LexItalia.it  

 Prima pagina | Legislazione | Giurisprudenza | Articoli e note | Forum on line | Weblog

 

Articoli e note

n. 11/2003  - © copyright

SALVATORE BIANCA (*)

Il T.U. sulle espropriazioni, la potestà legislativa esclusiva della Regione siciliana e i costi di transizione delle riforme

SOMMARIO: Vicende storiche che hanno preceduto il recepimento del T. U. a) Tesi dell’autonomia della materia “espropriazioni per pubblica utilità”; b) Tesi delle “espropriazioni”come materia strumentale  Recepimento del T. U. nella Regione siciliana a) Norme sull’organizzazione b) Norme in materia urbanistica.   I costi di transizione delle riforme (la staffetta).

 

Vicende storiche che hanno preceduto il recepimento del T.U.

Il T. U. sulle espropriazioni è stato approvato con D. P. R. 8 giugno 2001, n. 327. La sua entrata in vigore era prevista per il 1° gennaio 2002.

Non appena è venuto alla luce, la prima domanda che ci si è posti è quella se trovasse o meno applicazione immediata e diretta in Sicilia, tenuto conto della potestà legislativa esclusiva riconosciuta dallo Statuto regionale, approvato con legge regionale, in materia di espropriazioni per pubblica utilità.

E’ noto che la competenza legislativa esclusiva si estende, fra l’altro, alle seguenti materie: Organizzazione degli Enti locali e circoscrizioni relative, urbanistica, opere pubbliche, etc.

Per cui la prima cosa che deve fare l’operatore del diritto ed in particolare colui che opera nelle amministrazioni locali, è quella di verificare se la normativa recata dalla nuova legge è immediatamente applicabile nel territorio regionale.

Il dubbio è venuto per prima all’Assessorato Regionale Agricoltura e foreste che, dovendo promuovere un’espropriazione, ha chiesto un parere all’ufficio legislativo e legale della Regione siciliana.

a) Tesi dell’autonomia della materia “espropriazioni per pubblica utilità

L’Ufficio legislativo, con  parere n. 321 del 13 dicembre 2001, ha osservato che “la materia delle espropriazioni per pubblica utilità, non essendo tra quelle riservate allo Stato ex art. 117, co. 2, né facendo parte delle materie di legislazione concorrente ex art 117, co. 3, rientra nella potestà residuale delle regioni ex art,. 117, co. 4, Cost. Conseguentemente, a far data dall’entrata in vigore della legge costituzionale n. 3 del 2001 (8 novembre 2001), non spetta allo Stato disciplinare la materia delle espropriazioni per pubblica utilità”.

Le conclusioni dell’Ufficio tengono conto della recente legge costituzionale n. 3/2001 con la quale si è modificato il titolo V della costituzione intervenendo sul riparto di attribuzione dei poteri tra Stato, Regioni, Province e Comuni.

La riforma mira a consentire un’affermazione pubblica di tipo federalista con l’individuazione esatta delle materie soggette alla disciplina dello Stato e il riconoscimento della potestà legislativa regionale in tutte le altre, nonché mediante la soppressione dei tradizionali controlli sull’operato di Regioni, Province e Comuni.

Si è in presenza di un sistema completamente capovolto rispetto a quello anteriore.

Con la riforma la potestà legislativa è attribuita allo Stato in via esclusiva nelle materie elencate nel comma 2 dell’art 117, tra cui rientrano, per quello che interessa ai nostri fini,  “giurisdizione e norme processuali, ordinamento civile e penale, giustizia amministrativa e tutela dell’ambiente”.

Segue un elenco di materie, tra cui il “governo del territorio” nelle quali la potestà legislativa è riconosciuta in via concorrente alle regioni, nell’ambito dei principi fondamentali stabiliti con leggi dello Stato o da esse desumibili.

Tutte le materie che non rientrano in tali due elenchi sono attribuite alla regioni (competenza a carattere universale o residuale).

