LexItalia.it  

 Prima pagina | Legislazione | Giurisprudenza | Articoli e note | Forum on line | Weblog

 

Articoli e note

n. 12/2004 - © copyright

MASSIMILIANO BRUGNOLI *

La responsabilità sociale e le procedure di
scelta del contraente – Gli "appalti verdi".

horizontal rule

Premessa.

Quello degli acquisti è forse il settore strategico nel quale può essere proficuamente esercitata, da parte da parte del management, la responsabilità sociale di un’azienda (1). La stessa riflessione vale anche per i soggetti pubblici tenuti al rispetto delle regole dell’evidenza pubblica - ed in particolare della disciplina comunitaria - qualora provvedano all’acquisto di beni, servizi o lavori.

E’ dunque naturale come sia stato posto il problema del contemperamento dei principi della RSI con il rispetto delle norme comunitarie in tema di appalti pubblici e di come questi ultimi possano essere proficuamente utilizzati a vantaggio della prima (2).

In particolare l’attenzione si è concentrata (prevalentemente ma non esclusivamente) sulla possibilità di bandire i c.d. "appalti verdi" e sui limiti in cui ciò possa legittimamente avvenire. Per lo più tali riflessioni vengono condotte, per così dire, "a margine" del tema più generale della RSI con la conseguenza che i problemi specifici relativi alle regole che disciplinano gli acquisti di un soggetto pubblico, nel senso sopra specificato, sono affrontati soltanto indirettamente.

In altre parole, l’approccio è per lo più di tipo politico, economico o sociologico, mentre i problemi legati al rispetto dei principi e delle norme di diritto pubblico che disciplinano la materia sono considerati, tutto sommato, secondari. Scopo del presente articolo è quello di partire, al contrario, proprio dai principi – non solo comunitari – che sorreggono il sistema dei pubblici appalti per tentare di comprendere entro quali limiti essi possano essere utili al perseguimento di obiettivi di RSI.

1 – La qualità ambientale di un prodotto come criterio di aggiudicazione – le clausole "sociali".

La questione più dibattuta riguarda la possibilità che criteri di tipo ambientale o sociale possano essere rilevanti ai fini dell’aggiudicazione di una gara comunitaria. Essa, per quanto, oramai, definitivamente risolta con l’emanazione delle nuove direttive in tema di contratti, merita di essere analizzata perché è stata l’unica ad essere esaurientemente affrontata dalla giurisprudenza comunitaria che ha, in tal modo, avuto la possibilità di stabilire principi generali utili anche al dì la delle singole fattispecie concrete oggetto della sua cognizione.

Più precisamente ci si era chiesti se, in caso di gara indetta con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, fosse consentito assegnare un punteggio in ragione di caratteristiche "..ambientali..". Il dubbio nasceva dalla constatazione che nessuna delle direttive comunitarie in tema di lavori, servizi e forniture indicava espressamente le caratteristiche di minor impatto ambientale o di minore consumo energetico quali criteri utilizzabili nell’attribuzione del punteggio relativo alla qualità delle offerte. Erano indicati altri fattori, quali quelli funzionali, estetici ed altro ma nulla si diceva in ordine alle qualità ambientali (es: art. 23 D.L.vo n. 157/95).

Si trattava dunque di chiarire se i criteri citati nelle direttive comunitarie fossero tassativi ovvero meramente esemplificativi e, in tale ultimo caso, entro quali limiti fossero ammissibili parametri di tipo ambientale.

Il tema venne affrontato in due importanti sentenze della Corte di Giustizia.

La prima (Concordia Bus Finland Oy Ab, 17 settembre 2002), riguarda il caso di un comune che aveva deciso di attribuire un apposito punteggio per le qualità ambientali in un bando di gara avente ad oggetto la fornitura degli autobus cittadini. Il ricorrente, un’impresa straniera, contestava tale scelta che Le aveva, a suo giudizio, impedito di aggiudicarsi la fornitura. Contestava, in particolare, che l’introduzione di tale criterio non trovasse riscontro alcuno nel testo delle direttive comunitarie e che si prestasse a prassi discriminatorie.

