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Articoli e note

n. 7-8/2005 - © copyright

GAIA BRUSCIOTTI*

Controllo e collegamenti societari
nelle gare di pubblici appalti. I patti d’integrità.

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Premessa.

Con recenti sentenze n. 1258 del 24/03/05 e n. 343 dell’08/02/05 la sezione V^ del Consiglio di Stato ha preso posizione in maniera decisa in ordine alla legittimità di una delle sanzioni contemplate nel cosiddetto patto d’integrità inserito in un bando di gara dall’Amministrazione comunale di Milano al fine di disincentivare o quanto meno sanzionare le situazioni di collegamento societario idonee a determinare un’alterazione dei parametri concorrenziali.

Per meglio comprendere il significato delle pronunce in esame appare preliminarmente opportuno effettuare un breve excursus di quelle che sono la previsione positiva e l’evoluzione giurisprudenziale in materia di partecipazione alle gare d’appalto di società legate da vincoli di controllo o collegamento.

Situazioni di controllo societario e divieto di partecipare alle gare.

Una statuizione specifica risulta contenuta unicamente nell’ordinamento dei lavori pubblici laddove l’art. 10 comma 1 bis della L. 109/94, comma aggiunto dall’art. 3 della L. 18/11/98 n. 415 (Merloni ter), prevede che: “Non possono partecipare alle gare d’appalto imprese che si trovano fra di loro in una delle situazioni di controllo di cui all’art. 2359 del codice civile.”.

A sua volta l’art. 2359 c.c. stabilisce che:

Sono considerate società controllate:

1)  le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria;

2) le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria;

3) le società che sono sotto influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa”.

L’esplicito e diretto richiamo della Legge Merloni alla disciplina codicistica in materia di controllo societario ha finalità chiaramente garantistiche e il predetto divieto di partecipazione alle gare di società legate da vincoli di controllo costituisce un precetto di ordine pubblico economico teso ad evitare che alla medesima procedura concorsuale possano prendere parte soggetti i cui rapporti facciano presumere (senza possibilità di prova contraria) la messa in pericolo del principio di segretezza delle offerte e della libera concorrenza.

Ne discende come evidente corollario che, al ravvisarsi di una delle ipotesi di controllo societario descritte dal codice civile, la Stazione Appaltante deve, senza margini di discrezionalità, procedere all’esclusione dalla gara delle imprese coinvolte.

L’esclusione consegue, dunque, quale automatico effetto all’accertamento dell’integrazione della fattispecie legale indipendentemente dal fatto che la P.A. l’abbia espressamente contemplato negli atti regolanti la procedura.

D’altra parte, fondandosi la normativa in esame su presunzioni, non si può escludere che possano sussistere ipotesi di controllo che, seppure non tipizzate, siano idonee ad alterare il libero gioco della concorrenza [1].

Tali ipotesi, tuttavia, analogamente a quanto si dirà relativamente alle situazioni di collegamento societario, non potranno condurre all’automatica estromissione dalla gara dovendo, invece, essere oggetto di specifica valutazione caso per caso.

Collegamenti societari ed esclusione dalle gare d’appalto.

L’art. 2359 comma 3° c.c. stabilisce che “Sono considerate collegate le società sulle quali un’altra società esercita un’influenza notevole”.

Nell’odierna realtà commerciale i fenomeni di possibile collegamento fra imprese o società sono i più vari potendo concretizzarsi, pur con differenti modalità e gradi di intensità, nel possesso di azioni, quote e partecipazioni in genere (reciproche o meno), nella stipulazione di patti parasociali, nella varia collocazione di soggetti negli organi di amministrazione.

Invero, non ogni ipotesi di collegamento societario è di per sé distorsiva della concorrenza bensì solo quelle che per le caratteristiche concrete che assumono (es. unitarietà della struttura operativa) possono far presumere la condivisione della fase di formazione dell’offerta e di presentazione della stessa, dunque della sua riconducibilità ad un medesimo centro decisionale.