Ritenendo le espropriazioni una materia sottratta alla potestà del legislatore statale si giunge alla conclusione che le regioni hanno competenza legislativa esclusiva oltre che regolamentare, col risultato che ogni regione può approvarsi la sua legge per le espropriazioni.

b) Tesi delle “espropriazioni”come materia strumentale

Il mancato riconoscimento di autonomia alle espropriazioni consente di formulare le seguenti due ipotesi:

- le espropriazioni rientrano nella materia “governo del territorio” essendo strumentali all’urbanistica che fa parte di tale materia. In tal caso si avrebbe potestà legislativa concorrente;

-  le espropriazioni sono strumentali e serventi ai lavori pubblici che a loro volta costituiscono “ambiti di legislazione che non integrano una vera e propria materia, ma si qualificano a seconda dell’oggetto al quale afferiscono e pertanto possono essere ascritti di volta in volta a potestà legislative esclusive dello stato ovvero a potestà legislative concorrenti”.

La definizione è tratta dalla recente sentenza della Corte costituzionale n. 303 del 25 settembre – 1 ottobre 2003 che ha negato ai lavori pubblici la dignità di materia a se stante [1].

Lo stesso T.U. all’art. 5 stabilisce che le regioni hanno competenza legislativa concorrente in ordine alle espropriazioni strumentali alle materie di propria competenza.

Inoltre l’art. 6 del T.U. contenente “Regole generali sulla competenza” richiede che tutte le amministrazioni pubbliche istituiscano, per le funzioni attribuite all’ente quale “Autorità espropriante” l’ufficio unico per le espropriazioni.

Da ciò il Consiglio di Stato desume la natura strumentale delle espropriazione rispetto alle opere ed agli interventi alla realizzazione dei quali è preordinata l’ablazione dei beni (Cons. St. Adunanza Generale del 29/3/2001).

In sintesi le espropriazioni sono serventi alle altre materie: ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi, protezione civile, governo del territorio, porti e aeroporti civili, grandi reti di trasporto, distribuzione dell’energia, difesa, tutela dell’ambiente e dei beni culturali, etc.

Tuttavia con riferimento alla Regione siciliana  non può non tenersi conto della norma di sopravvivenza dell’art. 10 della legge costituzionale n. 3/2001° a mente della quale ”Sino all’adeguamento dei rispettivi statuti, le disposizioni della presente legge costituzionale si applicano alle Regioni a statuto speciale ed alle province di Trento e di Bolzano per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite”. 

Recepimento del T.U. nella Regione siciliana.

Ad ogni buon fine il legislatore regionale con l’art. 36 della legge regionale n. 7/2002, contenente “Norme in materia di opere pubbliche” ha inteso porre fine ai dubbi di applicazione della normativa recata dal testo unico nell’ambito della regione siciliana statuendo che: 1. Le disposizioni riguardanti le espropriazioni per pubblica utilità di cui al decreto del Presidente  della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327 e successive modificazioni, si applicano nell'ordinamento regionale contestualmente all'entrata in vigore della presente legge ovvero, ove successive, con le decorrenze previste nel citato decreto.

Nel frattempo il termine del 1/12/2002 veniva prorogato dapprima al 30 giugno 2002 con l’art. 5 del D. L. 23/11/2001, n. 411, convertito nella legge n. 463/2001, poi al 31 dicembre 2002 con l’art. 5, comma 3 della legge 1 agosto 2002, n. 166, ed, infine, al 30 giugno 2003 con l’art. 3 del D. L. 20 giugno 2002, n. 122 convertito con legge n. 185/2002.

Siccome la proroga veniva disposta con norme che non erano contenute nel T.U. era stata avanzata l’opinione che nell’ambito della Regione siciliana il T.U. trovasse applicazione anticipata rispetto al territorio nazionalee precisamente dalla data del recepimento.

Sicchè con legge regionale n. 7/2003 veniva introdotto un secondo comma all’art. 36:

2. Sino all'entrata in vigore del decreto di cui al comma 1 continuano ad applicarsi le vigenti leggi regionali in materia di espropriazioni ed occupazioni anche se formalmente abrogate con la presente legge”.

E’ facile constatare che si tratta di un rinvio di natura dinamica o formale avendo ritenuto applicabili anche le successive modifiche od integrazioni.

Tuttavia i dubbi non sono finiti.

