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n.
3/2012 - ©
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FRANCO BOTTEON
(Avvocato)
Il sindacato giurisdizionale
sull’accertamento - da parte di Corte dei Conti o Mef -
della violazione
sostanziale del patto di stabilità da parte degli enti locali
Nemmeno la recente circolare (pubblicata in questa rivista) del Ministero dell’economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato - Ispettorato Generale per la Finanza delle Pubbliche Amministrazioni del 14 febbraio 2012 n. 5 avente ad oggetto "il patto di stabilità interno per il triennio 2012-2014 per le province e i comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti e, a decorrere dal 2013, per i comuni con popolazione compresa tra a 1.001 e 5.000 abitanti (articoli 30, 31 e 32 della legge 12 novembre 2011, n. 183)", ha affrontato il tema della possibilità per l’ente locale di attivare una tutela giurisdizionale a fronte di pronunce della Corte dei Conti (o del Mef, come si vedrà sotto) che dichiarino, pur a fronte di una certificazione dell’ente locale di rispetto del patto, la sua violazione del patto medesimo.
Ma nessun accenno all’argomento è contenuto neppure nell’ampia e interessante relazione del Presidente della Corte dei Conti, presentata il 16.2.2012 in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario. La relazione dedica uno specifico paragrafo al tema dell’applicazione delle sanzioni (v. punto 3.1) ma omette ogni considerazione sull’eventualità che l’ente locale contesti l’applicazione delle sanzioni stesse a suo carico lamentando l’infondatezza del giudizio di "sforamento del patto", e sulle forme di tutela che una tale legittima contestazione trovi nell’ordinamento processuale.
Si "avvicina" all’esame del problema, semmai, la relazione del procuratore generale della medesima Corte dei Conti presentata pur essa il 16.2.2012 all’inaugurazione dell’anno giudiziario, nel punto in cui si occupa della nuova ipotesi di responsabilità specificamente considerata dall’art. 2 del d.lgs. 149/11 e cioè quella dell’accertamento dell’inadempimento dell’obbligo "di rientro dal debito delle gestioni sanitarie a carico dei presidenti delle giunte regionali nominati a tal fine commissari". In relazione a tale ipotesi, affidata all’accertamento da parte della Corte dei Conti, il Procuratore generale ha l’avvertenza di affermare che "in considerazione degli effetti attribuiti a tale accertamento, la disciplina procedurale applicabile debba essere quella dell’ordinario giudizio di responsabilità, sia per assicurare all’interessato le necessarie garanzie di difesa personale previste nel processo, sia per meglio tutelare gli interessi protetti dalla norma attraverso l’azione officiosa del pubblico ministero".
Stupisce peraltro che analoga "sensibilità", manifestata nei confronti della persona fisica del presidente di regione-commissario, non sia rivolta all’indirizzo degli enti locali destinatari di un analogo accertamento quale quello della violazione del patto di stabilità, accertamento che determina effetti decisamente più rilevanti sotto il profilo dell’interesse pubblico delle comunità rappresentate nonché sul piano economico-quantitativo nonché qualitativo.
L’accertamento della violazione del patto di stabilità determina in effetti sanzioni particolarmente pesanti per l’ente (e in parte anche per gli amministratori) e cioè: 1) la riduzione dei trasferimenti statali fino al 3% del totale delle entrate correnti dell’ente locale o l’obbligo di pagamento di una pari somma; 2) il contenimento della spesa corrente nei limiti della media triennale della spesa stessa; 3) il divieto di spesa per investimenti; 4) il divieto di assunzione di personale; 5) la riduzione del 30% degli emolumenti degli amministratori (v. art. 7, comma 2, d.lgs. 149/11).
Si tratta di sanzioni finalizzate in sostanza, da un lato a compensare il sistema finanziario pubblico dello squilibrio provocato dallo sforamento del patto (v. sanzione sub 1 e 2), dall’altro ad impedire il perseguimento degli obiettivi programmatici dell’amministrazione, almeno per un anno (v. sanzioni sub 3 e 4).