E’ noto, infatti, che il procedimento amministrativo è improntato al rispetto dei principi generali di legalità, buon andamento e imparzialità dell’agire pubblico (art. 97 Cost.) e che detti principi, nelle procedure di gara si estrinsecano nelle regole della conoscibilità, della segretezza (art. 75 R.D. 23/05/24 n. 827) e della serietà delle offerte.

E la tutela di tali interessi va garantita, anche al di là dell’eventuale configurabilità del delitto di turbata libertà degli incanti, nel momento in cui essi vengono anche solo messi in pericolo senza attendere che se ne verifichi la concreta lesione [2].

Se è vero, infatti, che il collegamento economico – funzionale fra imprese non implica di norma la nascita di un autonomo soggetto di diritto o, comunque, di un autonomo centro di rapporti diverso dalle società o imprese collegate, è pur vero che detto collegamento, astrattamente lecito, in presenza di determinate circostanze può realizzare situazioni distorsive della par condicio.

Le situazioni di influenza dominante fra più imprese, infatti, appaiono idonee, secondo l’id quod plerumque accidit, a mettere in pericolo il bene protetto posto che le offerte riconducibili ad un unico centro di interessi possono influire sulle offerte dei concorrenti, sulla loro media e, conseguentemente, sulla determinazione della soglia di anomalia.

Dette situazioni, sotto l’aspetto sanzionatorio, non sono però equiparabili a quelle espressamente contemplate nell’art. 10 comma 1 bis L. 109/94 tramite il rimando all’art. 2359 c.c. posto che la predetta norma vieta la partecipazione alle gare delle sole società controllate e, in difetto di espresso richiamo da parte della norma speciale, il criterio di estromissione ex lege dalla procedura non può essere esteso analogicamente nei confronti di enti i cui rapporti non siano riconducibili a quelli tipizzati.

Un provvedimento di esclusione automatica motivato con la sussistenza di un collegamento sostanziale fra società sarebbe, dunque, illegittimo quantomeno per violazione del principio costituzionale della libertà di iniziativa economica e di quello ben noto della necessità di assicurare la più ampia partecipazione alle gare d’appalto pubbliche [3].

Parimenti illegittima sarebbe l’introduzione nei bandi di gara, o in altri atti che integrino la lex specialis, di clausole che vietino la partecipazione o prevedano l’esclusione automatica per il solo fatto dell’esistenza di forme di collegamento societario che, quali situazioni di natura prettamente organizzativa, non possono ritenersi in astratto generalmente lesivi della correttezza e regolarità della procedura [4].

In difetto di presunzione legale circa l’idoneità del legame societario a turbare l’ordine economico, pertanto, l’Amministrazione dovrà individuare e valutare di volta in volta la sussistenza e la rilevanza di specifici e concreti elementi in base ai quali poter giungere ad affermare che più offerte sono fra loro collegate essendo riferibili ad un unico centro decisionale e, conseguentemente, ad escluderle dalla competizione poiché idonee ad alterare la serietà, la segretezza e l’indipendenza delle offerte e, dunque, la libera concorrenza [5].

Analoga valutazione potrà poi esser compiuta anche relativamente ad ipotesi di controllo diverse da quelle dedotte nell’art. 2359 c.c.

In tale prospettiva, le Stazioni Appaltanti - il cui fine ultimo è solo quello di individuare il giusto contraente ovvero il soggetto che dia maggiori garanzie sia in ordine alla corretta e regolare esecuzione dell’opera sia alla maggiore economicità di quest’ultima - ben possono inserire nei loro bandi e capitolati di gara, oltre a prescrizioni volte a definire le modalità di presentazione delle offerte e i requisiti di partecipazione, anche ulteriori ipotesi di esclusione diverse rispetto a quelle legislativamente previste [6], sempre che esse non siano manifestamente inique ed irrazionali rispetto alla tutela che intendono perseguire [7].

