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Articoli e note

n. 1/2004 - © copyright

FILIPPO BRUNETTI e MATTEO PADELLARO (*)

Competenza legislativa statale, relativa potestà regolamentare ed accesso degli enti locali al mercato dei capitali

(nota a Corte Costituzionale, sentenza 18 dicembre 2003, n. 376)

 

La Corte Costituzionale, nella sentenza in commento, affronta nuovamente la spinosa questione relativa all'assetto delle fonti delineatosi a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione (di cui alla legge costituzionale n. 3 del 2001), in particolare individuando i principi, i criteri e i limiti che sovrintendono alla ripartizione della competenza normativa tra Stato e Regioni in una materia quanto mai delicata e in continua evoluzione quale la finanza degli enti territoriali.

In via preliminare, occorre al riguardo sottolineare come a partire dalla fine del 1994 la finanza locale abbia conosciuto una progressiva apertura al mercato dei capitali, inaugurata con il riconoscimento della facoltà per gli enti locali di emettere prestiti obbligazionari (art. 35 l. 724/1994 e art. 2 D.M. Tesoro n. 420/1996), culminata con l'introduzione nell'art. 119 Cost. del principio di autonomia finanziaria e patrimoniale per tutti gli enti territoriali, e definitivamente consacrata con l'art. 41, comma 2, della legge 448/2001 (legge finanziaria 2002), laddove si provvede ad ampliare significativamente la gamma degli strumenti finanziari cui gli enti in questione possono ricorrere per operazioni di ristrutturazione del debito pregresso, includendovi espressamente anche gli strumenti derivati (quali ad esempio gli swap) [1].

La disposizione da ultimo richiamata ha espressamente riconosciuto agli enti locali ampi margini di discrezionalità ed autodeterminazione nella selezione delle forme di finanziamento cui accedere. Tale riconoscimento costituisce un corollario del principio di autonomia finanziaria degli enti territoriali consacrato nell’art. 119 Cost.. Tuttavia, lo stesso art. 41 della legge finanziaria 2002, al comma 1, attrae a livello centrale (delegando all’uopo il Ministero dell’Economia e delle Finanze) l’esercizio delle funzioni di coordinamento sull’intera materia dell’accesso al mercato dei capitali da parte degli enti in questione, e ciò al dichiarato fine di “contenere il costo dell’indebitamento e di monitorare gli andamenti di finanza pubblica”.

La disposizione in discorso non mira, quindi, solo alla istituzione di un sistema di controllo, a fini di trasparenza, sulla gestione del debito da parte degli enti locali, ma anche alla realizzazione di una vera e propria  regolazione delle dinamiche del debito pubblico finalizzata ad una riduzione degli oneri complessivamente sostenuti [2].

In particolare, il Legislatore ha rinviato a un apposito decreto del Ministero menzionato (da adottarsi d’intesa con il Ministero dell’Interno, secondo l’integrazione apportata al testo originario della norma da parte del Decreto Legge 22 febbraio 2002. n. 13) l’individuazione puntuale del contenuto e delle modalità di esercizio dei compiti affidati (che comprendono anche attività di raccolta dati), nonché il compito di emanare le norme di dettaglio relative all’ammortamento del debito e all’utilizzo degli strumenti derivati da parte degli enti in questione [3].

Avverso la norma predetta si è avuta l’immediata reazione di cinque Regioni (Campania, Emilia Romagna, Marche, Toscana, Umbria), le quali, nei primi mesi del 2002, hanno sollevato dianzi alla Corte Costituzionale diverse questioni di legittimità costituzionale delle disposizioni richiamate. La presentazione di tali ricorsi, decisi con la sentenza in commento, ha fornito alla Corte Costituzionale l’occasione di pronunciarsi sulla compatibilità con il nuovo assetto delle fonti delineato dal novellato Titolo V della Costituzione della scelta centripeta in materia di accesso degli enti locali al mercato dei capitali, adottata in sede legislativa con l’art. 41 della legge n. 448/2001.

Giova precisare che, seppur in maniera non del tutto omogenea, le Regioni hanno articolato le loro principali censure di incostituzionalità su due diversi livelli, l'uno per così dire normativo e l'altro regolamentare.