Orbene, non appare in nessun modo compatibile con l’ordinamento che sanzioni così significative, ed anzi sanzioni di qualsiasi genere, non trovino nella disciplina positiva né un procedimento di applicazione specificamente normato nel pieno rispetto del principio del contraddittorio, né un sistema di tutele giurisdizionali.
Eppure, questa sembra essere la situazione normativa della materia (di cui la circolare riflette la lacuna sul punto), e ciò anche dopo l’entrata in vigore di un decreto legislativo specificamente dedicato alle sanzioni per violazione del patto (il citato d.lgs. 6.9.2011, n. 149 intitolato "Meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni, a norma degli articoli 2, 17 e 26 della legge 5 maggio 2009, n. 42") e della l. 12.11.2011, n. 183, che ha ridisciplinato (per l’ennesima volta) il patto di stabilità sotto il profilo sostanziale, limitandosi a prevedere (per quanto riguarda gli aspetti procedimentali) l’obbligo degli enti locali di trasmettere la certificazione (positiva o negativa) sul rispetto del patto, senza alcuna disciplina del contraddittorio su eventuali contrasto di opinioni tra ente di controllo (Mef), e richiamando le sanzioni previste dal d.lgs. 149/11. Paradossalmente, il d.lgs. 149/11 si preoccupa dell’impugnazione della sanzione della interdizione dall’ufficio (tra l’altro) di revisore per il caso di dissesto (v. art. 3, comma 2, ultimo periodo, d.lgs. 149/11) prevedendo un’ipotesi di giurisdizione esclusiva del TAR, ma –si ripete- nulla dice sulla giurisdizione operante in relazione alle sanzioni per il patto di stabilità né tantomeno sul contraddittorio nel procedimento che porta dapprima all’accertamento della violazione del patto, successivamente all’applicazione delle sanzioni.
Per ricostruire in modo più chiaro possibile la disciplina in materia, occorre distinguere tra accertamento della violazione e applicazione delle sanzioni.
L’accertamento della violazione del patto di stabilità può avvenire ad opera di due categorie di soggetti:
prima di tutto, ad opera dello stesso ente locale, il quale può "confessare" lo "sforamento" del patto nella "certificazione" che l’amministrazione inoltra al Mef l’anno successivo a quello di riferimento, ai sensi, attualmente, dell’art. 31, comma 20, l. 183 del 12.11.2011 "legge di stabilità 2012", oppure nella "segnalazione" che i revisori dei conti della stessa amministrazione devono effettuare all’indirizzo della Corte dei Conti, sempre nell’anno successivo a quello di riferimento, ai sensi dell’art. 1, comma 166, l. 266/05;
ad opera di soggetti terzi, e in particolare:
ad opera delle sezioni regionali di controllo della Corte dei Conti che ricevono la segnalazione appena sopra menzionata, potendo le predette sezioni, a prescindere dal contenuto della segnalazione (a prescindere cioè dal fatto che nella segnalazione l’ente locale ammetta o meno lo sforamento), possono emettere una "specifica pronuncia" (v. art. 1, comma 168, l. 266/05) che accerta la violazione del patto (oltreché comportamenti in genere difformi dalla sana gestione finanziaria, diversi dalla violazione del patto stesso). In tal caso, le sezioni regionali, dopo aver dichiarato la violazione e comunicato all’ente interessato l’avvenuto accertamento, "vigilano sull’adozione da parte dell’ente locale delle necessarie misure correttive e sul rispetto dei vincoli e limitazioni posti in caso di mancato rispetto delle regole del predetto patto di stabilità interno".
ad opera del MEF, al quale è inviata la certificazione emessa dall’amministrazione interessata, e che può adottare un provvedimento di accertamento della violazione del patto, provvedimento invero non previsto dalla lacunosa disciplina in esame (v. art. 31, comma 20, l. 183/11) ma da considerarsi esito inevitabile della previsione della trasmissione della certificazione, previsione che rimarrebbe senza senso se il ministero non potesse adottare un atto di "accertamento" esplicito o implicito, della violazione. Né la norma consente di ritenere che il Mef possa o debba trasmettere la certificazione alle sezioni regionali della Corte dei Conti per ottenerne la "specifica pronuncia" di cui all’art. 1, comma 168, l. 266/05: nessuna trasmissione alla Corte è prevista dalla norma in esame.
