LexItalia.it  

 Prima pagina | Legislazione | Giurisprudenza | Articoli e note | Forum on line | Weblog

 

Articoli e note

n. 9/2005 - © copyright

ANGELA BRUNO*

I debiti fuori bilancio derivati da sentenze esecutive

horizontal rule

SOMMARIO: 1. Premessa. 2. I debiti fuori bilancio riconoscibili. 3. Le sentenze esecutive. 3.1.Sentenze esecutive e sentenze passate in giudicato. 4. Il riconoscimento dei debiti derivati da sentenze esecutive. 4.1. Il pagamento del debito. La recente delibera delle Sezioni Riunite della Corte dei Conti per la Regione Siciliana.

1. Premessa.

Un corretto inquadramento del tema relativo al debito fuori bilancio, la cui nozione non è espressamente definita dal legislatore, suggerisce di prendere l'avvio da un esame storico, seppure breve, delle norme che nel tempo lo hanno accompagnato.

La dicitura "debito fuori bilancio" è comparsa, per la prima volta, nell'art. 1 bis, comma 3, del d.l. n. 318/1986, convertito con legge 488/1986.

In tale contesto il legislatore in una logica di "sanatoria" ha voluto rendere visibili i debiti fuori bilancio, intesi dalla Corte dei Conti (sezione enti locali - deliberazione n. 30 del 24/11/1986) quali residui occulti o "di fatto" la cui diffusione risultava essere idonea a celare la veridicità delle risultanze contabili della gestione.

Detta disciplina, in un'ottica di riequilibrio di gestione, imponeva che, approvato il conto consuntivo dell'esercizio finanziario di riferimento, entro il successivo 15 ottobre il Consiglio comunale dell'ente locale procedesse al relativo riconoscimento e contestuale finanziamento, anche mediante apposito piano di rateizzazione triennale.

In altri termini, l'art. 1 bis disponeva che gli enti che avessero presentato un rendiconto con debiti fuori bilancio, potessero finanziare le pregresse passività con provvedimenti di riequilibrio coinvolgenti i due esercizi successivi.

A ben vedere, detta norma non ha individuato alcuna tipologia di debiti fuori bilancio.

Successivamente, sempre al fine di introdurre rigorose norme gestionali, in tema di regole e di vincoli all'effettuazione delle spese e di riconoscimento dei debiti fuori bilancio, interveniva la legge 24 aprile 1989, n.144, di conversione del d.l. 66/1989, con gli artt. 23 e 24.

Con detta disciplina le relative fattispecie di debito fuori bilancio erano riconducibili al solo caso in cui le opere, forniture e servizi fossero stati eseguiti per l'espletamento di pubbliche funzioni e per i servizi di competenza. Sempre al fine di far emergere i debiti fuori bilancio, la norma prevedeva che il riconoscimento dovesse intervenire, a pena di decadenza, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge che la conteneva, con l'adozione di deliberazioni consiliari contenenti i motivi della loro formazione ed i relativi mezzi di copertura finanziaria.

L'art. 12 bis della legge 15 marzo 1991 n.80, di conversione con modificazione del d.l.12/01/1991 n.6, ha posto "a regime" il procedimento di riconoscimento della legittimità di talune categorie di debiti fuori bilancio, considerando il fenomeno non eliminabile in radice.

La norma, infatti, stabiliva, al comma 4, che i termini,di cui ai commi 1 e 2, per il riconoscimento dei debiti fuori bilancio non si applicassero alle quattro tipologie di tali debiti derivati da: a) sentenze passate in giudicato; b) copertura di disavanzi di enti, aziende ed organismi dipendenti dal comune o dalla provincia, a secondo dell'ente intervenuto; c) procedure espropriative o di occupazione di urgenza per opere di pubblica utilità; d) fatti o provvedimenti ai quali non hanno concorso, in alcuna fase, interventi o decisioni di amministratori o dipendenti dell'ente.

La normativa citata è stata rivisitata dal d.lgs 77/1995 che ha introdotto una serie di regole e di vincoli finalizzati al mantenimento degli equilibri gestionali.

L'art. 37 del citato decreto individuava, sulla falsariga della precedente classificazione, cinque tipologie di debiti "fuori bilancio" che possono essere riconosciuti legittimi.

La nuova formulazione della lettera e) del comma 1 del citato articolo, confluita nell'art.194 del d.lgs 267/2000, ha comportato una sostanziale novità; essa, infatti, recependo l'elaborazione giurisprudenziale della Corte dei Conti, ha ritenuto sanabile la spesa assunta in violazione delle norme giuscontabili nei limiti della utilitas e dell'arricchimento dell'ente.