Sotto il primo profilo, è stata contestata la sussistenza in capo allo Stato di una competenza legislativa di natura esclusiva o concorrente in materia di finanza regionale e locale, posto che l’enumerazione delle materie soggette all’uno e all’altro regime, contenuta nel secondo e terzo comma dell’art. 117 Cost., non includerebbe la materia in questione, con conseguente applicazione del regime residuale di cui al comma 4 dello stesso articolo, che per l'appunto attribuisce alla competenza regionale tutte le materie non espressamente menzionate nei commi precedenti.

In via subordinata, nel caso in cui si fosse al contrario ritenuto che lo Stato  traesse la propria competenza a legiferare nel caso concreto dalla possibilità di ricondurre la finanza regionale e locale a materie soggette alla legislazione concorrente Stato-Regioni, quali “l’armonizzazione dei bilanci pubblici” e il “coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”, le Ricorrenti hanno sostenuto che del pari si sarebbe determinata una violazione delle prerogative costituzionali riconosciute alle Regioni; per effetto delle disposizioni contenute nella legge finanziaria 2002, infatti, lo Stato non si limiterebbe a dettare i principi fondamentali, unica facoltà che l’art. 117 Cost. gli riconosce nelle materie oggetto di legislazione concorrente, ma inciderebbe con norme di dettaglio sull’operatività stessa degli enti territoriali, sottoponendoli a stringenti controlli con conseguente sacrificio del principio di autonomia finanziaria garantito dall’art. 119 Cost.

In altri termini, hanno argomentato le Regioni, lo Stato non risulterebbe legittimato a disciplinare in dettaglio le forme e modalità di indebitamento degli enti locali, come invece riscontrabile nel caso di specie, ma potrebbe esclusivamente individuare i principi fondamentali di riferimento per l’esercizio di tale puntuale potere da parte delle Regioni.

Sotto il secondo profilo, si è asserito che, a fronte del dettato costituzionale ai sensi del quale la potestà regolamentare spetta allo Stato nelle sole materie di legislazione esclusiva, nel caso di specie, pur non ricorrendo tale presupposto, si avrebbe il conferimento di un potere per l’appunto regolamentare a livello centrale (e in particolare al Ministero dell’Economia). Come anticipato, infatti, le disposizioni sottoposte al vaglio della Consulta attribuiscono a un futuro decreto ministeriale la determinazione del contenuto e delle modalità di coordinamento finanziario, le prescrizioni per la raccolta dei dati relativi all’indebitamento e al finanziamento dei singoli enti territoriali, nonché la emanazione delle norme relative all’ammortamento del debito e all’utilizzo degli strumenti derivati da parte di tali enti.

La Corte ha respinto le censure mosse dalle Ricorrenti, riconoscendo sì dei limiti alla facoltà dello Stato di disciplinare l'accesso degli enti territoriali al mercato dei capitali, ma senza considerare tali limitazioni superate dalla normativa impugnata.

Il ragionamento seguito dal Giudice delle Leggi si articola nei seguenti punti:

i)    l'individuazione delle condizioni al cui rispetto è subordinato l'accesso degli enti territoriali al mercato dei capitali assolve a funzioni di "coordinamento della finanza pubblica", e come tale ricade tra le materie assegnate alla competenza concorrente Stato-Regioni ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost.;

ii)   laddove sussista la potestà legislativa concorrente, lo Stato conserva la legittimazione a stabilire per legge i principi fondamentali cui la legislazione regionale deve attenersi;

iii)  le disposizioni oggetto del vaglio costituzionale non si limitano a prevedere principi di carattere generale (tali infatti non possono considerarsi le attività di controllo e di raccolta dati), ma ciò non implica violazione dei parametri costituzionali, atteso che il coordinamento finanziario per sua stessa natura implica necessariamente l'esercizio di poteri di carattere amministrativo, tecnico e dunque di dettaglio. La puntuale individuazione di tali poteri da parte dello Stato risulta inoltre pienamente aderente al dettato dell'art. 118, comma 1, Cost., che consente di attrarre a livello centrale le funzioni amministrative qualora sia necessario assicurarne l'esercizio unitario e sempre che risultino rispettati i principi di sussidiarietà [4], differenziazione ed adeguatezza;

iv)  in ogni caso, l'esercizio dei poteri di coordinamento da parte dello Stato non può andare a incidere su altri valori costituzionalmente tutelati quali il principio di autonomia finanziaria degli enti territoriali, e non può dunque assumere le sembianze di un vero e proprio potere di direzione dell'attività finanziaria degli enti territoriali (che rimangono dunque liberi di determinare la provvista e il miglior impiego delle proprie risorse). In questo senso, la Corte sottolinea la valenza dei limiti che lo stesso art. 41 della legge finanziaria 2002 espressamente pone all'attività riservata al Ministero dell'economia, subordinando l'esercizio del potere di coordinamento in questione agli specifici obiettivi del contenimento del costo dell'indebitamento e del monitoraggio degli andamenti di finanza pubblica.