All’accertamento della violazione del patto consegue il momento della concreta applicazione delle sanzioni. Sotto tale aspetto, la normativa ha voluto un’applicazione delle sanzioni che non vede l’intervento di alcuna autorità: l’amministrazione che trasgredisce deve "autoapplicarsele", non essendo previsto un provvedimento di chicchessia che commini le sanzioni medesime.
Del resto, le sanzioni sono suscettibili di "auto-applicazione" posto che consistono in obblighi di dare (pagamento al Mef del differenziale tra obbiettivi e risultati conseguiti) o in divieti di fare quali il divieto di assunzione o di spesa di investimento, obblighi o divieti afferenti a comportamenti da tenersi da parte dell’amministrazione responsabile dello sforamento.
L’intervento di organismi terzi nella fase di applicazione è prospettato solo in termini di controllo "a valle" dell’accertamento della violazione del patto e cioè in termini di controllo da parte delle suddette sezioni regionali sull’effettiva "autoapplicazione" delle sanzioni da parte dell’amministrazione interessata, controllo affidato dall’art. 1, comma 168 l. 266/05 alle sezioni regionali della Corte dei Conti ("… vigilano sull’adozione da parte dell’ente locale delle necessarie misure correttive e sul rispetto dei vincoli e limitazioni posti in caso di mancato rispetto delle regole del predetto patto di stabilità interno").
Orbene, se l’ente locale "confessa" lo sforamento nella certificazione (rivolta al Mef: v. art. 31, comma 20, l. 183/11) o nella "segnalazione" ex art. 3, comma 166, l. 266/05, nulla questio: l’ente non ha motivi per sottrarsi alle sanzioni. E se non si sottopone alle sanzioni (es. fa spese di investimento o assunzioni o non paga al Mef il dovuto), le persone fisiche degli amministratori potranno essere chiamate a rispondere dei conseguenti danni davanti alla Corte dei Conti in sede giurisdizionale (es. responsabilità da assunzioni illegittime). Va notato al riguardo che manca nel d.lgs. 149/11 una specifica norma che disponga che l’inottemperanza delle sanzioni è a sua volta specificamente sanzionata.
Nel caso invece in cui l’ente locale certifichi il rispetto del patto e l’accertamento della sua violazione avvenga ad opera degli organi di vigilanza interessati (Corte dei Conti e Mef), può ben intervenire un contrasto di posizioni, tale per cui l’ente locale sia interessato a contestare ed evitare le sanzioni previste.
Il contrasto di opinioni tra ente locale ed organo di controllo è tutt’altro che ipotetico stante l’alta tecnicità e complessità della disciplina sostanziale del patto di stabilità, ossia quella che stabilisce come va determinato il saldo rilevante ai fini della valutazione del rispetto o meno del patto e che in particolare individua le voci da considerare ai fini della determinazione del saldo. Il criterio della "competenza mista" chiama in causa le nozioni di spesa corrente e spesa di investimento che non consentono una qualificazione nei predetti termini di specifiche singole voci di entrata o spesa.
Basti pensare alle manutenzioni di immobili, che sono considerate dallo stesso testo normativo (d.lgs. 163/06) sia lavori pubblici (v. art. 3, comma 8, d.lgs. 163/06), con conseguente inquadrabilità nell’ambito delle spese di investimento, sia servizi (v. allegato IIA, dlgs. 163/06), con conseguente inquadrabilità nell’ambito delle spese correnti.
Si pensi, con riguardo a casi più complessi, al leasing immobiliare, al project financing, alla concessione di credito, alla cessione di credito: si discute se ed eventualmente a che condizioni tali ipotesi diano luogo a spese da computare ai fini della determinazione del saldo o siano neutre rispetto allo stesso. Le recenti deliberazioni n. 5/2012/PAR/ della sezione regionale della Corte dei Conti per l’Emilia Romagna del 19.1.2012 e quella con pari numero della Sezione di controllo per la Toscana del 17.1.2012, sono soltanto l’ultimo esempio dell’alto tasso di opinabilità che riveste l’accertamento del rispetto o meno del rispetto del patto.