La Corte respinse il ricorso sostenendo "… in primo luogo, che, come risulta chiaramente dal testo di detta disposizione (l’art. 36 n. 1 lettera A direttiva 92/50 n.d.r.)e, in particolare, dall’uso dell’espressione "ad esempio", i criteri che possono essere adottati come criteri di aggiudicazione di un appalto pubblico all’offerta economicamente più vantaggiosa non sono elencati in maniera esaustiva" (3).

Del resto la Corte in precedenza aveva già affrontato – e risolto nella medesima direzione – il problema della natura di tali criteri anche se in una fattispecie estranea a questioni di tipo ambientale (18.10.2001 causa Siak Costruction).

"In secondo luogo – prosegue la Corte – il detto art. 36 n. 1 lettera A, non può essere interpretato nel senso che ciascuno dei criteri di attribuzione adottati dall’amministrazione aggiudicatrice al fine di individuare l’offerta economicamente più vantaggiosa debba assolutamente essere di natura meramente economica" (tesi anch’essa sostenuta dal ricorrente).

Richiamata la propria giurisprudenza che vieta la possibilità di introdurre ostacoli alla libera circolazione dei servizi e delle merci, la Corte prosegue affermando come non sia possibile escludere "… la possibilità per l’amministrazione aggiudicatrice di avvalersi dei criteri relativi alla tutela dell’ambiente in sede di valutazione delle offerte economicamente più vantaggiose". Affinché si possa escludere che tale scelta possa pregiudicare i principi generali sopra evocati, occorre tuttavia che essi si riferiscano e siano strettamente connessi all’oggetto dell’appalto.

"Dato che l’offerta si riferisce all’oggetto dell’appalto – afferma la Corte – ne consegue che i criteri di attribuzione che possono essere considerati conformemente a detta disposizione debbono anch’essi essere collegati all’oggetto dell’appalto".

Il giudice comunitario conclude affermando la liceità dei criteri ambientali "… purché tali criteri siano collegati all’oggetto dell’appalto, non conferiscano alla detta amministrazione aggiudicatrice una libertà incondizionata di scelta, siano espressamente menzionati nel capitolato d’appalto o nel bando di gara e rispettino tutti i principi fondamentali del diritto comunitario, in particolare il principio di non discriminazione".

Al di la dell’affermazione di principi pacifici in giurisprudenza, se ne deduce, sia pure ad negativum, che le qualità ambientali, dato che devono essere strettamente connesse all’oggetto dell’appalto, non possono riguardare, ad esempio, l’impresa offerente in sé e per sé considerata.

Il principio viene affermato, questa volta positivamente, nella successiva sentenza della Corte di Giustizia datata 04.12.2003 ( Evn AG, WIENSTROM GmvH). La fattispecie riguarda l’introduzione di criteri ambientali in tema di acquisto di energia elettrica.

In tale sentenza la Corte ribadì la piena legittimità "… che un’amministrazione aggiudicatrice adotti, nell’ambito della valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa di un appalto di fornitura di elettricità, criteri di aggiudicazione che impongono la fornitura di elettricità ottenuta da fonti di energia rinnovabili …".

Con la medesima sentenza, tuttavia, essa negò che fosse possibile attribuire un punteggio in virtù della produzione, da parte degli offerenti, di quantitativi di energia elettrica derivati da fonti rinnovabili in quantità eccedenti rispetto a quelle concretamente dedotte in contratto e dunque non destinate a soddisfare le esigenze della stazione appaltante ma di terzi.

Ribadendo il proprio orientamento in una diversa fattispecie la Corte ha dunque positivamente affermato che la "qualità ambientale" deve riguardare esclusivamente ciò che si acquista e non può in alcun modo essere presa in considerazione se riferita a comportamenti virtuosi degli offerenti che non si traducano tuttavia nell’oggetto della loro offerta (4).

Da quanto sino ad ora esposto si deduce come appaia assai arduo introdurre legittimamente in un bando di gara criteri che attengano al perseguimento di obiettivi in senso lato sociali.