La Corte costruisce dunque la motivazione della propria pronuncia attorno agli artt. 117 comma 3, e 118 comma 1, ovverosia ai due capisaldi che nell'impianto del Titolo V della Costituzione riservano allo Stato competenze legislative e amministrative di principio. Solamente in conclusione viene dedicato un succinto passaggio alla questione, che non pare di rilievo secondario, relativa all'eventuale violazione dell'art. 117 Cost, comma 6, disposizione che, come rilevato dalle Ricorrenti, consente allo Stato di esercitare potestà regolamentari esclusivamente nelle materie riservate alla sua competenza esclusiva e dunque esclude tale facoltà nelle materie di legislazione concorrente quale per l'appunto "il coordinamento della finanza pubblica".

A ben vedere, sotto questo profilo la pronuncia della Corte presta il fianco ad un duplice ordine di rilievi.

In primo luogo, le disposizioni soggette al sindacato di costituzionalità sembrano riservare al Ministero dell'Economia vere e proprie potestà regolamentari, più che funzioni legislative o amministrative; si prevede infatti l'emanazione di un decreto di natura precettiva, cui si affida, oltre all'individuazione del contenuto e delle modalità del coordinamento in materia finanziaria, la definizione di norme  per la disciplina dell'ammortamento del debito e all'utilizzo degli strumenti derivati da parte degli enti territoriali.

L'attribuzione a livello centrale di potestà che appaiono di natura regolamentare, sembrerebbe dunque porsi in contrasto con la ripartizione delle competenze stabilita a livello costituzionale, perlomeno fintanto che il parametro di riferimento rimanga una materia di legislazione concorrente quale il coordinamento della finanza pubblica [5].

E' forse per tale ragione che la Corte si premura di precisare, nell'ambito delle considerazioni in diritto, che i poteri di coordinamento in questione risultano "connessi per l'oggetto con la competenza statale in materia di tutela del risparmio e mercati finanziari", con ciò tentando di offrire alla potestà regolamentare eventualmente configurabile un più solido appiglio proprio tra le materie soggette alla competenza esclusiva dello Stato.

In secondo luogo, anche se si segue il percorso argomentativo della Corte e si riconduce la prevista emanazione del decreto ministeriale in discorso nell'alveo dell’esercizio di funzione amministrativa - per conseguenza affermando la legittimità dell'intervento statale in quanto volto ad assicurarne l'esercizio unitario ai sensi dell'art. 118 comma 1 Cost – deve comunque rilevarsi che in relazione all’adozione di tale decreto non sembrano sufficientemente soddisfatte le garanzie procedimentali di concreta partecipazione delle Regioni al processo decisionale, che la recente giurisprudenza costituzionale ha invece individuato quali espressioni del principio di sussidiarietà nell’ambito delle materie devolute alla potestà legislativa concorrente tra Stato e Regioni.

In tal senso, l'art. 41 della legge finanziaria 2002 si limita a prevedere che il decreto ministeriale sia adottato previa consultazione della Conferenza unificata di cui all'art. 8 del D.lgs 28 agosto 1997, n. 281, senza che si ponga invece in essere quella più pregnante (e vincolante) attività di concertazione, condivisione e coordinamento, prodromica al raggiungimento di soluzioni condivise da Stato e enti territoriali circa la ripartizione delle rispettive competenze, che la precedente sentenza della Corte Costituzionale n. 303/2003 sembra aver elevato a principio sistematico [6].

Alla luce di quanto precede sembra pertanto probabile che le Regioni promotrici del vaglio di costituzionalità sull’art. 41 in esame non mancheranno di insorgere anche avverso il decreto ministeriale previsto da tale disposizione qualora in seno alla Conferenza unificata Stato/Regioni non dovesse raggiungersi una sostanziale intesa politica sul contenuto del medesimo.

Tale decreto, infatti, avendo natura formalmente amministrativa (ancorchè sostanzialmente normativa) potrà essere impugnato dianzi al giudice amministrativo dalle Regioni (così come da qualunque altro soggetto in grado di potere spendere una legittimazione ed un interesse al ricorso) [7] qualora siano configurabili vizi di legittimità nel suo contenuto dispositivo e/o nel relativo iter procedimentale.