Sotto altro profilo va rilevato come il fenomeno dei collegamenti societari nell’attuale assetto delle operazioni commerciali sia talmente diffuso e proteiforme da non consentire di essere preventivamente tipizzato e fissato in norme che possano ritenersi esaustive di tutti i possibili legami potenzialmente turbativi delle gare dovendo le situazioni di collegamento societario essere accertate e valutate di volta in volta alla luce delle risultanze istruttorie.

Ciò consente di non vincolare l’Amministrazione appaltante alla rigida predeterminazione degli indici rivelatori di alcune delle ipotesi di collegamento lasciandogli, invece, ampio margine in ordine alla valutazione della sussistenza delle cause di esclusione.

Le clausole in discorso potranno, dunque, limitarsi a richiedere la formale dichiarazione che l’impresa o società non si é accordata e non si accorderà con altri partecipanti alla gara per limitare in alcun modo la concorrenza, comminando l’esclusione in caso di riscontro della situazione di collegamento.

D’altra parte non può negarsi che, pur in difetto di un’esplicita previsione, le imprese concorrenti che presentano offerte riconducibili chiaramente ad un unico centro decisionale possano essere, comunque, escluse facendo applicazione diretta dei principi posti a tutela della libera concorrenza, della segretezza delle offerte e della par condicio fra i partecipanti.

Non è stata ravvisata, infatti, una grande differenza fra il dettare nel bando una generica clausola che, in base ai suddetti principi, preveda l’esclusione di offerte che seppur provenienti da distinte società siano fra loro inscindibilmente collegate e l’escludere offerte facendo direttamente applicazione, senza la mediazione della lex specialis, dei medesimi principi [8].

Per ciò che attiene, sotto l’aspetto concreto, all’individuazione delle situazioni di effettivo collegamento societario idoneo a vulnerare la procedura volta all’individuazione del giusto concorrente, nella necessaria genericità delle clausole di esclusione contemplate negli atti di regolazione della gara, la giurisprudenza ha fatto ricorso all’istituto delle presunzioni semplici di cui all’art. 2729 c.c. elaborando il principio secondo cui, per poter giungere all’esclusione, deve essere accertata la sussistenza di indizi gravi precisi e concordanti circa la riferibilità di un certo numero di offerte ad un medesimo centro decisionale [9].

Così è stata ritenuto sussistere collegamento sostanziale fra società al concorrere delle seguenti circostanze:

-  offerte presentate nello stesso giorno alla stessa ora, con uguali modalità e dallo stesso ufficio postale;

- polizza fideiussoria rilasciata dalla stessa compagnia e medesima agenzia con numero progressivo vicino e stessa data;

- risorse di gestione dell’impresa (telefono e fax) comuni o comunque facenti capo a società riconducibili a quelle sospettate di collegamento;

- intrecci parentali tra organi rappresentativi e titolari di partecipazioni tra le compagini societarie;

- affinità nella redazione degli atti di gara [10].

In altre circostanze è stata considerata dirimente, in concomitanza con analoghe modalità di presentazione delle offerte e di accensione delle polizze fideiussorie, la situazione egemonica di una holding rispetto a due società partecipanti alla medesima gara delle quali possedeva rispettivamente il 100% e il 95 % mentre il restante 5 % della seconda società era detenuto dalla prima [11].

Ancora, si è ritenuto integrare la possibilità di una comunanza degli elementi di conoscenza e volizione di due offerte la sussistenza di un sostanziale intreccio fra gli organi tecnici e amministrativi delle imprese concorrenti posto che entrambe avevano designato il medesimo responsabile tecnico il quale, a mente della Circolare del Ministero dell’Industria n. 3439/C del 27/03/98, viene a trovarsi in situazione di immedesimazione organica con l’impresa instaurando con essa un vincolo stabile e continuativo tale da far concludere che le due società avessero una struttura operativa unitaria [12]

Di contro, da ultimo, il Tribunale Amministrativo del Lazio (sez. III), con sentenza n. 3315 del 04/05/05, ha escluso che la sussistenza di situazione di collegamento turbativo potesse essere fatta discendere, in difetto di elementi convergenti e attendibili, dalla circostanza che a carico delle ditte coinvolte risultassero diverse annotazioni sul casellario informativo istituito presso l’Autorità di Vigilanza sui Lavori Pubblici ex art. 27 D.P.R. 34/00 relative ad esclusioni disposte proprio per riscontrato “collegamento sostanziale”, atteso che “… il collegamento sostanziale deve essere rinvenuto nella specifica gara, indipendentemente da ipotesi passate di altri procedimenti [13].