Il fatto che un’impresa promuova, ad esempio, la parità tra i sessi all’interno delle proprie politiche sulle risorse umane, che adotti una strategia concertativa nell’assunzione delle decisioni coinvolgendo i vari stakeholders, che adotti procedure di massima trasparenza nelle transazioni, ben difficilmente potrà tradursi in qualità intrinseche dei propri prodotti o servizi da offrire ad una stazione appaltante comunitaria.

La recente direttiva comunitaria, appena entrate in vigore, non ha fatto altro, a giudizio dello scrivente, che ribadire i sopra citati orientamenti della giurisprudenza comunitaria con la differenza che, nel nuovo testo, le "caratteristiche ambientali" sono espressamente menzionate tra i criteri di aggiudicazione (si veda l’art. 53 comma 1 lettera A che ribadisce anche la necessaria connessione con l’oggetto dell’appalto).

Del resto si legge nel primo considerando della direttiva che essa " … si basa sulla giurisprudenza della Corte di Giustizia, in particolare sulla giurisprudenza relativa ai criteri di aggiudicazione che chiarisce le possibilità per le autorità contraenti di soddisfare le esigenze del pubblico interessato tra l’altro in materia ambientale e sociale purché tali criteri siano collegati alla materia del contratto, non conferiscano una libertà di scelta all’autorità contraente, siano menzionati espressamente e soddisfino i principi fondamentali di cui al considerando 2 (che tratta di libera circolazione delle merci e di non discriminazione tra i produttori)" (5) (6).

2 – La qualità ambientale come contenuto del contratto e come requisito per la partecipazione ad una gara. Il DM 8 maggio 2003 n. 203 del Ministero dell’Ambiente.

Se è vero che il problema della legittimità dell’adozione di criteri di aggiudicazione di tipo ambientale nelle gare d’appalto è il più dibattuto, è altrettanto vero che la sua soluzione positiva, nei limiti sopra delineati, non esaurisce le possibilità di favorire l’ambiente mediante lo strumento degli appalti pubblici.

E’ innanzitutto possibile redigere le specifiche tecniche di un capitolato d’oneri tenendo conto anche dell’impatto che il lavoro, il servizio o la fornitura che s’intende acquisire avrà sull’ambiente (7). Tale possibilità è ora espressamente contemplata dalla nuova direttiva comunitaria (art. 23, comma 6). Si prevede espressamente che le amministrazioni aggiudicatrici, quando prescrivono caratteristiche ambientali in termini di prestazioni o di requisiti funzionali, possono utilizzare le specifiche dettagliate, in tutto o in parte, così come sono definite dalle ecoetichettature europee o non europee, alle seguenti condizioni:

che esse siano appropriate alla definizione delle caratteristiche delle forniture o delle prestazioni oggetto dell’appalto;

che i requisiti per l’etichettatura siano elaborati sulla scorta di informazioni scientifiche;

che le ecoetichettature siano adottate mediante un processo condiviso da tutte le parti interessate e siano ad esse accessibili.

Si prevede la possibilità che le stazioni appaltanti precisino che i prodotti o i servizi muniti di ecoetichettatura sono presunti conformi alle specifiche tecniche del capitolato ma è fatto loro obbligo di verificare l’adeguatezza anche di altri tipi di certificazione, così come qualunque altro elemento di prova prodotto in tal senso dal costruttore.

Sotto diverso profilo, è ora prevista (art. 48, comma 2, lett. f) della nuova direttiva) la possibilità di individuare le capacità tecniche e professionali degli operatori economici da ammettere alle gare anche mediante l’indicazione delle misure di gestione ambientale che l’impresa dovrà applicare durante la realizzazione dell’appalto. Tale facoltà è limitata agli appalti di lavori e servizi e può essere utilizzata "..unicamente nei casi appropriati..".

Anche in tal caso (art. 50) è previsto che tale attitudine dell’appaltatore possa essere comprovata da certificati rilasciati da organismi indipendenti (viene espressamente indicato EMAS) ma è comunque consentito dimostrare il possesso di caratteristiche equivalenti mediante altri accreditamenti oppure, in difetto, con qualunque diverso mezzo di prova.