In attuazione dell' art. 31 della legge 285/1999, gli artt. 35 e 37 del d.lgs n. 77/1995 sono stati riprodotti, fedelmente, nell'art.194, comma 1, del d.lgs. n. 267/2000.

In questo contesto, l'art.191, comma 4, d.lgs. n. 267/2000, ha stabilito che l'acquisizione di beni e servizi in violazione dell'obbligo previsto dai precedenti tre commi dello stesso articolo, dia luogo ad un rapporto obbligatorio intercorrente, per la parte non riconoscibile ai sensi del successivo art. 194, primo comma lett. e), tra il privato fornitore e l'amministratore, funzionario o dipendente che hanno consentito la fornitura.

La stessa disposizione, per vero, era già prevista dall'art. 23, comma 4, del d.l. 66/1989 e dell'art. 35, comma 4, del d.lgs. n. 77/1995.

Questa, in sintesi, è la genesi dell'attuale art. 194, comma 4, del d.lgs. 267/2000 che traccia un'eccezione ai principi sanciti dall'art. 191, stessa legge, in tema di impegno di spesa, per cinque categorie espressamente delineate dal comma 1 dell'articolo in commento, da finanziare con la procedura di cui all'art. 193.

Ora è facile evidenziare che per definire, in termini logico - giuridici, il debito fuori bilancio, bisogna far riferimento: alla specifica e tassativa elencazione fornita dal legislatore e alla deviazione del procedimento di spesa dai principi normativi che lo presiedono.

2. I debiti fuori bilancio riconoscibili.

L'art. 194 del d.lgs n. 267/2000, prevede che gli enti locali riconoscano con deliberazione consiliare la legittimità dei debiti fuori bilancio derivanti da:

a) sentenze esecutive;

b) copertura di disavanzi di consorzi, aziende speciali e di istituzioni, nei limiti degli obblighi derivanti da statuto, convenzione o atti costitutivi, purché sia stato rispettato l'obbligo di pareggio del bilancio di cui all'articolo 114 ed il disavanzo derivi da fatti di gestione;

c) ricapitalizzazione, nei limiti e nelle forme previste dal codice civile o da norme speciali, di società di capitali costituite per l'esercizio di servizi pubblici locali;

d) procedure espropriative o di occupazione d'urgenza per opere di pubblica utilità;

e) acquisizione di beni e servizi, in violazione degli obblighi di cui ai commi 1, 2 e 3 dell'articolo 191, nei limiti degli accertati e dimostrati utilità ed arricchimento per l'ente, nell'ambito dell'espletamento di pubbliche funzioni e servizi di competenza.

Detti debiti possono essere riconosciuti e accompagnati dal relativo impegno di spesa - il quale, peraltro, non attribuisce efficacia al rapporto obbligatorio, in quanto riconoscibile e quindi già efficace - indispensabile al fine di adempiere il pagamento.

Tale conclusione vale - è bene precisarlo - per i debiti che non dipendono direttamente dalla volontà dell'ente, dalla lett. a) alla lett. d ), riconducibili ai fatti e ai provvedimenti ai quali hanno concorso gli interventi e le decisioni di amministratori, funzionari o dipendenti dell'ente, in virtù della pregressa normativa.

In merito, invece, a quelli assunti volontariamente dall'ente ai sensi della lett.e) l'impegno non solo rende eseguibile l'obbligazione, ma la rende anche legittima.

In ogni caso, al di la della diversa natura della fattispecie debitoria, l'elemento che li unifica è rinvenibile nel fatto che il debito viene ad esistenza al di fuori e indipendentemente dalle ordinarie procedure che regolamentano la formazione della volontà dell'ente.

Lo stesso non può dirsi, invece, con riferimento alle caratteristiche proprie delle singole ipotesi di debito.

Come vedremo meglio nel prosieguo, i debiti di cui alla lett.a) si distinguono dagli altri per il fatto che il debito si impone all'ente in virtù del provvedimento dell'autorità giudiziaria, indipendentemente dal riconoscimento della sua legittimità.

3. Le sentenze esecutive.

La fattispecie del riconoscimento del debito fuori bilancio per sentenza è presa in considerazione dall'art. 194, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 267/2000.

L'attuale formulazione della lettera a), a differenza del d.lgs n.77/1995 che comprendeva tanto le sentenze passate in giudicato quanto quelle immediatamente esecutive, fa riferimento alle sole sentenze esecutive, ritenendo perfezionato l'obbligo di pagare in conseguenza dell'esecutività della stesse.