Difatti, alcuni commentatori, in particolare quelli che ritengono le espropriazioni serventi alla materia urbanistica, sostengono che essendo il T.U. un corpo unitario di norme tutte le disposizioni in esso contenute trovano applicazione in Sicilia (il riferimento si desume da quanto ascoltato in quei pochi convegni ancora organizzati in Sicilia, di cui l’ultimo il 14 novembre 2003 da parte della Scuola di formazione “Pier Luigi Romano” dell’Ordine degli Avvocati di Siracusa: Relatori Dott. Vincenzo Salamone, Consigliere TAR Catania, fautore di questa tesi, e Avv. Michele Messina del foro di Siracusa che ha manifestato qualche perplessità).

Altri commentatori evidenziano che il T.U. non  è stato recepito nella sua interezza, ma soltanto “le disposizioni riguardanti le espropriazioni per pubblica utilità” (Dott. Salvatore Veneziano, Consigliere TAR Sicilia Palermo, in sede di commento sull’art. 36 della nuova legge sugli appalti in Sicilia).

L’utilizzo del termine “riguardanti” ovverosia “aventi per oggetto”, sembra escludere dal recepimento le disposizioni rientranti in altre materie nelle quali la Regione siciliana ha competenza legislativa esclusiva, ovverosia quelle riguardanti l’organizzazione degli enti locali e l’urbanistica, materie espressamente contemplate dallo statuto della regione siciliana.

a) Norme sull’organizzazione.

Per quanto riguarda le norme sull’organizzazione degli enti locali si pone il problema dell’applicabilità dell’art 6 che prevede: l’istituzione dell’ufficio per le espropriazioni a cui è preposto un dirigente o, in sua mancanza, il dipendente con la qualifica più elevata; la designazione per ciascun procedimento di un responsabile che dirige, coordina e cura tutte le operazioni e gli atti del procedimento; l’attribuzione al dirigente dell’ufficio di emanare ogni provvedimento conclusivo del procedimento o di singole fasi di esso, anche se non predisposto dal responsabile del procedimento.

Si ritiene che le stesse siano applicabili per la strettissima connessione col nuovo procedimento ed in virtù del rinvio dinamico contenuto nell’art. 2 della legge regionale 7 settembre 1998, n. 23, con la quale sono state recepite le norme della legge n. 127/97, che modificano le norme della 142/1990, relative alla ripartizione delle attribuzioni tra organi politici e burocratici degli enti locali ed alle specifiche competenze dei dirigenti.

b) Norme in materia urbanistica 

Com’è noto la caratteristica del T. U. è quella di avere individuato all’art. 8 le fasi che precedono il decreto di esproprio:

“Il decreto di esproprio può essere emanato qualora:

a) l'opera da realizzare sia prevista nello strumento urbanistico generale, o in un atto di natura ed efficacia equivalente, e sul bene da espropriare sia stato apposto il vincolo preordinato all'esproprio;

b) vi sia stata la dichiarazione di pubblica utilità;

c) sia stata determinata, anche se in via provvisoria, l'indennità di esproprio”.

Per cui tutte quelle norme che si riferiscono alla fase di apposizione del vincolo non dovrebbero trovare applicazione nell’ambito della Regione siciliana, in particolare:

-  l’art. 9, comma 2, che stabilisce il termine di cinque anni per la durata dei vincoli (In Sicilia il termine è invece fissato in 10 anni dall’art. 1 della legge regionale 5 novembre 1973, n. 38. Tale estensione temporale è stata ritenuta costituzionalmente legittima dalla Corte costituzionale con sentenza n. 82 del 29/4/1982). E’ estremamente difficile ritenere che il legislatore regionale abbia voluto rinunciare alla vigenza di un termine più ampio nella Regione siciliana;