Ci si potrebbe chiedere quali siano, in concreto, i "..casi appropriati.." che consentono di imporre, nei bandi di gara, il possesso di requisiti di tipo ambientale in capo ai concorrenti all’aggiudicazione di una gara pubblica (8)

A giudizio di chi scrive, non possono che valere le medesime argomentazioni già viste con riferimento alle limitazioni nella scelta dei criteri di tipo ambientale. Anche per i requisiti "ambientali" – così come per i criteri – non può che valere il principio secondo il quale la loro introduzione in un bando di gara debba essere correlata alle caratteristiche dell’oggetto del contratto, come espressamente previsto nel "considerando" sopra citato.

Esemplificando, si deve dunque ritenere che sia ammissibile – oltre che del tutto appropriato – richiedere il possesso di certificazioni di tipo ambientale (o "equivalenti") ai partecipanti ad una gara per l’assegnazione del servizio comunale di igiene urbana, mentre tale scelta, da parte di una stazione appaltante, non apparirebbe giuridicamente sostenibile quanto alla fornitura, ad esempio, di buoni pasto sostitutivi del servizio di mensa aziendale. In tale ultimo caso, infatti, le eventuali buone caratteristiche ambientali dei concorrenti non potranno in alcun modo tradursi in una maggiore qualità del servizio offerto (che dipende dal numero dei locali convenzionati, dalla loro vicinanza ai luoghi di lavoro, etc.). Esso, dunque, non sarebbe "appropriato".

Astraendo un principio generale valido sia per la fissazione dei criteri, che per l’individuazione delle specifiche tecniche, che per l’introduzione di requisiti relativi agli offerenti, si può dunque affermare che la RSI, in tema di procedure di scelta dei contraenti, sia consentita nei limiti in cui la stazione appaltante soddisfi interessi propri, intendendosi per tali quelli che le sono affidati dalla legge e che essa persegue anche attraverso l’acquisizione di quel determinato bene, lavoro, o servizio.

Non è invece consentito, mediante lo strumento dell’appalto pubblico, il soddisfacimento di altri interessi che, per quanto nobili ed importanti, si collochino su di un piano diverso e la cui cura sia affidata direttamente ad altre amministrazioni provviste, a tale scopo, di specifici strumenti (ad esempio la tutela dell’ambiente, in sé considerata).

Per tale ragione non sembra possa esservi spazio, a giudizio dello scrivente, di "clausole sociali" né sotto forma di criteri, di requisiti o di contenuti contrattuali (questi ultimi, del resto sono difficilmente immaginabili).

Non si può, in altre parole, imporre ai concorrenti di una gara pubblica il possesso di certificazioni sociali (quali, ad esempio la SA8000, in tema di rapporti di lavoro) né, per le medesime ragioni, l’avere adottato condotte virtuose su questioni anche di grande rilevanza sociale (ad esempio, azioni positive, volte a ridurre le discriminazioni di genere).

Di solito, tali conclusioni vengono considerate assai deludenti dai fautori della RSI che ritengono che gli appalti pubblici debbano essere considerati uno strumento essenziale nella diffusione delle buone prassi in materia sociale (oltre che ambientale). In effetti, si potrebbe anche sostenere che, sulla base dell’ordinamento vigente, le imprese che sostengono costi per il perseguimento di obiettivi di utilità sociale siano discriminate rispetto a quelle che, al contrario, non se ne preoccupano.

Per poter valicare i limiti posti dall’attuale legislazione nazionale e comunitaria occorrerebbe, allora, imporre per legge l’obbligo di inserire nei bandi di gara clausole – in senso lato – volte a favorire l’accesso di concorrenti in possesso di determinati requisiti di carattere sociale o imponendo l’obbligo di acquistare prodotti, servizi o lavori considerati, in tal senso, virtuosi.