Patti d’integrità.

Recentemente le clausole di esclusione per collegamento sostanziale, in un’ottica di miglior e maggior tutela della procedura concorsuale, stanno sempre più spesso assumendo la forma di veri e propri atti contrattuali sottoscritti dalle parti (Amministrazione e concorrente) per lo più all’atto della presentazione dell’offerta e contemplanti specifiche sanzioni a carico degli inadempienti agli obblighi anticorruzione assunti.

Ad aprire la strada è stato alcuni anni fa il Comune di Milano cui ha fatto seguito la crescente adesione di numerose altre Amministrazioni comunali.

Sotto l’aspetto operativo con i patti d’integrità ogni impresa o società interessata a partecipare ad una specifica procedura si impegna a rispettare determinati obblighi fra i quali principalmente spiccano, pur variamente formulati,:

-  quello di non accordarsi con altri concorrenti per limitare in alcun modo la concorrenza;

- quello di rendere noti, su richiesta della P.A., tutti i pagamenti eseguiti e riguardanti il contratto eventualmente assegnato inclusi quelli effettuati in favore di intermediari e consulenti, la cui remunerazione non dovrà superare il “congruo ammontare dovuto per servizi legittimi.”;

- quello di non subappaltare lavorazioni di alcun tipo ad altre imprese partecipanti alla gara (sia in forma singola che associata).

Detti patti, o almeno buona parte di essi, prevedono, quindi, in caso di inadempimento agli impegni assunti, la generica applicazione delle seguenti sanzioni:

-  risoluzione del contratto;

- escussione della cauzione di validità dell’offerta;

-  escussione della cauzione di buona esecuzione del contratto;

-  responsabilità per danno arrecato alla P.A. nella misura dell’8% del valore del contratto, impregiudicata la prova dell’esistenza di un danno maggiore;

- responsabilità per danno arrecato agli altri concorrenti nella misura dell’1% del valore del contratto per ogni partecipante, impregiudicata la prova dell’esistenza di un danno maggiore;

- esclusione del concorrente dalle gare indette da quella P.A. per 5 anni.

Per lo più l’adesione al patto d’integrità viene posta come condizione indefettibile per poter prendere parte alla procedura (pena l’esclusione dalla stessa) anche se in alcuni casi, forse più oculatamente, se ne prevede l’onere di sottoscrizione prima dell’eventuale aggiudicazione definitiva [14].

L’aspetto più problematico di tali pattuizioni, ovvero quello più dibattuto nella più recente giurisprudenza, riguarda la legittimità o meno della previsione concernente l’escussione della cauzione provvisoria nell’ipotesi di riscontrato inadempimento agli obblighi imposti.

Va premesso che, come è noto, l’istituto della cauzione provvisoria pari al 2% dell’importo dei lavori, che viene prestata dal partecipante alla gara unitamente alla propria offerta, è nato con la finalità di garantire l’Amministrazione per l’eventualità in cui l’affidatario dell’appalto non si fosse presentato a stipulare il relativo contratto (art. 332 L. 20/03/1865 n. 2248, all. F, artt. 2 e 4 D.P.R. 16/07/62, n. 1063 e da ultimo art. 30 comma 1 L. 109/94 e successive modificazioni).

In seguito la cauzione provvisoria ha assunto anche l’ulteriore funzione di garantire la veridicità delle dichiarazioni fornite dalle imprese in sede di partecipazione alle gare di lavori pubblici in ordine al possesso dei requisiti di capacità economico – finanziaria e tecnico – organizzativa prescritti dalla lex concorsualis.

