’art. 24, comma 2, della Costituzione medesima [10], che garantisce a tutti, e quindi anche alla pubblica amministrazione, il diritto ad un’adeguata difesa in giudizio. Deve, però, osservarsi che la Corte Costituzionale [11] ha già ritenuto manifestamente infondata analoga questione di legittimità costituzionale sollevata con riferimento all’art. 3 del r.d. n. 1611 del 1933, in quanto la difesa delle amministrazioni statali mediante propri dipendenti avveniva in ragione del rapporto organico con essi intercorrente.

Inoltre, diversi commentatori [12], partendo dalla considerazione che il processo del lavoro è caratterizzato da un rigido sistema di preclusioni e decadenze non emendabili nei successivi gradi di giudizio, hanno criticato il fatto che l’art.417 bis c.p.c. utilizzi la generica dizione “dipendenti”, senza richiedere alcuna particolare attestazione di professionalità specifica per coloro che devono rappresentare in giudizio le amministrazioni.

Con riferimento a tali critiche si rendono necessarie alcune osservazioni. E’ indubitabile che la gestione di un processo altamente tecnico come quello del lavoro richieda professionalità adeguate tali da consentire un’efficace difesa in giudizio delle amministrazioni che si trovano contro dei veri professionisti. Ma l’art.12 del D.lgs. n. 165 del 2001 prevede la creazione presso le amministrazioni pubbliche di “uffici per la gestione del contenzioso del lavoro” al fine di assicurare l’efficace svolgimento di tutte le attività stragiudiziali e giudiziali relative al contenzioso con i dipendenti. Tali uffici non debbono più limitarsi allo studio delle questioni sostanziali oggetto della lite, circoscrivendo la propria attività alla predisposizione delle relazioni per l’Avvocatura dello Stato o al semplice invio della documentazione del caso all’Avvocatura medesima, ma debbono provvedere a compiti più gravosi, ossia la redazione degli atti difensivi e le attività di udienza. E’, quindi, compito, ma soprattutto onere ed interesse, delle amministrazioni individuare con la dovuta oculatezza il personale da adibire agli uffici sopra indicati, tenendo conto che la gestione diretta del contenzioso lavoristico comporta la puntuale conoscenza non solo del diritto sostanziale, ma anche e soprattutto di quello processuale. E’ auspicabile che la scelta ricada su dipendenti provvisti quanto meno di laurea in giurisprudenza e (ove presenti) in possesso di abilitazione forense e di pregressa esperienza da avvocati.

In tal modo verrebbe garantita una professionale e competente difesa delle amministrazioni nei giudizi di primo grado relativi alle controversie instaurate dai propri dipendenti, con l’unico limite che potrebbe attenuarsi quella terzietà tecnica che caratterizza la difesa dell’Avvocatura dello Stato dal momento che “l’impiegato-difensore ex art.417 bis c.p.c.” è un collega (talvolta anche di stanza) del ricorrente [13]. Poiché, infatti, i difensori interni delle amministrazioni non sono avvocati, ma impiegati pubblici, non sono ad essi applicabili le norme sulla deontologia professionale previste per la professione forense né le conseguenti responsabilità in caso di violazione delle norme medesime innanzi al Consiglio dell’Ordine.

3)  Le spese di lite a favore della p.a. vittoriosa.

Nel nostro ordinamento processuale esiste un principio, espressione di civiltà giuridica e come tale codificato nell’art. 91 c.p.c., secondo il quale la parte risultata soccombente in giudizio deve sopportare, oltre alle proprie spese, anche quelle sostenute dalla parte avversa, che, altrimenti, si vedrebbe riconosciuto dal processo un diritto non integro, ma ridotto in misura corrispondente alla diminuzione patrimoniale derivante dalle spese sostenute. E’ pacifico che detto principio, oltre ad essere funzionale alla tutela integrale del diritto, abbia in sé una spiccata valenza deflattiva del contenzioso, dovendo indurre le parti ad una ponderata utilizzazione dello strumento processuale alla luce del calcolo dei costi di una probabile sconfitta.

Quando le amministrazioni pubbliche si avvalgono dell’attività defensionale dei propri dipendenti si pone il problema della spettanza o meno delle spese di lite in caso di vittoria, e, ove la risposta fosse affermativa, della relativa quantificazione, atteso che i dipendenti pubblici non appartengono alla categoria professionale degli avvocati e, quindi, non sono soggetti alla disciplina delle c.d. tabelle forensi per la liquidazione dei diritti e degli onorari di causa.