-  gli articoli 9, comma 5 e 19 che disciplinano la realizzazione delle opere in variante allo strumento urbanistico. Nella Regione siciliana dovrebbe continuare ad avere applicazione l’art. 1 della legge nazionale n. 1/1978, nonostante tale legge sia stata espressamente abrogata dall’art. 58 punto 108 dello stesso Testo Unico. L’art. 1 continua ad operare nella Regione siciliana per l’espresso richiamo, di natura statica, contenuto nell’art. 4 della legge regionale n. 35 78, secondo cui “Nell’ambito della Regione siciliana si applicano le disposizioni contenute nei commi quarto e seguenti dell’art. 1 della legge 3 gennaio 1978, n. 1”. Tali commi riguardano la realizzazione di opere in variante allo strumento urbanistico. La sopravvivenza del procedimento di variante disciplinato dalla legge n. 1/78 discende anche dall’art. 42 della stessa l. r. n. 7/2002, come sostituito dall’art. 30 della l. r. n. 7 del 19/5/2003, che abroga espressamente alcuni articoli della l. r. n. 35/78, tra i quali non figura il suddetto art. 4 . Per cui, si ritiene, che il legislatore non abbia voluto modificare il quadro delle norme di contenuto urbanistico vigenti in Sicilia.

Com’è noto la maggior parte delle opere pubbliche viene realizzata col sistema dell’approvazione delle varianti allo strumento urbanistico.

Quindi, al fine di evitare che le amministrazioni si muovano in tale quadro di incertezza, in ordine all’applicabilità delle norme di contenuto urbanistico del T.U., è auspicabile che il legislatore regionale proceda immediatamente ad approvare una norma di interpretazione autentica del recepimento operato con l’art. 36 legge regionale n. 7/92.

Non dovrebbero, invece, sussistere dubbi sull’applicabilità dell’art 39 che prevede la corresponsione di un’indennità, commisurata al danno effettivamente prodotto, nel caso di reiterazione di un vincolo preordinato all’esproprio, e ciò per effetto del carattere civilistico di tale norma, ancorquando legata al procedimento di espropriazione.

Difatti secondo l’art. 834 cod. civ. “Nessuno può essere privato in tutto i in parte dei beni di sua proprietà, se non per causa di pubblico interesse, legalmente dichiarato e contro il pagamento di una giusta indennità”.

La Corte costituzionale con la nota sentenza n. 179 del 1999 ha evidenziato che la reiterazione del vincolo comporta una compressione della facoltà del proprietario diversa ed ulteriore rispetto a quella delle vicende che hanno caratterizzato il vincolo decaduto.

Una volta oltrepassato il periodo di durata temporanea (periodo di franchigia da ogni indennizzo) il vincolo urbanistico non può essere dissociato dalla previsione di un indennizzo.

Il T.U. esclude che si tenga conto della somma corrisposta a seguito della reiterazione, quando il bene è poi espropriato.

I due indennizzi (quello per la reiterazione del vincolo urbanistico e quello di espropriazione) sono automi.

La liquidazione deve essere effettuata, dall’autorità che dispone la reiterazione del vincolo, entro il termine di due mesi dalla data in cui la stessa ha ricevuto la domanda documentata di pagamento e l’indennità deve essere corrisposta entro i successivi 30 giorni, decorsi i quali sono dovuti anche gli interessi (art. 39 commi 1 e 2).

La stima effettuata dall’autorità può essere impugnata con atto di citazione dinanzi alla Corte  di Appello.

E’ presumibile che la “determinazione del danno effettivamente prodotto” a cui è stata commisurata l’indennità di reiterazione dei vincoli farà proliferare un notevole contenzioso tra i Comuni e i proprietari delle aree.

Al fine di scongiurare il probabile contenzioso (è naturale che i proprietari sono portati a maggiorare i loro danni mettendo i Comuni nelle condizioni di non poter accettare le richieste) sarebbe stato più conveniente e risolutivo ancorare la determinazione dell’indennità a parametri obiettivi previamente determinati.

Dalle superiori brevi considerazioni traspare un quadro di incertezza sia per i cittadini che per la pubblica amministrazione, incertezza che influirà negativamente sui diritti degli espropriati e sui tempi di realizzazione delle opere pubbliche.

I costi di transizione delle riforme (la staffetta).

 Com’è noto da poco più di un decennio è stato avviato il processo di riforma della pubblica amministrazione.

Il disegno riformatore portato avanti dai governi che si sono succeduti nel tempo riguarda sia l’attività amministrativa che il rapporto della stessa con gli organi politici e burocratici, nonché la modifica del sistema delle fonti del diritto con riferimento ai rapporti intercorrenti tra Stato e autonomie locali.