In tal senso l’art. 10 comma 1 quater della L. 109/94, come introdotto dall’art. 5 bis D.L. 03/05/95 n. 101 conv. in L. 02/06/95 n. 216, ha previsto che qualora, all’esito del sorteggio pubblico di verifica, il concorrente non fornisca la prova del possesso dei requisiti dichiarati ovvero non confermi le dichiarazioni contenute nella domanda di partecipazione o nell’offerta, la stazione appaltante proceda all’esclusione dalla gara, alla segnalazione all’Authority e all’escussione della cauzione provvisoria.

Orbene, posto quanto precede, occorre preliminarmente stabilire se sia o meno possibile esercitare il potere sotteso all’escussione della garanzia provvisoria in ipotesi diverse da quelle legislativamente stabilite.

La soluzione appare agevole e condivisa.

L’incameramento della cauzione costituisce, infatti, pacificamente una misura retributiva e afflittiva irrogata nei confronti di un soggetto che trasgredisca ad un precetto posto a tutela dell’ordinamento pubblico e si inquadra tipicamente nel novero delle sanzioni amministrative per le quali, analogamente all’ordinamento penale sul quale sono modulate, vige il principio di legalità e riserva di legge.

In difetto di espressa previsione legislativa, dunque, la sanzione in discorso non può essere autoritativamente irrogata.

Residua, invece, lo spazio per un’eventuale applicazione pattizzia di tale sanzione che verrebbe a configurarsi come un sorta di “pena privata”.

La questione si sposta, dunque, sulla qualificazione da attribuire al patto d’integrità (atto integrante la lex specialis ovvero contratto di diritto privato) e sulle conseguenze derivanti dalla sua eventuale violazione.

Le prime pronunce sull’argomento, pressoché tutte del T.A.R. Lombardia (Milano, sez. III), testimoniano alcune incertezze e difficoltà applicative derivanti dalla trasposizione nelle Amministrazioni comunali delle pattuizioni anticorruzione mutuate da un diverso ordinamento [15].

Così, diverse sentenze hanno risolto in limine la questione dichiarando illegittima l’escussione della cauzione provvisoria poiché effettuata, non con riferimento agli impegni anticorruzione dedotti nel patto d’integrità e per i quali soli era prevista la sanzione, bensì per la violazione del principio di segretezza delle offerte.

In tali situazioni il Tribunale ha ritenuto irrilevante che la circostanza che il patto d’integrità fosse stato tradotto dall’inglese e che per tale ragione recasse un’imprecisione nella parte in cui limitava l’applicazione della sanzione alla sola ipotesi di violazione degli impegni anti-corruzione, chiarendo come in sede giudiziale potesse essere utilizzata solo la versione italiana sottoscritta dal concorrente, da interpretare nel senso dalla stessa reso palese [16].

In altre fattispecie il medesimo T.A.R. ha ritenuto inammissibili le censure sollevate avverso l’irrogazione della sanzione amministrativa de qua in difetto di mancata tempestiva impugnazione degli atti integranti la lex specialis, fra cui il patto d’integrità richiamato dal bando, in applicazione dei quali la cauzione era stata escussa [17].

Le sentenze n. 438/03 e 439/03, poi riformate dal Consiglio di Stato con le decisioni in commento, hanno pronunciato nel merito della legittimità o meno dell’escussione della cauzione provvisoria per violazione degli obblighi assunti con il patto d’integrità[18].

Con percorso argomentativo logico e stringente il Giudice di prime cure ha chiarito come la natura negoziale di tale atto possa essere affermata solo con riferimento alla posizione dell’aggiudicatario contraente, e dunque solo con riguardo alla fase dell’esecuzione del contratto d’appalto, ma non in quella procedimentalizzata di affidamento dei lavori mediante gara.

Nell’ambito di tale fase, infatti, “… l’autonomia dei concorrenti è limitata alla formulazione dell’offerta contrattuale, secondo le rigide condizioni poste dall’Amministrazione a base di gara con la lex specialis, di cui appunto il patto d’integrità in argomento costituisce parte integrante, in quanto allegato al bando e sottoscritto dalle imprese a pena di esclusione.”.