L’opinabilità "tecnico-discrezionale" di tale giudizio è d’altronde sottolineata dalla stessa Corte dei Conti, che sottolinea come la Corte sia chiamata ad una valutazione non di mera forma ma di rispetto sostanziale del patto, affermando: "Sempre in relazione alla questione del rispetto del Patto di stabilità, le Sezioni regionali hanno avviato forme di controllo di tipo sostanziale che non si limitano all’esame dei dati finanziari comunicati da ciascun Ente ma sono dirette ad analizzare operazioni contrattuali o finanziarie che possono influire sui risultati del Patto e che, in alcuni casi, sono prive di autonoma giustificazione economica, risultando finalizzate unicamente a garantire il rispetto formale del Patto. La verifica del rispetto sostanziale del Patto pone delicati problemi poiché comporta la valutazione in termini elusivi di operazioni finanziarie o contrattuali, di per sé legittime. E’ indubbio che al riguardo potrebbe essere utile un intervento legislativo diretto a meglio chiarire sia gli effetti giuridici di alcuni contratti che l’ambito di applicabilità del Patto" (Corte dei Conti, Sezioni Riunite di Controllo, Rapporto 2011 sul coordinamento della finanza pubblica).
La Corte menziona in particolare i casi, esaminati dalle sezioni regionali, specificamente del Veneto (nn. 178, 185, 186 del 2009 e nn. 21, 22, 26 e 27 del 2010), riguardanti, tra l’altro, operazioni di concessione di credito a società o terzi, l’erogazione di somme a titolo di mutuo da un Comune ad una società in house, al leasing immobiliare, concessione di crediti a terzi, la valutazione del bilancio delle partecipate.
Ci si chiede: è possibile che l’ente locale, che può aver effettuato (sul piano lato sensu "soggettivo") tali operazioni in perfetta buona fede e in assenza di indicazioni chiare di fonte normativa, ritenendole produttive di determinati effetti in ordine al patto di stabilità, debba subire "senza fiatare", durante il procedimento di accertamento e comunque dopo la pronuncia di violazione, la sanzione della completa pressoché completa inibizione dell’attuazione del proprio programma amministrativo e che i cittadini subiscano le relative conseguenze (es. riduzione forte degli investimenti per il divieto di indebitamento anche per la spesa in conto capitale)?
Deve ritenersi senz’altro di no: la reazione, la contestazione non può non essere praticabile da parte dell’ente locale. Un organismo terzo che ascolti le sue ragioni dovrà pur esserci (e non solo "a Berlino")!
Si tratta di trovare tale luogo o la strada per arrivarci.
Una prima sede è quella del giudizio di responsabilità avanti alle sezioni giurisdizionali della Corte dei Conti che dovesse instaurarsi a carico di amministratori di enti locali che, pur a fronte di una certificazione degli stessi di rispetto del patto, siano stati considerati quali trasgressori sostanziali delle norme sul patto stesso e che vengano chiamati a rispondere dei danni eventualmente prodotti dalla condotta tenuta dai predetti amministratori in asserito contrasto sostanziale con le norme sul patto.
A parere dello scrivente, le sezioni giurisdizionali davanti al quale si discute della responsabilità degli amministratori che hanno dato luogo alle spese precluse dalla normativa sulle sanzioni da violazione del patto potrebbero disattendere la "specifica pronuncia" delle sezioni di controllo (e a maggior ragione del Mef) e ritenere esente da responsabilità l’incolpato. Non si vede in effetti quale vincolo possa produrre in sede giurisdizionale la "specifica pronuncia" della sezione regionale di controllo.
Deve peraltro ritenersi che, di fatto, le probabilità che le sezioni giurisdizionali disattendano la pronuncia delle sezioni di controllo appaiono estremamente ridotte.