Nel contenzioso tributario il legislatore, con l’art.15, comma 2 bis del D.lgs. n. 546 del 1992, ha stabilito in favore dell’amministrazione vittoriosa in giudizio l’applicazione delle tariffe forensi decurtate del 20 % in considerazione della qualifica non avvocatizia dei dipendenti difensori. Soluzione di tenore analogo sarebbe stata opportuna anche per le controversie di pubblico impiego contrattualizzato, ma il legislatore si è mostrato di avviso diverso.

In mancanza di specifica previsione si può fare utilmente riferimento agli approdi giurisprudenziali in materia di opposizioni a sanzioni amministrative e di pensioni dei dipendenti pubblici.

Nelle prime la Suprema Corte di Cassazione ha più volte ribadito che all’amministrazione vittoriosa difesa dai propri funzionari non spettano i diritti e gli onorari di avvocato (difettando tale qualifica in capo ai citati funzionari), ma solo il rimborso delle “spese vive” sostenute, da indicarsi in apposita nota[14]. Tale impostazione ha ricevuto autorevole avallo ad opera della Corte Costituzionale, che ha ritenuto non fondata la prospettata illegittimità costituzionale degli artt.23 della legge n. 689 del 1981 e 91 c.p.c. nella parte in cui non consentirebbero la liquidazione delle spese di lite a favore dell’amministrazione vittoriosa difesa dai propri funzionari[15].

Nei giudizi pensionistici la Corte dei Conti ha ritenuto ammissibile la condanna della parte soccombente al pagamento delle spese sostenute dall’amministrazione resistente per lo svolgimento delle difese e la partecipazione alle udienze [16].

Nelle controversie di pubblico impiego la sottovalutazione delle questioni relative alle spese processuali si è sempre (anche dinanzi al giudice amministrativo) manifestata, nel caso di vittoria dell’amministrazione, in un uso molto disinvolto della compensazione per giusti motivi, ai sensi dell’art.92, comma 2 c.p.c.. Tale norma, nel testo novellato ad opera dell’art.2, comma 1, lettera a) della legge 28 dicembre 2005, n. 263, dispone che “se vi è soccombenza reciproca o concorrono altri giusti motivi, esplicitamente indicati nella motivazione, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti”. La riforma del 2005, precisando che i giusti motivi devono essere esplicitamente indicati nella motivazione, ha inteso arginare la diffusa prassi del diniego motivazionale sulla compensazione delle spese [17], in quanto la natura dei giusti motivi restava spesso affidata alla immaginifica intuizione delle parti, piuttosto che all’esposizione del giudicante.

Un’interessante sentenza emessa di recente dal giudice del lavoro di Pisa ha riconosciuto all’amministrazione vittoriosa difesa ex art.417 bis c.p.c. il pagamento delle spese sostenute, stimate in considerazione del tempo impegnato fra attività d’ufficio ed in udienza, così come ricostruito nelle note depositate dai funzionari addetti alla difesa [18]. Tale soluzione è perfettamente condivisibile, in quanto anche il dipendente pubblico, come qualsiasi altro soggetto, deve affrontare un giudizio con la consapevolezza che alla soccombenza potrebbe conseguire la condanna alle spese e non la sicura compensazione delle stesse.

E’ opportuno, a tal proposito, che il “dipendente difensore ex art.417 bis c.p.c.” predisponga e depositi una notula contenente l’elenco delle spese vive, a cui possono essere ricondotti i costi orari sostenuti per lo studio della controversia, la redazione degli atti giudiziali e la partecipazione alle udienze [19].

[1] Sui profili generali del passaggio al giudice ordinario del contenzioso sul pubblico impiego la produzione dottrinale è abbastanza ampia. Tra i numerosi scritti cfr.:  NOVIELLO - SORDI - APICELLA - TENORE, Le nuove controversie sul pubblico impiego privatizzato e gli uffici del contenzioso, Milano, 2001; MACIOCE - GENTILE - SCIMÈ - FALCONE, Giurisdizione, commento agli artt.63 ss. d.lgs n. 165 del 2001, in AMOROSO - DI CERBO - FIORILLO - MARESCA, Il diritto del lavoro, III, Il lavoro pubblico, Milano, 2004, 649; BORGHESI, La giurisdizione del giudice ordinario, in CARINCI - ZOPPOLI (a cura di), Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, Torino, 2004,1215; BORGHESI, La giurisdizione del pubblico impiego privatizzato, Padova, 2002. 