Il passaggio in giudicato, per contro, riguarda l'irretrattabilità della statuizione prevista in sentenza.

E' di tutta evidenza che il riferimento alle sole sentenze esecutive trova riscontro nella modifica apportata all'art. 382 c.p.c. dall'art. 33 della l. 353/1990, secondo cui le sentenze di primo grado sono provvisoriamente esecutive tra le parti.

In proposito vale la pena ricordare che ai sensi dell'art. 14, comma 1, l. 30/1997, di conversione del d.l. 669/1996, recante disposizioni urgenti in materia tributaria, finanziaria e contabile a completamento della manovra di finanza pubblica per l'anno 1997, così come modificato dall'art. 147, comma 1, lett. a), L. n. 388/2000, le amministrazioni pubbliche "completano le procedure per l'esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali e dei lodi arbitrali aventi efficacia esecutiva e comportanti l'obbligo di pagamento di somme di denaro entro centoventi giorni dalla notificazione del titolo esecutivo. Prima di tale termine il creditore non può procedere ad esecuzione forzata né alla notifica di atti di precetto".

Il riferimento alle sentenze esecutive, che danno al creditore dell'ente locale la possibilità di azionare l'esecuzione forzata, consente a ques'ultimo di provvedere al pagamento, atteso che il credito vantato è divenuto certo - giacché ne è stato determinato l'ammontare - liquido - in quanto ha assunto la natura di debito di valuta - esigibile - atteso che dal momento della esecutività della statuizione del giudice vengono meno le condizioni ostative al pagamento della somma al creditore.

Trattasi, in particolare: delle sentenze di condanna emesse dal giudice ordinario dotate, ex art.282 c.p.c., di esecutività; dei decreti ingiuntivi dichiarati esecutivi; dei lodi arbitrali dichiarati esecutivi e delle sentenze di condanna al pagamento di somme di denaro emesse dal giudice amministrativo.

A ben vedere, siffatta natura consente di distinguere nettamente i debiti derivanti da sentenza esecutiva dagli altri; tali debiti, infatti, si impongono all'ente "ex se", in base al comando imperativo che il provvedimento giudiziale contiene, senza dipendere dal riconoscimento o meno della sua legittimità.

Per meglio dire, nel caso previsto dall'art. 194, sub a), il riconoscimento appare doppiamente doveroso, dovendo l'ente ottemperare all'ordine del giudice così come il privato cittadino.

Tale peculiarità giustifica, come si vedrà, la differenza di trattamento riservata ad essi relativamente alla competenza e alla tempistica del loro riconoscimento.

3.1. Sentenze esecutive e sentenze passate in giudicato.

La previsione legislativa di cui alla lettera a), comma 1, art. 194 d.lgs 267/2000, fa riferimento alle sole sentenze esecutive senza distinguere tra sentenze esecutive irretrattabili e sentenze immediatamente esecutive, ma non ancora definite, che consentono di interporre gravame.

Non può, a questo punto, tralasciarsi di rilevare che tale distinzione, poco valorizzata dal legislatore, rende di fatto difficile indicare un preciso percorso a cui dovrebbe attenersi l'ente locale.

Orbene, nel caso di sentenza passata in cosa giudicata l'ente locale deve procedere all'adempimento dello iussum iudicis, null'altro potendo eccepire.

Nel caso, invece, di sentenza non ancora definitiva, si pone nella pratica il problema dei tempi e delle modalità di pagamento del debito.

Sono emersi, infatti, alcuni dubbi in merito alla necessità di pagare immediatamente somme cospicue, a seguito di sentenza non ancora passata in giudicato, per almeno due ordini di ragioni: la difficoltà di reperire il finanziamento senza pregiudicare gli equilibri di bilancio; la difficoltà di ripetere le somme in caso di vittoria in un successivo grado di giudizio.

Il problema è serio e richiede il giusto contemperamento tra il dovere di ottemperare all'ordine del giudice e il dovere, non meno rilevante, di tutelare, nell'interesse pubblico, gli equilibri di bilancio.

Vero è che di norma occorre pagare i debiti con la massima sollecitudine al fine di evitare ulteriori oneri a carico dell'ente, ma è altrettanto vero che bisogna ricercare delle soluzioni alternative che pregiudichino il meno possibile, oltreché gli interessi della giustizia, gli altri interessi pubblici meritevoli di tutela.