L’ipotesi dell’amministratore che si trovi a sostenere il rispetto sostanziale del patto è del resto avallata dalla disciplina positiva, che ha proprio immaginato il caso di rispetto del patto di stabilità attuato con manovre elusive o artificiose, prevedendo –per l’eventualità che la responsabilità sia accertata all’esito del giudizio avanti alle predette sezioni giurisdizionali- l’applicazione a carico dei suddetti amministratori di una sanzione particolarmente pesante.
L’art. 1, comma 111 ter, l. 220/10 stabilisce che "Qualora le Sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti accertino che il rispetto del patto di stabilita' interno e' stato artificiosamente conseguito mediante una non corretta imputazione delle entrate o delle uscite ai pertinenti capitoli di bilancio o altre forme elusive, le stesse irrogano, agli amministratori che hanno posto in essere atti elusivi delle regole del patto di stabilita' interno, la condanna ad una sanzione pecuniaria fino ad un massimo di dieci volte l'indennita' di carica percepita al momento di commissione dell'elusione e, al responsabile del servizio economico-finanziario, una sanzione pecuniaria fino a 3 mensilita' del trattamento retributivo, al netto degli oneri fiscali e previdenza".
Come si nota, la sanzione è prevista per il caso di accertamento del rispetto del patto e non per il caso opposto, di sforamento volontario o meno del patto regolarmente dichiarato dall’ente in sede di certificazione o segnalazione.
Da notare che la norma non si applica al caso di violazione del patto certificata dall’ente e di dolosa inottemperanza alla norme sanzionatorie: il comune certifica la violazione del patto e fa comunque spese di investimento e assume personale.
Certo è che le sezioni giurisdizionali della Corte dei Conti non costituiscono certo la sede ideale in cui l’ente locale può far valere l’assunto del rispetto del patto. Si pensi solo al fatto che il giudizio è personale e non può coinvolgere l’ente pubblico in quanto tale, cosicché l’amministrazione non può difendersi in tale sede quale soggetto giuridico autonomo rispetto all’amministratore. In secondo luogo, il giudizio di responsabilità della Corte dei Conti si instaura non certo –normalmente- per iniziativa dell’ipotetico trasgressore ma sollecitazione di terzi, con la certezza che l’amministrazione non può certo evitare le sanzioni, che vengono applicate l’anno successivo a quello delle presunte violazioni.
Ad avviso di chi scrive, ribadito che non appare conforme alla costituzione ritenere che un conflitto di parti (l’amministrazione locale imputata di sforamento e lo stato-organizzazione che può pretendere l’applicazione delle sanzioni e che le riscuote: il citato art. 7, comma 2, lett. a), d.lgs. 149/11 parla di pagamenti da farsi da parte dell’ente locale allo stato) non dia luogo all’esercizio di una funzione giurisdizionale, l’ente locale che si veda raggiunto da una "specifica pronuncia" delle sezioni di controllo che dichiari lo sforamento, debba rivolgersi al il giudice civile, cioè al giudice dei diritti soggettivi, il quale è chiamato a giudicare sulla posizione giuridica soggettiva dell’ente locale di assoggettamento alle sanzioni e a monte di trasgressore del patto. Deve essere fatta giustizia a favore di un soggetto che si ritiene leso in una sua posizione giuridica soggettiva tutelata incondizionatamente dall’ordinamento.
Che si tratti di posizione giuridica soggettiva qualificabile come di diritto soggettivo risulta evidente, come meglio si dirà sotto, per la assoluta mancanza di qualsiasi forma di valutazione di interesse pubblico sottesa all’accertamento dello sforamento o meno: lo sforamento o l’osservanza del patto sono dichiarabili per effetto di una valutazione tecnico-discrezionale priva di qualsiasi componente di valutazione dell’interesse pubblico.