Occorre osservare che, in tal modo, si imporrebbe alle stazioni appaltanti – che, dunque non dovrebbero esercitare alcuna forma di responsabilità sociale ma ottemperare, puramente e semplicemente, ad un obbligo di legge – il perseguimento, mediante le procedure d’appalto, di interessi diversi rispetto a quelli riservati alle loro cure. Il fenomeno è noto nell’ordinamento nazionale nel quale vanta, anzi, una notevole tradizione.

Basti pensare agli obblighi di verifica della regolarità contributiva dei concorrenti, del rispetto delle norme e dei contratti collettivi di lavoro, del possesso di certificazioni che escludano la possibilità di infiltrazioni mafiose nei pubblici appalti, del rispetto delle norme sul collocamento al lavoro dei disabili. Si pensi anche all’obiettivo di finanziare l’editoria, ottenuto mediante l’obbligo di pubblicare i bandi anche sui giornali, nonostante la proliferazione dei mezzi di pubblicità informatica, di promuovere la lotta all’evasione fiscale, mediante l’invio obbligatorio di informazioni all’amministrazione finanziaria, di garantire la trasparenza delle procedure, mediante la trasmissione di informazioni capillari ad un’Autorità all'uopo costituita, etc.

Non s’intende, in tale sede, giudicare gli esiti della proliferazione di tali norme (9): va tuttavia osservato che il DM 8 maggio 2003 n. 203 del Ministero dell’Ambiente, imponendo l’obbligo – non ancora vigente, in attesa della sua concreta attuazione da parte della legislazione regionale – di acquisire il 30 per cento del fabbisogno annuale di manufatti e beni realizzati con materiale riciclato, si colloca nell’ambito del sopra citato filone normativo che obbliga le stazioni appaltanti a perseguire interessi di natura diversa da quelli che sono ordinariamente affidati alle loro cure.

Trattandosi di un obbligo, sanzionato con la possibile impugnazione della gara d’appalto, esso si colloca, per le ragioni esposte, al di fuori del libero esercizio di responsabilità sociale.

* * * * * *

1 – Non ho alcuna pretesa, naturalmente, di affrontare in tale sede il problema generale della definizione di RSI: per comodità mi sono riferito al Libro Verde 2001 dell’UE, laddove si afferma che il perseguimento di obiettivi di RSI viene visto come uno strumento per accrescere la ricchezza dell’unione. Più precisamente, l’obiettivo dichiarato è quello di far divenire l’economia dei paesi dell’unione la più competitiva a livello mondiale. L’attenzione, da parte dei soggetti economici, per la RSI (concertazione delle decisioni con gli stakeholders, rispetto dell’ambiente, promozione delle azioni positive per superare le discriminazioni ai danni delle minoranze, trasparenza e correttezza nelle transazioni, etc.) non è dunque soltanto considerata "giusta" ma anche, se non soprattutto, "utile". Mi preme sottolineare che, secondo la Commissione Europea, oltre che secondo l’opinione unanime degli esperti, un’iniziativa (ad esempio, tesa a favorire la riduzione delle conseguenze negative di un’opera sull’ambiente) può essere considerata espressione di responsabilità sociale d’impresa solo se attuata liberamente e non per ottemperare a norme di diritto pubblico: la RSI, dunque, "inizia" laddove "finiscono" le norme cogenti.

2 – L’Unione Europea ha recentemente divulgato un manuale pratico (Buying green, a handbook on enviromental public procurement, Brussels, 18.8.2004) che tenta di diffondere, in materia, buone prassi: esso consta di utili suggerimenti pratici ed abbonda di casi concreti tratti dall’esperienza di diversi enti pubblici comunitari. In esso si afferma esplicitamente come, data l’incidenza, davvero elevata, delle pubbliche forniture rispetto al reddito prodotto dagli stati membri, una particolare attenzione, da parte delle stazioni appaltanti, a favorire, l’acquisto di beni, servizi e lavori a basso impatto ambientale avrebbe conseguenze rilevantissime sia sulla qualità dell’ambiente che sulla virtuosa conversione del nostro sistema produttivo. Basti questo accenno per evidenziare l’importanza del tema.