Occorrerebbe, allora, un accordo con la controparte in merito a forme di pagamento coperte da garanzia: pagamento immediato dietro prestazione di idonea fideiussione; pagamento su deposito vincolato delle somme da liberare al termine del giudizio; impegnare la spesa senza l'erogazione di somme.

Il rinvio del materiale pagamento fino al passaggio in giudicato della sentenza, oltreché tradursi in un eccessivo e ingiustificato sacrificio di controparte, presenta seri dubbi di legittimità se si considera che l'ente si espone al rischio del riconoscimento di interessi per ritardato pagamento, con i conseguenti profili di responsabilità.

E' evidente che la varietà delle situazioni che possono emergere nella pratica rende oltremodo difficile indicare, in astratto, l'esatto modo di procedere; peraltro, le soluzioni alternative richiedono un atteggiamento di totale collaborazione fra l'ente e il suo creditore, dovendo essere quest'ultimo ad accogliere le proposte del primo, in assenza di una espressa normativa che li prevede.

Orbene - fermo restando il principio che l'obbligazione di pagamento deve essere assolta il più presto possibile al fine di scongiurare danno all'erario - le soluzioni tagliate con l'accetta non si addicono alla materia in argomento.

Per meglio dire, la mancanza di un principio generale al quale attenersi richiede di ricercare, di volta in volta, le soluzioni più adatte al caso concreto, promuovendo un atteggiamento di collaborazione fra l'autorità amministrativa e il suo creditore anche attraverso ipotesi transattive tendenti alla falcidia, se non altro, dell'ammontare della rivalutazione monetaria e degli interessi moratori dovuti.

4. Il riconoscimento dei debiti derivanti da sentenze esecutive.

Il riconoscimento dei debiti fuori bilancio richiede, ai sensi dell'art. 193, comma 2, del d.lgs n. 267/2000, una deliberazione consiliare da approvare entro il 30 settembre di ogni anno, o con diversa periodicità stabilita dal regolamento di contabilità.

Abbiamo già osservato che l'art.194, comma 1, lett.a) ha inteso assoggettare alla procedura di riconoscimento tutti i debiti derivanti da sentenza esecutiva che, in considerazione della loro natura e delle modalità del loro perfezionamento, debbono considerarsi estranei alla volontà dell'ente e al di fuori delle ordinarie procedure contabili preordinate alla spesa.

Ebbene, ancorché debba affermarsi che il provvedimento del Consiglio comunale costituisca l'unico strumento attraverso cui il debito da sentenza viene ricondotto al "sistema bilancio", non può non osservarsi, però, che i debiti derivanti da sentenze esecutive si distinguono da tutte le altre ipotesi di debito previste dal citato art.194.

Per fermare il discorso con una sintesi, si può evidenziare che nel caso di debiti derivanti da sentenza esecutiva, la valenza della delibera consiliare non può essere quella di riconoscere la legittimità del debito che di per sé già esiste in virtù della statuizione del giudice che non lascia alcun margine di valutazione al Consiglio.

In ogni caso, l'attivazione della procedura consiliare permane, ma con la sola funzione di salvaguardare gli equilibri di bilancio.

 E' chiaro che il debito avrà un diverso peso sul bilancio a seconda che lo stesso trovi o meno copertura finanziaria in un impegno di spesa assunto precedentemente nelle previsioni della sua insorgenza.

In ogni caso, spetta alla puntuale valutazione dell'ente l'opportunità di effettuare un preventivo accantonamento al fine di evitare un forte impatto sugli equilibri del bilancio.

A ben vedere, quest'ultima osservazione parrebbe mostrare, ancora una volta, la peculiarità che caratterizza i debiti derivanti da sentenze esecutive, nel senso che essi - inserendosi nell'ambito di una particolare trama normativa - pretendono, in relazione alle caratteristiche delle singole liti, una costante e prudente valutazione dell'ente.

4.1. Il pagamento del debito. La recente delibera delle Sezioni Riunite della Corte dei Conti per la Regione Siciliana.

Il discorso condotto nel corso delle pagine precedenti, in buona sostanza, ha consentito di illuminare singoli momenti della disciplina delle spese e la gestione dei debiti fuori bilancio negli enti locali, approdando alla conclusione secondo cui il debito nascente da sentenza esecutiva si distingue da tutte le altre ipotesi previste dall'art.194 in quanto si impone all'ente in forza di una statuizione giudiziale che contiene in sé il riconoscimento della sua legittimità.