L’amministrazione che veda espressa la valutazione della violazione del patto può quindi promuovere azione di accertamento negativo dello sforamento del patto nei confronti del ministero dell’economia o dell’interno, il primo sia come autorità che accerta la sostanziale violazione del patto sia come destinatario delle somme alle quali l’ente locale deve rinunciare a titolo di sanzione per lo sforamento (trattenuta fino al 3% delle spese correnti); il secondo quale amministrazione che rappresenta lo stato nelle azioni che vedano comunque coinvolto quest’ultimo quantomeno in termini di stato-organizzazione. Potrebbe essere evocata in giudizio anche la stessa sezione di controllo della Corte dei Conti che abbia emesso la pronuncia di accertamento della violazione del patto.
Potrebbe inoltre l’ente locale chiedere in ripetizione per indebito le somme versate in esito all’accertamento della violazione del patto laddove ottenga dal giudice civile una pronuncia di accertamento dell’avvenuto rispetto del patto di stabilità.
Va del resto considerato, con riguardo all’accertamento ad opera delle sezioni regionali di controllo della Corte dei Conti, che l’attività –per l’appunto- di controllo che dà luogo all’accertamento di violazione o meno del patto ad opera delle sezioni di controllo della Corte dei Conti non è a sua volta considerata attività giurisdizionale: lo afferma la Corte Costituzionale, in un giudizio nel quale il "giudice" a quo era una sezione di controllo della Corte dei Conti, ritenendo non abilitata tale magistratura alla formulazione di incidente di costituzionalità (v. Corte Costituzionale n. 37/11). Non è quindi concepibile nemmeno il ricorso ex art. 111 Cost., che comunque dovrebbe riguardare esclusivamente la verifica del rispetto dei limiti esterni all’ambito di operatività della competenza della Corte dei Conti in sede di controllo.
Va poi considerato che l’attività delle predette sezioni non è nemmeno attività amministrativa.
E’ infatti giurisprudenza anche costituzionale pacifica quella per la quale il controllo previsto dalla predetta norma (art. 1, comma 166 e ss. l. 266/05) ha natura non amministrativa ma esterna alla circonferenza dell’amministrazione attiva e che il controllo stesso abbia ad oggetto la "gestione" dell’ente e non singoli atti ed infine svolga una funzione di natura collaborativo-propositiva (dice il Presidente della Corte dei Conti nella richiamata relazione annuale: "In tale ambito ha un ruolo rilevante la modalità collaborativa che caratterizza il controllo in esame, indirizzato non a sanzionare, ma a costituire segnale di allarme per gli enti sulle situazioni pregiudizievoli per la sana gestione finanziaria, al fine di stimolare processi di autocorrezione" –v. relazione cit., pag. 112).
Non sussisterebbero pertanto i requisiti che anche l’art. 7 d.lgs. 104/10 Codice del processo amministrativo, richiede perché operi la giurisdizione amministrativa di legittimità e cioè la presenza di un atto che costituisca esercizio di potere amministrativo e che l’atto provenga da una pubblica amministrazione.
Afferma del resto la giurisprudenza amministrativa: "Gli atti di controllo emessi dalla sezione di controllo della Corte dei conti, essendo atti emanati da un organo estraneo all'apparato della p.a. nell'esercizio di una funzione imparziale non vincolata, pertanto, all'indirizzo politico e amministrativo del governo, non sono soggetti al sindacato giurisdizionale previsto dall'art.113 Cost. nei confronti degli atti della p.a.. …. Il ‘referto’ emesso dalla Corte dei Conti è atto non autonomo e privo di effetti diretti ed immediati, ed essendo emanato da un organo previsto dalla Costituzione in posizione di indipendenza e di neutralità e svolgente, in tale veste, una funzione strumentale al dovere di riferire direttamente alle camere il riscontro eseguito sulla gestione finanziaria dell'ente controllato, in base ai consuntivi ed ai bilanci di esercizio, è, pertanto, preclusa la possibilità di essere soggetto ad impugnazione." (T.A.R. Roma Lazio sez. I 3 aprile 1998 n. 1212 relativa ad un referto riguardante il controllo sulla gestione finanziaria dell'EFIM).
E’ orientata in tale direzione anche la dottrina (v. Caringella, Manuale di diritto amministrativo, 2010, pag. 1342).