3 - Sul punto occorre sottolineare come anche la giurisprudenza nazionale si collochi sulla medesima linea interpretativa. Si veda ad esempio T.A.R. Milano s. n. 1684/2004 laddove si afferma che "in materia di servizi pubblici, alle amministrazioni è attribuito un potere discrezionale in ordine all’individuazione dei criteri di aggiudicazione e alla definizione dell’incidenza che tali criteri debbono avere in concreto in relazione alle caratteristiche del servizio che formano oggetto del contratto. L’esercizio di detta discrezionalità deve comunque svilupparsi in coerenza con la finalità di selezionare l’offerta migliore, né può infrangere i principi della concorrenza e della par condicio, i quali rappresentano regole che devono costantemente permeare la procedura concorsuale".

Più in generale la differenza, tra giurisprudenza interna e comunitaria è soprattutto terminologica, giacché quest’ultima pone l’accento sul divieto di pratiche di tipo discriminatorio a danno delle imprese non nazionali, mentre la prima sottolinea la necessità di garantire la massima concorrenzialità nell’interesse della stessa stazione appaltante.

4 – Non era mia intenzione commentare nel dettaglio i principi contenuti nelle due sentenze citate nel testo ma solo le parti relative alla specifica questione dell’inserimento di criteri ambientali. Devo la loro conoscenza alla lezione del prof. Coen tenuta, nell’aprile 2004, al corso sulla Responsabilità sociale d’impresa presso l’Università di Verona al quale va il mio ringraziamento.

5- Come è stato fatto osservare "… mentre con riferimento al settore ambientale il nuovo art. 53 espressamente prevede tra i criteri di aggiudicazione anche le caratteristiche ambientali, l’introduzione non è stata mantenuta con riguardo agli aspetti sociali che dunque sono disciplinati solo nei considerando" (Daniele Spinelli, Edilizia e Territorio n. 49/2003, pag. 20). Preciso che il testo della nuova direttiva cui faccio riferimento è quello pubblicato sulla medesima rivista, pg. 21 e seguenti.

6 – La Regione Veneto ha fatto qualche cosa di analogo, prevedendo espressamente, nella propria legge sui lavori pubblici (LR n. 27/2003, art. 31), anche le "..caratteristiche ambientali.." quale criterio di aggiudicazione nell’ambito dell’offerta economicamente più vantaggiosa.

7 – La Regione Veneto ha tentato di incentivare tale processo individuando, in ambito edilizio, i "prodotti e componenti ecocompatibili e di lunga durata" ed attribuendo poi, in sede di erogazione di risorse in materia di edilizia residenziale pubblica, maggiori punteggi agli operatori, pubblici e privati, che dichiarassero di imporre, nella redazione dei loro capitolati, l’utilizzo di tali materiali in percentuali prestabilite (cfr. DGR 1564 e 1565 del 23/05/2003). Incentivi di analoga natura erano stati previsti dal Governo Olandese nel piano per la politica ambientale sin dal 1990 (cfr. Dossier: Green Public Procurement in fareverde.it, pg. 2).

8 – La giurisprudenza ha da sempre previsto che la stazione appaltante, pur godendo di ampia discrezionalità nella prescrizione dei requisiti, debba attenersi a principi di logica, ragionevolezza ed imparzialita (cfr, CdS, 22 ottobre 2004, n. 1684).

9 – Per rendersi conto dei problemi che talune disposizioni di tale genere arrecano alle procedure di gara, basti il riferimento ai tre diversi filoni giurisprudenziali formatisi in tema di inosservanza della regolarità contributiva, non dichiarata in sede di gara ma anche contestata dall’aggiudicatario ed ancora sub iudice all’atto della verifica dei requisiti (si veda su questa rivista la nota a TAR Campania, Sentanza 22 ottobre 2004 n. 15168).

 

horizontal rule

(*) Avvocato - Dirigente responsabile dei contratti e del contenzioso, presso AGEC, azienda speciale del Comune di Verona.


Stampa il documento Clicca qui per segnalare la pagina ad un amico