In conclusione, è ragionevole aspettarsi che il tema in analisi passi dal tavolo del giudice delle leggi a quello del giudice del (corretto) esercizio del potere e della funzione amministrativa.


 

(*) Avvocati.

[1] Per tali operazioni sussiste in ogni caso il limite individuato dall'art. 119, comma 6 Cost che subordina la possibilità di ricorrere all'indebitamento per gli enti in questione alle sole esigenze di finanziamento di spese di investimento (così come definite dall'art. 3, comma 18, della l..350/2003 -legge finanziaria 2004), pena la nullità dei relativi atti e contratti (in proposito si veda l'art. 30, comma 15 della l. n. 289 del 27 dicembre 2002 recante "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2003). Per un commento sull’art. 41 in discorso vedi Valensise, Brunetti., Finanziaria 2002: contratto di swap, finanza locale e intermediari finanziari, in Finanza locale, 2002, 875 e ss.

[2] Cfr. Della Cananea, I limiti della finanza locale, in Giorn. Dir. Amm., 2002, 216.

[3] Per completezza di esposizione giova precisare che una bozza del testo del decreto previsto dall’art. 41 in discorso era stata concordata in seno alla Conferenza unificata Stato/Regioni nella seduta del 9 maggio 2002. Rispetto a tale testo avevano tuttavia espresso il proprio dissenso proprio le Regioni che hanno poi proposto ricorso alla Corte Costituzionale. Il testo del verbale della seduta della Conferenza unificata del 9 maggio 2002 (verbale n. 11/02) è disponibile sul web all’indirizzo http://www.governo.it/Conferenze/c_unificata/Verbale/dettaglio.asp?d=16373.

[4]  Sul principio di sussidiarietà vedi Chessa, La sussidiarietà (verticale) come "precetto di ottimizzazione" e come criterio ordinatore, in Diritto pubblico comparato ed europeo, 2002, fasc. 4, p 1442 ss; nonché Leone, Tarasco, In tema di principio di sussidiarietà orizzontale ex art. 118 comma 4 Cost. e di fondazioni bancarie (Nota a Cons. Stato sez. cons. atti normativi 1 luglio 2002, n. 1354/02), in Foro Amm. C.d.S., 2002, fasc. 10, p. 2634 ss.; D'Atena, Costituzione e principio di sussidiarietà, in Quaderni costituzionali, 2001, fasc. 1, pag. 13 ss.

[5] Sul rapporto tra potestà regolamentare statale e regionale vedi Sacco, Il nuovo assetto della potestà regolamentare dopo la riforma del titolo V: i pareri del Consiglio di Stato, in www.associazionedeicostituzionalisti.it. In tale scritto si legge: “il novellato art. 117, comma 6, Cost. limita la potestà regolamentare dello Stato soltanto alle materie in cui esso ha competenza legislativa esclusiva, fatta salva la possibilità di delega alle Regioni. In ogni altra ipotesi (materie di competenza concorrente e residuale) il potere regolamentare è affidato agli enti regionali. Le suddette modifiche costituzionali hanno dato origine ad una serie di nodi interpretativi di non agevole soluzione, alcuni dei quali sono stati oggetto di una serie di pareri del Consiglio di Stato in sede consultiva (sia dell’Adunanza Generale, sia della sezione consultiva per gli atti normativi). (…). Le leggi di riforma del Titolo V della Costituzione hanno innegabilmente assegnato al potere regolamentare delle Regioni un ruolo centrale nell’attuale assetto delle fonti, dotandolo di una dirompente forza espansiva che, tuttavia, potrebbe essere parzialmente neutralizzata dal ricorso a meccanismi – ed in specie quello delle norme statali cedevoli- concepiti per rimediare ai vuoti normativi provocati dall’eventuale inerzia regionale ma che, di fatto –come dimostra l’esperienza del periodo precedente la riforma – possono tradursi in una perdurante invasione di ambiti di competenza regionale. A tal proposito, il parere n. 5 del 2002 - pur ricorrendo ad argomenti forse non del tutto convincenti - ha fermamente escluso la possibilità che regolamenti statali possano disciplinare materie riservate alla competenza esclusiva o concorrente dell Regioni, ancorché dotati della clausola della cedevolezza. In altri termini, poiché il potere regolamentare è oggi attribuito allo Stato secondo un criterio di “stretta corrispondenza” con la propria competenza legislativa esclusiva, esso deve ritenersi “estinto” in riferimento alle materie che non sono più di sua spettanza”.