[2] Per un quadro chiaro ed esaustivo della disciplina dettata dall’art.417 bis c.p.c., cfr.: TENORE, Gli uffici per il contenzioso e la loro organizzazione, in NOVIELLO – SORDI - APICELLA - TENORE, cit., 211. Cfr. anche: SGARBI, La difesa delle pubbliche amministrazioni nelle controversie di lavoro, in Lav. giur., 1998,1021; MUTARELLI, Commento all’art.42 del D.lgs. 31 marzo 1998 n. 80, in Nuove leggi civ. comm., 1999,1581; SGARBI, Jus postulandi, uffici per la gestione del contenzioso e notificazioni, in CARINCI - D’ANTONA (a cura di), Il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, II ed., Milano, 2000, tomo III, 1979; APICELLA, La difesa delle amministrazioni pubbliche nelle controversie di lavoro, in Il lav. nelle P.A., 2001,569; BUSICO, Riflessioni sull’art.417 bis c.p.c., in questa Rivista, n. 7-8/2003.

 [3] Cfr. APICELLA, cit., 573.

[4] Nel senso che l’art. 417 bis c.p.c. escluda la necessità di procura conferita dall’amministrazione al dipendente che la difende in giudizio: APICELLA, cit., 574; TENORE, cit., 213; A. MUTARELLI, cit., 1583. Di contrario avviso è SGARBI, cit., 1982.

[5] Per la corretta interpretazione dell’art.417 bis c.p.c. in giurisprudenza, cfr.: Pret. Roma, ord. 12 giugno 1999, in Giur. it., 2000,293 con nota di PELLECCHIA; Trib. Roma, ord. 15 aprile 2000, in Giust. civ., 2001,I,1977.

[6] In merito a tale disposizione il Ministero dell'interno ha fornito chiarimenti con la circolare 7 maggio 1998 n. 2/98, in  G.U. 27 maggio 1998, n. 121.

[7] Cfr. TENORE, cit., 296.

[8] Cfr.: Trib. Padova, ord. 11 giugno 2000, in Giust. civ., 2001, I,1977; Trib. Roma, ord. 15 aprile 2000, ivi; Trib. Catanzaro, ord. 19 aprile 2004, in Gius. 2004, 3206. Contra Trib. Caltanissetta, ord. 6 maggio 2000, in Giust. civ., 2001, I, 258.

[9] Cfr. FORLENZA, Il Viminale prepara gli enti locali alla difesa delle controversie di lavoro, in Guida al dir., 1998, n. 23,112.

[10] Cfr. SGARBI, cit.,1983.

[11] Cfr. C. Cost., ord. 8 giugno 1994 n. 228, in Foro it., 1994,I,3274, Giur. cost., 1994,1919.

 

[12] Cfr.: SGARBI, cit., 1983; MONACI, Processo del lavoro e nuovo giudice unico, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1998,1350; VACCARELLA, Appunti sul contenzioso del lavoro dopo la privatizzazione del pubblico impiego e sull’arbitrato in materia di lavoro, in Arg. dir. lav., 1999,730; PELLECCHIA, cit..

[13] Cfr. TENORE, cit., 230.

[14] Cfr.: Cass., Sez. I, 23 settembre 1997 n. 9635, in Arch. civ., 1998,857; Cass., Sez. I, 5 giugno 2001 n. 7597, in Arch. circolaz., 2001,822; Cass., Sez. I, 2 settembre 2004 n. 17674, in Rep. Foro it., 2004, Sanzioni amministrative e depenalizzazione,179.

[15] Cfr. C. Cost., ord. 2 aprile 1999 n. 117, in Giur. cost., 1999,1000, Foro it., 2000, I, 392 con nota di SCARSELLI.

[16] Cfr.: C. Conti, Sez. Lombardia, 13 aprile 2006 n. 253, 31 maggio 2006 n. 314 e 22 giugno 2007 n. 350, C. Conti, Sez. Lazio, 9 maggio 2007 n. 688, tutte reperibili sul sito della Corte dei Conti www.corteconti.it.

[17] Cfr. CORDOPATRI, Ancora sulla motivazione del provvedimento di compensazione delle spese di lite, in Riv. dir. proc., 2005,1378.

[18] Cfr. Trib. Pisa, 15 giugno 2007, in Il lav. nelle P.A., 2007,959 con nota di BUSICO.

[19] Per uno schema di notula, cfr. TENORE, cit., 209.


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