Si richiamano, a tal fine, le norme sulla privatizzazione del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici, quelle sul procedimento amministrativo e sulle autonomie locali per culminare, infine, con la riforma del titolo V della costituzione.

Il passaggio ad un diverso modello organizzativo statuale comporta, inevitabilmente, dei costi conseguenti all’introduzione del nuovo sistema.

E’ più o meno lo stesso fenomeno che si verifica quando si effettua il passaggio da un sistema di erogazione di un servizio pubblico basato su un determinato modello organizzativo ad un altro.

Esiste un momento di cesura nell’erogazione del servizio, un’interruzione più o meno lunga a secondo dei casi.

C’è chi ha paragonato il momento del passaggio di consegne da un operatore ad un altro (tra l’erogatore uscente e quello subentrante) al passaggio del testimone nella staffetta.

Nella fase di passaggio del testimone la corsa dell’atleta diminuisce allo stesso modo in cui si riduce il sistema normale di erogazione del servizio per riprendere graduale velocità dopo la consegna.

A causa delle modifiche organizzative occorre sostenere dei costi di transizione che si riversano negativamente sul livello qualitativo del servizio erogato agli utenti.

Ebbene tali fenomeni si verificano pure quando viene modificato l’assetto organizzativo e normativo della pubblica amministrazione.

Le modifiche che vengono introdotte sull’assetto preesistente lasciano ampio spazio all’assoluta incertezza sull’applicazione della legge ed al cittadino-utente della giustizia viene erogato un cattivo servizio, quantomeno sul piano dell’incertezza applicativa delle nuove norme, che dura sino a quando non si consolidano i nuovi istituti giuridici e la nuova organizzazione.

Un valido esempio di quali notevoli costi debbano sopportare i cittadini–utenti della giustizia è costituito dalla recentissima sentenza della Corte di Cassazione a sezioni riunite n. 15403 del 15 ottobre 2003.

Quando, ormai, sembrava essersi consolidato l’orientamento che attribuiva al giudice ordinario la giurisdizione in materia di concorsi interni, a distanza di oltre cinque anni dal nuovo riparto di giurisdizione, la Corte ha invertito la rotta ribaltando il suo stesso orientamento in materia, stabilendo che la giurisdizione appartiene al Giudice amministrativo.

Qualora i giudici di merito presso cui sono pendenti migliaia di cause relative a procedure concorsuali interne dovessero conformarsi a tale principio dichiarando il proprio difetto di giurisdizione, i ricorrenti si vedrebbero defraudatati di ogni forma di tutela, in quanto il termine per rivolgersi al giudice amministrativo non è quello prescrizionale di cinque anni, ma quello decadenziale di sessanta giorni, ormai scaduto.

Stesso discorso vale per coloro che non hanno ancora presentato ricorso avendo fatto affidamento sul termine di cinque anni per l’impugnazione dei concorsi interni dinanzi al giudice ordinario, facendo così scadere il termine di 60 giorni posto a pena di decadenza per l’impugnativa dinanzi ai Tribunali amministrativi regionali.

La rimeditazione della Cassazione si risolve nei fatti in una vera e propria negazione del diritto costituzionale di difesa sancito dall’art. 24 della costituzione.

Riprendendo il discorso della staffetta è il caso di dire che il passaggio del testimone non è ancora avvenuto e che il traguardo della giustizia, che è quello di garantire il buon diritto del cittadino, è sempre più lontano.   


 

(*) Avvocato  - Dirigente e capo dell'avvocatura comunale della città di Siracusa.

[1] Giova rilevare, per inciso, che la Corte costituzionale con un’azione di recupero della “centralità” dello Stato ha affermato che la potestà legislativa dello stesso si estende al di là delle sole materie attribuitegli in potestà esclusiva o alla determinazione dei principi nelle materie di potestà concorrente per effetto del principio di unità ed indivisibilità della Repubblica, proclamato dall’art. 5 della costituzione, e della necessità di assicurare l’esercizio unitario di funzioni amministrative, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, previsto dall’art. 118 costituzione.   


Stampa il documento Clicca qui per segnalare la pagina ad un amico