Al riguardo una recente deliberazione delle Sezioni Riunite della Corte dei Conti per la Regione Siciliana (n.2/2005 del 23.02.2005) ha avuto, tra l'altro, il merito di affermare, con estrema chiarezza, che i debiti derivanti da sentenza esecutiva vanno distinti dalle altre ipotesi, precisando che l'ente può procedere al pagamento di detto debito, prima della deliberazione consiliare di riconoscimento che "non potrebbe in alcun modo impedire l'avvio della procedura esecutiva per l'adempimento coattivo del debito".

L'attenta analisi della citata deliberazione consente di verificare la corretta applicazione al caso concreto di principi generali, ma anche - e soprattutto - traendo spunto dalla realtà, di evitare inutili sprechi di denaro pubblico.

La Corte dei Conti ha, infatti, osservato che la procedura seguita dagli enti locali di attendere, per il pagamento di quanto dovuto, il preventivo riconoscimento della legittimità del debito da parte del Consiglio comunale comporta, attesi i tempi che si frappongono, consistenti oneri patrimoniali per interessi legali ed eventuale rivalutazione monetaria.

A tali oneri vanno, poi, aggiunti le spese giudiziali, derivanti dalle procedure esecutive, nel caso in cui detta deliberazione non intervenga, come nella pratica avviene, entro i centoventi giorni previsti dall'art. 14 del d.l. 669/1996.

Una chiara risposta, per quel che riguarda la problematica in esame, viene individuata dalla Corte dei Conti nella possibilità di procedere al pagamento del debito derivante da sentenza prima della deliberazione consiliare di riconoscimento da parte degli organi amministrativi.

Le linee di sviluppo di tale soluzione sono da individuarsi: a) nella verifica della natura giuridica della deliberazione consiliare di riconoscimento della legittimità dei debiti da sentenza; b) nel raffronto di questi ultimi con gli altri debiti fuori bilancio elencati nell'art. 194 del d. lgs n.267/2000; c) nell'interpretazione logica e sistematica delle norme; d) nei principi di efficienza ed economicità dell'azione amministrativa.

In merito ai citati profili, la Corte ha rilevato che il citato art. 194, affermando che gli enti locali riconoscono la legittimità dei debiti fuori bilancio, non ha inteso far riferimento ad un provvedimento "preventivo" a contenuto autorizzativo finalizzato a rimuovere un limite legale allo svolgimento di un'attività e che, a differenza di tutte le altre ipotesi elencate dal legislatore, il riconoscimento del debito da sentenza non lascia alcun margine di apprezzamento discrezionale al Consiglio comunale il quale, di fronte ad un titolo esecutivo, non può, in ogni caso, impedire il pagamento del relativo debito.

L'interpretazione logica e sistematica delle norme impone, pertanto, di distinguere i debiti in argomento, "consentendo di affermare che per i primi il riconoscimento da parte del Consiglio comunale svolge una mera funzione ricognitiva, di presa d'atto finalizzata al mantenimento degli equilibri di bilancio".

Tali concetti vengono, opportunamente, rafforzati dal richiamo ai principi di efficienza ed economicità dell'azione amministrativa e di parità di trattamento.

Per convincersene è sufficiente riportare le conclusioni a cui perviene la citata deliberazione: "Tale interpretazione è altresì pienamente coerente con i principi di efficienza ed economicità dell'azione amministrativa e con l'interesse pubblico volto ad evitare inutili sprechi di denaro pubblico, senza contare che una diversa interpretazione verrebbe a creare un'ingiustificata disparità di trattamento tra i creditori delle amministrazioni statali, tutelati dal comma 2 dell'art.14 del D.L. 669/1996, che prevede il pagamento del debito fuori bilancio mediante emissione di uno speciale ordine di pagamento rivolto al tesoriere, ed i creditori degli enti locali che, per la soddisfazione del loro credito, sarebbero costretti ad attendere i tempi ben più lunghi della deliberazione consiliare, con un onere economico che, alla fine, ricadrebbe comunque sulla collettività."

Il contributo di chiarezza fornito dalla Corte dei Conti non esime, comunque, il legislatore dal fornire una specifica disposizione in merito ai debiti da sentenza. E' chiaro, infatti, che in un sistema basato sul diritto scritto, il criterio più adatto per adeguare il diritto positivo alla realtà sociale dovrebbe essere l'intervento di una legge.

Intanto i Comuni possono, con il conforto della Corte dei Conti, modificare i propri regolamenti contabili in senso conforme alla normativa statale.

 

horizontal rule

(*) Avvocato - Dirigente - Ufficio di Staff Avvocatura del Comune di Vittoria - RG.


Stampa il documento Clicca qui per segnalare la pagina ad un amico