Quanto all’accertamento che sia posto in essere dal Mef (sempreché il medesimo pervenga ad un atto espresso per l’appunto di dichiarazione dello sforamento del patto), vale il rilievo che difronte ad un tale atto si trova pur sempre una posizione di diritto soggettivo dell’ente locale.
Sembra dunque competente il (non certo specializzato) giudice ordinario.
D’altronde, l’art. 24 Cost. impone di ritenere non sguarnita di tutela giurisdizionale la posizione che il comune vanta a fronte dell’accertamento della violazione del patto e in vista della protezione del proprio patrimonio, esposto all’aggressione costituita dall’applicazione (o autoapplicazione) delle sanzioni previste dalla normativa, nonché di proprie posizioni di diritto soggettivo.
Vi è una posizione di diritto soggettivo, anzitutto, in relazione alla sanzione sub a) dell’art. 7, comma 2, d.lgs. 149/11: essa comporta l’esborso di importi che possono giungere al 3% delle spese correnti. L’accertamento (infondato) della violazione del patto fonda decisamente l’interesse di cui all’art. 100 c.p.c.. A maggior ragione, l’interesse sussiste nel caso di pagamento della sanzione in parola (pagamento che non può tradursi in accettazione irreversibile della sanzione, acquiescenza che comunque si può escludere con una apposita comunicazione) e di successiva richiesta di restituzione da parte dell’ente locale.
Vi è una analoga posizione di diritto soggettivo in relazione al divieto di assunzione. Si tratta di una limitazione della capacità di agire (stipula di contratti di lavoro) palesemente afferente a posizioni di diritto soggettivo.
Ancora un pregiudizio per posizioni di diritto soggettivo può recare la preclusione di indebitamento per spese in conto capitale: si tratta di limitazione della capacità di diritto soggettivo, sia che la si guardi come limitazione alla accensione di mutui, sia che la si guardi come preclusione alla stipula di contratti di affidamento di appalti di lavori destinati ad incrementare il patrimonio dell’ente.
Può infine predicarsi un possibile pregiudizio ad un diritto di credito e quindi di diritto soggettivo in relazione alla sanzione della riduzione dell’indennità, anche se il creditore in tal caso è il singolo amministratore, che dovrebbe agire in giudizio in proprio.
La limitazione della possibilità di assumere impegni per spesa corrente in misura superiore alla media annuale degli "impegni effettuati nell'ultimo triennio" (v. art. 7, comma 2, d.lgs. 149/11) sembra invece tradursi in incisioni di posizioni di natura pubblicistica non corrispondenti ad una tutela incondizionata ma subordinata alla normativa e all’interesse pubblico.
Ce n’è a sufficienza comunque per fondare l’azione avanti al giudice civile per la tutela delle descritte posizioni di diritto soggettivo a fronte della possibile lesione, che fa insorgere l’interesse ad agire ex 100 cpc, derivante dall’accertamento della violazione del patto.
Avanti al giudice ordinario l’ente locale, legittimato dalla posizione giuridica soggettiva avente natura di diritto soggettivo e dall’interesse all’azione connesso all’atto di asserito accertamento della violazione del patto, potrà chiedere l’accertamento della insussistenza della addebitata violazione del patto e quindi l’accertamento dell’insussistenza dell’obbligo di applicare le sanzioni previste dall’art. 7 d.lgs. 149/11, ed eventualmente potrà chiedere anche la condanna alla restituzione di quanto corrisposto e pure il risarcimento del danno per le conseguenze derivanti dall’applicazione che fosse già stata attuata delle sanzioni (es. mancata assunzione di personale, mancata effettuazione di spese in conto capitale).
Non sussistono del resto i presupposti dell’operatività della giurisdizione esclusiva ai sensi dell’art. 133 cpa, la cui lett. z-quater recentemente inserita dal d.lgs. 195/11, si riferisce esclusivamente alle controversie dell’art. 3, comma 3, d.lgs. 149/11, riguardanti –come già segnalato all’inizio- la sanzione dell’interdizione applicata a determinati organi in caso di dissesto e non di violazione del patto di stabilità.