Il T.A.R. Lombardia ha concluso, dunque, l’esame della questione ritenendo come l’applicazione della sanzione amministrativa dell’escussione della cauzione provvisoria non potesse discendere dall’autonomia contrattuale, non configurabile in tale fase, ma dovesse essere ricondotto “… ad un potere, a forma non relazionale, esplicato dall’Amministrazione nell’ambito ed ai fini della procedura di affidamento dei lavori da essa indetta, in merito alle condizioni rilevanti per la partecipazione alla procedura stessa.

Corollario di ciò è stata la dichiarata illegittimità del patto d’integrità e del conseguente incameramento della cauzione provvisoria in quanto effettuata in difetto di previsione normativa.

Di diverso avviso è stato, invece, il Consiglio di Stato che, con sentenze n. 343/05 e 1258/05 ha annullato le pronunce di primo grado emesse dal T.A.R. Lombardia affermando l’opposto principio secondo cui, sottoscrivendo il patto d’integrità, l’impresa concorrente “… accetta regole del bando che rafforzano comportamenti già doverosi per coloro che sono ammessi a partecipare alla gara …” assumendo, nel contempo, su base pattizia, le sanzioni patrimoniali previste dal predetto atto per l’ipotesi di violazione degli impegni presi.

La fattispecie andrebbe, dunque, inquadrata nell’ambito dell’autonomia negoziale dell’Amministrazione, nell’invito a contrarre e nell’accettazione di esso da parte di chi aspiri a divenire titolare di un futuro contratto.

Tutto ciò legittimerebbe, conseguentemente, l’escussione della cauzione provvisoria che costituisce la preventiva quantificazione della misura della responsabilità economica del concorrente che si sia reso inadempiente nei confronti del patto d’integrità sottoscritto.

Orbene, ad avviso di chi scrive, il pronunciamento del Consiglio di Stato, nello spirito certamente condivisibile, appare ispirato più alla sentita esigenza di accordare tutela alle Amministrazioni a fronte del sempre crescente fenomeno - soprattutto in alcuni settori delle commesse pubbliche – dei collegamenti distorsivi, piuttosto che alla necessità di fornire lo strumento ermeneutico dei patti d’integrità più aderente al diritto positivo.

Non sembra, infatti, revocabile in dubbio che nella fase di selezione delle offerte il partecipante vanti solo un interesse legittimo al corretto svolgimento delle operazioni concorsuali essendo, di contro, difficilmente configurabile qualsivoglia posizione di diritto soggettivo analoga a quelle ravvisabili nell’ambito dell’esercizio della libera autonomia privata.

In altre parole, se è ben vero che presentando l’offerta di partecipazione alla gara il concorrente formula una proposta sostanzialmente contrattuale, è pur vero che l’iter concorsuale è regolato da norme di legge non derogabili e che nel momento in cui al predetto concorrente viene imposta la sottoscrizione di atti che normalmente esulano dalla composizione degli interessi di gara pena l’esclusione da essa, ecco che la pretesa autonomia privata di autonomo e di privato conserva ben poco.

Sarebbe, allora, canonicamente invocabile l’intervento ordinatore del legislatore che, tramite uno dei tanti “ritocchi” già apportati alla Legge Merloni, potrebbe quantomeno orientare l’interprete nella complessa attività di individuazione e sanzione delle ipotesi di collegamento sostanziale.

D’altra parte, proprio in ragione dell’interesse pubblico al mantenimento di un ampio margine di valutazione delle situazioni di possibile turbativa, detto intervento si appesa non solo di difficile configurazione ma anche poco opportuno per l’irrigidimento che conseguirebbe da una preventiva tipizzazione delle fattispecie di potenziale alterazione dei parametri concorrenziali.