Nel senso di ammettere, entro certi limiti ed a certi condizioni, la potestà regolamentare statale anche nelle materie devolute alla potestà regolamentare concorrente Stato/Regioni, vedi Iannotta, In tema di competenza regolamentare dello Stato nelle materie concorrenti ripartite tra Stato e regioni(Nota a Cons. Stato sez. atti normativi 8 novembre 2001, n. 207), in  Foro amm. C.d.S., 2002, fasc. 6, pag. 1536 ss.

[6] In tale sentenza la Corte ha chiarito che laddove una norma statale riservi allo Stato l’esercizio di funzioni amministrative afferenti a materia devoluta alla potestà legislativa concorrente statale/regionale, il principio di sussidiarietà non resta vulnerato se tale esercizio è oggetto di concertazione tra Stato e Regioni. In particolare, sul punto la Corte ha affermato che “Non sono fondate, nei sensi di cui in motivazione, le q.l.c., sollevate in riferimento agli art. 117, 118 e 119 cost., dell'art. 1 comma 1 l. 21 dicembre 2001 n. 443, sia nel testo originario che in quello sostituito dall'art. 13 comma 3 l. 1 agosto 2002 n. 166, il quale conferisce al Governo il compito di individuare le infrastrutture pubbliche e gli insediamenti produttivi strategici di preminente interesse nazionale da realizzare per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese. Premesso che in relazione alla originaria formulazione dell'art. 1 comma 1, deve escludersi che sia cessata la materia del contendere, giacché sulla base di tale disposizione - la quale prevedeva che l'individuazione delle opere avvenisse sentita la Conferenza unificata di cui all'art. 8 d.P.R. 28 agosto 1997 n. 281 a mezzo di un programma formulato su proposta dei ministri competenti, sentite le regioni interessate, ovvero su proposta delle regioni , sentiti i ministri competenti - è stato approvato il programma delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi da parte del Cipe (con delibera n. 121 del 21 dicembre 2001), al quale fa riferimento anche il comma 1 nel testo novellato dall'art. 13 l. n. 166 del 2002, e premesso altresì che, nel riparto di competenze tra Stato e regioni - come stabilito dalla riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione - al legislatore nazionale, per far fronte ad istanze unitarie, deve essere riconosciuta, in base all'art. 118 comma 1 cost., la potestà di assumere e regolare l'esercizio di funzioni amministrative in relazione alle quali esso non vanti una potestà legislativa esclusiva, ma solo una potestà concorrente, così derogando l'ordine rigido di distribuzione delle competenze stabilito dall'art. 117 cost., sempre che la valutazione dell'interesse pubblico sottostante all'assunzione predetta sia proporzionata, non risulti affetta da irragionevolezza alla stregua di uno scrutinio stretto di costituzionalità e sia oggetto di un accordo stipulato con la regione interessata, dovendosi escludere che la sussidiarietà possa operare come aprioristica modificazione delle competenze regionali in astratto, costituendo piuttosto un metodo per l'allocazione delle funzioni al livello più adeguato, l'attrazione allo Stato delle funzioni amministrative indicate dalle disposizioni censurate trova giustificazione nel principio di sussidiarietà e adeguatezza, in quanto la predisposizione di un programma di infrastrutture pubbliche e private e di insediamenti produttivi è attività che non mette capo ad attribuzioni legislative esclusive dello Stato , ma può coinvolgere anche potestà legislative concorrenti, e la disposizione censurata, nella formulazione introdotta dalla l. n. 166 del 2002, prevede che tale individuazione avvenga d' intesa con la regione interessata e con la conferenza unificata. E poiché non rileva se tale accordo preceda l'individuazione delle infrastrutture ovvero sia successivo alla unilaterale attività del Governo, l'art. 1 comma 1 l. n. 443 del 2001 deve essere interpretato nel senso che il programma approvato sulla base di esso, è inefficace in assenza di intesa con le regioni interessate per la parte che le riguarda.”. Così Corte costituzionale, 1 ottobre 2003, n. 303, in D&G - Dir. e Giust. 2003, f. 37, 58  con nota di Magni; nonché in Giur. cost., 2003, fasc. 5, 223.

[7] Sul punto v. Benvenuti, L' impugnazione dei regolamenti, in Foro amm. 1982, fasc. 4 pt. 1, p. 532 ss.


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