A questo punto, volendo comunque concludere con un augurio, si auspica non solo e non tanto che la giurisprudenza possa trovare un punto di convergenza, ma anche e soprattutto che gli operatori stessi del diritto possano elaborare o meglio perfezionare lo strumento dei patti d’integrità, dando così seguito alla meritoria opera di allontanamento dalle procedure ad evidenza pubblica di soggetti che, in nessun caso, possono integrare i requisiti del giusto contraente alla cui individuazione la gara pubblica è preordinata.

 

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(*) Avvocato in Pesaro e Professore  a contratto presso l’Università di Urbino.

[1] In senso opposto si è pronunciato recentemente il T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, con sentenza n. 4170 del 25/05/05. In merito vedasi più diffusamente la nota n. 6.

[2] Secondo Cons. St., sez. VI, 05/08/04, n. 5464 quando il bene giuridico protetto “fosse già stato leso o vulnerato sarebbe molto difficile, se non addirittura impossibile una restituito in integrum, salva l’ipotesi dell’annullamento della gara e la sua rinnovazione che però in ogni caso comporterebbe, per il tempo occorrente e per le risorse umane e finanziarie da impiegare e riallocare, un’offesa non riparabile ai principi di economicità , speditezza, celerità ed adeguatezza dell’azione amministrativa.”. Nella medesima direzione T.A.R. Lombardia, sez. III, 28/11/02, n. 4698: “La violazione dei principi di correttezza e segretezza dell’offerta comporta il rischio concreto di pregiudicare la correttezza della procedura e, cioè, il rischio che, all’esito della gara, non sia individuato il miglior contraente per la pubblica amministrazione; pertanto, deve ritenersi non indispensabile eseguire una prova di resistenza al fine di verificare l’incidenza concreta sulla gara della violazione dei principi di segretezza e di par condicio.”.

[3]  Per T.A.R. Lombardia, Milano, sezione III, 29/11/02 n. 4716 all’interprete non sarebbe dato “di aggiungere casi di rilevanza al controllo e/o collegamento societario, oltre a quelli espressamente disciplinati dalla legge, anche per non limitare indebitamente le forme di esercizio dell’iniziativa economica privata.”.

[4] Vedasi sul punto Cons. St., sez. V, 22/04/04, n. 2317; Cons. St., sez. V, 04/05/04, n. 2729; T.A.R. Lombardia, Milano, 28/11/02, n. 4698; 27/01/03, n. 177 e 14/03/03, n. 445.

[5]  In tal senso Cons. St., sez. V, 04/05/04, n. 2721.

[6] Con recente sentenza n. 4170 del 25/05/05 il T.A.R. del Lazio, Roma, sez. III, ha espresso un convincimento opposto a quello già recepito dalla costante giurisprudenza di legittimità in ordine alla possibilità per le Stazioni Appaltanti di ampliare l’ambito di applicazione delle ipotesi di esclusione dalle gare di soggetti legali da vincoli di controllo. In particolare in detta pronuncia il Tribunale ha negato che la previsione di cui all’art. 2359 c.c. potesse integrare una presunzione assoluta di controllo societario affermando coma la norma in realtà fornisca la definizione normativa della nozione qualificatoria di società controllate, definizione da ritenersi tassativa poiché non fondata su una tecnica normativa di presunzione legale e di stretta interpretazione poiché preordinata a disporre a carico delle società di capitali limitazioni nella facoltà di acquisire azioni e dunque alla libertà di contrarre. In base alle suddette argomentazioni il T.A.R. del Lazio ha ritenuto illegittimo il comportamento della P.A. che aveva escluso dalla competizione una ditta per collegamento sostanziale con altra impresa concorrente rilevando come “… il c.d. collegamento sostanziale non ha base di legge, nemmeno le stazioni appaltanti possono introdurre discrezionalmente nei bandi di gara clausole di esclusione dalle gare delle imprese in situazione di collegamento sostanziale.”.

Si segnala in proposito come la medesima sezione del medesimo Tribunale Amministrativo, con sentenza di poco precedente a quella in nota (n. 3315 del 04/05/05), avesse manifestato adesione all’orientamento consolidato in materia, condividendo la possibilità di prevedere nel bando l’esclusione nel caso di forme di collegamento fra imprese diverse da quelle previste nell’art. 2359 c.c.

[7] Così Cons. St., sez. IV, 27/12/01, n. 6424; sez. V, 28/06/04, n. 4789; sez. V, 11/05/04, n. 2929; sez. V, 22/04/04, n. 2317; Tar Campania, Napoli, sez. I, 27/09/04, n. 12599.

[8] Da ultimo, sul punto, Cons. St., sez. V, 12/04/05, n. 1644 secondo cui “L’esclusione per collegamento sostanziale può conseguire ad un’apposita clausola del bando o dalla diretta violazione in concreto dei principi a tutela della libera concorrenza, della segretezza delle offerte e della par condicio dei concorrenti.”. Nello stesso senso Cons. St., sez. VI, 13/06/05, n. 3089 nonché T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, 14/03/03, n. 448 e n. 4698/02 cit.

[9] Cons. St., sez. V, 19/07/04, n. 5196; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, 17/07/03, n. 3632.

[10] Cons. St., sez. VI, 13/06/05, n. 3089; sez. VI, 05/08/04, n. 5464. T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. II, con sentenza  06/05/05, n. 697, ha, invece, escluso la ricorrenza di situazione di controllo di imprese che avevano presentato le offerte lo stesso giorno e la stessa ora, i cui titolari avevano lo stesso cognome e la stessa residenza, i cui certificati SOA erano stati rilasciati dallo stesso istituto a breve distanza l’uno dall’altro.

[11] La medesima situazione di collegamento estrinsecatesi in analoghe modalità di presentazione dell’offerta e nella situazione di controllo pressoché totale sulle concorrenti da parte di una holding è stata rilevata sia da Cons. St., sez. IV, 15/02/02, n. 923 sia da Cons. St, sez. IV, 27/12/01, n. 6424.

[12] T.A.R. Sicilia, Catania, sez. I, 04/04/02, n. 578. Nel testo della motivazione si legge anche che il divieto di partecipare alle gare da parte di imprese legale da vincoli di influenza dominante, ancor prima dell’introduzione del comma 1 bis all’art. 10 L. 109/94 ad opera della L. 415/98, “… poteva già ritenersi implicito nella ratio propria dell’intero sistema normativo sugli appalti pubblici di assicurare il regolare svolgimento delle gare attraverso la piena ed effettiva concorrenza delle imprese, e trovava, pertanto, un preciso riscontro nella norma contenuta nell’art. 13 comma 4 della legge n. 109 del 1994 …”.

[13] Nella medesima direzione anche T.A.R. Basilicata, 08/11/04, n. 749 che ha rigettato il ricorso incidentale di un’aggiudicataria che denunciava situazione di collegamento fra la seconda classificata ricorrente principiale ed altre concorrenti adducendo “… elementi ricavabili da documenti in prevalenza estranei agli atti di gara e che quindi l’amministrazione non poteva conoscere.”.

[14] In tal senso ad esempio i patti d’integrità stilati dal Comune di Palermo.

[15] I patti d’integrità sono stati ideati dall’organizzazione non governativa no profit Transparency Internazional nata nel 1993 a Berlino con lo scopo di contrastare la corruzione a livello globale nelle sue varie forme e in tutti i settori.

[16] Sul punto specifico vedasi, ex multis,  T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, 27/01/03, n. 175; 06/02/03, n. 203; 17/07/03, n. 3631; 30/04/03, n. 1097; 12/02/04, n. 7. Nella medesima direzione vedasi anche Cons. St., sez. V, 04/05/04, n. 2721 e 09/012/04, n. 7894 con cui sono state confermate pronunce di primo grado emesse dal T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III.

[17] T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, 31/03/03, n. 584; 14/03/03, n. 446; 29/09/04, n. 4205.

[18] Tali sentenze sono T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, 11/03/03, n. 438 e 439.


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